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Autore: BigEyes    17/09/2012    1 recensioni
(SECONDO CAPITOLO DELLA SERIE: IN THE NAME OF JESUS)
La ragazza si voltò di scatto asciugandosi in fretta la lacrima col dorso della mano. Sentì rumore di passi.
- Lucia sei tu? – domandò, guardando l’interno del soggiorno al buio – Heliu non fare questi scherzi..- continuò, attraversata dall’adrenalina. Deglutì mentre si voltava verso il mare.
Ma di fronte si trovò un ragazzo, appoggiato al balcone con la schiena, con braccia e gambe incrociate
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'In The Name of Jesus.'
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-          Devo darvi un’importantissima missione e tu che fai? Ti fai vincere dal male? I tempi si stanno compiendo.
Joshua rialzò lo sguardo, corrugando la fronte:
-          Dice davvero padre?
-          Vedi Joshua – il pastore gli poggiò una mano sulla spalla - è questo il tuo problema: tu non mi credi. Scommetto che se dicessi la stessa cosa ad Acab lui mi crederebbe subito e agirebbe di conseguenza.
-          Padre io..- il giovane Joshua abbassò il viso, mentre le lacrime di rimorso gli annebbiavano la vista – io voglio credere, perdona le mie debolezze. – il pianto gli rese la voce roca e Thabita sentì un nodo alla gola perché anche lei voleva credere, ma ancora gli antichi spiriti le impedivano di abbandonarsi alla luce.
-          Ecco figliolo. Il pianto indica il tuo pentimento. Il tuo cuore è pronto per ricevere lo Spirito Santo. Abbandonati a Lui, al suo amore, confida in Lui ed egli opererà. Lascia il tuo futuro nelle sue mani.
Il ragazzo singhiozzava e il respiro rotto attirò l’attenzione di Ariel che corse verso di lui, ma la sua corsa venne bloccata da un’occhiata severa da parte di padre Max che scuotendo la testa le ordinò di non avvicinarsi.
-          …io voglio dare la mia vita a Lui! – esclamò il giovane Joshua.
 
Intanto Lucia, che era rimasta a coccolarsi con Heliu sentì dei brividi che dalla nuca gli attraversarono tutta la schiena, si staccò dall’abbraccio con il ragazzo e corse verso il corridoio principale. Heliu stupito la seguì e per poco non ci sbatté contro.
-          Finalmente! – esclamò Lucia, battendo le mani, sorridente.
-          Cosa succede? – chiese Heliu, guardando verso il gruppo dei compagni. Lei lo zittì portandosi l’indice alle labbra, osservando la scena da lontano.
 
Joshua stava parlando nella lingua del Cielo, a lui si unirono anche Ariel, Nathan e il padre Max. Tutti e tre, con gli anziani della chiesa, ad occhi chiusi imponevano le mani sul ragazzo per far si che ricevesse lo Spirito Santo. Tuttavia quella lingua, che lodava il Re Celeste,  infastidiva i due adepti che dovettero inginocchiarsi al suolo stingendo i palmi alle tempie: quel microchip stava dando dei comandi a cui non volevano sottomettersi.
 
Uccidere il pastore.
Uccidere l’unto.
Uccidere il mandato.
 
Era lui la causa di tutto. Chi stava sotto l’ordine di Dio riceveva più potenza. Sulla terra si doveva compiere la volontà di Dio com’è fatta nel Regno Celeste.
L’ordine era questo: Dio padre aveva mandato al Figlio.
Il Figlio aveva i suoi sette mandati, gli angeli delle sette chiese: Efeso, Smirne, Pergamo, Thyatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea.
Di queste, la più vicina all’ordine di Dio era Filadelfia, la chiesa dell’amore fraterno.
I mandati rappresentavano Dio in terra.
Per questo gli agenti di Satana facevano di tutto per eliminarli, non sempre fisicamente, ma anche impedendo il compimento di quest’Ordine, togliendo autorità all’unto.
Come? Facendo si che i fedeli, che avrebbero dovuto vedere nel mandato il Padre, si mettessero alla pari di quest’ultimo, compiendo il peccato luciferino: pensare di poter  essere simile a Dio.
In Filadelfia il padre era amato dai figli e la sua parola veniva creduta perché proveniva dal Padre Celeste.
 
Un fuoco si stava materializzando attorno a Joshua, la lingua del Cielo stava diventando sempre più intensa e gli adepti adesso stavano contorcendosi al suolo.
Acab non voleva obbedire a quell’imput. Alzò a fatica il volto, mentre le fitte alla tempia diventavano sempre più violente. Cercò di rialzarsi facendo peso  sui gomiti e, mentre quegli ordini continuavano a battere ferocemente come il suo cuore, fissò la finestra e a carponi vi si avvicinò, strisciò su per il muretto e, respirando spasmodicamente, la aprì.
 
Mise un piede sul davanzale e giratosi verso Ariel fece un mezzo sorriso. Quando fu  in piedi sul parapetto, guardò il cielo e bisbigliò: - avrei potuto godere di quella pace…
 
-Fermo Caleb!  - ordinò risoluto il padre.
 
Caleb? Quel nome lo riconosceva. Si sentiva parte di quel nome.
Era lui Caleb.
D’un tratto gli vennero alla mente tutti i ricordi legati a quel nome.
Gli occhi della madre, il sorriso del padre.
 
Poi il buio.
No, questo buio di menzogna veniva sfumato da una luce.
L’orrore compiuto da sua sorella. La casa in una pozza di sangue. Suo padre e sua madre distesi sul pavimento colorato di rosso.
 
Gli occhi di Caleb di schiarirono, si spalancarono facendo colare una lacrima che arrivò fino alle labbra tremanti. Adesso sapeva. Ricordava il fuoco nella foresta: i suoi genitori erano stati offerti in sacrificio a Moloc, il dio civetta.
Odio e rabbia afferrarono Caleb. Strinse le mani allo stipite della finestra a cui si reggeva, voleva farla finita.
-          Caleb – la voce roca di Ariel lo fece impallidire – non farlo, io..- le lacrime le scorrevano  fino al mento tremolante.
Il giovane si girò verso di lei e la fissò negli occhi grandi, che adesso mostravamo venature rosse dovute al pianto disperato.
- …io ti amo
 
Tre parole. Mille sensazioni.
Il cuore di Caleb palpitava, le guance gli divennero rosse, e il calore lo inondò dal petto fino alla fronte.
Scese dal davanzale, ma una fitta alla fronte lo piegò in due dal dolore. Ariel stava per avvicinarsi ma fu bloccata dalla mano del padre.
Il pastore si avvicinò al giovane che urlava e si accovacciò sulle ginocchia.
-          Caleb ascoltami,  tu rifiuti il Regno di Satana?
-          Si! Con tutto me stesso…- ringhiò, con occhi serrati.
-          Rifiuti il peccato?
-          Si!
-          Vuoi entrare nel Regno di Dio?
Il giovane annuì più volte, ma in questi casi la parola è quella che unisce la volontà del cuore e a quella della mente.
-          Rifiuta lo spirito di Acab e pronuncia la tua decisione se lo vuoi con tutto il cuore! – ordinò il padre.
 
Ariel si strinse  a Joshua, che la rassicurò sussurrando - tranquilla, tutto questo è un bene per lui-  Le diede un bacio sulla fronte e strinse il viso della ragazza al suo petto.
Thabita venne portata dagli anziani della chiesa dentro il Luogo Santo, per compiere la medesima operazione del padre.
 
Caleb urlò e dopo il suo consenso il padre, aiutato da Joshua e Heliu, portò il giovane vicino all’acqua battesimale.
Caleb era bianco in viso e non riusciva a reggersi in piedi. Lo portarono alla vasca e, sempre aiutato dai due, salì gli scalini e non appena toccò l’acqua col piede gridò ancora una volta. Il padre li incoraggiò :
-          ragazzi non abbiate paura, deve nascere di nuovo per entrare nel Regno, avanti, immergetelo.
 
Il ragazzo aveva la febbre alta e  il demone di Acab, che ancora non l’aveva lasciato, lo fece svenire tra le braccia dei due ragazzi che, a fatica lo fecero entrare in acqua.
-          Ora faccio io ragazzi – il padre si avvicinò al suo volto, pregò per lui e gli soffiò nelle narici.
 
Caleb si destò e si stupì di essere dentro quella vasca. Non ricordava nulla.
-          Il battesimo è un atto di coscienza Caleb. Ripeterò le domande, affinché tu sia sicuro della tua scelta perché il cristianesimo è essenzialmente libertà.
 
Il padre ripeté e il ragazzo acconsentì. Gli pose i palmi delle mani sul  capo e lo immerse tre volte, nel nome del Padre, Del Figlio e Dello Spirito Santo.
 
Durante le immersioni il giovane si sentì come sgravato da un peso. Un energia maligna lo attraversò dalla nuca al petto, sotto forma di brividi di freddo, fino ad arrivare ai piedi mentre usciva dall’acqua. La sua mente era leggera, era come se i suoi piedi scivolassero al suolo. La gravità non esisteva. Scese il primo gradino, spalancò gli occhi ridenti e fece un largo sorriso al padre. Per la prima volta si sentì in pace.
 
Si mise un accappatoio sulla maglia grigia che aderiva al petto e  si guardò allo specchio posto alla parete poco prima di aprire la porta: le guance erano rosee, e gli occhi color zaffiro. Quella curva del sorriso, che evidenziava la dentatura perfetta, non accennava a cancellarsi.
Si girò verso la maniglia della porta e la osservò a lungo. In una frazione di secondo gli balenarono alla mente tutte le esperienze e sensazioni provate accanto a quei ragazzi, i suoi nuovi amici, i suoi nuovi fratelli. Abbassò tutta la maniglia dorata, fece un profondo sospiro e aprì la porta.
 
 
 
 
 
 
La forte luce che proveniva dalle finestre del corridoio lo accecò per qualche secondo.  Poi un urlo di gioia, una specie di coro da stadio lo intontì, e sentì una persa leggera ai suoi fianchi. Abbassò il viso e li vide: due occhi color nocciola, le labbra delicatamente rosse e quella pelle olivastra delle spalle su cui si posavano i capelli corvini.
Ariel. Il suo angelo. Lo strumento di Dio per salvarlo.
 
Dai capelli colavano piccole goccioline d’acqua, che le bagnarono le gote, e scesero lungo il viso roseo.
Lui le asciugò quel rigo trasparente col pollice e con lo stesso le sfiorò il labro inferiore. Un nuovo bacio, dolce, sensuale e travolgente, segnava l’inizio della loro avventura. Sciolsero le loro labbra, mentre i ragazzi, attorno a loro, fischiavano e auguravano felicità e benedizioni al nuovo arrivato.
 
-          Caleb, fratello- sussurrò la voce profonda di Joshua, ponendogli una mano sulla spalla e porgendogli  la mano con un sorriso sincero, ma Caleb, con un sorriso sghembo, lo tirò a sé per un abbraccio fraterno.
Uno dei tanti spiriti che vagano davanti al trono celeste è quello della Riconciliazione e in quel momento aveva invaso il loro cuore.
 
Adesso Caleb si sentiva in famiglia.
Si sentiva in Cielo.
  
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