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Autore: cerconicknamesugoogle    12/09/2012    2 recensioni
Se Katniss fosse stata una ragazza come tutte le altre? Un semplice tributo sopravvissuto alla furia di Capitol City? Se non ci fosse stata nessuna rivolta? Se i Distretti avesser continuato ad abbassare la testa davanti al potere costituito?
Siamo alla Centesima edizione degli Hunger Games, la quarta edizione della Memoria. I giochi saranno diversi.
Due Tributi. Distretti diversi, famiglie diverse, ferite e cicatrici diverse. Due destini separati, se credete nel destino. Due destini che sono destinati ad intrecciarsi, per la gioia degli spettatori.
Questa volta ci sarà un solo vincitore per gli Hunger Games.
Che i Giochi abbiano inizio? Tenete gli occhi incolati sullo schermo, ci sarà da divertirsi.
*Fanfiction scritta a quattro mani da Wania97 e Clalla97, per la gioia di chi ama i loro scleri, cioè nessuno ù-ù Un personaggio a testa, uno per uno non fa male a nessuno.*
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Che tu sia per me il coltello

Ma dentro di me esisti 
in un modo che mi atterrisce. 
“David Grossman, 
Che tu sia per me il coltello”


Farika non si era ancora evidentemente abituata a vedere Gregory seduto a tavola come tutti loro, a mangiare un croissant inzuppandolo nella crema di nocciole, a bere succo ai frutti di bosco e a guardare civilmente i presenti. Certo, era ancora piuttosto silenzioso e restio a concedere espressione facciali che non fossero vuote o annoiate, ma era con loro.
“Sul serio, Lenore... come hai fatto? Ti prego, svelami il trucco.” la donna continuava a spostare lo sguardo, alternandosi fra i loro visi, squadrandoli come se fosse alla ricerca della risposta ad un mistero irrisolvibile. Non c'era nessun mistero. Eppure la reticenza di Lenore non faceva che aumentare quella convinzione.
“Sono rimasti svegli tutta la notte assieme. Sua madre le avrà insegnato i segreti del mestiere. Non ci vuole molta fantasia per immaginare quale sia il trucco.”
Rosemary aveva sfoderato un sorrisino divertito mentre portava alla bocca una fragola sovrastata da uno sbuffo di panna. Era fiera della propria frase, lei. Lenore invece era mortificata. Ma aveva semplicemente serrato la mascella, tenendo lo sguardo fisso sulla propria tazza, senza rispondere alla provocazione, combattendo la rabbia.
Reagire era la cosa peggiore, lo aveva imparato molto tempo prima. 
Farika aveva guardato le ragazze con aria perplessa, senza capire dove volesse andare a parare Rose. Ma tutti gli altri avevano inteso, eccome, e la fissavano con palese disapprovazione.
“Cosa sono quelle facce? Ho semplicemente espresso il pensiero di tutti, credo.”
“A nessuno di noi era venuta in mente una cosa simile.” aveva ribattuto Stan battendo debolmente i palmi delle mani sul tavolo, facendo tintinnare le porcellane.
“Però avete capito subito cosa intendevo. L'unica che a quanto pare non ci aveva proprio pensato è Farika.” ribatté subito la ragazza, sorridendo, certa di aver colpito il punto giusto. Ed era vero. Nella sala cadde un silenzio imbarazzato. Fu la risata di Lenore, ad interromperlo. Una risata piena di amarezza per la verità delle parole di Rosemary, una risata accompagnata da un risentito movimento della testa, una risata che sapeva di delusione. Era tutto vero. Come aveva potuto anche solo pensare che quella gente potesse interessarsi a lei? Erano esattamente come tutti gli altri.
Stava per alzarsi e andare in camera sua, dove probabilmente se la sarebbe presa con un cuscino, quando Gregory alzò lo sguardo e gelò tutti quanti. Non aveva ancora aperto bocca dalla prima volta che si era seduto con loro, né aveva dato segno di interessarsi alle loro discussioni.
“Non ho idea di cosa tu stia parlando, Carlton, ma dal tuo tono mi sembrava un commento di pessimo gusto. Lasciati dare un consiglio spassionato: non puoi permettertelo. Qual è il motivo di tanta fatica? Lenore ti spaventa? Sai, credo che sia una paura immotivata. Lei è nell'altra Arena, nel caso tu fossi stata troppo occupata a fare altro, per accorgertene. E ora come ora tu non riusciresti a superare nemmeno la Cornucopia. Forse dovresti pensare ad allenarti con Leanna, invece di lanciare cattiverie a destra e manca. Sarebbe più utile e producente.”
Rosemary arrossì dalla testa ai piedi e le sue guance si ricoprirono di piccole chiazze purpuree che testimoniavano con irriverenza il suo imbarazzo. Il tono di Gregory erano stato affilato come la lama di un coltello. Lenore si era goduta il modo in cui quella lama era penetrata dentro la ragazza, ma avrebbe scommesso qualsiasi cosa sul fatto che lei, in realtà, non si fosse affatto pentita di ciò che aveva detto. 
“Andiamo, Len. Io e te abbiamo cose migliori da fare che rimanere qui a discutere con una bambina.” affermò il Mentore alzandosi in piedi, prontamente seguito dalla ragazza. “Oh, aspetta... magari Rosemary desidera fare un commento anche sulla mia ultima frase. In questo caso diamole pure il tempo per farlo.”
Di fronte al silenzio della ragazza Gregory annuì con approvazione.
“È stata una colazione deliziosa. Veramente. E voi tutti siete delle persone altrettanto deliziose. Senza dubbio. Anche se trovo il rosmarino veramente fastidioso.”
Farika si riscosse dallo stupore che l'aveva paralizzata.
“Di che rosmarino parli? Non c'è rosmarino in questa...”
“Fidati, ce n'è anche troppo per i miei gusti.”
Rosemary sembrava avere l'aria di una persona che vuole sprofondare nel pavimento e Lenore non stentava a crederci. Gregory ci era andato pesante, ma lei non poté impedirsi di sorridere quando lo seguì fuori dalla sala.
Di Gregory si fidava, più di chiunque altro al mondo e quella consapevolezza, per una volta, non portava paura, né dolore, né insicurezza. Gregory era diventato, in quei pochissimi momenti passati insieme, la cosa più simile ad una famiglia, per lei. E gliene era profondamente grata.
Il Mentore la portò nella sua camera, che era praticamente identica a quella di Lenore, e le fece segno di accomodarsi sul letto.
“Non credi di aver esagerato?” gli chiese la ragazza togliendosi le scarpe e incrociando le gambe sul materasso.
“No. Ma credo che tu invece avresti dovuto difenderti.”
“Non avevo niente da dirle.” la scrollata di spalle che seguì le parole riuscì a far innervosire il ragazzo.
“Mi deludi, Lenore. Pensavo che fossi abbastanza coraggiosa da rispondere a chi cerca di umiliarti.”
“Ti ripeto, Greg, non avevo nulla da dirle. Il mio sguardo era fisso sul coltello da burro e mi stavo chiedendo se si sarebbe piantato in mezzo agli occhi, anche da spuntato, se lo avessi lanciato abbastanza forte. Ma parlare... era l'ultima cosa che mi veniva in mente di fare, in quel momento.”
Gregory rimase in silenzio qualche istante, per poi ridere, in quel suo modo strano, un angolo delle labbra stirato verso l'alto, con la sua voce roca e bassa.
“Già, avrei dovuto immaginarlo che non sei proprio così innocente. E così maneggi i coltelli, eh?”
Lenore scosse la testa, divertita.
“No, io non ho mai detto una cosa simile. Che cosa ti ha fatto sorgere questa balzana intuizione, oh mio sapiente Mentore? Chiunque può avere l'impulso di accoltellare qualcuno.”
“Appunto. Accoltellare. Non lanciare coltelli. Non cercare di prendermi in giro, Len. Ho qualche anno in più di te e una edizione di Hunger games alle spalle. L'esperienza gioca a mio favore.”
“C'è qualcosa che ti si possa nascondere, brutto antipatico?” borbottò la ragazza incrociando le braccia, infastidita.
“Se ti può consolare non lo sapevo fino ad oggi. Sai, riguardando la Mietitura ti ho osservata, per capire con chi avevo a che fare ed ero arrivato alla conclusione che tu e l'arco saresti stati fidati compagni. E ne sono ancora certo. Solo, non mi ero accorto dei coltelli.”
“E cosa te l'ha fatto pensare?” chiese la ragazza, incuriosita.
“Beh, hai una calma terrificante, in certe situazioni. All'inizio, quando ti hanno estratta sembravi maledettamente spaventata eppure non hai mosso un solo muscolo, sul palco. Insomma, hai nervi saldi. Ma le tue braccia erano troppo allenate per limitarsi alla frusta e alle lame da lancio e in più hai una buona postura, perciò ho pensato all'arco. Non è stato difficile, dopotutto.” sembrava soddisfatto della sua analisi.
“Già, non sarebbe stato per niente difficile, se solo tu avessi avuto ragione.” lo smontò lei senza nessuna pietà. Ebbe la soddisfazione di vederlo aggrottare le sopracciglia, sorpreso.
“Cosa?”
“Non tiro con l'arco. Non ne ho mai toccato uno in vita mia.” era una bugia. Se la ricordava, la sensazione del telaio di legno sotto le sue dita. Ma non ne aveva mai impugnato uno, non per colpire qualcosa. Non per colpire qualcuno.
“Dici sul serio? Mai?”
“No, mi sono allenata con quello che avevo.”
Gregory sembrava curioso.
“E cosa avevi, esattamente?”
“Tanti pini marittimi dal tronco maledettamente liscio su cui arrampicarmi, tante piante da riconoscere, tanti libri più o meno inutili da studiare, tanta sabbia e tanta acqua per allenare i muscoli, dei coltelli da lancio e una spada.”
“Tiri di spada... Sta' a vedere che quest'anno Capitol mi ha affibbiato un Tributo addestrato meglio di quelli del Due senza neanche saperlo.”
Lenore rise, gettandosi all'indietro e rimbalzando sul materasso morbido.
“Magari, Greg. Sarebbe tutto più facile.”
“Beh, non possiamo saperlo. Intanto, tieniti lontana dalle cose che sai fare bene, in Allenamento. Oppure sbagliale apposta, ma non clamorosamente. Non attirare l'attenzione, né in positivo né in negativo. È importante. Ti vuoi alleare coi Favoriti?” Greg la fissava negli occhi, quasi preoccupato.
“No. Non se ne parla.” la risposta era arrivata di getto, senza pensarci.
“Approvo. Non ti puoi fidare.”
“Non mi posso fidare di nessuno.” osservò la ragazza.
“Di loro ancora meno.”
“Sono d'accordo. Passare inosservata.”
Il ragazzo annuì e le concesse un ultimo sorriso prima di farla uscire dalla stanza.
Passare inosservati.
Non doveva essere poi così difficile, no? Non lo faceva da una vita?
Sarebbe stato facile.

Non era stato facile, per niente, rifletté Lenore mentre era seduta su una panchina a riprendere fiato, dopo un paio di ore.
Si era resa conto di una cosa, mentre era ferma sulla pedana, aspettando il proprio turno per tirare con l'arco: lei non era mai passata inosservata. Certo, camminava a testa bassa, per le vie meno affollate, senza rivolgere la parola a nessuno, eppure c'erano sempre centinaia di sguardi puntati su di lei, anche solo per sputare cattiverie o per deriderla bellamente. Il massimo che poteva aspettarsi era di essere ignorata. Ma nulla di più. Tutti si accorgevano della sua presenza.
L'aveva capito quando aveva sentito il tocco intimo, carezzevole e soprattutto terribilmente familiare di un paio di occhi che la studiavano attentamente e, voltandosi, aveva inquadrato il volto di Annika, il Tributo del Due nella sua Arena, affiancato da quello di Rosemary, mentre ridevano. Di lei.
Lenore aveva commesso il suo primo errore, in quel momento. Aveva fissato Annika negli occhi, sfidandola tacitamente a raggiungerla e a parlare in faccia invece che deriderla alle spalle. Lo sguardo della ragazza si era affilato, mentre coglieva la sua provocazione.
Annika non le faceva paura, nemmeno un po', con le sue braccia forti, la statura massiccia, il volto arcigno sempre corrucciato in una espressione di superiorità. Le palpebre erano sempre contratte, per guardare il mondo attraverso quella piccola lunetta, ma nelle iridi non si leggeva nessuna arguzia. Sarebbe stata in grado di staccarle la testa con un solo colpo della sua ascia, cosa che tutti ritenevano più facile di quanto non fosse in realtà, ma dubitava che sarebbe stata capace di ideare un piano ingegnoso per catturare un qualsiasi Tributo. Sarebbe stata un burattino nelle mani degli altri Favoriti.
Ma era proprio quello il punto: per quanto potesse essere relativamente inoffensiva, Annika era una Favorita e come tale aveva cercato subito appoggio nel gruppo, facendo sì che Lenore si trovasse i loro occhi puntati sulla schiena per tutto il tempo, mentre saggiava per la prima volta la tensione della corda, la resistenza del telaio, mentre ascoltava le istruzioni del vecchio che le spiegava pazientemente come posizionare mani, braccia e spalle.
Gregory aveva avuto ragione: l'arco le piaceva, apprezzava la forza con cui le frecce si scagliavano contro il bersaglio, gustava la vibrazione della corda che si irradiava lungo il suo avambraccio, dopo averla lasciata con dita indolenzite dallo sforzo, amava la soddisfazione di vedere la punta conficcarsi in un buon punto, per essere una principiante. Eppure sapeva che non ci avrebbe mai fatto affidamento, durante i Giochi. Era un'arma che le piaceva, ma di cui non si fidava abbastanza per considerarla una buona compagna. Così aveva lasciato la postazione, soddisfatta, dirigendosi verso il test sulle erbe, elementare, che aveva superato senza troppe difficoltà. Gli occhi l'avevano seguita. E non l'avevano lasciata nemmeno quando aveva preso in mano la spada, anzi, se possibile si erano interessati ancora di più.
Lenore aveva l'aveva fatta cadere, facendolo passare come un errore involontario e si era ferita leggermente, costringendosi a pensare a cose totalmente differenti mentre maneggiava l'arma. Aveva funzionato. La ragazza si era gustata la delusione dei Favoriti.
Eppure quando vide Aaron avvicinarsi a lei, mentre era seduta su quella panchina con i gomiti appoggiati alle ginocchia e i capelli appiccicati alla fronte per il sudore, Lenore non poté fare a meno di chiedersi disperatamente cosa avesse sbagliato.
“Tu sei dei nostri, vero, Quattro?” esordì lui, con quell'arroganza che ormai la ragazza sapeva appartenergli.
Lenore trovava curioso che fosse stato mandato proprio lui a chiederglielo, quando Rowena ed Elia stavano a monitorare la scena da lontano, con l'attenzione mortale del falco. La ragazza sapeva che erano loro a manovrare sottilmente i Favoriti, lasciando credere ad Aaron di avere il comando. Erano astuti, intelligenti, letali. Doveva stare lontana da loro.
“A cosa mai potrei servirvi?” chiese aggrottando le sopracciglia.
“Beh, non sarai bravissima con la spada o con qualsiasi altra arma ti abbia visto usare, ma con l'arco non te la cavi male. E noi non abbiamo nessuno che lo maneggi. Ci potresti essere utile. E magari almeno tu sai pescare visto che quell'idiota del tuo compagno sembra un incapace. Oppure ci farai divertire, se sei brava quanto tua madre.”
Lenore non sapeva se mettersi a ridere o strapparsi i capelli. Non aveva prestato attenzione al tiro con l'arco, appunto perché si trattava della sua prima esperienza, e invece i Favoriti volevano la sua alleanza esattamente perché ai loro occhi sembrava cavarsela.
“Mi dispiace, ma credo di non essere disponibile.” rispose alla fine, guardando fisso davanti a sé.
“Non scherzare, ragazzina.”
“Sono serissima, Due. Il vostro aiuto non mi interessa.”
“Non puoi essere così incosciente da non voler entrare nei Favoriti. Chiunque pagherebbe per questa alleanza, stupida.” il ragazzo si stava arrabbiando, era evidente da quella piccola vena sulla tempia che diventava più evidente ad ogni secondo.
“Ti ho detto che non ho nessuna intenzione di schierarmi con voi.” sibilò lei a denti stretti. La pazienza non era mai stata una delle sue virtù.
Aaron le afferrò il braccio, torcendoglielo con forza, fino a farle male, costringendola ad alzarsi in piedi, ma la ragazza si impedì di emettere un solo suono.
"Te ne pentirai, ragazzina. Te lo giuro."
"Mollami." le mani del ragazzo erano troppo forti perché riuscisse a liberarsi da sola senza attirare troppo l'attenzione, ma mettersi in mostra era proprio l'ultima cosa che voleva fare.
“Ehi, adesso lasciala.” Lenore non riconobbe la voce, ma il viso che comparve nel suo campo visivo pochi istanti dopo, quello era inconfondibile. Darren.
"E tu cosa c'entri, bastardo?" era incredibile come Aaron si fosse informato delle situazioni di ogni Tributo. A sentirlo sembrava più una pettegola che il micidiale tributo super-favorito di quella edizione quale in effetti era considerato. "Lei non è affar tuo."
Lenore si era limitata a rimanere in silenzio, cercando senza troppi risultati di liberare il braccio, anche quando ormai la discrezione era andata a farsi benedire. Dopo l'intervento di Darren tutti li stavano fissando.
“Ti ho detto di lasciarla” ribatté lui come se il tributo non avesse parlato e l'insulto non lo avesse minimamente scalfito. "O ti assicuro che ti darò un buon motivo per chiamarmi bastardo.” 
"Le risse sono proibite, Thomson." aveva ribattuto il ragazzo con un sorriso beffardo, ma le aveva lasciato il polso. Forse c'era stato qualcosa negli occhi di Darren, forse Aaron aveva capito che non ne valeva la pena, ma aveva mollato. Il ragazzo del Distretto Due se ne andò non prima di lanciare uno sguardo di fuoco ai due. "Sei fortunato di essere in un'altra arena."
Lenore fissò Darren, le labbra strette in una piega sottile. Il disagio stava crescendo dentro di lei in maniera esponenziale, di fronte al ragazzo.
"Grazie." si limitò a dire con un cenno del capo. 
Il ragazzo lanciò l'ennesima occhiata minacciosa all'altro tributo, per poi rivolgersi a lei. "Non c'è di che." rispose "Quelli come lui non piacciono a nessuno."
A vederlo così da vicino la somiglianza era veramente sbalorditiva e ciò non fece che amplificare ulteriormente in senso di irrequietezza che la agitava.
"Questo è evidente. Non sono in molti ad avere il coraggio di afferrare il toro per le corna, però." osservò la ragazza, senza guardarlo negli occhi. 
"Non sono in molti che se lo possono permettere" ribatté lui. "Che cosa voleva da te?" 
"Sono del Distretto Quattro. Faccio parte dei Favoriti quasi di diritto, voleva che mi alleassi con loro." spiegò scrollando le spalle. 
I miei tentativi di sembrare un'incapace a quanto pare non sono andati a segno o quantomeno non hanno sortito l'effetto sperato. 
Non lo disse ad alta voce, ma quel pensiero si riflesse nella sua espressione.
Darren sembrò studiarla per qualche istante. 
“Non vuoi essere dei Favoriti?” sembrava sorpreso all'idea. Probabilmente non se l'aspettava, di certo non da un Tributo del Distretto Quattro.
"Aaron non è il mio tipo." commentò ironicamente, ben conscia del fatto che nessuno lo avrebbe mai considerato un motivo plausibile. 
"Immagino non siano affari miei"
Lenore scrollò nuovamente le spalle. "E' solo che... non voglio fare l'ipocrita dicendo che io sono diversa, che non voglio uccidere. Il punto è che attaccare in branco dei Tributi indifesi, come fanno loro, è da codardi. Se dovessi vincere sarà perché sono riuscita a contare solo sulle mie forze. Loro si divertono, io lo faccio perché devo. Non abbiano nulla in comune. E poi... se hai paura che un serpente ti morda di certo è meglio non dormire accanto a lui. Potresti essere l'unica cosa commestibile nei paraggi, nel caso gli venisse fame."
“Una ragazzina del Distretto Quattro che sceglie di propria volontà di non stare coi Favoriti." Darren la inchiodò con lo sguardo "Secondo me sotto c'è qualche trucco." la diffidenza traboccava dalle sue parole come una cascata.
"Fra di loro non c'è spazio per una come me. Questo è sicuro. Chissà dov'è, poi, il mio posto." ritrovò a dire, fra sé e sé, guardando a terra. "Ma sono piuttosto sicura di non doverti nessuna spiegazione. Sappi soltanto che far parte di un Distretto non è sempre una garanzia. Dovresti averlo capito anche tu." 
Il ragazzo sorrise "Dovrei" concordò "Ma non spreco parecchio tempo a preoccuparmi di quelli come lui. Sono un po' più muscoloso di te, ho più possibilità in un corpo a corpo" Osservò tranquillamente. 
"E sei stato anche più fortunato. Il Tributo maschio del Due nella tua Arena non è poi questa grande minaccia." ribatté lei rivolgendo lo sguardo all'interessato. "Anche se...chi può dirlo. Comunque, fossi in te, mi preoccuperei più per quello dell'Uno... o magari proporranno anche a te l'alleanza, in fondo è vero... non sembri preso male." 
"Non l'accetterei mai. Io faccio da solo" disse, come non fosse stato esattamente quello che aveva detto Lenore. Volse lo sguardo al tributo grasso del Due. "Secondo qualcuno quelli come lui sono la minaccia più grande, per me" borbottò, quasi parlando con se stesso. 
"Ci credo. Hai la faccia da 'paladino dei deboli'" affermò la ragazza come se fosse la cosa più normale del mondo. "Sotto tutto quello strato di ghiaccio artico." era questa la caratteristica più spiccata di Lenore, il suo sguardo non gelava, il suo sguardo scendeva in profondità, scivolando dentro le persone. 
"Ghiaccio artico?" Chiese Darren "Paladino dei deboli? Mi hai già inquadrato, eh? 
"Merito di Greg. So come combatti, con quale mano scrivi, quali presumibilmente erano le tue attività al Distretto, so che deve essere piuttosto difficile trovarti una camicia, ho intuito quali armi userai. Capire le persone non è poi così difficile una volta imparato come fare." commentò in tutta tranquillità, anche se probabilmente sarebbe sembrata una psicopatica. Stavano evitando l'argomento che premeva sulle labbra di entrambi... e Len non era mai stata portata per i giri di parole. 
“Chi è Greg?" Chiese il ragazzo, perplesso. Poi la osservò per un istante "In pratica, sai tutto il necessario di me per sapere come mi comporterò nell'Arena." constatò "Non lo trovo molto corretto, però. Io so così poco di te." Lenore dubitava che fosse esattamente poco quello che Darren supponeva di lei. "Comunque ci hai azzeccato con le camicie" 
"Greg è il mio Mentore e anche tu potresti sapere tutto di me se avessi guardato la Mietitura con attenzione. Io l'ho fatto." la ragazza fissò lo sguardo sul suo viso, evitando accuratamente gli occhi. "Ma vedi... non ho ancora capito una cosa. Chi sei, Darren Thomson?" ecco, l'aveva detto. Aveva dato voce al suo tormento. 
Chi sei, Darren? Perché quando di guardo in viso rivedo gli stessi incubi che terrorizzano me? E quali acque tormentose si nascondono sotto il ghiaccio?
"Sono solo un ragazzo del Distretto Dieci..." disse " che non ha mai visto suo padre."
Lenore comprese a fondo quelle parole, che arrivarono a toccarla nel profondo. Lui probabilmente la capiva meglio di chiunque altro. Persino più di Gregory.
"Io sì. Lo vedo tutti i giorni davanti allo specchio, così come lo sto vedendo ora qui, davanti a me." si limitò a sussurrare, abbassando lo sguardo sui propri piedi. 
“Lo hai conosciuto?" chiese lui di scatto "che tipo era?"
La ragazza scosse la testa. "No. Non l'ho mai visto in vita mia. E il mio viso è stata l'unica cosa che mi ha lasciato. Ma credimi... al Distretto le voci corrono. Conosco la mia storia. Anche se vorrei che non fosse così." commentò amaramente. 
“Come io conosco la mia" concluse lui, con uno sbuffo quasi di delusione. 
"Non sembrava un uomo cattivo, dicevano. Se ne stava tutto il suo turno al suo posto, sorridendo da dentro alla sua divisa a tutte le donne che passavano. Ogni tanto aveva delle fragole selvatiche, trovate chissà dove, da regalare ai bambini..." Lenore si interruppe, chiedendosi perché diceva queste cose, perché le diceva proprio a lui quando non erano nemmeno sicuri che i loro padri fossero la stessa persona, anche se diventava più evidente a ogni secondo che passava. Ricordava con spietata chiarezza l'unica volta in cui aveva sentito parlare del suo papà. Era un falò. Lenore c'era andata solo perché sua madre gliel'aveva proibito. Aveva otto anni. Avevano raccontato la sua storia, così come raccontavano quella delle principesse, delle sirene, con così tanti particolari. Avevano ridotto il suo passato ad una fiaba che li facesse divertire. Squisitamente drammatica. Da quel giorno non era più andata ai falò sulla spiaggia. 
Darren annuì "Immagino sia la stessa persona, dopotutto. Un Pacificatore." Disse, sospirando. "Penso di non voler sapere nient'altro." aggiunse, voltandosi verso la sala "Tu ha studiato tutti i tributi, non è vero?" Era un evidente cambio di argomento, ma a Lenore non dispiacque. 
"Tutti." confermò la ragazza con un sorriso tirato che assunse un'aria divertita. "Chi ti interessa?" 
Il ragazzo esitò per poi indicare il ragazzo grasso del Due. “Lui.”
"Non mi stai chiedendo di dirti con che armi combatte, vero?" chiese "O forse sì... beh... sulle sue qualità fisiche puoi rifletterci anche tu. Non corre né è agile. Non sa tirare di spada, probabilmente sollevarla e utilizzarla diventa troppo difficoltoso dopo i primi cinque minuti. Lo stesso vale per l'arco. Le sue mani tremano, non ha la precisione necessaria per la cerbottana, per la frusta o per i coltelli. Oppure per creare trappole. Deve essere emotivamente fragile, è evidente da come ha reagito alla Mietitura. Tiene gli occhi bassi, ma non nel modo ostinato di chi vuole passare inosservato: lui lancia occhiate di sfuggita ai visi delle persone per poi ritirarsi di corsa. Non so tu, ma io me lo vedo spacciato." disse semplicemente. Probabilmente non gli aveva detto nulla di nuovo. "Eppure c'è una cosa che mi ha colpito. Si è fatto parecchio male, oggi. E non ha emesso un solo lamento. Credo ci sia abituato. Non deve essere facile essere come lui, giù al Due." 
Darren annuì "E che mi dici del ragazzo con cui litigavi?”
"Quello?" Lenore rise. "Quello, invece, è il classico ragazzo Favorito. Forte, decisamente. Anche se, oserei dire, in un corpo a corpo l'avresti vinta tu. Tira di spada, ovviamente. Gli avambracci sono decisamente troppo sviluppati per essere altrimenti, ma non c'è da escludere che maneggi anche l'ascia. Non è tipo da coltelli o da arco, il nostro Aaron: il suo difetto è di essere troppo impaziente e nervoso, lo vedi come batte il piede a terra, mentre aspetta il suo turno? Agisce prima di pensare. Prima uccide e poi si chiede CHI ha ucciso. Non credo abbia molte più possibilità di quante ne abbia l'altro del Due, a dispetto di tutto quello che dice la gente." 
“Lo farai fuori" osservò Darren "Potresti, con un coltello o un arco." 
"Penso che si distruggerà da solo anche prima..." rifletté a mezza voce lei. "Ma se ce ne sarà bisogno... sì, potrei farlo io, a debita distanza. A patto di riuscirci. E' comunque una minaccia. Senza possibilità, ma pericoloso." 
Il ragazzo annuì pensieroso "Non sei come mi aspettavo che fosse un tributo del Quattro"
"Non è il Distretto a fare di noi quello che siamo, Darren. E' la vita che viviamo. Se io fossi nata in una famiglia diversa forse adesso sarei lì con loro." disse semplicemente Lenore. 
“Immagino sia vero, ma credevo che da voi foste tutti ricchi sfondati " rispose lui con un' alzata di spalle.
La ragazza rise, gettando la testa all'indietro. "Oh, credimi, io e mia madre non morivamo di fame. C'era moltissimo lavoro dalle nostre parti." rideva, Lenore, pur sapendo che Darren non poteva capire il perché. 
Lui le lanciò un'occhiata perplessa. 
"Scusami ma... mi dimentico sempre che le graziose storielle su di noi sono raccontate solo all'interno del Quattro. Anche se Rose deve aver sparso la voce." commentò disgustata ripensando alle parole che Aaron le aveva rivolto poco prima. 
“Storielle? Ma penso che non siano affari miei" si affrettò a ritrattare lui.
"Sei il mio fratellastro, a quanto pare, no?" ribatté scrollando le spalle. Lenore non credeva a quei titoli familiari. Si poteva essere fratelli anche senza condividere totalmente il proprio sangue, si poteva essere estranei anche vivendo nella stessa famiglia. "Hai il diritto di chiedermi ciò che vuoi. Diciamo che mia madre... non faceva esattamente il lavoro più dignitoso del mondo. Ma lo faceva bene. Gli uomini hanno sempre apprezzato." commentò amaramente. 
"Mi dispiace. Ma vi ha tenute in vita entrambe, in un modo o nell'altro." 
"Lo so. Non c'è niente di cui essere dispiaciuti, Darren. Ognuno ha la vita che ha. Non è mai tutto rose e fiori. Chissà perché scommetterei che nemmeno tu te la sei passata da figlio ricco, viziato e coccolato." rispose lei, impassibile. "Quello che dobbiamo ringraziare è papà." 
"Già" borbottò il ragazzo "Che intenzioni hai, per questa Arena? Proverai a vincere?” 
"Non voglio dirti bugie. Non è una questione di vincere, Darren." chiarì lei. La sua voce era piatta, mentre si guardava attorno, fissando uno ad uno gli altri Tributi. "Io tenterò di sopravvivere. Come ho sempre fatto. Solo che questa volta non mi lascerò scivolare tutto addosso, non posso farlo. Le parole feriscono dentro, ma le lame uccidono. Le armi sono state concesse anche a me. E' ora di approfittarne, per una volta. Anche se fosse l'ultima." 
Lui annuì. “Sì, è chiaro.”
"E tu cosa farai? Vuoi sopravvivere o vuoi vincere?" chiese, senza distogliere lo sguardo dalla sala. 
Darren fissò lo spazio attorno a lui in silenzio "Prima di vederti la faccia ero sicuro che avrei vinto. Ero certo di volerlo, giusto per ripicca verso il mio patrigno. Ora non so cosa voglio" disse, semplicemente.
Lenore voltò il viso per fissarlo. Sarebbe stata pronta a fissare i propri occhi nei suoi, se solo non fosse stato lui, ad essere girato. "Perché? Perché vedere me ha fatto crollare le tue sicurezze?" non gli parlò delle proprie, non gli disse che anche lui era diventato l'unica cosa che le impediva di desiderare di uscire viva di lì con tutte le sue forze, non gli disse che cercava di escluderlo dai propri pensieri perché lui la terrorizzava. Non gli disse nulla di tutto ciò, chiese solo perché. 
Darren esitò prima di parlare, voltandosi a fissarla "È un po come se non fossi più l'unico bastardo... No, lascia stare. Quello è uno stupido soprannome... Voglio dire, a certa gente è sicuramente andata peggio che a me ma... Sapere di non essere per certi versi totalmente soli fa uno strano effetto. È ridicolo. Perché non è il sangue che lega due persone.. Non necessariamente, almeno.”
"Hai ragione. Non è il sangue a renderci fratelli. E tu devi avere qualcuno da cui vuoi tornare, lo dicono i tuoi occhi." ghiaccio nel ghiaccio, per l'ennesima volta. "Perciò non devi permettere che qualcuno o qualcosa ti distolga dal tuo obiettivo. Di certo non devi farti distrarre da me. Hai delle possibilità, Darren. Più di una. Usale. Ma tu non puoi fare nulla per aiutarmi, così come io non posso aiutare te. E' inutile pensarci, quindi." 
Darren si ritrovò a sorridere "In due potevano farsi avanti per me. In due sono rimasti al loro posto. Quel qualcuno da cui voglio tornare non è la mia vera famiglia. E potrà fare a meno di me. La mia vittoria li sconvolgerebbe molto di più di quanto non lo farebbe la mia morte" 
"Non è così facile sacrificare la propria vita per qualcun altro, Darren, per quanto gli si possa voler bene. Non puoi far loro una colpa, per questo. Ma di certo non ti permetto di dire che sarebbe meglio vederti morto, quando è evidente che loro tengono a te e tu tieni a loro. Tu almeno le hai, delle persone da cui tornare. Non tutti qui dentro possono dire lo stesso." affermò, piuttosto duramente. Non parlava di lei, non necessariamente. 
"Funzionava bene tra di noi. Ma se tornassi indietro non sarei me stesso. Sarei qualcosa su misura di Capitol City. Sarei qualcuno che è tormentato dagli incubi di notte e che non trova pace di giorno. Loro darebbero qualsiasi cosa per farmi tornare indietro. Ma quell'io non sarebbe realmente la persona con cui parli. Sarebbe qualcun altro che li legherebbe a vita agli Hunger Games, più di quanto non siano già. La mia morte, col tempo, potrebbero anche sopportarla" Scrollò le spalle "Ma hai ragione, ha molti è andata peggio che a me."
"Io credo che tu ti sbagli." disse con semplicità. "A volte una mano stretta alla tua basta a superare gli incubi e una persona cara basta a farti desiderare di vivere anche al di là di tutto l'orrore visto. Tu potresti tornare ad essere te stesso, un giorno." era strana la sensazione che provava, parlando con lui. Era talmente vicino da sentire il calore della sua pelle sulla propria, ma Lenore aveva l'impressione che se avesse allungato un dito e l'avesse toccato le sue mani avrebbero semplicemente afferrato il vuoto. Così vicino eppure così distante. In lei combatteva la voglia di sfiorarlo, anche solo per assicurarsi che fosse vero, e quella di allontanarsi, preda della paura di scottarsi se solo lui avesse intuito quello che si agitava sotto il suo, di ghiaccio.
“Non lo so, Lenore. Ma nessuno è mai uscito se stesso dagli Hunger Games." Disse semplicemente.
"Forse hai ragione, ma con i fantasmi si può arrivare a convivere. In tanti ci sono riusciti." rispose lei continuando a fissarlo. "Comunque se tu preferisci morire, di certo non è affar mio." 
Sorrise "Direi di si, invece. Come è affar tuo cosa faranno tutti i Tributi di questa edizione."
"Beh, è affar mio se effettivamente sopravvivranno o meno. Ma non so se mi riguardino tutti i giri mentali che si faranno nel frattempo. Nel tuo caso sembrano parecchi. Probabilmente non ti starei dietro." commentò divertita. 
"Si ma se mi seguissi sapresti anche il risultato di tutti questi giri mentali... e sapresti dove colpire meglio" le fece notare.
Io non ti colpirò. Non te. Pensò Lenore, fissandolo. Chissà se lui avrebbe letto quelle parole nei suoi occhi. "Forse hai ragione." disse invece. "Ma i tuoi pensieri, come quelli degli altri, per me rimangono un mistero. Riesco a leggere solo quello che fate trapelare." 
"E tu, non fai trapelare nulla?" le chiese. 
Io faccio trapelare anche troppo, si ritrovò a rimproverarsi Lenore, senza dar voce per l'ennesima volta a ciò che le passava per la mente. "Non lo so... dimmelo tu." gli rispose, rigirandogli la domanda. 
Lui sembrò rifletterci per un istante "Non userai armi pesanti, ma è troppo ovvio... Te la caverai col cibo, la fame non sarà un tuo problema... Userai armi come arco o coltelli, ma questo possono dirtelo tutti... Pensi di essere debole" Aggiunse, pensieroso. 
Lenore rise, un suono divertito, allegro. "Hai detto esattamente le stesse cose che ha detto il mio Mentore." commentò guardandolo. "E hai fatto i suoi stessi errori." 
“Soffrirai la fame ed hai un ego enorme?" chiese "Chissà perché lo escludo... " 
La ragazza rise nuovamente. "Ho un ego smisurato. E sono talmente schizzinosa che pur di non mangiare cibo ancora sporco di terriccio o uno scoiattolo mi lascerei morire di fame. L'unico coltello che io abbia mai maneggiato è quello per spalmare la marmellata sul pane. Armi? Io?" quella descrizione si adattava in modo inquietante a Rosemary, guarda un po'. "Ma cosa ti fa pensare che io mi creda debole e che non lo sia veramente?" 
"Non ho detto che tu non lo sia" fece notare. "Ad esempio, perché la prima volta che ti ho guardata, per un momento, non hai tenuto quella faccia da dura?" Sbuffò "E poi tu hai i miei occhi. Le tue espressioni le vedo quando mi fisso allo specchio. Qualcosa dovrò pur capirci, no?"
In realtà lui non aveva esattamente la faccia di uno che si capisce al volo.
“Io non credo di essere debole, Darren." bugia, enorme bugia. "Io so semplicemente di avere delle debolezze. E tu sei una di queste." disse chiaro e tondo. 
"Ma se io sono una tua debolezza allora nei miei riguardi tu sei tecnicamente debole" osservò lui imperturbabile. 
"Possiamo metterla in questi termini, se ti pare." concesse lei, con una scrollata di spalle. "Fatto sta che tu per me sei un enorme problema che non so come risolvere. E che probabilmente non risolverò mai." 
Darren sospirò "Già. Vale lo stesso per me" 
La ragazza sorrise amaramente, annuendo. "Com'è che ci siamo ficcati in questo casino?" chiese, anche se una risposta non c'era. "Tu... credi che ci vedrà?" era ovvio di chi stesse parlando. 
"Si" Disse "Tutti ci vedranno. Anche lui. Se non è morto, almeno."
Dalla sua faccia sembrava quasi che se la augurasse, la morte di quel bastardo che li aveva messi al mondo. Lenore non poteva dargli torto.
"E pensi che un po' di rimorso gli verrà?" chiese, anche se non ci credeva più di tanto.
“Non lo conosco. Ma non ci spererei.”
"Già, sarebbe troppo bello per essere vero. Sai... sembrerà stupido, ma anche se era un grandissimo stronzo io sogno ancora di conoscerlo." disse sospirando. 
"Beh, io non voglio altre figure di genitori nella vita. Quelle che ho mi hanno già distrutto abbastanza" Borbottò lui.
Lenore annuì. "Credimi, ti capisco. Com'era la storia? Ah sì... possiamo contare solo su noi stessi." la ragazza contrasse la bocca in una smorfia dubbiosa. "Non so se sono d'accordo." 
"Io non contavo sempre solo su me stesso" ribatté "Ma qui è tutta un altra storia" 
"Credo che qui l'unica cosa da fare sia stringere le giuste alleanze, ma non fidarsi di nessuno. Compresi i propri sosia." commentò pacatamente. 
Peccato che nemmeno io sia in grado di seguire la regola. 
Darren annuì silenziosamente "Si, hai ragione" si guardò attorno, pensieroso "Ma dopotutto non siamo nella stessa Arena, ed ho l'impressione che se tu rimanessi sola quello là ti verrebbe a molestare. Quindi, sosia, a che postazione andiamo?" chiese, come se fosse la cosa più normale del mondo.
La ragazza lo fissò stranita. "Stai scherzando? Ha intenzione di farmi da fratellone protettivo finché non saremo nell'Arena?" chiese passandosi distrattamente una mano sulla nuca.
“Non esagerare" disse Darren "Voglio solo conoscerti un po', giusto per oggi. " 
"Andata... ma scegli tu la postazione... io ci rinuncio." disse sospirando. 
“Dipende” Disse "Per quel che mi riguarda, tutti qui dentro sono abbastanza svegli da capire che vado forte con la forza, quindi quel genere di allenamenti possiamo affrontarli... Ma nessuno deve sospettare che io sia intelligente, quindi niente test. Tu, che impedimenti hai? 
"Beh... il mio mantra questa mattina doveva essere 'passare inosservata'... ma non so se si è notato, non mi è riuscito bene." commentò sconsolata. "Quindi a questo punto penso che farò tutto cercando di defilarmi il più possibile." 
“D'accordo, propongo un normale corso di mimetizzazione."
"La trovo un'ottima idea." approvò la ragazza annuendo. 
Darren.
Che gran casino.
Quando aveva analizzato i Tributi con Gregory si era illusa di poterlo considerare un nemico, esattamente come ogni altra persona. Si era illusa di arrivare a vederlo come un semplice ostacolo. Era arrivata persino a convincersi che Darren stesso fosse solo il frutto della sua mente stanca. 
Ma lui era reale, terribilmente reale, e quando aveva incrociato i suoi occhi per la prima volta, alla Sfilata, tutti quei buoni propositi erano andati in fumo, lasciandola atterrita.
Ogni suo sguardo era una coltellata, proprio lì, in mezzo alle costole e ogni sua parola un pugno che prima o poi avrebbe sbriciolato la sua mascella.
Eppure, guardandolo, mentre si avviavano verso la postazione Lenore non poté fare a meno di pensare che perdere per mano sua non sarebbe stato poi così triste.
Se proprio devo morire, Darren, spero che tu sia per me il coltello.

Il fuoco non riusciva a rischiarare del tutto l'oscurità della notte, ma proiettava ombre scure sulla sabbia e illuminava i visi dei presenti, dando loro un colorito rossastro e un aspetto stanco e sciupato, eppure l'atmosfera era impagabile.
Le risate, l'aroma del pesce arrostito che si spandeva per tutta la spiaggia, l'aria viziata da un fumo dall'odore inspiegabilmente dolciastro, il mare che sciabordava allegro lungo il litorale sabbioso... tutto in quel falò così sapientemente organizzato inebriava la piccola Lenore, seduta in disparte ai piedi di un pino marittimo ad osservare la piccola folla, e soffocava l'amarezza per quel duro litigio che le aveva lasciato il sapore di acido in bocca.
Non voleva lasciarla andare, Elisha, dicendo che quello non era posto per loro. Lenore lo sapeva, ma si ostinava a non darle ascolto, impuntandosi a voler uscire, finendo poi per correre via lasciando la cena sul tavolo, portandosi dietro solamente Laila, la vecchia bambola di pezza dai capelli rosso fragola, ignorando la voce adirata che le urlava di non andare a piangere attaccata alle sue gambe una volta che l'avessero presa in giro.
Così Lenore si era trovata a sedersi a terra stringendo con forza i denti e affondando le unghie nella morbida imbottitura di Laila, che aveva la sola colpa di non averla difesa. Ma il falò era riuscito a calmarla, alla fine, e, quando tutti gli avanzi del pesce furono portati via e i bambini e gli adulti formarono un grande cerchio, i peli praticamente invisibili sulle braccia della bambina si rizzarono, quasi anche loro fossero impazienti di assistere al grande momento, il suo preferito: le storie attorno al fuoco.
“Allora, bambini, che fiaba volete che vi racconti?” Zio Cedric, come erano soliti chiamarlo tutti quanti, era stato nominato 'Cantastorie' del Distretto alla morte di suo padre, che a sua volta aveva detenuto il titolo per l'intera durata della sua lunga vita. Si diceva che il vecchio Jeb fosse il migliore nel raccontare, e di certo non aveva permesso nemmeno alla vecchiaia di corrodergli mente e memoria, impedendogli di fare ciò che amava tanto, ma il figlio se la cavava quasi altrettanto bene, con quella sua voce calda e ammaliante e con la ricchezza di particolari che inseriva in ogni descrizione.
“Papà, raccontaci la storia del Pacificatore e della puttana del Distretto, tu eri suo amico, no?”
A parlare era stato suo figlio, di cui Lenore non conosceva il nome, un piccolo bambino dai riccioli talmente biondi da sembrare bianchi e dal viso angelicamente paffuto. Aveva una vocetta stridula che irritò la bambina, facendole dubitare che un giorno si sarebbe trovato a sedere al posto del padre, attorniato da una folla di persone che pendevano dalle sue labbra.
Zio Cedric era rimasto spiazzato dalla richiesta e non sembrava particolarmente entusiasta della scelta, ma di fronte all'insistenza dei bambini e all'approvazione dei genitori non poté che cedere.
Lenore, dal basso dei suoi otto anni, già sapeva che cosa facesse sua madre per procurare il cibo che finiva sulla loro tavola e se ne vergognava, perciò non ci mise molto a capire che storia parlava proprio di lei.
“Sì, Elisha era mia amica, una volta, prima di questa storia che vi sto per raccontare. Non potete immaginare quanto mi dispiaccia non rivolgerle più nemmeno la parola, ma lei ha fatto delle scelte che io non approvo e deve pagarne le conseguenze.”
Lenore aveva sempre ammirato Zio Cedric, ma dopo quella bugia non poté non esserne disgustata: lei sapeva per certo che il Cantastorie rimaneva uno dei clienti più fedeli di sua madre.
“Elisha era una delle ragazze più belle del Distretto, sempre sorridente, allegra, pronta ad aiutare chi ne aveva bisogno. Aveva un sacco di amici su cui contare ed è tuttora la persona più brava ad ascoltare che io abbia mai conosciuto.”
La bambina dovete sforzarsi non poco per far coincidere l'immagine di quella donna descritta dal Cantastorie con quella altera, silenziosa e fiera di sua madre. Il suo sorriso l'aveva visto poche volte e non le era mai sembrata pronta ad ascoltare i problemi degli altri, troppo presa dai propri per fare attenzione a qualcos'altro.
“Si diceva che avrebbe sposato il figlio del sindaco, in fondo erano sempre stato piuttosto legati, ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe stato un Pacificatore a rubare il suo cuore. Elisha aveva diciassette anni quando un nuovo gruppo giunse in città. Lui si chiamava Dwayne e aveva quasi trent'anni, ma sembrava che il tempo non provasse il desiderio di scalfire il suo viso fiero, né la vitalità dei suoi occhi di ghiaccio, facendolo sembrare sempre più giovane di quanto non fosse. Se ne stava fermo al suo posto, dentro la sua divisa bianca, per tutto il suo turno, sorridendo ai passanti, senza distinzioni, e aveva sempre delle fragole selvatiche, raccolte chissà dove, da dare ai bambini, dicendo loro, in tono cospiratorio, di mantenere il segreto. Di certo era bello, molto, e anche gentile, e per un po' di tempo tutte le ragazze chiacchierarono di lui con l'entusiasmo femminile per una infatuazione passeggera, ma rimaneva pur sempre un Pacificatore e dopo poco tempo l'eccitazione generale passò e tutte quante tornarono ai loro flirt abituali. Non Elisha. A lei non passò. Mai. Continuò ad allungare inutilmente la strada per il Fornaio, solamente per scambiare quattro chiacchiere con lui, cominciò ad ignorare i suoi amici, del tutto presa dal suo amore impossibile. Girava sempre con un libricino di poesie fra le mani, solo perché lui le amava e ogni tanto ne citava un pezzetto. Ancora oggi mi chiedo perché Dwayne non la allontanasse, in fondo era solo una ragazzina, ma poi ricordo quale marcio si celava dietro la sua facciata. Perché Elisha passava ogni singolo istante possibile in sua compagnia, di giorno, ma di sera se ne stava a casa a fantasticare su un futuro che non ci sarebbe mai stato. Eravamo noi, quelli che si fermavano alla taverna per passare un po' di tempo in compagnia. Lui era sempre lì e l'alcol portava a galla la sua vera natura e così se ne stava seduto con i suoi compari a ridere e a raccontare delle sue conquiste nei vari Distretti. Si vantò persino di uno stupro o due, una volta. Elisha non ci credette, quando tentammo di raccontarglielo, e da quel giorno si rifiutò addirittura di parlarci. Accadde tutto dopo un falò come questo. Elisha si era allontanata per passeggiare. Nessuno l'aveva seguita, o almeno, così credevamo. Lui non aveva nemmeno la scusa dell'alcol: era in servizio, e in quelle situazioni non beveva mai. Ma la trovò comunque e forse lei era troppo bella alla luce della luna per resisterle o forse lo fece solo perché gli andava... La stuprò. La cercammo per tutta la notte per poi trovarla distesa fra la sabbia, il vestito strappato, le guance ricoperte di lacrime. Sapevamo tutti cosa fosse successo e chi fosse stato, ma lei non lo ammise mai, forse nemmeno a se stessa. Non lo accusò quando glielo chiedemmo, dieci, cento volte, non lo accusò quando scoprì di essere incinta e si ostinò a voler partorire il bambino, né quando i genitori la cacciarono di casa, indignati, e nemmeno quando lui sparì dalla sera alla mattina, senza una parola. Alla fine, sola e disperata, non poté far altro che fare della propria bellezza e della propria innocenza perduta un lavoro, offrendosi agli uomini del Distretto per potere nutrire la figlia che quel mostro le aveva dato. Mi chiedo se lo ami ancora. Mi chiedo se riesca a voler bene a quella bambina che per un crudele scherzo del destino ha lo stesso viso del Pacificatore... E mi chiedo se quella bambina risponderà alle mie domande, visto che sembra ascoltarci con tanta attenzione.”
Una storia... è solo una storia... non deve essere per forza vero. Ma in cuor suo lei sapeva che non era così. Quella era la pura verità.
Lenore non si era accorta di essersi alzata e di aver camminato verso il fuoco con Laila che pendeva mollemente dalla sua mano, lasciando un leggero solco sulla sabbia con i suoi piedini. Divenne cosciente di tutto in un attimo: le lacrime che le scorrevano sul volto, calde e brucianti, gli sguardi puntati su di lei. E non poté fare altro che scappare, rifugiandosi nel buio del boschetto.
Fu l'ultima volta che andò ad un falò.
Fu l'ultima volta che si permise di piangere.
Da quel giorno ogni mese Lenore accese un fuoco nella sua spiaggia segreta e lesse alla piccola Laila quegli stupendi libri di fiabe, pieni di figure e di storie eroiche, che la mamma le portava a casa di tanto in tanto. Leggeva quelle storie e a volte ne inventava, con principi azzurri che accorrevano a salvare le loro figlie in groppa a dei cavalli bianchi. A Laila quelle storie piacevano.
Finì tutto un anno dopo, all'incirca.
Lenore si alzò, gettando il libro che aveva in mano e Laila nel fuoco.
“Le fiabe non esistono, Lenore. Sei solo una stupida.” disse, fissando le fiamme che divoravano le pagine.
Da quel giorno Lenore odiò il fuoco, perché le aveva dato ragione e le aveva dimostrato che le storie che tanto amavano era solo carta. E nulla di più.
E quando Lenore tornò a casa e la madre le domandò che fine avesse fatto Laila, la bambina rispose semplicemente: “È partita.”
“E dov'è andata?”
“In cerca del suo posto nel mondo. Qui al Distretto si sentiva un'estranea. Non c'era nulla per lei.”
La madre l'aveva fissata, chiedendosi quale fosse la cosa giusta da dire in quella situazione e alla fine si era limitata a scompigliarle i capelli.
“Vedrai che tornerà a prenderti e ti porterà nel bellissimo posto che avrà trovato.”
“Non essere ingenua, mamma. Quello sarà il suo posto nel mondo. Io non ne ho uno.”
Ed Elisha non poté far altro che assistere impotente allo scempio di quel mostro che divorava da dentro sua figlia, portandole via l'innocenza dell'infanzia.
Lenore, che aveva gli occhi di un'adulta in un viso da bambina.
Aveva solo nove anni.


Clalla97 commenta:
Capitolo lunghiiiiiissimo e senza senso ù.ù
Non dico che sia brutto (non posso, colpa della promessa con la Fra) ma di sicuro quello di Darren era migliore e io avrei potuto fare di meglio.
Ma sapete che vi dico? Chi se ne frega! :)
  
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