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Autore: Josie5    17/09/2012    3 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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3.Tutto


 

 

Cominciavo a non respirare.

Era da un bel po', forse un'ora, che me ne stavo rintanata sotto le coperte, con la testa sotto il cuscino e il telefono di casa, in qualche modo, vicino all'orecchio.

- Ma! Ma insomma! Che stronzo! - Esclamò Francy per l'ennesima volta da quando le avevo spiegato tutto.

Mi limitai a sospirare, esaurendo sempre di più le mie scorte di ossigeno in quella tenda casalinga. Con un gesto seccato lanciai finalmente all'aria le coperte e uscii con la testa dal rifugio.

Lei intanto continuava a insultare Parker.

Si fermò all'improvviso, probabilmente pensando, poi sbottò: - Ma poi anche te! Tutto?! Non puoi dire "farò tutto quello che vuoi" a un tipo come Parker! Non puoi dirlo in generale nemmeno a un ragazzo normale!

Mi misi a sedere, tormentandomi i capelli come anti-stress. - Spero che non mi chieda soldi, – sospirai.

Francy schioccò la lingua in tono negativo. - È ricco, - spiegò semplicemente. Tutti i ragazzi popolari nella nostra scuola, in effetti, erano ricchi. Sembrava che bellezza, popolarità e soldi si concentrassero sempre insieme in un odioso trinomio.

Feci una smorfia, incrociando le gambe. - Dimenticavo.

- Allora, - cominciò con tono serio. - Se ti chiede di correre nuda per la scuola, tu cosa fai?

- Francy! Ma secondo te?!

- Tu non lo fai, - scandì per bene ogni sillaba della frase, come se stesse parlando con una bambina stupida e disubbidiente.

Guardai male uno dei miei peluche, quasi pensando che la mia occhiataccia potesse arrivarle.

- E se ti chiede favori sessual …

Non la feci finire: - Ma, Francy! - Arrossii quasi senza volere. - Per quelli ha le cheerleader, ricorda, - dissi, deviando l'argomento “favori sessuali” da me.

Lei schioccò di nuovo la lingua. - Ah, vero! - Sbuffò. - Allora niente, non ho idea di cosa potrebbe chiederti.

- Sei di molta consolazione, Francy, davvero. Le mie alternative allora sarebbero due per te: nudismo davanti a tutta la scuola o nudismo in privato con Parker. Eccellente.

- Ardua scelta, - borbottò cupa.

Mi portai una mano sulla fronte in tono depresso. - Parliamo d'altro, ti prego, - la scongiurai. Stavo sul serio pensando di non andare a scuola il giorno dopo. Né mai più.

- Ho cancellato la foto che avevo io di Billy - disse subito, cominciando quell'argomento che pensavo avrebbe evitato. Non sembrava arrabbiata come avevo temuto mentre tornavo a casa dopo l' "incontro-scontro" con Max. Le mie vecchie "amiche" avrebbero fatto così.

- Davvero? - Pigolai. Era tutta colpa mia

La immaginai mentre alzava gli occhi al cielo. - Non mi va di sapere che punizione danno a una ragazza che ha fatto copiare non so quante volte a dei suoi compagni. Soprattutto se quella ragazza è la mia migliore amica, - fece. Stavo davvero per commuovermi. - Anche se è molto idiota e si mette continuamente nei guai, peggio di me!

Mi lasciai cadere di faccia sul letto, provando a soffocarmi con il cuscino.

- Non ucciderti! - Mi ammonì.

Borbottai frasi confuse contro il guanciale, lei mi ignorò tranquilla.

- Comunque, - iniziò, cambiando di nuovo argomento. - Domani solita ora al bar, programma: trovare qualcosa con cui minacciare Max! - Cominciò a ridere in una maniera isterica e malvagia che le si addiceva molto.

Sollevai la testa con un debole sorriso. - Ecco! Questo è un modo per consolarmi!

Mentre cominciava ad elencarmi un gran numero di possibili piani, che riguardavano il rasargli i capelli a zero, sequestrargli il cane - che non sapevamo nemmeno se avesse-, sentii la porta di casa aprirsi.

- Bonjour, mon amour! - Cominciò a urlare zia Lizzy dal piano terra.

- Sono le 8 di sera, zia! - Urlai di rimando, allontanando il telefono dalla bocca per non assordare Francy.

- Oh! E' tornata tua zia? - Chiese quando riavvicinai la cornetta al viso. - Chiedile consigli su come uccidere in modo doloroso un ragazzo!

Ridacchiai. - Vado, a domani, Francy.

- Okay, io vado dalle frittelle che mia madre ha lasciato in frigo da stamattina! - E senza aggiungere altro riattaccò.

Dopo un'occhiata contrariata al telefono (insomma, frittelle per cena) mi decisi a scendere dal letto e a uscire dalla camera.

Vidi mia zia già da sopra le scale, mentre trascinava la sua piccola ma pesante valigia da “rimango quattro giorni!”.

- Rimango quattro giorni questa volta! - Urlò entusiasta appena mi notò. Appunto.

Misi da parte tutti i pensieri spiacevoli, scendendo di corsa dalle scale per abbracciarla di slancio. Se c'era una cosa che sapevo era che in qualche modo lei ci sarebbe sempre stata, per abbracciarmi, come in quel momento, e spettinarmi i capelli. E bastava davvero solo quello a farmi respirare tranquillamente.

Chiacchiere a caso e telefonata, e non molto dopo un ragazzo, che poteva avere sì e no la mia età, suonò alla porta di casa con due enormi pizze, wurstel e patatine.

Presi le scatole con una mano mentre con l'altra gli porgevo i soldi. - Vi pagano molto? - Chiesi curiosa, mentre lui metteva al sicuro le banconote.

Mi guardò tra l'accigliato e il perplesso per poi scuotere la testa.

Arricciai le labbra contrariata, chiudendo la porta.

- Cos'hai chiesto? - Mi chiese curiosa mia zia, mentre apriva il frigorifero alla ricerca di una birra dalla sua ultima visita. - Il numero? - Aggiunse maliziosa in quel suo solito modo.

- Niente di importante, - minimizzai, ignorandola e appoggiando le pizze sul tavolo. Zia Lizzy mi imitò prendendo la sua tutta contenta e la osservai sovrappensiero.

Ci assomigliavamo parecchio, sia per gli stessi capelli castano scuro e il piccolo naso leggermente a patata, tutta roba presa dal ramo della famiglia di mia madre. Gli occhi, di un semplice marroncino chiaro che nessuno si fermava mai ad osservare più di cinque secondi, erano di mio padre e lo stesso era per alcuni accenni nei lineamenti del viso che ci facevano sembrare parenti il minimo possibile.

Guardai gli occhi verdi di mia zia, uguali a quelli di mia madre, che avrei tanto voluto avere anch'io. Colse il mio sguardo e mi sorrise. - Ancora con questa storia degli occhi? - Mi prese in giro.

- No, - scossi la testa, prendendo il primo trancio della pizza pieno di patatine. – Come va là?

Alzò le spalle con una smorfia. - Penso che sarò presto degradata a servetta del caffè: hanno sempre meno lavoro da darmi ed è quasi l'unica cosa che faccio. Io voglio scrivere articoli! Glielo dico sempre ma niente! - Esclamò con un cipiglio isterico.

Altra cosa che sembrava scorrere nel sangue della mia famiglia, materna, era la passione per il giornalismo; il successo evidentemente no.

- Ce la farai, zia, serve solo un po' di fortuna, - feci di nuovo con il mio solito tono consolatore.

- La fortuna mi evita di continuo; proprio non le piaccio!

Anche quello doveva essere un fattore genetico.

Dopo un po' di morsi alla cena presi coraggio. - Zia, cosa faresti tu per minacciare un ragazzo?

Zia Lizzy alzò lo sguardo dalla pizza, perplessa. - Vuoi, vuoi minacciare qualcuno? - Mi guardò sconcertata. Si mise dritta sulla sedia, togliendosi gli occhiali, assunse così la posa da “sto per insegnarti qualcosa come una brava madre”: - Guarda che non è una bella cosa! E se è per ottenere informazioni, Eve, non è professionale. - Scoppiò a ridere. - Anche se ammetto di averlo fatto quando ero più giovane. - Si rimise gli occhiali.

- E come? - Chiesi comunque curiosa.

Lei scosse la testa. - Non minacciare nessuno: finisce sempre male per colui che aveva il coltello dalla parte del manico poi.

Sospirai, bevendo un po' di coca cola. - Spero che sia così, zia, davvero.

Mi guardò un attimo perplessa, per poi sorridere: sapeva di non potermi sempre capire e ci rinunciava presto.


 


 

Anche quella mattina parcheggiai la macchina al solito posto.

Guardandomi allo specchietto della macchina, cominciai a legarmi i capelli alla ben e meglio, lasciando sfuggire qualche ciuffo. Aprii la portiera per poi uscire e guardarmi attorno ansiosa.

Sarei dovuta andare al bar da Francy ma ero in ritardo e il parcheggio si era già riempito parecchio.

Guardai la macchina di Max, dalla parte opposta rispetto alla mia.

Dopo aver preso una decisione, tirai fuori il cellulare e, andando verso il cortile scolastico, feci uno squillo a Francy.

La immaginai mentre, capendo che non sarei venuta prendeva il suo caffè, si avvicinava a Jack per chiacchierare; in fondo le avevo fatto un favore.

Aumentai il passo, avvistando Seth che, uscito dalla macchina, si metteva gli occhiali da sole.

- Clark! - feci per attirare la sua attenzione.

Si girò curioso, poi, dopo aver visto chi aveva parlato, il sorrisetto che aveva stampato in faccia sparì. - Cosa vuoi? - Chiese a disagio, facendo tutto tranne guardarmi.

Appena lo raggiunsi cercai di dargli uno spintone che lo fece traballare leggermente, preso alla sprovvista.

Mi guardò scettico. - E questo?

- Sei uno stronzo! - Ringhiai. - A nessuno! Non dovevi dirlo a nessuno!

Lui sbuffò, tirando su gli occhiali per guardarmi. - Non so di cosa stai parlando, Gray. - Poi sorrise, negli occhi azzurri il segno della sua chiara presa in giro.

Diventai rossa dalla rabbia.

Lui fece una smorfia vittoriosa, rimettendosi gli occhiali. Io invece alzai il braccio, la mano tesa.

- Vuoi darmi uno schiaffo? Non sapete fare altro quando siete arrabbiate, voi donne, - fece sprezzante, guardandomi dall'alto in basso.

Abbassai la mano. - No, mi farebbe troppo schifo toccarti, - gli dissi soltanto, prima di oltrepassarlo. Cercai di respirare profondamente, ignorando le parole poco carine che mi stava urlando dietro.

Adesso avevo altre priorità e in cima alla lista c'era: trovare assolutamente Parker.

E quale modo migliore per trovare il ragazzo più popolare di tutta la scuola, quando si imboscava chissà dove al mattino, se non chiedere a Dawn?

Dawn, ragazza biondissima, dagli occhi chiari e brillanti quasi come il suo sorriso e ovviamente con un seno e un culo decisamente invidiabili, era una di quelle soggette che Francy odiava tanto: una cheerleader. La tipica capo cheerleader da film americano. I cliché evidentemente erano tali perché nella realtà si realizzavano con fin troppa frequenza.  In ogni caso, Dawn, oltre a essere una cheerleader dalla reputazione abbastanza solida, non essendo mai stata beccata e pubblicata sul giornalino scolastico, era anche la fan numero uno di Parker - se la passione per il castano fosse da collegare alla stupidità era ancora da verificare - ma la cosa importante per me in quel momento era che effettivamente la ragazza sapeva tutto su di lui. Sembrava possedere una specie di radar in grado di localizzare ovunque il ragazzo.

Dawn, come il resto delle cheerleader della scuola, se ne stava seduta sulle scale che anticipavano il portone scolastico. Le gambe lunghe e allenate dalle numerose ore di esercizio fisico settimanale erano così esposte in serie da ognuna di loro.

Mentre mi avvicinavo mi notarono e cominciarono a lanciarmi sguardi scettici, non sospettando minimamente che stessi per fermarmi proprio da loro.

Arrivai di fronte alle ragazze, che infatti mi guardarono quasi sconvolte dal fatto che volessi rivolger loro la parola.

Alzai gli occhi al cielo. - Sì, mi fa piacere parlarvi quanto può farne a voi, perciò sarò breve: sapete dov'è Parker? - La domanda era stata posta in generale, ma era chiaro che fosse rivolta a Dawn.

La bionda infatti sorrise smagliante non appena sentì il cognome. - Oh sì! - Civettò. Anche la sua voce era piacente come l'aspetto. - Oggi appena mi ha visto mi ha salutato subito, con un sorriso che … - Sorrise anche lei con quell'aria trasognata, rivolgendosi alle amiche. - Comunque dovrebbe essere in palestra, - tagliò corto, tornando a guardarmi male e con una voce all'improvviso più roca.

Ringraziai con un cenno, per poi correre dove mi era appena stato detto.

La piccola palestra della nostra scuola si trovava in un edificio a parte, era scomoda da raggiungere soprattutto d'inverno, quando bisognava uscire e farsi tutto il cortile a piedi, al freddo, per arrivarci. La struttura conteneva semplicemente il campo da basket e ai lati del campo, contro il muro, c'erano due reti da calcio da tirare fuori in evenienza. Ai lati si piazzavano le alte gradinate per il pubblico che, che durante le partite di basket, si riempivano del tutto e diventavano troppo piccole e strette per tutta la gente che ogni volta accorreva numerosa.

Entrai nella palestra, sperando che non ci fosse Joe: non avevo le scarpe da ginnastica e sarebbe stato capace di uccidermi finalmente con la scopa.

Ovviamente Joe c'era, probabilmente per preparare la struttura alla lunga giornata che l'attendeva, ma era già impegnato a sgridare Parker. Il ragazzo cercava di ignorarlo e superarlo, passandosi un cappellino da una mano all'altra.

- Le scarpe, Parker, le scarpe! - Continuava il bidello, agitando la scopa.

Feci qualche passo indietro, appoggiandomi vicino alla porta, non avrebbe potuto dirmi niente per quei dieci centimetri di palestra che avevo sporcato.

- Dovevo prendere una cosa che mi ero dimenticato ieri, - sbuffò, riuscendo finalmente a superarlo. In quel momento guardò verso l'uscita e mi vide. Sorrise subito, dopo un attimo di sorpresa, non un sorriso normale e amichevole, soltanto divertito.

- La prossima volta rimarrà lì, senza scarpe da ginnastica! - Brontolò l'altro per poi andare negli spogliatoi.

Parker lo ignorò, come facevano poi tutti, cominciando a camminare tranquillo verso di me. Io incrociai le braccia al seno, facendo un passo avanti e staccandomi dal muro: pronta allo scontro.

- Parker, - cominciai.
- Gray, - disse di rimando, arrivandomi di fronte, il tono caldo e invitante del giorno prima e la solita faccia da schiaffi. Una persona meno coerente fisicamente e caratterialmente non esisteva.

Aprii la bocca per parlare, ma lo zaino nero che mi buttò tra le braccia mi prese alla sprovvista. Zaino leggerissimo e probabilmente quasi del tutto vuoto.

- Che carina che sei stata! Ti stavo per venire a cercare io, - mi informò, aprendo la porta della palestra e uscendo.

Continuai a fissare lo zaino e poi la porta che si chiudeva dietro di lui.

Uscii di corsa. Lui se ne stava già andando bello e tranquillo, una mano tirata in su a riparare il viso dalla leggera luce solare.

Lo affiancai irritata. - No, aspetta! Prima di tutto: riprenditi il tuo zaino! E poi dobbiamo parlare di ieri, così posso tornare a non rivolgerti la parola!

Si girò leggermente a guardarmi scocciato, abbassando il braccio, e, invece di riprendere lo zaino che gli stavo porgendo, mi lanciò anche il cappellino. - Mettilo dentro, Gray.

- Forse non ci siamo capiti, – ringhiai, prendendo mio malgrado al volo ciò che mi aveva appena lanciato.

- Sei tu che non hai capito, - sbuffò, continuando a camminare verso l'entrata della scuola.

Sapevo che non l'avrei sopportato a lungo e in effetti fu così: l'arpionai per il braccio e lui, palesemente scocciato, si fece trascinare senza resistere dietro l'angolo della scuola, semi nascosto dall'entrata.

- Allora, - cominciai, mollandogli la giacca. - Smettiamola con questi giochetti. Dimmi che cosa devo fare, cos'è quello che intendi per il "tutto", così possiamo tornare alla nostra normale vita: non cagarci, non parlarci. - Lasciai cadere anche lo zaino ai suoi piedi,, per sottolineare quel che avevo appena detto. - Da quel che ricordo piaceva a tutti e due!

Lui in risposta scoppiò a ridere, cambiando per l'ennesima volta espressione e lasciandomi spaesata. - Sai che non ti immaginavo con questo caratterino, Gray?

- Basta giochetti e giri di parole! - Mi arrabbiai.

Sorrise. - Dovrei andare al sodo?.

- Continui a non farlo, - lo rimproverai, irritata.

- Non c'è gusto sennò, - disse, per poi appoggiarsi al muro, guardando verso la palestra. - Ti immaginavo senza carattere, Gray. O decisamente più passiva, dato quel che sei arrivata a dirmi ieri. E insomma, per quello che fai in quel giornalino devi essere proprio una donna frustrata.

Mi portai le mani ai capelli, esasperata. - Dio mio! Non tormentarmi più di così! Se vuoi soldi, non puoi averli, te lo dico, non sono ric …

- Conosco la tua situazione, Gray, - mi interruppe di nuovo annoiato. - E non voglio soldi mi dispiace. - Si stacco dal muro e, mettendosi di nuovo dritto, tornò a sormontarmi. - Voglio vendetta, direi.

Rimasi per un po' a bocca aperta. - Non mi dirai sul serio che tutta questa storia, degna da film, con foto e ricatti, è per vendicarti solo della tua foto del mese?! Posso capire che volessi evitare un'altra scocciatura al tuo amico, e ho obbedito, ma se hai fatto sul serio passare tutti quei mesi, per arrivare a QUESTO, allora sei malato.

- E' per entrambe le cose, - fece spallucce, ignorando le altre mie insinuazioni. - Billy è stato però la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non potevi andare avanti così.

- Quella foto l'ho cancellata! E dall'altra ne è passato di tempo! Se ne sono dimenticati tutti. - Feci un gemito di frustrazione. - No, Max Parker non può fare come tutto il resto del mondo, deve fare il genio del male e ricattarmi!

Mi guardò scettico. - Ti sei messa contro la persona sbagliata, TU e quella tua amichetta lì. Ma soprattutto il problema sei stata TU; TU che non hai censurato; sei TU che hai pubblicato la foto. - Si avvicinò ad ogni “tu”, sottolineandoli fisicamente; non indietreggiai per non dargli la minima soddisfazione, anche se la vicinanza mi metteva soggezione e sembrava urlarmi a tutto volume di porre metri, chilometri, stati di distanza tra noi due. - E il grande colpo ci sarebbe con la tua rovina, diciamolo. - Smise di camminare, si fermò vicinissimo a me.

- Sinceramente: volevo rovinarti definitivamente davanti ai prof, non mi sarebbe importato minimamente se ti avessero espulso o altro, non ti devo decisamente niente. Ma non mi aspettavo quel “tutto” di ieri.

- Cosa vuoi allora? - Non riuscivo a prendermi quella storia sul serio. Era troppo surreale. Troppo programmata. Non mi rendevo ancora conto di quanto fossero state gravi le mie azioni e di quanto lo stessero diventando le conseguenze.

Lui sorrise. - Tutto quello che potrei avere da te quest'anno. E' più utile, alla fine.

Sgranai gli occhi. - Cosa? - le immagini che Francy mi aveva fatto entrare in testa, il giorno prima, uscirono fuori prepotentemente.

Mi guardò, all'improvviso perplesso, quasi consapevole di quello a cui stavo pensando. Fece un passo indietro. - Non so cosa stai capendo, o forse sì, ma io intendo che mi farai da… “schiavetta multiuso”, diciamo. In pratica, se io lo voglio mi porti lo zaino fino in classe, se io voglio ti chiamo a pulirmi casa, se io voglio mi vai a prendere da mangiare, se io voglio… Non saprei, ma sarai sfruttata, cara Gray, - finì l'elenco, rimettendosi dritto, un sorriso, sempre irritante, di nuovo sul volto.

Lo guardai incredula. - Ma tu sei malato! - Lo insultai nuovamente.

Sbuffò, facendo roteare gli occhi al cielo. - Poteva andarti peggio, sai? E per tua sfortuna non mi piaci fisicamente, - disse con noncuranza.

Avvampai. - Senti, tu! - Urlai, sentendomi in qualche modo contorto e malato offesa.

Mi ignorò, spostandomi con un braccio per oltrepassarmi. - E adesso devo andare a lezione di inglese, se non ti dispiace vorrei arrivare in orario, - ordinò strafottente.

Non riuscivo a smetterla di guardarlo incredula, mentre ad ogni passo si allontanava, rendendo sempre più reale la situazione. - No, ti prego, non sul serio!

Ma lui mi ignorò, lanciandomi un sorriso ironico alle sue spalle.

Io guardai lo zaino, non credendoci ancora. Com'era possibile che da un giorno all'altro fossi finita in quella situazione?! Okay, non ero stata uno stinco di santo, ma non era nemmeno giusto che le cose andassero in quel modo. Già immaginavo cosa potesse dire la gente. Quel giorno avrebbero tutti avuto molto di cui parlare: Parker e la Gray girano insieme per scuola; la Gray gli porta lo zaino.
Umiliante e inconcepibile; ed era solo l'inizio.

Lo strattonai per la giacca, indietro, prima che girasse del tutto l'angolo dietro al quale ci eravamo nascosti.

Sbuffò stressato, irritandomi, ma permettendomi di fermarlo. Aveva il coraggio di sbuffare quello stronzo. - Cosa c'è adesso, Gray? - Chiese senza girarsi.

- Allora, - cominciai sbirciando da dietro la sua schiena, nessuno sembrava averci visto fino a quel momento. - Non so tu, ma io non voglio nessuno scandalo nella scuola. Lavoro in un giornaletto alla fine, so come funzionano i pettegolezzi.

Si girò, guardandomi accigliato. - Non c'è bisogno di lavorare in un giornale per saperlo.

Con la mano libera gli feci cenno di stare zitto. - Io so come funziona, ho detto.

Continuò a guardarmi scettico. - E? - Mi incitò a finire, scocciato.

- Non voglio che la gente pensi che mi stai ricattando o che si faccia altre pare mentali, quindi dobbiamo camminare a distanza e non farci vedere insieme in pubblico. - Mi guardai di nuovo attorno, nervosa.

Lui esordì con una piccola risata. - Allora, io ho le foto e tutte quelle informazioni quindi …

Lo interruppi. - Potresti rischiare che la gente pensi che… - mi costava dirlo ma in qualche modo avrei dovuto fargli cambiare idea. – Che, mi fa schifo dirlo, ma che stiamo insieme! Vuoi questo, Parker?! Lo vuoi?! - Avevo naturalmente esagerato, la gente vedendomi portare uno zaino non era logico che pensasse quello, ma esagerare e inventarsi le cose mi sembrava la scelta migliore in quel caso.

La sua espressione cambiò, stava valutando la cosa sul serio. Io ero un genio e lui un idiota. Ce l'avrei fatta a eliminare la sua presenza prima dell'anno che aveva stabilito, quello mi sembrò certo.

- Come potrebbero pensare qualcosa del genere? - Mi guardò, sbuffando di nuovo e sorprendendomi. Tutti i miei sogni tornarono a frantumarsi. - Che stiamo insieme? Insomma, togliendo il fatto che non ho intenzione di farti nulla da cui si possa dedurre quello, credo che sia chiaro che, dopo quello che hai fatto l'anno scorso, non corre buon sangue tra di noi.

- L'odio e l'amore sono due cose molto simili, - affermai con tono serio, annuendo. Non ci avevo mai creduto ma lui non poteva saperlo.

- Dimentichi poi i fatto che sono decisamente troppo per te, Gray, - aggiunse sorridendo e con quel sorrisetto ironico mi irritò da morire. - Poi non mi importa di quello che pensa la gente. Anzi hai fatto bene a dirmelo, non ci avevo pensato che farti vedere da tutti mentre mi fai da schiavetta servirebbe di più ad umiliarti. Perfetto. Adesso andiamo, vicina vicina, mentre porti lo zaino! - E mi diede un colpetto con il dito in testa.

- Ma... - Provai ancora, correndogli dietro con lo zaino. - Pensa alla tua reputazione! - Il mio tono era ormai fuori controllo e si capiva che in realtà non pensavo alla Sua di reputazione.

- Sì, certo, alla mia. Vorrai dire alla tua reputazione, - sbuffò.

Digrignai i denti. - Troverò un modo per finirla con questa storia! - Minacciai. Cominciavo a sembrare schizofrenica con tutti quei cambi improvvisi di reazione.

Scoppiò a ridere. - Ti conviene stare calmina, perché potrei decidere di ignorare il tuo “tutto” e di far scoprire cosa combini ai prof.

L'arpionai di nuovo per la giacca. - Non possiamo cambiare condizioni?! Ti pulisco la macchina tutte le settimane! O… - Smisi di parlare, rendendomi conto che ormai alcuni ragazzi ci avevano notati. E in effetti dovevo essere curiosa: stavo rasentando la disperazione e si notava.

- Gray, la mia giacca. La smetti? - Si lamentò, spingendomi via la mano e girandosi a metà per guardarmi male.

Lo guardai dritta negli occhi, avvicinandomi ancora, pronta a scongiurarlo di nuovo di parlarne, di contrattare. Notai però, in quel momento e per la prima volta, che i suoi occhi erano verdi, verdi come quelli che mi sarebbe piaciuto avere fin da piccola, anche più belli. Mi resi conto in quel momento di non averlo mai guardato davvero, anche se sempre a portata di mano come il "ragazzo popolare" del liceo.

Il suo sguardo perplesso mi fece riprendere contatto con la realtà. - Gray, ti sei incantata o cosa? - Soffocò una risata con uno sbuffo.

Aggrottai le sopraccigliai. - No, niente, è che… Senti, ti accompagno in classe stando a cinque passi di distanza! - Mercanteggiai, facendo un passo indietro e ritornando velocemente all'auto-controllo. - Poi se vuoi sul serio continuare con questa storia ne riparliamo a pranzo.

Lui mi guardò scocciato. - Ancora?

- Dobbiamo decidere alcune cose, no? Non puoi spuntarmi poi con nuove regole strane. Bisogna decidere! - Spiegai gesticolando, innervosita da un gruppetto di ragazze che continuava a guardarci in silenzio, probabilmente origliando.

- Gray, tu non decidi in questa storia, lo sai, vero? - Disse, spostando il peso da una gamba all'altra, scocciato.

- Ma dovremo pur segnare dei limiti, no? Non potrai mica chiedermi tutto! - Continuai convinta.

Lui sorrise divertito. - Tutto. Hai detto tutto. Per questo ho accettato di risparmiarti.

Mi irritai, smettendo di guardarlo e torturandomi la giacca. - Delle regole, almeno! - Sbottai.
Sbuffò, alzando gli occhi al cielo. - Senti, va bene, per pranzo ne parliamo, basta che mi lasci andare adesso; ma non farti troppe illusioni di cambiare le cose. Adesso possiamo andare in classe, che arrivo tardi sennò? Sarebbe la sesta volta da quando è iniziata la scuola.

Annuii un po' consolata, mentre lui mi faceva segno di andare prima di lui.

Parker arrivò così in perfetto orario, mentre io entrai in classe insieme alla professoressa di inglese, la signora Granger, per fortuna fin troppo giovane per arrabbiarsi per qualcosa del genere.

Mi sedetti al mio banco, sospirando, vicino ad Emily; con Frances non condividevo quell'ora.

- Ciao, Eve, - mi salutò lei, dietro gli occhiali rettangolari neri. Le sorrisi in risposta, un po' mogia.

Emily, era una delle poche ragazze di quella scuola che potevo considerare simpatica e in parte mia amica. Gentile, riservata…

- Ti ho vista con Parker, - disse, portandosi la sua inseparabile penna blu vicino alla bocca.

Bene. Era sempre stata riservata, almeno.

Quel nome mi fece sparire il sorriso che avevo sempre insieme ad Emily. - Ah, - riuscii solo a dire, aprendo il libro di letteratura.

- Scusa, non è per fare la pettegola, - si scusò subito. - Solo che sembrava steste litigando e sapendo quello che è successo l'anno scorso…

- No, tranquilla, non sarai stata l'unica a vederci, solo che sentirlo nominare mi irrita già di suo, - spiegai, continuando a guardare il libro.

Ridacchiò. Dopo un po' di silenzio, non riuscì a resistere: - Okay, scusa, sai che di solito mi faccio i fatti miei, ma... perché gli portavi lo zaino?

Arricciai le labbra, non sapendo che rispondere.

Mi guardò, più che curiosa, preoccupata.

- Ti spiegherò oggi a pranzo, dopo che ci sarò andata a parlare di nuovo, - dissi alla fine in un sussurro, esausta.

Lei, sorpresa da quella risposta, finì solo per annuire.

La terza ora di trigonometria con Hoppus e Francy arrivò con incredibile lentezza ma alla fine arrivò, come ogni cosa.

Salutai Emily con la promessa di spiegarle poi tutto.

In un caso più unico che raro fui io a vedere la mia migliore amica da lontano per prima. Le andai incontro di corsa per poi abbracciarla di slancio.

- Francy! - Piagnucolai.

Francy sobbalzò come ero solita fare io, mi riconobbe e ricambiò forte l'abbraccio.

- Eve! Ti ho cercato per tutta la scuola stamattina! Dov'eri finita? - Mi interrogò subito.

- Sono andata a cercare Parker, - spiegai, borbottando, facendo fatica a guardarla in faccia per colpa dell'abbraccio.

Mi guardò. - Ah! - La sorpresa fece spazio alla preoccupazione. - Questa reazione non mi sembra un buon segno però… Cos'è il tutto? - Chiese.

- Tutto. Il tutto è il tutto. Quest'anno dovrò fare tutto quello che vuole lui.

Mi guardò sconvolta. - Ma è pazzo?!

La guardai sconsolata. - Dopo a pranzo sono riuscita a convincerlo a parlarne… Cercherò di mettere delle condizioni a mio favore anche… Ma ha detto che non sono io a decidere, quindi non credo che mi asseconderà facilmente.

- E' malato, - continuò Francy, scuotendo la testa. - Forse dovremmo parlarne con qualcuno, un adulto...

Mimai un no, senza dire niente.

- Allora, senti, adesso ci mettiamo d'accordo su cosa dovrai dirgli… - Poi smise di parlare, vedendo il diretto interessato avvicinarsi con il suo gruppetto, poco prima del professor Hoppus.

Parker non mi guardò nemmeno ed entrò in classe, quello fu forse il primo piacere della giornata.

Alla fine dell'ora, che arrivò come ogni cosa spiacevole, seguiva il pranzo, quindi la chiacchierata con Parker.

Francy mi diede un buffetto sulla mano e, dopo avermi fatto un cenno con la testa, uscì di classe insieme al resto dei ragazzi. Parker si era avvicinato all'uscita con i suoi amici.

- Vi raggiungo tra un po', - disse, appoggiandosi alla porta.

Uno degli amici, di cui mi sfuggiva il nome, un morettino, annuì e lanciò un'occhiata dentro alla classe, vedendomi. Fu l'unico a notarmi. Tutti gli altri se ne andarono, senza nemmeno farci caso.

Parker seguì con lo sguardo gli amici.

Hoppus era stato il primo ad andarsene seguito dall'orda di studenti di matematica affamati e quindi ora eravamo soli.

Il castano si girò a guardarmi. Sorridendo, si chiuse la porta dietro le spalle. La chiusura della mia unica via di fuga mi rendeva inquieta; stare da sola con Parker non era tranquillizzante: non avrei mai voluto ammetterlo ma mi metteva soggezione. Lo sguardo, il tono, la smorfia piatta e ironica con cui mi osservava circospetto.

- Quindi? - Chiese, andandosi a sedere sulla cattedra. - Sai che stiamo perdendo tempo qua, vero?

Lo ignorai. - Allora… Non dirai niente ai tuoi amici, cosa in privato tra noi. - Cominciai, titubante.

Lui mi guardò scettico. - No.

Aprii la bocca per ribattere, ma lui mi fermò con un cenno. - Questa sarà una cosa veloce: tu proponi e io dico no o sì e passi a un'altra cosa.

Mi alzai in piedi, ero rimasta seduta fino a quel momento. - Io, sul serio, non so come farò a passare così tanto tempo con te! - Cominciai a infilare i libri dentro la tracolla, già irritata.

Parker non rispose subito. - Quindi? - Chiese di nuovo, già annoiato.

Per poco non gli ringhiai contro. - Se mi chiedi di fare qualcosa che riguarda i soldi, paghi tu!

Lui sbuffò. - Soldi, soldi e sempre soldi. Saranno la tua rovina, anzi, ops, lo sono già stati, - cantilenò alla fine. - Va bene, - aggiunse poi, ridacchiando, vedendomi furente.

- Entro la fine dell'anno scolastico, poi mi ridai le foto.

Ci pensò un attimo. - Okay, - disse solo, spostandosi col corpo più indietro. - Tanto non ci rivedremo mai più e non potrei sfruttarti...

- Poi, - iniziai, pensandoci e ignorandolo.

- Andiamo a pranzo? - Propose all'improvviso, senza guardarmi.

Lo guardai sorpresa. - Noi?

- Ho fame e tu sembri non avere le idee tanto chiare, - spiegò, alzandosi e andando verso la porta.

- Ma dobbiamo sul serio farci vedere in giro insieme?! - Chiesi, correndogli dietro mentre usciva.

Lui mi aspettò fuori dalla porta, le sopracciglia sollevate. - Se non la smetti di ripeterlo cominceremo a girare insieme mano nella mano, – minacciò.

Mi tirai indietro con fare terrorizzato. - No, okay, no, sto zitta!

Mi osservò accigliato per poi ricominciare a camminare verso quella che pensavo essere la mensa. Sembrava essere inevitabilmente così, ma speravo profondamente che deviasse la strada.

- Dove andiamo? - Chiesi per sicurezza.

- Mensa.

Pensai a quanta gente ci avrebbe visto insieme e stetti male al solo pensiero. Capii però che ogni mia protesta non l'avrebbe fermato.

Entrammo nella grande stanza che accoglieva tutta la scuola, senza che nessuno facesse caso a noi, tranne Francy e Emily che, guardando verso la porta e aspettandomi, sgranarono gli occhi vedendo con chi ero.

Io cercavo di dissimulare, guardando da tutt'altra parte rispetto a Parker, come se fosse un caso che fossimo entrati insieme e camminassimo abbastanza vicini.

- Dobbiamo proprio mangiare qua? - Gli sussurrai senza guardarlo.

Sbuffò. - Non voglio mangiare nel cortiletto spelacchiato della nostra scuola: è da sfigati; quindi sì.

Non chiesi altro, temendo che da un momento all'altro mi afferrasse la mano come aveva minacciato.

Prendere da mangiare non fu problematico, il problema venne dopo quando, con tanto cibo lui e poco io, andammo a sederci, io parecchio esitante, allo stesso tavolo. Stesso tavolo. Evelyne Gray e Max Parker allo stesso tavolo. Sentii mentalmente una sirena d'emergenza che annunciava la fine del mondo.

Alcuni ci notarono e lanciarono qualche occhiata curiosa, niente di più. La prima reazione fu quindi quasi incoraggiante. Anche se Francy cercava di lanciarmi messaggi mimici dall'altra parte della mensa.

- Vado un attimo dai miei amici e torno, - disse, alzandosi.

Io annuii, cominciando a mangiare e senza guardarmi troppo attorno.

Tornò poco dopo. - Okay, prima che me ne dimentichi: dammi il tuo numero, - disse col solito tono imperativo. Mi sentivo un Nicholas e la sensazione era orribile, ma almeno io non mi ero messa volontariamente in quella situazione.

- Non voglio darti il mio numero, – ribattei.

- Ho la foto proprio dentro lo zaino, - disse vago, ma sorridendo.

Guardandolo malissimo cominciai a dettargli il numero, che scrisse sull'inseparabile cellulare. - Anche quello di casa, - aggiunse, continuando a scrivere qualcosa sull'Iphone.

- Perché vuoi il mio numero di casa? Sei uno stalker o cosa?

Rise. - Così non hai scuse del tipo “oh, scusa, non ho sentito il cellulare!”

Lo guardai scettica. - Se volessi ignorarti lo farei anche sul telefono di casa.

Mi ignorò e mi obbligò a farselo dare. - Muoviti a proporre le tue regole sennò faccio completamente a modo mio.

Obbedii. - Beh, le cose basilari: non puoi chiedermi di uccidere nessuno, - sussurrai guardandolo sospettosa.

Lui scoppiò a ridere, attirando l'attenzione del tavolo di fianco.

- Shh! - Provai a zittirlo, guardandomi intorno.

- Prometto di non chiederti di uccidere o di ucciderti. - Alzò una mano in aria, tenendo l'altra sul cuore, con fare solenne. Quel ragazzo si stava rivelando sempre più tremendamente teatrale.

- Niente contro la legge! - Aggiunsi. - E con questo intendo anche non ti faccio copiare i compiti. Ho chiuso.

Ci pensò un attimo. - Peccato, la cosa diventa meno divertente. Però i compiti per casa sì.

- No.

- Sì.

Deglutii, cedendo. - Poi… Tu non puoi dire che mi stai minacciando.

- Quanto balle, - si lamentò. - Questo no.

- Non puoi dire il come! Sennò romperesti il nostro contratto: io rispetto il tutto se non divulghi le foto e non racconti nulla, - gli dissi dura. - E che gusto c'è a dire che mi minacci se non come? - Cercai poi di convincerlo.

- Capiranno comunque. - Cominciò a mangiare.

- Fa lo stesso. Tu non dire e non confermare nulla.

Bevve un sorso della bibita. - Okay, - sbuffò. 

- Poi... - Provai a farmi venire in mente altro.

- Basta, - concluse lui tornando a guardarmi.

- No! - Lo interruppi. Mi lanciò un'occhiata di un verde intenso e scuro, abbastanza irritato. - Non puoi chiedermi di spogliarmi davanti alla gente!

Parker fece una smorfia accigliata. Io ero stata travolta dai ricordi della conversazione avuta con Francy il giorno prima.

- E nemmeno richieste sessuali, - aggiunsi, a fatica, deglutendo.

- Sto mangiando, Gray, mi hai fatto avere delle pessime immagini... - Disse parecchio e sinceramente schifato.

Il mio ego, sempre incoerentemente, venne brutalmente schiacciato.

Sospirai. - Lunga e brutta convivenza, - mi lamentai, appoggiando il mento sul pugno della mano. Convivenza a cui avrei cercato di continuo di porre fine, ma questo lo tenni per me.

Mi allungò la mano da sopra il tavolo. - Contratto concluso, niente da ribattere? - Ridacchiò.

- Contratto concluso, - confermai stringendogli la mano freddamente, e fredda fu anche la mia stretta, in confronto alla sua.

Non avevo un carattere da sottomessa, niente del genere, ma sembrava non ci fosse altra scelta che sopportare quella situazione. Dovevo tenermelo buono, dopo tutto, no? Dovevo cercare di uscirne illesa e vincitrice. A me piaceva vincere e in quel momento ero visibilmente in svantaggio.

Pensando al punteggio immaginario che mi vedeva, in quel momento, perdente, non notai nemmeno che praticamente tutta la scuola ci stesse guardando.








   
 
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