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Autore: LucyFire    11/09/2012    1 recensioni
Sono Monica, qualunque altro soprannome inutile per gli amici.
Faccio parte della cerchia più "out" della scuola, il che vuol dire (ahimè) un nostro tavolo a parte e pochi amici, ma buoni.
Ah, e ne sono felice. Dannatamente felice. Vi spiego il perchè: non riuscirei a vivere vicina a quelle oche delle Cheerleaders, o ai bei fustacchioni-capo-scuola . Bhe in effetti a loro si, diamine! sono pur sempre una femmina, ma sembrano essere totalmente sprovvisti di materia grigia.
Innamorata da una vita del mio compagno di banco, Matteo.
Le cose non vanno mai come si vuole, perchè nessuno fa mai i conti con l'imprevisto...
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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CAPITOLO 1

 

 

«Allora, cosa ne pensi?» aspettavo il suo verdetto, dopo aver finito di leggere a voce alta il prologo di una mia nuova storia.

«Non è niente male! Aspetta...» andò verso l'alto con il cursore del mouse «qui all'inizio hai fatto un errore: hai ripetuto due volte la parola così. Ripetizione.» concluse, annuendo per darsi ragione.

Bello. Il suo commento era tutto fuorchè super oggettivo.

«Comunque» continuò, intercettando la mia espressione «non l'hai scritto male. Prova a continuarlo, e magari anche a finirlo, tanto per cambiare» il suo tono si era fatto improvvisamente sarcastico.

«Non è colpa mia, per le altre storie non mi viene più nessuna idea! Io ci provo, ma...» fui intorrotta mentre gesticolavo, per discolparmi dal fatto che non riuscivo a finire una storia che fosse una.

Iniziavo, ispirazione al massimo, qualche capitolo e bum!, poi zero assoluto.

«Si, non è colpa tua e bla, bla, bla. A proposito, hai sentito di Matteo?» cambiò subito argomento, non volendo continuare a discutere inutilmente con me.

Saremmo potute andare avanti per ore: quando si trattava di far cambiare le idee agli altri, costringendoli a pensare alla nostra maniera, io e Coco eravamo a dir poco insopportabili. Forse era l'unico lato dei nostri caratteri ad essere uguale. In effetti, per tutto il resto, eravamo come due estranee in riguardo al nostro modo di agire.

Io, testarda e dura più del cemento, sempre spocchiosa e arrogante con la maggior parte delle persone – non per niente posso contare i miei amici sulla punta delle dita - lei, Coco, dolce e gentile con tutti. A volte era anche un po' troppo servile e la gente ne approffitava spesso della sua titubanza nel rivolgersi agli altri.

Solo con me risciva a tirar fuori quella parte del suo carattere grintoso che riusciva quasi a tenere testa alla mia testardaggine.

«Ehi, terra chiama Monica» mi sventolò la mano davanti agli occhi.

«Eh? Ah si, ci sono. Stavi dicendo?»

«Ti avevo chiesto se sai di Matteo...» lasciò la frase in sospeso, pronta a cambiare argomento nel caso avessi voluto.

Matteo. Il mio argomento tabù. Lui e i suoi modi gentili mi avevano conquistata subito dall'inizio delle superiori, quando me l'ero ritrovata per la prima volta come compagno di banco.

Io non conoscevo nessuno, tranne Coco che però era finita in un'altra classe, e un po' titubante mi ero avvicinata a lui e gli avevo chiesto il nome e se conosceva qualcuno, e lui mi rispose con uno dei sorrisi più belli della storia.

Avrebbe incantato anche Attila. Bhe, se fosse stato gay, almeno.

«ET? Pronto, ci sei? Dai Monica, non sono venuta qui per perdere tempo!»

«Oddio scusa, oggi sono con la testa fra le nuvole.» scossi la testa.

 

Torna giù, testolina calda.

 

«Come se non me ne fossi accorta. Ci sono anche io in questa stanza, sai.» era stata insolitamente acida.

Sospirai. La sua pazienza infinita verso di me doveva pur avere un litime in fondo.

«No, non so nulla su Matteo. Cos'è successo?»

L'eco del suo nome continuava a vorticarmi in testa. Dio, ero proprio cotta a puntino.

Non riuscivo a fissarlo negli occhi – e che occhi, signori! - senza arrossire e dire cose totalmente sconnesse.

Non sono la tipica ragazza che si strugge d'amore per un ragazzo qualsiasi, sia ben chiaro, ma sono pur sempre una femmina anche io e, se non mi rinchiudo in camera a piangere disperata quando la vita diventa – ahimè! - crudele, non è perchè sono cinica, è perchè... ho una soglia di dolore mentale alto.

Ok, non ci credo nemmeno io alla cazzata che ho appena scritto qui sopra.

«Oggi Angela, quella mia compagna di classe, ti ricordi?, mi ha detto che ha invitato una sua amica, mi sembra si chiami Federica, si Federica!, al ballo...» una bella pugnalata allo stomaco.

«Al ballo di fine anno?» gracchiai.

«Quanti altri ne conosci?» e morta dissanguata.

«Che felicità! Evviva!» ironizzai al massimo l'ultima parola, prolungando la lettera "i" oltre misura.

«Dai non fare quella faccia...» mi toccò la spalla, gentilmente «Vedrai che prima o poi si accorgerà di te.» mi girai di scatto, gli occhi ridotti a fessura.

«Non c'è bisogno che mi ripeti quanto sono brava ad essere trasparente, grazie.» sarcasmo, il mio stile di vita.

Si mise i capelli biondi, che le ricadeva in lunghi boccoli, dietro l'orecchio: il suo solito tic nervoso.

«Non far finta di non aver capito; non intendevo quello. Volevo dire...» si prese un attimo per scegliere con cura le parole «che magari puoi trovare qualcuno di meglio rispetto a lui.»

Finì la frase con un gran punto interrogativo.

Si, baby, come se non ci avessi già pensato. Dimenticalo!, dimenticalo!, non facevano che ripetermelo continuamente lei e quello scemo del mio migliore amico, Mikey.

«Senti, ne abbiamo già parlato. Devo solo aspettare un altro po'... Magari non sono abbastanza per lui! Cambierò tattica, mi ci avvicinerò di più, ma non provare a dire che non è un ragazzo adatto a me.» praticamente le ringhiai in faccia.

Smorfia di disapprovazione.

«Va bene, va bene. Solo che non mi sta molto simpatico, ecco.» concluse.

Lo sapevo benissimo che non le stava a genio, proprio come a Mikey.

 

"Si porta a casa metà della ragazze della scuola e contemporaneamente fa il cascamorto con le altre".

 

Lo diceva sempre lui, neanche fosse un mantra che mi doveva ricordare ogni mattina.

Il bello è sapere in quale delle due metà Mikey credeva che ci sarei finita io. Almeno, grande consolazione, secondo il ragionamento di Mikey, potevo contare sul fatto che almeno un contatto con lui ce l'avrei avuto, siccome ero una femmina.

«Lo so, ma non capisco perchè. Per me è perfetto. Gentile, disponibile, bello, affascinante e non si vanta affatto!,» sbuffo e roteata degli occhi da parte di Coco «è intelligente e sensibile.»

«Monica, nessuno è perfetto. E' un essere umano anche lui, sai.»

«Ma dai, giura. E io che credevo venisse da Venere. Mi hai rovinato l'esistenza, Coco.» acida come un limone.

«Quando la smetterai di essere così indisponente? A volte dai veramente i nervi.» ed eccolo lì ancora il suo tic nervoso.

«Lo so, ho esagerato, scusa.» mi misi la testa fra le mani, cercando di calmare il mal di testa che mi stava venendo al solo pensiero di vedere per l'ennesima volta Matteo con un'altra ragazza.

Non la vidi, ma sentii da come formulò la frase che si era addolcita.

«Non preoccuparti, so che sei solo stanca di vederlo con altre.» mi aveva praticamente letto nel pensiero.

Sospirai sconsolata.

«Già. Hai ragione tu, sono invisibile hai suoi occhi.»

«Vedrai che riuscirai a conquistarlo!» le parti si erano invertite, strano.

Aprii gli occhi di scatto, ritornando a fissare il monitor del computer. Non che fossi indifferente a dimostrazioni d'affetto, però non riuscivo mai a restare... me stessa quando si raggiungevano livelli smielosi in una conversazione.

Non mi piacevano molto gli abbracci e i baci sulla guancia li tolleravo solo quando erano i miei amici più cari a darmeli. Ero un po' allergica ai sentimenti, forse.

Mi schiarii la voce.

«Si, ok. Qual era la parola che avevo ripetuto nel prologo?»

La mia domanda era una muta richiesta di cambiare argomento.

«Questa» la indicò «è "così", settima riga.»

Santa Coco. Avrei costruito una statua in suo onore, per la pazienza che riservava ad ogni mio sbalzo d'umore, se solo avessi saputo disegnare anche una linea retta.

«Grazie»

 

 

 

 

Mattina, classe. Mi ero incantata ad osservare il volto angelico di Matteo mentre dormiva.

I suoi capelli biondi alla Zac Efron, quegli occhi, di un verde abbagliante, chiusi e la bocca aperta per respirare.

Quelle labbra così sensuali, quel viso così stupendo e coccoloso: sembrava un cucciolo bisognoso d'affetto.

Era semplicemente bellissimo il mio compagno di banco, non per niente ogni ragazza gli moriva dietro solo alla vista di un suo sorriso. Quando ne faceva uno, se possibile, diventava ancora più bello. Avrebbe potuto essere uguagliato persino a Brad Pitt.

Ne aveva sempre intorno di femmine, ovviamente: erano tutte attratte dall'aura di fascino che emanava. Sembrava veramente un angelo, anche dal carattere; gli mancava solo un'aureola per completare l'opera.

Aggiungendo poi anche il periodo dell'anno in cui ci trovavamo, Maggio, erano attratte da lui come api sul miele. Ogni mammifero dotato di cromosoma X nella nostra scuola infatti sperava che lui le avrebbe invitate al ballo, l'evento scolastico per eccellenza.

Anche se un po' contraria lo ero a ogni tipo di sport che si possa fare su due piedi, con il pallone o meno – sopprattutto ballare! -, non potevo nascondere il fatto che anche io avrei voluto essere invitata da lui.

Semplicemente mi avrebbe esaudito un sogno: un bellissimo e gentile principe azzurro, mi avrebbe portato nell'antro del demone cattivo – la scuola – e lì, baciandomi dolcemente, mi avrebbe giurato il suo amore, salvandomi dalla perfida Visenti – una strega che minacciava di uccidermi – e avremmo vissuto per sempre felici e contenti.

Si, come no. Ci mancava solo la fata turchina e Zio Paperone per completare l'opera.

Ma tanto non serviva a niente illudersi: io non sarei mai stata nemmeno nella lista delle candidate. Avrei avuto le stesse possibilità di uscire con lui di quante ne ha Mikey di sfondare come cantante rock. Ovvero sotto zero: è stonato come una campana.

Sentii una fitta al cuore. In fondo, aveva invitato l'amica dell'amica di Coco, Federica, molto probabilmente era una tipa tutte gambe e tette.

No, ragionai. Se piace a un ragazzo dolce come Matteo deve essere molto meglio.
E al diavolo la solita consolazione che aiutava in quei momenti: "Sei meglio di loro, almeno hai cervello."

«Ferraro?» la voce gracchiante della professoressa interruppe i miei pensieri masochisti.

«Si prof?» soffocai a stento uno sbadiglio.

Le lezioni di latino con la Visenti erano così noiose che sarebbe morto di sonno perfino Gesù. E si che lui di pazienza ne deve avere!

«Puoi ripetere quello che ho appena detto? Dovresti saperlo, vista la tua grande attenzione alla mia materia.»

Mi guardai attorno: solo facce distrutte dalla stanchezza e ragazzi con la testa appoggiata a cuscini occasionali. Fra tutti, aveva scelto proprio me, sapendo che non avrei saputo risponderle.

Bastarda.

«Mi scusi prof, non ero attenta.» mi stroppicciai gli occhi.

«Benissimo. Ragazzi» si rivolse alla classe «siccome la vostra compagna non era attenta sull'argomento, la prossima lezione faremo un compito sul programma fatto oggi.»

Si levò un coro di proteste, ovvero tutte parole poco gradevoli rivolte a me. La vidi fare un sorrisino soddisfatto.

Un'ingiustizia bella e buona. Lo faceva apposta, quella vipera.

«Ferraro, ma startene a casa no?» sempre dolce Marco Tamigi, mio - stupido, aggiungerei - compagno di classe.

Va bene tutti, ma lui non poteva permettersi di farmi una romanzina.

Lo detestavo con tutta me stessa. Verso di lui ero ai limiti dell'indifferenza.

Ci stavamo addosso come cane e gatto dal primo sguardo del nostro primo giorno di scuola, quando per sbaglio mi aveva rovesciato dell'acqua addosso.




Primo giorno di scuola delle superiori.
"
Oggi devo passare inosservata, magari fare le prime amicizie e comportarmi normalmente. Non devo distinguermi dalla massa." pensavo mentre entravo per la prima volta nel mio liceo.
Arrivai in classe, ai limiti della puntualità e mi alzai sulla punta dei piedi. Non vedevo niente, con tutti quei maschi in mezzo alti più di un metro e settanta. Alla fine, non senza molti sforzi, riuscii a farmi spazio tra di loro.
Stavo scegliendo il banco dove sedermi tranquillamente, quando un ragazzo mi venne addosso, rovesciandomi uuna bottiglia d'acqua addosso. E al diavolo le mie speranze di passare senza farmi vedere. Ormai gli occhi di tutti erano puntati su di noi, neanche fossimo sotto i riflettori.
"Ops! Mi dispiace" mi aveva guardato dall'alto in basso, con arroganza.
"Ma sta attento a dove metti i piedi, idiota!" mi aveva rovinato una maglia nuova, regalatami da Claudia per l'ultimo compleanno: era una delle mie preferite.
"Dai, cosa vuoi che sia, è solo acqua." si era cercato di difendere il cretino.
"Si, ma è il primo giorno di scuola, ed è già iniziato in modo orrendo." mi disperai, dicendo a vce alta i miei pensieri.
"Ho già chiesto scusa, se non sbaglio."
"Si, idiota. Però mi hai rovinato..." stavo per dire "i miei prossimi cinque anni qua dentro", quando mi interruppre.
"Sicuramente non quella maglia. Era già brutta di suo!" mi voltai di scatto. Cosa aveva detto della mia bellissima maglietta?
"Cos'hai contro la mia maglia!?"
"Io? Niente! Cos'hai tu contro di me, invece." mi puntò contro un dito accusatorio.
"Ma se non ti ho fatto niente!"
"Idiota di qua, idiota di là!" mi scimmiottò alla grande.
"Forse è perchè lo sei! Chi rovescerebbe dell'acqua addosso a una persona che non conosce?"
"Ma che problemi hai?" ormai le nostre urla avevano zittito tutti i nostri compagni di classe, che ci fissavano come si fissa una nimale dietro le sbarre a uno zoo.
"Nessuno. Tu piuttosto!" gli feci la sua stessa domanda, non sapendo cosa rispondere.
"Nessuno." strinse gli occhi a fessura e tutti i suoi lineamenti si irrigidivano. Non ci voleva un genio per capire che era arrabbiato nero. Immaginavo di aver lo stesso aspetto: quel tipo mi stava davvero dando su i nervi.
"Bene." cunclusi, dicendoglielo in modo di sfida.
"Bene."




 

«Prof, io dico che dovrebbe interrogare solo Ferraro. In fondo è lei che non era attenta, non oi. Vero?» un coro affermativo si levò in classe. Sentivano tutti un barlume di speranza.

Invano, ovviamente. Quella vipera ci prendeva gusto a rovinare la vita agli altri, non avrebbe rinunciato a torturarci l'esistenza per nulla al mondo.

La strega guardò nel suo registro, tirando fuori dal suo astuccio come una sciabola la sua penna nera malefica. Con quella scriveva voti, note e altro. Mai odiato tanto un oggetto.

«Va bene, Tamigi» va bene? Del tipo, "va bene che morirete tutti nella mia prossima lezione"?

«in fondo ho voti a sufficienza. Ferraro, ricordati di prepararti per l'interrogazione di...» pausa d'effetto con sorrisino diabolico «venerdì. Mi aspetto almeno la sufficienza, anche se forse è chiedere troppo»

Ma era un'ingiustizia! Sentii una risatina soffocata dietro alle spalle. Quel... quel cretino mi stava prendendo in giro!

Mi accorsi che Matteo si stava risvegliando in quel momento, stiracchiandosi sulla sedia.

Mi guardò con quegli occhi verdi «Cosa mi sono perso?» mi chiese.

Faticai a trattenermi nell'arrossire di colpo come ogni volta che mi rivolgeva la parola. Che andavo in ebollizione era dir poco.

«La Visenti mi ha appena detto che mi interrogherà venerdì.»

«E oggi che giorno siamo?» se fosse stato qualcun'altro, gli sarei sbottata in faccia rispondendogli in malo modo. Non sono mica un'agenda portatile!

Ma invece risposi soffiando «Mercoledì.» mi fece l'occhilino, e addio alla mia prova nel coraggio nel trattenermi.

Diventai rossa come un pomodoro. «Vedrai che ce la farai!» sorrise.

Ok, mi voleva decisamente morta.

«G-grazie.» se possibile, arrosii ancora di più. Mi sentivo la faccia come se stesse per scoppiare.

«Niente»

Breve attimo di silenzio in cui continuavo a fissare i suoi occhi, ora rivolti al libro di latino, quando una voce conosciuta rovinò il mio momento perfetto.

«Prof, Verde e Ferraro stanno amoreggiando.» Marco, quell'odioso di Tam**, decise di rovinarmi l'esistenza.

Ma perchè il cretino non poteva starsene zitto e farsi gli affari suoi?

«Cos'è, Tamigi, sei geloso?»

O mio Dio. Matteo non lo aveva negato, e per di più gli aveva risposto per le rime, mentre io ero sprofondata nella vergogna sotto gli occhi di tutta la classe.

Si stavano sicuramente chiedendo come una ragazze qualunque come me avrebbe potuto piacere a un angelo come Teo. Sarebbe come dire che piaccio a Chris Evans.

Impossibile! E non solo per l'oceano di distanza.

Quello lo ignorò completamente.

«E a me cosa me ne può importare, Tamigi?» la prof era visibilmente scocciata.

«Dico solo che non si dovrebbe fare in classe...» sicuramente voleva farsi bello agli occhi della prof. Lecchino.

«Non me ne frega molto la cosa. Se Matteo ha deciso di provarci con una ragazza che non riesce a prendere la sufficienza nella mia materia neanche pagarla oro!» ecco, aveva distrutto due persone con una sola frase.

La mia autostima, neanche fosse alle stelle fino a poco prima, e l'orgoglio di quel ficcanaso di Tam. Almeno forse così avrebbe abbassato un po' la cresta.

Non sapeva più cosa rispondere, il cretino. Era ammutolito di fronte alla Visenti, che lo fissava come se volesse metterlo a bollire in pentola per mangiarlo a cena.

«Ma visto che hai ache tu interrotto la lezione, venerdì sarai interrogato pure tu, Tamigi.»

Tam impallidì di colpo.

 

Questa non te l'aspettavi, eh? Ma i prendere in giro la prof di latino!

Ben gli sta!

 

Così avrebbe imparato la lezione. «Ma prof...» cercò di convincerla all'ultimo facendo una vocetta petulante. Speranza vana: la cosa che odiava più di tutti la Visenti, oltre me, ovviamente, erano i lecchini. E lui ne era un classico esempio.

«Non elargisco favori a nessuno, Tamigi.» ma dai? Non l'avrei mai detto! «Ti conviene stare zitto. Hai già interrotto la mia spiegazione troppe volte.»

Ammutolì di colpo. Finalmente aveva capito qualcosa.

Gli lancia uno sgaurdo furente di rabbia, che intercettò all'istante rispondendo alla mia stessa maniera. Dire che ci odiavamo a morte era un eufemismo.

Mi aveva messa in imbarazzo, umiliandomi neanche in dieci minuti. Mi sarei vendicata, eccome.

 

 

 

 

 

** Tam= TAmigi + Marco :)

 

 

 

 

Ehilà :)

 

Devo ringraziare tutte le persone che hanno commentato, messo la storia tra i preferiti, tra le seguite o nelle ricordate. Mi fa piacere che sia piaciuta l'idea a così tante persone.

In particolare, ringrazio Dear Juliet, che grazie alla sua recensione mi ha fatto venire in mente il modo per iniziare il capitolo, solamente correggiendomi la parola "così" nel prologo.

Ma torniamo a noi. Questo capitolo era un po' introduttivo.

Monica, un po' allergica ai sentimenti, forse perchè non sa come esprimerli, è innamorata cotta da anni del suo eterno compagno di banco, Matteo Verdi, nonchè bel ragazzo ambito da molte sue coetanee.

Lei non è una che ci tiene molto ad avere un fidanzato, infatti non ha mai detto in tutto il capitolo che lo vuole come suo ragazzo, ma si trova facilmente a pensarlo coem il suo "principe azzurro".

Ha pochi amici (tra cui ricordo Mikey e Coco) e un carattere facilmente irascibile.

In più c'è questo "cretino" ficcanaso che le rompe continuamente l'anima.

La trama è semplice, non c'è niente di complicato da capire. Potrei giurare che già la metà di voi, se non tutte, ha già capito come andrà a finire.

Ho detto troppo? Spero di no.

Al prossimo capitolo!

Baci,

 

Anna :)

 

  
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