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Autore: Hiraedd    16/09/2012    5 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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Capitolo 10

 
 

Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera:
e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera,
grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni parola,
di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà.
(Friedrich Nietzsche)

 
 
 
-perché mai vieni qua a leggere la posta?-.
 
Caradoc Dearborn aveva percorso gli ultimi duecento metri arrovellandosi il cervello nel trovare un modo per distogliere i propri pensieri dall’incubo che lo aveva costretto a schiodarsi dal letto con un anticipo di più di un’ora sulla sveglia.
 
Giunto esattamente a metà strada tra il portone di Hogwarts e la Capanna di Hagrid, dopo aver aggirato il parco passando per il limitare della foresta così da non essere visto in caso qualche professore avesse deciso di guardare alla finestra, aveva scovato con lo sguardo ancora un po’ assonnato il fulcro perfetto su cui focalizzare tutte le proprie attenzioni.
 
Normalmente lo avrebbe evitato come la peste, dato il disagio che quello sguardo blu notte gli provocava e soprattutto l’antipatia praticamente inspiegabile che Fenwick pareva nutrire nei suoi confronti. Insomma, non che lui trovasse Fenwick la compagnia ideale, ma non lo aveva nemmeno in odio come invece pareva essere da parte del Serpeverde.
 
Semplicemente, era una persona molto diversa da lui. Era Serpeverde, era silenzioso, solitario e piuttosto misantropo.
 
Amen. Su sei miliardi e mezzo di persone al mondo, poteva anche capitare che Fenwick non lo sopportasse. La terra non avrebbe smesso di girare così come il sole non avrebbe smesso di tramontare, rendendo tutti più felici con un’altra notte da dormire.
 
Però, per quanto cercasse di metterla a tacere, sentiva qualcosa in mezzo allo stomaco, come un senso di insoddisfazione latente. Insomma, quel bastardo arrogante di un Serpeverde non lo aveva mai nemmeno salutato, come si permetteva di giudicarlo mediocre senza nemmeno conoscerlo un pochino?
 
Era un colpo bello e buono all’orgoglio. E Caradoc Dearborn ci sguazzava allegramente, nel proprio orgoglio.
 
Quel giorno, quindi, per tenere occupata la mente dai ricordi spiacevoli del sogno interrotto, decise di dirigersi dritto verso l’unica persona in tutto il parco di Hogwarts ad essere colpevole di aver infranto le regole della scuola oltre a lui.
 
Fenwick, che al momento stava leggendo una lettera e accarezzando contemporaneamente il muso di un Thestral, alzò lo sguardo quasi non fosse per niente sorpreso di ritrovarsi alle sette del mattino Dearborn tra i piedi, in pigiama e tutto sommato piuttosto scarmigliato.
 
-sai, Dearborn, i babbani sono stupendi. Nonostante non abbiano la magia con cui indorarsi la vita, inventano cose meravigliose- disse ben udibile con quel suo solito tono monocorde –i modi di dire, tipo. Ci hanno sorpassato anche in quello, da brave volpi. Chi si fa gli affari suoi campa cent’anni, ad esempio, lo hai mai sentito dire?-.
 
Decisamente stupito dalla risposta del ragazzo, Dearborn non trovò di meglio da fare che aggrottare la fronte con quella che sapeva essere un’espressione piuttosto ebete. Dopotutto, lui, come la maggior parte delle persone sulla faccia della terra, necessitava di almeno due ore e quattro caffè, dopo la sveglia, per riprendere a pieno tutte le proprie funzioni vitali.
 
Nemmeno il tono gentile con cui il ragazzo gli aveva rifilato le parole più maleducate che gli fossero state rivolte negli ultimi sei mesi ebbe il potere di risvegliarlo del tutto.
 
-sei sempre così loquace, alla mattina alle sette?- domandò invece portandosi una mano davanti alla bocca per soffocare uno sbadiglio, e dedicando appena uno sguardo veloce al Thestral accanto a Fenwick.
 
Quegli animali gli mettevano i brividi. In realtà, più o meno ogni cosa in relazione alla morte gli metteva i brividi. Ogni volta che li scorgeva, quindi, da un sacco di anni a questa parte, si limitava a far finta di non vedere nulla e andava avanti per la sua strada.
 
Di solito funzionava.
 
-no, devo ammettere di no- rispose Benjy Fenwick scoccandogli un’occhiata irritata –è proprio per questo che vengo qui, dietro alla capanna di Hagrid, quando nessuno a parte lui sa che ci sono, prima ancora che suoni la sveglia di tutti gli studenti. Così non sono obbligato a parlare con nessuno-.
 
Sedendosi su uno dei ceppi alla destra di Fenwick, e palesando così l’intenzione di rimanere a parlare, Caradoc arricciò le labbra, pensoso.
 
-bravo, fai bene- concordò poi con un tono totalmente diverso da quello con cui usava esprimersi durante il giorno. Non era petulante o presuntuoso, ma aveva una bizzarra ironia di sottofondo che raramente utilizzava.
 
 

*

 
 
A quel punto della conversazione fu Benjy Fenwick a dover aggrottare la fronte.
 
Dearborn lo stava forse prendendo in giro? Il tono che aveva utilizzato per quell’ultima ammissione non glielo aveva mai sentito, in bocca. In effetti, pareva non essere esattamente un comportamento da Caradoc Dearborn quello che il Corvonero aveva ostentato fino ad ora.
 
-Dearborn, non ti preoccupi per le occhiaie che deturperanno il tuo bel viso se non dormirai le tue nove ore e mezza di sonno a notte?- domandò quindi piuttosto incuriosito, abbassando la lettera e afferrando un pezzo della carne che ancora rimaneva nella sacca accanto a lui per darla all’animale che gli stava di fianco.
 
Beh, non era decisamente da Dearborn vagare per il parco di Hogwarts alle sette del mattino con un paio di pantaloni slargati e una felpa che aveva visto decisamente tempi migliori addosso, e i capelli ritti in testa come aculei. Erano pantofole quelle che calzava ai piedi? Ormai erano tutte bagnate di brina mattutina, ma decisamente parevano essere pantofole.
 
-aumentano il fascino- mormorò svogliato il ragazzo più grande, scrollando le spalle, senza tuttavia recuperare nemmeno un briciolo del Dearborn che ogni giorno si aggirava tra le mura della scuola facendo strage di cuori al suo passaggio.
 
-Dearborn, sei sicuro di stare bene?- chiese a quel punto Fenwick riprendendo ad accarezzare attentamente il muso scheletrico del cavallo accanto a lui. Riteneva ormai doveroso far luce sulla faccenda, sebbene la cosa non gli importasse più di tanto, in fondo. Molto in fondo, si accorse con una punta di stupore.
 
-eh?- domandò in risposta Caradoc scrollando la testa e fissando il proprio sguardo in quello del Serpeverde –si, certo-.
 
Fenwick annuì lentamente, prima di infilare la lettera con una mano nella tasca del mantello.
 
-erano…- sembrava esprimersi con difficoltà, Dearborn, tutto accartocciato sul ciocco di legna che gli faceva da sedile. Stava con le gambe incrociate e premute al petto, circondate dalle braccia quasi avesse intenzione di tenersi così più caldo –erano buone notizie, nella lettera?-.
 
Fenwick annuì ancora, questa volta più guardingo. A quanto pareva, mostrarsi gentilmente scortese con quel ragazzo non aveva alcun effetto. Forse lui aveva ragione e Dearborn era matto. Si sa, i matti vanno assecondati.
 
-le solite- scosse il capo Fenwick –oltre ai miei genitori, scrivo soltanto a Jodie, e quando può mi risponde-.
 
Dearborn parve non avere bisogno di più di qualche secondo per mettere in ordine tutti i pezzi, nella propria mente.
 
-tua sorella, vero? Hai detto che sta in giro per il mondo, no?-.
 
Adesso sembrava di nuovo normale. No, non il normale Caradoc Dearborn, ma un normale ragazzo intento a discorrere di cose relativamente importanti con un normale amico. Normale, insomma. Se solo non fosse stato Dearborn e lui non fosse stato Fenwick.
 
-in realtà, adesso è a Londra- si ritrovò ad ammettere quasi controvoglia.
 
-ma non cerca per lavoro l’origine della magia nei luoghi più sperduti del pianeta, scusa?- domandò Dearborn tentando un piccolo sorriso divertito, nel non capire le implicazioni della risposta dell’interlocutore –a Londra, non c’è poi molto da cercare-.
 
Fenwick aveva stretto gli occhi, incuriosito da quel ragazzo che, decisamente, in stranezza lo superava. Di gran lunga, anche.
 
-a Londra c’è il Ministero, da cui la squadra di Jodie dipende- spiegò cercando di scollarsi quell’assurda sensazione di dosso. Quasi si trovasse in un sogno, il sogno più strano mai fatto in vita propria –a quanto pare vogliono… aggiungere un membro alla squadra, per questo l’hanno richiamata a Londra-.
 
Non sapeva per quale motivo lo stesse assecondando, ma il sorrisetto di Dearborn, che nonostante tutto persisteva, pareva suggerirgli che stava facendo la cosa giusta.
 
-capisco- mormorò annuendo –i tuoi devono essere persone dalla mentalità estremamente aperta, per essere Purosangue. Non conosco nessuno che permetterebbe alla figlia primogenita di viaggiare tanto, e anche in modo pericoloso, immagino. Insomma, la maggior parte delle ragazze Purosangue è chiamata a formarsi una famiglia-.
 
-si, beh, sono…- gli ci volle tutto l’autocontrollo che possedeva per non scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione –siamo una famiglia un po’ fuori dal normale, nell’ambito dei Purosangue. Mamma e papà sono diversi dal archetipo di genitori Purosangue. E Jodie è… beh, una forza della natura. Non la si può fermare, se si mette in testa qualcosa-.
 
Dearborn si acquietò per un istante, lui e le sue domande scomode a cui però era così facile rispondere.
 
Alla fine, il silenzio venne interrotto dallo sbuffare del cavallo scheletrico, che richiedeva altra carne da mettere tra le fauci. Prendendosi tutto il tempo del mondo, Fenwick gliela pose ad una manciata di centimetri dal muso.
 
-avete molti anni di differenza?- tornò alla carica Dearborn, interessato –non sembrate molto vicini, per età. In genere, tra fratelli vicini si ha un attaccamento più morboso. Guarda Amelia e Edgar, se uno dei due iniziasse ad andare per i fatti propri in giro per il mondo per l’altro sarebbe un colpo al cuore. Gideon e Fabian, poi, non ne parliamo-.
 
-lei ha la sua vita, io ho la mia- disse Ben liquidando la faccenda con un semplice cenno del capo –lei ha sette anni più di me. Si è diplomata l’anno prima che io arrivassi ad Hogwarts. In effetti, quando lei era al settimo tu dovevi essere al primo-.
 
Dearborn alzò gli occhi al cielo, come cercando di ricordare.
 
-non mi ricordo nessuna Fenwick con i capelli scuri e gli occhi blu, mi spiace. Era a Serpeverde?- chiese sinceramente curioso. Sembrava quasi un bambino, con gli occhi socchiusi per ricordare, tutto appallottolato su se stesso.
 
Fenwick annuì, meditabondo.
 
-non mi assomiglia molto, in realtà, per i colori- scosse il capo –ha i capelli rossi e gli occhi grigi, e un sacco di lentiggini. È anche più bassa di me, veramente-.
 
Dearborn non diede in alcun modo segno di riconoscere nessuno nella descrizione del ragazzo.
 
-è in giro per il mondo da allora?-.
 
-no, per un anno è stata in Stage in uno degli uffici della Collaborazione internazionale tra i Ministeri della Magia. Poi ha trovato un vecchio archeologo pazzo che ha iniziato a trascinarla in giro per il mondo facendole fare una sorta di Tirocinio nella sua squadra di lavoro, e due anni dopo, quando lui è andato in pensione, lei ha preso il suo posto a capo della squadra. Ha leggermente cambiato ambito, a quanto ne so, perché prima la squadra si occupava della ricerca nei siti archeologici babbani, mentre ora è a contatto con tribù molto legate alle tradizioni del passato. Ma non conosco esattamente tutto quello che fa, quindi non saprei descriverlo meglio-.
 
Ok, doveva allontanarsi da lì. Con qualsiasi mezzo, trovando qualsiasi pretesto. Ma doveva farlo subito, prima di iniziare ad usare la doppia personalità di Dearborn come diario segreto.
 
Per Salazar, non era mica una Grifondoro del terzo anno, lui!
 
-bene, io devo…- mormorò sentendo il cavallo affianco a lui sbuffare  e dargli musate sul braccio come a richiedere altra carne. Scocciato, il Serpeverde afferrò l’ultimo brano di carne per gettarlo con impazienza all’animale. Solo allora si rese conto di qualcosa a cui prima non aveva assolutamente fatto caso –Dearborn, tu vedi i Thestral?-.
 
Il ragazzo, sentendosi interpellato, si riscosse.
 
-scusa?- domandò computo.
 
-vedi i Thestral?- chiese di nuovo, indicando più chiaramente l’animale al suo fianco.
 
Caradoc Dearborn sussultò, fissando per la prima volta veramente lo sguardo su quella creatura che, sul serio, pareva terrorizzarlo.
 
-io li vedo, in realtà- mormorò, alzandosi velocemente e distogliendo lo sguardo in fretta –ma preferisco non badare troppo a loro. Scusami, adesso devo andare, mi aspettano in Sala Grande per la colazione. Ho una certa reputazione, io, da mantenere, e tardare agli appuntamenti non aiuterebbe di certo-.
 
Se la bizzarria dell’iniziale comportamento di Dearborn l’aveva spiazzato, vedersi liquidare così velocemente con quel tono lo scombussolò completamente. In meno di un respiro era tornato ad essere il Dearborn di tutti i giorni, quello che adesso si stava, a dieci passi da lui, aggiustando i capelli con un colpo elegante e distratto della mano. Lo stesso Dearborn che, fatti altri cinque passi, si disilluse con un colpo di bacchetta, probabilmente per evitare che qualcuno lo vedesse conciato in quel modo dentro le mura di Hogwarts.
 
Chi diavolo era Caradoc Dearborn?
 
 

*

 
 
Fabian Prewett era una di quelle persone che, di norma, se non dormivano quelle loro sane nove ore di sonno il mattino dopo si svegliavano di malumore.
 
Questo, Gideon lo sapeva per certo.
 
Avendo lui vissuto più o meno ogni secondo della propria vita in compagnia del suddetto Prewett, poteva distinguere da un solo sguardo –o magari, nemmeno rivolgendogli quello, a volte lo capiva a pelle- lo stato dell’umore del fratello.
 
-Gid, hai visto le mie scarpe?- domandò proprio in quell’istante il fratello, irritato –questa è la tua cravatta, vuoi tenerla sul tuo letto, per favore?-.
 
-non me le sono tolteio, le tue scarpe- gli rispose a tono, evidenziando come il fratello le parti salienti del discorso con un tono volutamente petulante –e puoi anche evitare di lamentarti per la mia cravatta, quando tu spargi la tua roba in giro per la stanza una sera si e l’altra anche!-
 
-senti chi parla!- ribattè Fabian incenerendolo con uno sguardo decisamente malevolo –Mister “ordine e perfezione” Gideon Prewett, che va in giro perennemente con i calzini spaiati!-.
 
-ragazzi, non…-.
 
Il tentativo di chetare le acque messo in atto dal Caposcuola Shacklebolt, che con la sua calma proverbiale stava ora aspettando appoggiato ad una delle colonne del baldacchino, venne messo a tacere da due sibili identici, rivolti verso tutti e nessuno in particolare.
 
-anche tu vai in giro con i calzini spaiati, Fabian!- gli fece giustamente notare Gideon, sottolineando l’incontrovertibilità della sua affermazione puntando il dito verso i piedi del fratello, avvolti in due diversi calzini.
 
-si, ma io lo faccio perché mi piace avere due colori diversi addosso, tu lo fai perché non riesci mai a trovarne due uguali!- rispose il ragazzo beffardamente –chi ha ragione, King? Non è vero che lui è più disordinato di me?-.
 
-oh, ma per favore! King, fagli capire anche tu che questa sua idea di appaiare calzini spaiati è assurda! Fa solo ridere, ha il gusto estetico di Molly!-.
 
Kingsley Shacklebolt sapeva, ormai, per esperienza, che dare il proprio parere se chiamato in causa in una discussione tra gemelli voleva dire non solo firmare la propria condanna a morte, ma sancire anche un lungo percorso di tortura ad opera del gemello che sarebbe risultato in torto.
 
Dava ragione a Fabian? Gideon si sarebbe lamentato per tutto il giorno e poi si sarebbe offeso per il resto della settimana.
 
Dare ragione a Gideon? Fabian gli avrebbe fatto notare che “mica sei Merlino, che decidi qual è la verità e quale no. Chi ti credi di essere, con i tuoi giudizi? Io continuo a lamentarmi quanto mi pare e piace!”
 
Risultato: un mal di testa atroce per lui e uno sguardo riprovevole da Dearborn, che alla prima lezione gli avrebbe fatto notare che “potevi anche provare a metterli d’accordo, è difficile sopportarli quando litigano. Non riesco a concentrarmi”.
 
-senti tu che mi tocca sentire! Gideon, te ne capisci di moda quanto Pix di politica, quindi facci il favore di stare zitto. E non insultare Molly, se non ti regalasse uno dei suoi maglioni ogni anno moriresti di freddo, perché sei troppo stupido per farteli da solo-.
 
-ma che hai stamattina?- domandò allora Gideon, lanciandogli le sue scarpe –sembri la versione mestruata di Caradoc! Ah, tra parentesi, erano sotto il mio letto, le tue scarpe-.
 
Kingsley voleva bene ai suoi amici.
 
Davvero, li aveva conosciuti sul treno per Hogwarts, la prima volta che lo aveva preso, pieno di meraviglia per quel mondo per lui totalmente nuovo, ed era rimasto subito affascinato da quei due cosetti buffi –alti all’incirca la metà di lui, con i capelli color carota sparati in tutte le direzioni e la lingua sempre pronta a controbattere ad attacchi verbali-.
 
Ma se fino a quel giorno sull’espresso aveva pensato a quanto avrebbe voluto anche lui avere un gemello, ossia un alter-ego da schiavizzare e mostrare come un soprammobile senziente, si era ben presto accorto che no, non ci sono solo lati positivi, nell’avere un gemello.
 
Per usare le parole con cui era solito descrivere Gideon la loro situazione, avere un gemello e doverci vivere assieme è come prendere il parente più rompicoglioni che hai, attaccartelo al collo con guinzaglio e collare per sentirti dire che qualsiasi cosa tu faccia, lui la farebbe comunque meglio.
 
Ormai si era abituato così tanto alle loro litigate, che durante l’estate quasi si era sentito sperduto senza quel diavoletto e quell’angioletto che dalla sua spalla duellavano a colpi di parole usando spesso il suo stesso corpo come campo di battaglia.
 
-…non ce le ho messe io, sicuramente sei tu che hai fatto qualche casino e…-.
 
Dal tono pericolosamente alto della voce di Prewett, Kingsley si rese conto di come probabilmente Fabian avesse deciso di rinunciare ai due secondi di religioso silenzio in cui era sprofondato dopo che il fratello gli aveva tirato le scarpe, per immergersi in una dettagliata spiegazione del perché e del percome Gideon fosse solito ridurre la sua parte della camera in un ammasso di roba vagante senza un posto proprio.
 
Portandosi una mano alle tempie e usando la schiena per tenere aperta la porta e far passare così i propri amici, Kingsley si limitò a sussurrare qualche parola a fior di labbra.
 
Kingsley, vuoi bene ai tuoi amici. Vuoi bene ai tuoi amici.
 
Più che semplici frasi, avevano assunto il solenne ritmo di un mantra.
 
Aveva inizio un’altra splendida giornata.
 
 

*

 
 
-hai la faccia sconvolta, Docco- esclamò Hestia vedendolo accomodarsi con uno sbuffo teatrale al tavolo, occupando quel pochissimo spazio tra lei e Sturgis e ricavandosi, a suo di gomitate, uno posto sufficiente per il proprio –splendido- deretano.
 
-fascino dell’uomo vissuto- ribattè lui con fare da cospiratore, fregando dal piatto del proprio migliore amico una salsiccia e portandosela alle labbra con aria indolente –il modello della bellezza sta cambiando, anche se io resto sempre in testa-.
 
Vide Hestia trattenere una risata e versagli un abbondante bicchiere di succo di zucca.
 
-beva, Messere, non vorremmo mai che il nostro Capitano morisse di sete a pochi giorni di distanza dalla partita- mormorò sussiegosa osservando divertita il ragazzo rubargli con nonchalance una fetta di bacon e una di pane imburrato –Docco, in caso non lo avessi notato, i piatti di portata stanno davanti a te. Puoi prendere le stesse identiche cosa senza marchiarti della fama di ladro-.
 
Caradoc storse le labbra in un ghigno divertito.
 
-e dove sarebbe il divertimento? E comunque, a quanto pare, le ragazze sono attratte anche dai belli e dannati. Bello lo sono già, quindi…- lasciò cadere la frase con uno svolazzo della mano, alzando per un secondo lo sguardo sul tavolo Serpeverde –alla partita tiferete per me, non è vero, Madonna Hestia?-.
 
-vai da qualcun altro ad elemosinare attenzioni, Dearborn- s’intromise fintamente scocciato Sturgis, tirando indietro il ragazzo con una spallata e sporgendosi verso Hestia per reclamare un bacio –Madonna Hestia è perdutamente innamorata del suo cavaliere dall’armatura splendente-.
 
-Merlino, chiudetevi in camera per fare certe cose- esclamò scioccato Caradoc, portandosi una mano alle tempie e serrando gli occhi come a ricacciare una terribile visione –risparmiatemi-.
 
Sturgis si lasciò andare ad un sorriso divertito.
 
-hai visto di peggio, sicuramente- mormorò ingaggiando una lotta con le forchette con Caradoc, nel proprio piatto, per riprendersi una delle salsicce che il proprio migliore amico gli stava rubando –che cosa abbiamo alla prima ora?-.
 
-tipico, è quasi Natale e tu non ricordi ancora l’orario- lo prese in giro Dearborn pungendogli il dorso della mano con la propria forchetta nell’intento di fargli abbandonare la battaglia.
 
-due ore di Erbologia, serra numero 3- cinguettò Hestia Jones, pregustando due ore della propria materia preferita.
 
-e sai questo cosa vuol dire, Docco?- gli chiese Sturgis con un sorrisetto decisamente divertito e beffardo, riuscendo infine a infilzare la salsiccia contesa e a mettersela in bocca.
 
-due ore nel fango fino ai gomiti- dichiarò evidentemente sconfitto Dearborn, alzando le mani in segno di resa. Il ragazzo soffocò un brontolio scontento quando vide il proprio migliore amico pretendere dalla sua ragazza il bacio della vittoria –dovreste impararedavvero a trattenervi, dico sul serio. Io starei facendo colazione-.
 
Alzando gli occhi al cielo, Dearborn incrociò per un secondo lo sguardo di Fenwick, arrivato in sala in compagnia della onnipresente Meadowes e diretto adesso al tavolo Serpeverde. L’occhiata che gli lanciò il ragazzo più giovane, completamente incolore, gli diede da pensare per il resto della mattinata.
 
 

*

 
 
-Docco, mi passi il secchio che hai vicino?- chiese Hestia indicando all’amico un secchio di metallo dall’aria piuttosto sudicia.
 
L’occhiata raggelante che il ragazzo rivolse all’innocuo contenitore avrebbe fatto paura anche ad un lupo mannaro.
 
-io, quel coso, non lo tocco- rispose con una smorfia disgustata, alzando le mani.
 
-ma hai i guanti!- esclamò irritata Hestia, che aveva le mani infilate fino ai gomiti nel terriccio fresco della pianta che stava concimando.
 
-sono di vera pelle di drago- ribattè stizzito Dearborn, alzando gli occhi al cielo ma protendendosi verso il secchio indicato per afferrarlo, con estrema attenzione –vera, finissima pelle di drago-.
 
-senti, signor pelle di drago- lo prese bonariamente in giro Fabian, sporgendosi sul tavolo per prendere le cesoie da potatura –se non vuoi che in pasto questo cavolo carnivoro abbia vera e finissima pelle di Dearborn, dagli due o tre di quelle cavallette quando io lo convinco ad aprire le fauci-.
 
Sempre più schifato, Dearborn prese per le ali rinsecchite due o tre di quelle cavallette morte che Fabian gli aveva indicato.
 
-Merlino, Docco, decisamente mi sfugge il motivo per cui ti sei iscritto a Erbologia anche dopo i G.U.F.O.-
 
-se è per questo sfugge anche a me- borbottò in risposta ad Hestia il ragazzo, alzandosi sulle punte dei piedi per riuscire a guardare dall’alto una delle trappole del cavolo carnivoro cinese che stavano accudendo –dev’essere stato Vitious, ad intortarmi in qualche modo. Quando me ne sono accorto non potevo più lasciare-.
 
-se ti può consolare- si intromise Kingsley, seduto al tavolo accanto al loro in compagnia degli altri tre illustri personaggi della loro combriccola, recidendo con attenzione una trappola ormai secca dalla pianta –non credo che il risultato che avrai ai M.A.G.O. per questa materia ti interesserà più di tanto. Non serve saper curare un Cavolo Carnivoro Cinese se passi la tua vita a giocare a Quidditch-.
 
Caradoc sorrise, soddisfatto, dopo aver lasciato cadere le ultime cavallette nella trappola più piccola della pianta carnivora.
 
-adoro la mia vita- mormorò estasiato al pensiero di non dover, una volta uscito dalla scuola, toccare uno di quegli arbusti nemmeno in sogno.
 
-oh, a proposito di Quidditch- esclamò Hestia attirando l’attenzione del piccolo gruppetto accanto al loro tavolo, oltre che di Fabian e Caradoc stesso.
 
Normalmente Hestia parlava di Quidditch solamente per sgridare Caradoc per il fatto di tener impegnato Sturgis un indecente numero di ore a settimana.
 
-ah, no, eh! Non guardare me!- si lamentò infatti Caradoc alzando le mani come a dichiararsi innocente –i patti erano che lo avrei lasciato più libero durante le settimane vuote per impegnarlo di più a pochi giorni dalle partite!-.
 
-idiota, non volevo parlare di questo- lo prese in giro bonaria, soffocando un sorriso ed arrossendo un po’ sulle guance –in realtà, volevo soltanto informarvi che ho invitato la Meadowes ad assistere alla partita… ovviamente verrà anche Fenwick, naturale-.
 
Il silenzio successivo all’affermazione la costrinse ad alzare lo sguardo sui suoi compagnia, che la guardavano chi stupito –Dearborn e i Prewett- chi incuriosito –Bones- e chi decisamente benevolo –Kingsley e Podmore-.
 
-oh, toglietevi quelle facce di dosso, ok?- esclamò stizzita posando sul tavolo con un po’ troppa irruenza il secchio del concime. Alzò la testa giusto per assicurarsi che il rumore non avesse attirato lo sguardo della Professoressa –Dorcas è molto simpatica, e stiamo diventando amiche… cioè, insomma, credo che sia più o meno così, anche se lei non parla mai di se e più che altro ascolta quello che dico io-.
 
Kingsley sorrise convinto, annuendo con gentilezza.
 
-beh, direi che hai fatto bene- la rassicurò tornando ad occuparsi della pianta a loro assegnata –non ha fatto bene, Stur?-.
 
-assolutamente- gli diede man forte Podmore, facendo l’occhiolino alla propria ragazza con un sorriso smagliante in volto.
 
-ma scusami- si intromise Edgar, attirandosi le occhiate perplesse di quasi tutti –la Meadowes non è quella che odia volare?-.
 
-e beh? Odia volare, ma se non ci fai salire lei, su una scopa, va tutto bene- scrollò le spalle Hestia indicando con un cenno il campo da quidditch –comunque, ha accettato. Non è mai stata ad una partita, ha detto, e quindi…-
 
-non è mai stata ad una partita?- questa volta la domanda, posta con lo stesso identico tono, proveniva dai due gemelli –cioè, in pratica non conosce il quidditch?-
 
-beh, non è nemmeno troppo inusuale. È figlia di babbani, no?- domandò Kingsley minimizzando –da noi, le scope le usi soltanto per pulire per terra-.
 
-sarà, ma non puoi negare che la Meadowes sia strana- borbottò Gideon incrociando le braccia, rispondendo all’occhiata di Kingsley con un solo sopracciglio inarcato –e non sono l’unico a dirlo-.
 
Hestia rispose con un sospiro.
 
-non è strana. È solo chiusa. Molto chiusa- ammise alla fine, con un sorrisetto –però non è male, è molto intelligente. E soffre ancora in modo straziante per la morte di suo padre-.
 
-deve essere stato terribile, quello che ha passato- replicò empatico Dearborn, in uno degli slanci sinceri che si permetteva unicamente quando, nelle vicinanze, c’erano solo i suoi amici. E quella mattina in compagnia di Fenwick, ma quella era un’altra storia. Non aveva la più pallida idea di che cosa gli fosse preso, per mostrarsi così davanti ad un Serpeverde.
 
Il prossimo passo quale sarebbe stato, giocare a Mazzobum con Dolohov?
 
 
 
 
NOTE:
 
Non abbiamo notizie dello stato di sangue di Kingsley, ma io me lo sono sempre immaginata come nato babbano. D’altronde, la Rowling ci dice che zio Vernon sembra sentirsi particolarmente a suo agio con Kingsley per il suo modo così normale di comportarsi, quindi ho fatto due calcoli e ho tirato le mie somme.
 
Per seconda cosa, Fabian e Gideon.
Io adoro la Rowling, io come la maggior parte delle persone sulla faccia della terra.
Però anche amando molto la sua versione di gemelli Fred e George, li ho sempre reputati poco realistici. La Rowling ha descritto soprattutto la parte bella dell’avere un gemello, e ha tralasciato completamente i contro, a mio parere. Su questo argomento posso dire di avere una discreta esperienza, dal momento che le mie migliori amiche e coinquiline sono gemelle omozigoti, e io le adoro, davvero. Ma la realtà è ben diversa da come la descrive la Rowling, e te ne accorgi già dopo aver passato due ore in loro compagnia e averle sentite litigare su seicentocinquanta cose diverse. Il corollario, poi, è quando dormendo tutte in una stessa stanza ti svegliano con i loro litigi alle tre di notte per bisticciarsi una coperta.
Davvero, secondo me, ormai abituata a convivere giornalmente con le mie migliori amiche, avere un gemello non ha solo lati positivi. Una delle due è solita descriversi proprio con le parole che ho attribuito a Gideon:
 
Per usare le parole con cui era solito descrivere Gideon la loro situazione, avere un gemello e doverci vivere assieme è come prendere il parente più rompicoglioni che hai, attaccartelo al collo con guinzaglio e collare per sentirti dire che qualsiasi cosa tu faccia, lui la farebbe comunque meglio.
 
Che poi la cosa abbia anche lati positivi, non lo metto assolutamente in dubbio.
 
Per il resto, io sul capitolo non ho altro da dire,
spero che vi piaccia,
Hir
 
 

 
   
 
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