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Autore: LyraWinter    22/09/2012    4 recensioni
Brady mosse qualche passo verso di lei, incerto se compiere quel gesto un tempo così ordinario, ma che ora gli pesava più che la stessa lontananza e totale indifferenza che si erano mostrati l’un l’altra in quegli ultimi anni. Poi, con un inaspettato slancio di coraggio, tese le braccia per stringerla, in un gesto che sembrava volerle dirle -tregua-.
Fu in quel momento che Annie la vide: impercettibile, sottile, quasi invisibile, una fascetta dorata brillava sull’anulare sinistro del suo migliore amico d’infanzia. E allora capì che sì, forse erano i grandi beni che provocavano grandi mali, ma che quelli piccoli, provocavano disastri. E che niente, a Province Town, sarebbe più potuto essere come lo ricordava.
[STORIA SOSPESA MOMENTANEAMENTE PERCHé IN CORSO DI REVISIONE-RIVOLUZIONE]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non lasciarmi'
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A Emilina, la bulla laureanda.

A V, Erica, Elle,

ma soprattutto a Gnagny.

Waiting for September, 28th.

A voi, che mi leggete ogni giorno



4.

 

It's one door swinging open

and one door swinging close

 

(parte 2)

 

canzone del capitolo

 

 

 

 

 

 

 

 

Annie correva già da una ventina di minuti quando il sole aveva cominciato a splendere alto in un cielo il cui colore sporcato dalle tinte gialle e rosa pesca tipiche dell’alba era gradatamente divenuto di un azzurro acceso, limpido e libero da ogni traccia di nuvola. Normalmente, a quell’ora del mattino, si concedeva un risveglio graduale, adottando un’andatura più simile ad una camminata veloce, ma il ricordo degli eventi della sera precedente, che riviveva in quei momenti di solitudine, le trasmetteva una tensione così forte che il suo passo si era ben presto allungato, trasformandosi in una corsa a perdifiato lungo quel paesaggio così familiare, eppure a tratti opprimente.

L’umidità che saliva dalla sabbia scura e compatta della riva non la infastidiva ormai più ed, anzi, le sembrava quasi che le gambe stanche ed affaticate per quella corsa mattutina ne traessero refrigerio. Rallentò progressivamente l’andatura mentre dalle cuffie le giungevano le ultime note della canzone conclusiva della playlist creata apposta per farsi forza durante la lunga attività fisica. Scartò a destra, lasciando che l’acqua fresca le scorresse sotto i piedi, ascoltando ad occhi chiusi il rumore delle onde che si infrangevano a riva e dello scalpiccio delle suole delle scarpe che vi sguazzavano sollevando piccoli schizzi bianchi.

Quando il respiro si fu calmato ed i battiti regolarizzati, ritornò sulla sabbia asciutta, lasciandosi cadere a terra, con le gambe e le braccia distese, crogiolandosi nel tepore del primo sole. Dopo qualche minuto passato con lo sguardo fisso al cielo rotolò sulla pancia, per rivolgere uno sguardo distratto verso la sommità della spiaggia, in direzione delle piccole case in legno grigie e bianche che si estendevano l’una accanto all’altra, dove le persiane dei più mattutini cominciavano ad aprirsi lentamente, lasciando filtrare la prima luce del mattino. Stava quasi per scivolare nel sonno, cullata dalle note della musica che usciva dall’Ipod, quando ebbe l’impressione che attraverso le palpebre socchiuse la luce si facesse più scura, come se qualcosa, o meglio qualcuno, si fosse frapposto fra lei e il sole che si stava alzando sull’orizzonte.

-Sapevo che ti avrei trovata qui.

Annie aprì gli occhi, aggrottando la fronte: in impeccabile tenuta velistica, Brady torreggiava dinnanzi a lei, con due identici contenitori di caffè in mano.

-Posso?- le domandò esitante, indicando un punto impreciso al suo fianco; Annie annuì silenziosa, raccogliendo le gambe al petto, circondandole con le braccia e fissandolo con estrema curiosità. Notò che aveva il viso stanco di chi, come lei, non aveva chiuso occhio la notte precedente e forse per quello, o per il palese imbarazzo, teneva lo sguardo fisso sul suo contenitore del caffè, roteandolo lentamente, visibilmente incerto sul da farsi. Dopo un breve attimo di esitazione passato a sorseggiare pensosamente la bevanda calda, tuttavia, il ragazzo iniziò a parlare con decisione, come consapevole del fatto che era giunto il momento di affrontare la spinosa situazione in cui si erano trovati da quando Annie aveva fatto ritorno senza alcun preavviso.

-Mi dispiace per quello che ti ho detto ieri sera,- esordì secco.

Annie assaggiò il caffè, storcendo il naso quando il liquido ancora bollente le bruciò la punta della lingua.

- Non devi scusarti,- rispose infine, -me lo sono meritata.

-Questo non giustifica il mio comportamento.

Annie sospirò profondamente: sapeva che, ora che Brady aveva vinto ogni timore abbattendo quel muro di risentimento che avevano entrambi contribuito ad innalzare, anche lei avrebbe dovuto scusarsi. Anzi, a pensarci bene gli doveva molto di più; il motivo per cui l’aveva lasciato, sei anni prima, sul ciglio di una strada con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni beige, a guardare allontanarsi la sua migliore amica, convinto di rivederla di lì a poco, per esempio. O ancora perché non aveva mai risposto alle sue telefonate, alle sue e-mail, e le ragioni per cui aveva intimato suo padre di non fornirgli il suo recapito londinese, o di dargli sue notizie (divieto su cui Kenneth Morgan aveva soprasseduto la prima volta che Brady aveva piantato le radici nel giardino del Brass Key, rifiutandosi di andarsene fino a che non gli avesse detto almeno come stava sua figlia).

Più e più volte, in passato, aveva riflettuto e fantasticato a lungo dinnanzi allo specchio della sua cameretta londinese, tentando di immaginarsi come sarebbe stato il momento in cui si sarebbero rivisti e quali parole gli avrebbe rivolto. Temeva il suo silenzio, il suo odio o, peggio ancora, il suo disinteresse: aveva fatto di tutto per mettere fra di loro la maggiore distanza possibile e non solo in termini geografici, eppure una parte di lei non poteva fare a meno di perseguire la puerile illusione che Brady l’accogliesse come se nulla fosse accaduto. Nella fittizia realtà che si era creata però non aveva fatto i conti con il fatto che, sebbene lei fingesse che laggiù tutto fosse rimasto immutato, anche la vita di coloro che erano rimasti a Province Town era andata avanti; ripartire dal giorno in cui ne aveva varcato definitivamente i confini era dunque impossibile, a meno di non voler sconvolgere le fragili dinamiche che si erano consolidate in quegli anni di lontananza. Non era più il suo nome che veniva affiancato perennemente a quello di Brady, bensì quello di Hailey, e lei non aveva in alcun modo intenzione di rompere questo legame, sebbene una morsa allo stomaco la costringesse a distogliere lo sguardo tutte le volte che gli occhi le cadevano sulla fede che il suo amico portava al dito: come aveva già tentato di spiegare a suo padre, sapeva benissimo quanto in fretta si sarebbe diffusa la voce che la sua venuta in città aveva portato ad una rottura fra Brady e sua moglie, anche se il loro matrimonio era ormai appeso ad un filo troppo logoro e consumato. Strinse il pugno destro attorno alla sabbia con forza; non avrebbe permesso che il suo nome rimbalzasse con un sussurro in città di bocca in bocca come era successo anni addietro a quello dei suoi genitori, anche se questo significava mandare a monte ogni intento di completa sincerità con il suo migliore amico d’infanzia.

-Senti, Annie, io credo che siamo partiti con il piede sbagliato,- ricominciò lui, distraendola dalla lotta intestina che si stava scatenando in lei fra le ragioni del cuore e quelle della ragione stessa. -Non sbagliavi quando sostenevi che non possiamo fingere che questi anni non siano passati. Non siamo più i due ingenui diciottenni di un tempo.

Annie continuò a non rispondergli, limitandosi a fissarlo appoggiando la guancia sulle ginocchia, sebbene cominciasse a sentirsi vagamente rasserenata. Al vederla, Brady le sorrise impercettibilmente di rimando, prendendo coraggio via via che vedeva i suoi occhi addolcirsi e le sue sopracciglia corrugate distendersi. Si voltò verso di lei, esibendo un’espressione soddisfatta e le allungò la mano destra: -Piacere, io sono Brady Sanders.

La ragazza fissò basita la sua mano tesa, indecisa sul da farsi: poteva distinguere nettamente l’impercettibile tremolio delle sue dita lunghe e sottili, mosse incessantemente dal nervosismo e dall’imbarazzo.

-Senti, per favore, potresti ricambiare il saluto così da non farmi sembrare un perfetto idiota?- protestò debolmente stendendo il braccio verso la sua pancia, innervosito dall’assenza di una qualsiasi reazione da parte di Annie.

Scosse la testa, sorpresa, mentre un guizzo divertito le ingentiliva i tratti seri ed impenetrabili che aveva mostrato fino a quel momento. Poi, dopo una lunga pausa, gli rispose finalmente, fingendo un impeccabile accento russo: -Piacere… Svetlana.

Brady deglutì sorpreso, sgranando gli occhi azzurri divertito.

–Caspita… sono cambiate più cose di quante credessi!

Avvenne tutto in poche frazioni di secondi, ma entrambi ebbero la subitanea impressione che ci fosse un flebile barlume di speranza di poter riacquistare quella complicità che li aveva contraddistinti negli anni e che entrambi cominciavano a disperare di riconquistare: scoppiarono a ridere spensieratamente, indugiando qualche secondo per godersi quell’effimera, seppur calorosa sensazione, poi lui si schiarì la voce.

-Dunque… Svet… l… sì, insomma… cosa fai nella vita, oltre che allenarti a pronunciare il tuo nome?

-Se te lo dicessi poi dovrei ucciderti,- rispose impassibile Annie.

-Non vedo come la mia conoscenza della tua identità segreta possa influire sulle sorti del mondo, agente 007. Nessuno si darebbe pena per un disgraziato che passa le sue giornate confinato in una cittadina che, tranne in estate, viene dimenticata persino da chi vi ha avuto natali, il cui evento di massima importanza fuori stagione è la tinteggiatura della torre del municipio.

Annie gli rivolse uno sguardo comprensivo, non potendo fare a meno di notare, con una fitta allo stomaco, la punta di amarezza e nostalgia che strozzava la sua voce calma. Teneva gli occhi fissi davanti a sé, verso un oceano quella mattina insolitamente piatto, come imperturbabile, e la ragazza pensò che mai nella vita aveva incontrato occhi così soggetti alla mutevolezza della natura circostante: nel loro azzurro intenso si rifletteva il colore giallo rosato di quell’alba di inizio estate, mentre quel brillio tremolante che vi aveva colto nei primi attimi di incertezza si era sopito, tramutandosi in uno sguardo calmo e sereno come l’acqua di quella mattina.

-Sono una dottoranda della UCL,- cominciò a raccontargli massaggiandosi i polpacci infreddoliti dal contatto con la sabbia umida.

Brady roteò gli occhi con aria di sufficienza.

-Questo lo so Sve…

-Vivo a Londra, città nella quale ho trovato una seconda casa,- ricominciò a spiegare lei ignorando le sue proteste. -I primi tempi mi ha ospitato mia zia, la sorella di mio padre un po’… particolare, te la ricordi?

Brady annuì serio ,- se per particolare intendi svitata sì, me la ricordo.

–Stavamo in un appartamento a Marble Arch, a pochi metri da uno degli accessi principali di Hyde Park, dividendolo con la sua insegnante di yoga indiana ed un soggetto non bene identificato di origine italiana, che rispondeva al nome di Beppe. La sua pizza era fantastica, peccato che un giorno sia sparito e di lui non si sia più saputo nulla. Quasi a malincuore ho accettato il posto in studentato l’anno seguente, mi divertivo tantissimo con loro, anche se le condizioni minime di igiene non erano sempre garantite ed ero spesso assuefatta dalle strane sostanze di cui non ho mai voluto accertare la legalità che si fumavano dopo le cene a base di tofu e seitan.

Brady scoppiò a ridere nuovamente, appoggiando il mento sul braccio e rimettendosi in assorto ascolto del suo racconto. Annie non poté fare a meno di notare che quell’espressione malinconica non abbandonava i suoi occhi né la sua bocca ora stesa in un sorriso trasognato; era evidente che stesse bevendo avidamente ogni singola parola che usciva dalla sua bocca e che con il suo atteggiamento assorto le stesse domandando di non fermarsi, di continuare a raccontare per colmare quell’enorme vuoto che li teneva lontani, quasi totalmente ignari della vita che avevano condotto dopo il liceo. Così, cogliendo quella muta richiesta, non poté che continuare, sospirando profondamente.

-Sto bene, se è questo che desideri sapere. Ho tantissimi amici, una borsa di studio estremamente esigua con cui pagare l’affitto di una singola a Camden Town, in una deliziosa casetta che divido con una seconda famiglia i cui membri sembrano tutti affetti da gravi problemi mentali e, nel frattempo, arrotondo con qualche pezzo free lance e perdendo la salute dietro a due adolescenti che non hanno la minima voglia di studiare. Sono quasi sempre al verde, ma anche molto felice e soddisfatta di quello che faccio. E tu, talentuoso giovane architetto, che combini nella vita?

Brady aprì gli occhi, irrigidendosi: sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui giustificare ad Annie le proprie scelte di vita avrebbe significato farlo anche con sé stesso, ma ora che il momento era giunto non era più sicuro di essere pronto. Ogni mattina, guardando allo specchio l’immagine di un uomo che non gli sembrava nemmeno di conoscere, si domandava come sarebbe stata la sua vita se non avesse scelto ciò che il suo senso del dovere gli aveva imposto, cosa ne sarebbe stato di lui se avesse continuato a perseguire i suoi sogni e le sue passioni e non si fosse votato alla vita coniugale ed all’interpretazione perpetua del figlio modello e del maturo figlio maggiore di una famiglia che, con lui in California, stentava ad affrontare la vita di tutti i giorni. Era certo di avere fatto una scelta responsabile, ma questo non portava come naturale conseguenza la su felicità e sospettava che a lungo andare Annie se ne sarebbe accorta, esattamente come era conscio avesse colto immediatamente la profonda invidia che provava per la sua libertà mentre gli raccontava la sua vita lontano da Province Town.

Tentò dunque di sviare il discorso, sperando quanto meno che Annie decidesse di soprassedere sulle questioni scomode, almeno per il momento.

-Non sono poi così talentuoso, a quanto risulta evidente,- replicò, sollevando fra le dita la stampa della scuola di vela della sua polo blu. -Come vedi, sono finito ad insegnare ai bambini a condurre un’imbarcazione. Ero troppo scarso persino per fare il professionista,- aggiunse in fretta, mettendo a tacere Annie che stava aprendo la bocca per protestare con forza contro le sue convinzioni. -Comincio a pensare di aver fatto un errore ad andare a Berkley. Se non mi fossi intestardito avremmo risparmiato un sacco di soldi e ora forse la situazione alla scuola sarebbe meno difficile.

Abbassò la testa rassegnato, mentre Annie, che cominciava a scalfire almeno la superficie di quel blocco di pietra dietro al quale continuava ostinatamente a nascondersi, gli sfiorava il braccio con delicatezza. Lo avrebbe abbracciato, se lui non fosse scattato a quel piccolo contatto, ristabilendo le distanze fra loro. Sapeva che se Annie fosse riuscita ad intuire anche solo in minima parte la profonda dicotomia che si era creata di lui da quando era tornato a Cape Cod rinunciando per sempre ai suoi sogni, quella pantomima che reggeva ormai da anni sarebbe crollata insieme al suo piccolo mondo di fragili certezze.

Fu dunque per senso del dovere e di responsabilità, o forse per convincere sé stesso più che lei, che aggiunse d’un fiato: -Sono felice, però, se è questo che ti stai domandando.

Annie stava sulle spine: era evidente che quella conversazione lo mettesse a disagio quasi quanto lei, così come lo era il fatto che vi erano aspetti della loro vita che forse non era ancora giunta l’ora di condividere; le cose fra loro non erano più come un tempo, questo lo capiva benissimo, eppure non poteva fare a meno di avvertire l’irrefrenabile istinto di stringerlo, di sfiorarlo con quella naturalezza e con quella spensieratezza con le quali compiva quei gesti così semplici e banali quando erano ragazzi. Fu quindi solo la consapevolezza di quanto entrambi avrebbero avuto da perdere se si fosse lasciata trasportare dai sentimenti che le fece reprimere ogni spontaneo istinto e le fece riportare la conversazione su toni meno confidenziali.

-Dimentichi la grande impresa: hai fatto crollare ogni teoria, statistica o maledizione, coronando l’idillio d’amore con la tua ragazza del liceo… ti rendi conto? Avete dato speranza ad ogni giovane innamorato depresso della città che si accinge a partire per il college!

Brady si sforzò di sorridere, mentre Annie, ripreso coraggio, lo sfiorava: questa volta, tuttavia, non si spostò.

-Tu, sposato… penso non ci farò mai l’abitudine,- continuò la ragazza, lasciandogli il braccio dopo una breve stretta, -voglio dire… io annovero ancora fra le mie relazioni stabili quella con tuo cugino che, disgraziato, distrusse i miei voli pindarici rifiutandomi alle elementari!

-Aveva diciotto anni allora, Annie, ed era il tuo maestro di tennis!- obiettò ragionevolmente lui.

-E con ciò? Io lo amavo profondamente e gli lasciavo anonime letterine d’amore nell’armadietto dello spogliatoio…

Brady si lasciò finalmente andare ad una risata spontanea. Per qualche secondo sembrò esitare, poi riprendendo le parole di Landon, esternò il dubbio irrisolto che lo tormentava dalla sera precedente.

-Quindi nessun biondino ti attende a casa alle cinque per il tè…

Annie scosse la testa, indecisa sul da farsi. Tecnicamente non vi era nessun biondino, visto che il ciuffo di capelli che svettava sulla testa del suo ex fidanzato era rosso, come quello della maggior parte di coloro che vantavano origini puramente britanniche, eppure sentiva di non essere ancora pronta a parlare di Ethan, in particolar modo non con Brady. O avrebbe dovuto dire con se stessa? Ragion per cui, dopo aver accantonato l'idea di essere completamente sincera con l'amico, gli rispose con decisione: -L’unico biondino che mi attende a casa è Josh, il figlio di Abby. È ancora troppo piccolo per il tè, ma ho recentemente scoperto che ritardare la sua poppata è un evento tragico quasi quanto servire ad un inglese il tè alle sei! E tu ed Hailey… insomma…

Brady colse al volo l’allusione e la rassicurò, agitando le mani in segno di diniego davanti al suo viso.

-Niente biondino esistente o in cantiere!

Per un attimo tacque, come sorpreso dalla forza della sua affermazione: era naturale per due giovani sposi pensarci e aveva cominciato a maturare il desiderio di qualcosa che desse finalmente un senso alle sue scelte di vita. L’idea di diventare padre, fino a qualche tempo prima, lo eccitava, caricandolo di rosee aspettative per il futuro. Perché dunque la sola domanda di Annie era bastata a nausearlo, facendogli provare una terribile sensazione di panico e costrizione?

-Ti pare che non te l’avrei detto?- le domandò stupito.

La domanda di Brady, formulata con un tono così scontato, la sorprese, facendole replicare risentita: -Come mi hai detto che ti saresti sposato?

Lui chinò il capo, scuotendolo impercettibilmente.

-Avrei voluto chiamarti, Annie. Davvero, ho commesso uno sbaglio enorme con te e ti chiedo scusa. È che avrei voluto parlartene a voce, domandarti la tua opinione. Ma, soprattutto, ti avrei voluta accanto a me. Ti ho desiderato al mio fianco quando il commesso del negozio mi bacchettava sulla postura inadatta all’abito da cerimonia, perché sapevo che ti saresti raccolta le gambe al petto come ora e avresti riso con me della mia inadeguatezza. Al contrario di Scott, ovviamente, che sembrava perfettamente a suo agio, inamidato com’era nel suo abito nero che gli calzava fastidiosamente a pennello. Avresti dovuto vederlo, mi innervosiva anche solo rivolgergli lo sguardo! Una vita passata in jeans stracciati e Converse e indossava quel completo da pinguino come se ci fosse nato! Volevo che fossi con me in gioielleria e sentire la tua voce che mi rimproverava sulla mia incapacità di scegliere un anello adatto ad Hayley, al posto di quella annoiata di Scott, che non perdeva occasione di dare sfogo alla sua parlantina, improvvisandosi esperto persino di brillanti e pietre preziose di ogni genere. Ho chiuso gli occhi e ho immaginato che fossi tu quella che mi asciugava la camicia immacolata ridotta ad uno straccio per l’agitazione un’ora prima del matrimonio…

Annie rise sonoramente, domandandogli a chi fosse toccato quell’ ingrato compito.

-Sempre a Scott, naturalmente,- aveva replicato serio Brady, -il quale non smetteva di sottolineare che ogni giorno della mia vita mi avrebbe rinfacciato il fatto di essere in debito con lui per avermi fatto da cameriera mentre farfugliavo come in trance le mie banali e vomitevoli promesse di matrimonio.

Sembrava davvero pentito ed Annie lo strinse istintivamente, prima di riuscire anche solo a formulare in testa la razionale idea di fermarsi.

-L’importante è che tu ora sia felice.

Gli strinse le spalle larghe, appoggiando la fronte alla sua guancia ruvida di barba del secondo giorno, sfregandola senza fastidio. Le sembrava che ogni piccolo contatto le permettesse di avvicinarsi sempre di più, di riacquistare quel poco di confidenza perduta. Fu solo allora che ebbe il coraggio di formulare quella domanda che la tormentava da quando suo padre aveva accennato alla situazione sentimentale di Brady: -Perché sei felice… vero?

Qualunque risposta le avesse dato, Brady sapeva che Annie ormai aveva capito. L’unica sua speranza era dunque quella di convincerla che, sebbene non gioisse ogni giorno per le sue scelte, le portava avanti con maturità e a testa alta, cercando di trarre il meglio dalla vita che si era scelto. Tentò dunque di sdrammatizzare, in quell’indecifrabile momento carico di tensione, confidenza e nostalgia.

-Ci conosciamo solo da dieci minuti, Sve… certe cose non si rivelano agli estranei!- scherzò, sperando di farle capire a suo modo che era giunto il momento di troncare quella delicata conversazione.

-Dunque,- iniziò nuovamente, cambiando discorso, -cosa ti porta in questa ridente località di pescatori, donna di Russia? Che poi… perché proprio Sve… oh, insomma, non ce la posso fare!

Annie rise apertamente.

-È il nome di una mia compagna bielorussa, per noi anglofoni è quasi impossibile da pronunciare! Quando l’ho imparato ero così fiera di me che da allora non perdo occasione di sfoggiare le mie mirabolanti abilità, ripetendolo ogni qual volta mi si presenti l’occasione.

-Non mi hai risposto,- Brady rideva, ma non mollava.

-Era giunta l’ora di affrontare alcune questioni, suppongo. E di chiudere definitivamente con altre,- rispose esibendo un tono serio.

-Quali questioni?

-Ci conosciamo dolo da dieci minuti, certe cose non si rivelano agli estranei,- rispose lei imitando il suo tono di voce basso e fermo. Era accaduto di nuovo, nel giro di qualche secondo: avevano nuovamente eretto quel muro che li separava. Ma Annie non si dava per vinta: quella manciata di minuti sulla spiaggia era stata come una boccata d’aria dopo ore passate in un locale mal areato e fumoso. Ne era uscita e non aveva più intenzione di farvi ritorno, dopo aver percepito l’odore stantio dei vestiti impregnati del nauseabondo odore di chiuso e di tabacco. Così si voltò, aspettando pazientemente che lui si accorgesse del suo sguardo fisso sul suo profilo dritto e gli domandò: -Le cose non torneranno mai più come prima, vero?

Brady sembrò per lunghissimo sovrappensiero, tanto che Annie cominciò a disperare in una sua risposta. Poi, all’improvviso, le sistemò con studiata lentezza i capelli dietro l’orecchio e le rispose, con estrema dolcezza: -No, ma non vedo perché non possano essere meglio.

Non era molto, ma le bastava. Sapeva di avere di nuovo Brady al suo fianco, forse non come aveva sognato o desiderato, ma pur sempre accanto le era. E, per il momento, quella piccola tregua era tutto ciò di cui aveva bisogno: voleva poter tornare a ridere con lui, a scambiarsi confidenze come se fossero ancora dei sedicenni, voleva abbracciarlo. Agognava di sentire nuovamente l’appagante sensazione di quel rapporto strettissimo, a tratti anomalo che li aveva legati fin dalla nascita e di cui ,quella mattina, aveva avuto nuovamente qualche debole segnale.

-Sono certa che una cosa non è cambiata,- disse sollevandosi di scatto,- posso ancora batterti in velocità. Forza, chi arriva ultimo al Pheseant paga la colazione!

Partì di colpo, sollevando una nuvola di sabbia che investì Brady in pieno, permettendole di guadagnare terreno. Tuttavia, la sua piccola statura, non poteva nulla a confronto delle sue gambe alte quanto tutta lei e ben presto l’amico le fu dietro e la superò svelto. Provò a spintonarlo, ma era impossibile smuovere quella pertica di nervi e muscoli, così tentò di strattonarlo, aggrappandosi al fondo della sua polo. Brady perse l’equilibrio e crollò rotolando a terra, trascinandosela dietro senza fatica alcuna; rotolarono qualche metro, per poi abbandonarsi, scossi dalle risate, con le gambe distese e la pancia all’aria. Stavano ancora schiamazzando come due bambini nella foga del gioco, quando una voce severa, proprio come quella di un adulto che rimprovera il proprio figlio, stroncò quel gioco infantile.

-Annie,- l’appuntò seria sua madre, apparentemente ignorando il fatto che fosse in compagnia di un’altra persona.

La ragazza balzò in piedi, tentando disperatamente di abbassare la maglietta che nella foga le aveva lasciata scoperta la pancia e gran parte del torace.

-Noi non...- tentò di giustificarsi, maledicendosi per il balbettio, palese dimostrazione del suo imbarazzo.

-Oh, so benissimo che voi non, è proprio questo il problema. Annie, non puoi continuare a comportarti come una bambina, hai venticinque anni. Abbassò il capo ammutolendosi di colpo, mentre Brady, rosso in volto, cominciò ad allontanarsi lentamente, sperando di sparire alla vista dell’impassibile e severa Elinor Cooper.

Questa però, notando il suo stare sulle spine gli si rivolse con fermezza, forse per gentilezza, forse solo perché era ben consapevole del fatto che se c’era una persona in grado di far ragionare sua figlia, quello era lui. In ogni caso, per quando nobili fossero le sue intenzioni, tuto ciò che ottenne non fu altro che un ulteriore motivo di imbarazzo da parte del ragazzo.

-Per favore, Brady, non sentirti di troppo.

Lui bloccò il passo a mezz’aria, indeciso sul da farsi, mentre Annie sbuffava sonoramente sentendo crescere nuovamente in lei quell’opprimente sensazione di disagio da poco sopita. Furono tuttavia le parole che sua madre aggiunse subito dopo quelle che fecero crollare ogni suo tentativo di risultare paziente e comprensiva; Elinor infatti, dopo qualche secondo di silenzio, continuò impassibile e con voce allusiva: -Capisco l’entusiasmo di rivedervi, ma mi pare di aver visto pochi minuti fa Hayley.

Annie la fulminò con odio e, non avendo nessun bicchiere da rovesciare, le si sarebbe volentieri scaraventata addosso, se non fosse stato che, senza preavviso alcuno, sua madre ricominciò a parlare, facendole morire le parole in gola e spalancare la bocca per lo stupore.

-Mi dispiace. Sono stata inopportuna.

Annie e Brady sgranarono gli occhi, assumendo la stessa, identica espressione basita: da quando Elinor domandava scusa per il suo linguaggio tagliente? Per qualche istante si fissarono imbarazzati, attendendo con trepidazione che uno dei tre trovasse il coraggio necessario per rompere quel silenzio insopportabile calato fra di loro. Brady spostava nervosamente il peso da una gamba all’altra, grattandosi la guancia e facendo ribalzare lo sguardo dall’una all’altra donna, tentando di indovinare quale sarebbe stata la loro prossima mossa e, in caso di emergenza, prevenire gli eventuali danni. Dall’esterno, pensava con crescente ansia, ci si sarebbe aspettati che Elinor tentasse di abbracciare la figlia, dimostrando al mondo di essere una persona capace di provare affetto incondizionato o, quantomeno, una madre con un cuore nella parte sinistra del petto, sebbene nascosto sotto una scorza di freddezza e risentimento. La signora Cooper, o meglio, VanCamp, tuttavia non era né normale, né tantomeno sapeva cosa volesse dire comportarsi da madre, visto che non aveva esitato nemmeno un secondo a svestire i panni del genitore responsabile per abbandonare la sua famiglia su due piedi, perseguendo i suoi sogni d’amore –e di gloria- avrebbe aggiunto Annie. Perciò, come da copione, non fu capace di lasciarsi andare in un gesto tenero o spontaneo, ma si rivolse alla figlia nell’unico modo di cui, da impeccabile donna dell’alta società più avvezza agli eventi mondani che ai momenti di intimità domestica, era capace: -Venerdì sera io e la zia organizziamo una cena a casa, mi piacerebbe se partecipassi. Ci saranno anche Sam ed Abby.

Sam. Era così piccola ed inconsapevole quando sua madre se n’era andata che non era in grado di portare rancore, dal momento che nemmeno ricordava come fosse la sua vita quando ancora i loro genitori erano sposati e gestivano insieme il Brass Key. Quando la donna era riapparsa nella loro vita, pretendendo di tornare ad occupare quel ruolo che non le spettava più nemmeno di diritto, la piccola, desiderosa di avere anche lei una mamma che la crescesse, l’aveva accolta senza riserva alcuna nella sua vita, accettando di buon grado anche il suo modo affettato di dimostrarle il suo amore. Abby per parte sua era sempre stata così buona e saggia che la parola rancore non figurava nel suo vocabolario; sin da piccola si era sempre dimostrata incapace di restare arrabbiata per un lasso di tempo maggiore di qualche ora e, anche con la madre, non era stata in grado di mantenersi distante quando questa aveva tentato di riallacciare i rapporti perduti. Così, delle sorelle Morgan, l’unica si era categoricamente rifiutata di recuperare gli anni andati e dimenticare così i torti da lei commessi in passato, era stata proprio Annie, fermamente convinta che ogni tentativo di approccio da parte sua sarebbe stato dettato da mere ragioni opportunistiche. E non si sbagliava.

-Jamie?- domandò sollevando il mento, certa che il fratello non l’avrebbe tradita.

-Ci sarà anche lui.

Annie si sentì messa con le spalle al muro: come poteva rifiutarsi, quando anche Jamie, saldo portabandiera della crociata in difesa del loro papà, si era mostrato aperto alla possibilità di un dialogo di pace? Continuò a mordicchiarsi il labbro esitante, alla disperata ricerca di una scusa per declinare l’invito. Si voltò verso Brady con sguardo supplichevole, ma ebbe l’impressione che anche lui la guardasse con espressione di rimprovero.

-Ci sarà anche… quello?- domandò con tono scocciato, roteando gli occhi ed incrociando le braccia al petto.

-Quello si chiama Richard, Annie, ed è mio marito da dieci anni. Perché continui a fare finta di ignorarlo?

Annie chinò il capo. Era consapevole che, da persona matura quale sua madre forse non era, sarebbe toccato a lei seppellire l’ascia di guerra, ma il pungente senso di colpa nei confronti del padre le impediva di lasciarsi andare. Sapeva che lui non le avrebbe mai impedito di riavvicinarsi ad Elinor e che l’avrebbe anzi incoraggiata e sostenuta in un momento così delicato, eppure continuava a metterla a disagio l’idea che, concedendosi a lei, l’avrebbe inevitabilmente tagliato fuori da una parte della sua vita. Di tutti e quattro i figli Morgan, nonostante fosse quella che si era allontanata, lei rimaneva indubbiamente la più attaccata al padre e la paura di ferirlo o deluderlo si era sempre mantenuta così salda in lei, da spingerla a non cercare la madre, mostrandole negli anni solo un rancore mai sopito ed una rabbia incondizionata.

-Se non lo vuoi fare per me, almeno fallo per Nicole, la cena è stata organizzata per presentare David alla famiglia.

-E va bene,- Annie annuì infine impercettibilmente, osservandola salutare mostrando un sorriso sollevato a lei e Brady ed allontanarsi poi con passo svelto per il risveglio muscolare mattutino. Si voltò verso l’amico che, ancora impassibile, fissava le spalle di Elinor muoversi armonicamente con il corpo ancora perfetto, degno di invidia da parte della stragrande maggioranza delle ventenni.

-Mi accompagni?- gli domandò senza pensarci, arpionandosi al suo braccio.

Brady si voltò di scatto, fissandola come se gli avesse domandato una qualche follia, come girare in piazza nudo, con il solo stendardo dei New York Knicks a coprirgli le parti intime.

-Annie, io non credo che sia il caso…- cominciò imbarazzato.

La ragazza annuì a malincuore, ma comprensiva; forse presentarsi ad una cena di famiglia con il migliore amico d’infanzia, con cui da poco aveva riallacciato uno straccio di rapporto, neo sposo di un’altra donna non era il modo migliore per convincere sua madre che aveva a che fare con un’adulta matura e responsabile.

Gli sorrise maliziosa, cambiando improvvisamente discorso.

-Ora si pone un grosso problema…

-Che sarebbe?- gli domandò lui, preoccupato per la folle idea che si era fatta spazio nella sua testolina castana.

-Tutto questo chiacchiericcio mi ha messo fame…

-Non l’avrei mai detto… e dunque?- sospirò lui, sempre più preoccupato.

-E dunque c’è un problema logistico,- rispose Annie, muovendo qualche passo all’indietro. -Non ho soldi nel portafoglio e nessuna voglia di passare a prelevare. Quindi ti toccherà faticare il doppio per arrivare per primo al Pheseant…un, due, tre, muoviti lumaca!

Cominciò a correre, voltandosi di tanto in tanto quel che bastava per vederlo scuotere la testa, rassegnato, ma con un sorriso spensierato dipinto in volto e gli occhi finalmente sereni, a testimonianza del fatto che, anche per loro, era arrivato il momento di seppellire l’ascia di guerra e lasciarsi trasportare dal corso degli eventi. Di quello che sarebbe successo l’indomani non era il caso di preoccuparsi: tutto andava bene e, per il momento, tanto valeva godersi quell’inaspettata ventata di pace e tranquillità.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Nicole sentiva le forze venire lentamente meno e poteva avvertire l’estrema fatica di tenere le palpebre aperte, mentre sbocconcellava distrattamente uno dei miracolosi biscotti al cioccolato per cui la signora Anderson era famosa in tutta la città. Stava appollaiata su uno degli alti sgabelli di legno posizionati di fronte al bancone, con la testa poggiata pesantemente sulla mano destra ed i capelli scomposti che le coprivano parzialmente il viso, abbassando a rallentatore la sinistra per intingere il dolcetto nella tazza di bollente liquido che Scott le aveva messo in mano prima che lei avesse tempo di protestare sulla scarsa digeribilità del latte caldo abbinato alla caffeina.

Lui, da parte sua, stava accasciato con la schiena contro al frigorifero, fissandola con gli occhi socchiusi ed il capo poggiato contro la fredda superficie di acciaio, asciugando meccanicamente i bicchieri fumanti appena usciti dalla lavapiatti con tutta l’aria di chi sta pensando a tutt’altro che alle proprie faccende.

Chiunque avesse fatto il suo ingresso in quel momenti al Pheseant, dopo una fugace occhiata, non avrebbe esitato a trarre la conclusione che i due stessero disperatamente -e inutilmente- tentando di rimanere svegli dopo una notte passata a fare tutt’altro che riposare. E non avrebbero sbagliato se non fosse stato che quell’“altro” aveva previsto solamente un’abbuffata, cinque birre ghiacciate che avevano alimentato un lungo diverbio circa la netta superiorità del fish and chips di Scott, paragonato a quello dell’Houndstooth Pub, sulla 8th Avenue, al quale Nicole sosteneva di essersi avvicinata solo un paio di volte con troppa veemenza da risultare credibile. Peccato anche che l’apice del pathos fosse stato raggiunto nel momento in cui lei, vinti finalmente i propri integerrimi principi, aveva rubato lesta la patatina più croccante dal piatto da cui lui stava attingendo con voracità. Eppure, ad occhio ignaro del reale svolgimento dei fatti, tutto suggeriva il qui pro quo, specialmente a giudicare dallo sguardo incredulo che si scambiarono Annie e Brady non appena fecero ingresso, trafelati, sudati e stremati dalla corsa al Pheseant, lasciandosi crollare sul divanetto di velluto rosso accanto alla vetrina. Nessuno sforzo fisico avrebbe impedito loro di notare con incredulo stupore le espressioni assonnate e peste dei due mattinieri presenti, il ciuffo ancora più spettinato del solito di Scott ed i suoi occhi trasognati che fissavano Nicole dietro le lenti degli occhiali indossati quella mattina, che si erano rivelati provvidenziali quando i suoi bulbi, arrossati e affaticati dalla veglia notturna, si erano categoricamente rifiutati di sottoporsi alla tortura quotidiana delle lenti a contatto.

-Nicky?- domandò Annie con tono inquisitore, osservando incredula il biscotto pieno di burro e pezzi di cioccolata che sua cugina aveva appena intinto nel caffè, senza sapere cosa la sconvolgeva di più fra l’enorme quantità di grassi saturi che stava divorando imperturbabile o il suo abbigliamento bizzarro. Sembrava quasi che la ragazza si fosse dimenticata di vestirsi e fosse scesa in strada con il pigiama di David: peccato che le probabilità di trovare un paio di pantaloncini della squadra di basket di Boston nell’armadio di un pluripaparazzato fedele dei Knicks, assiduo frequentatore del parterre del Madison Square Garden, fossero ancora più basse di quelle che Nicole si scordasse di sostare quaranta minuti dinnanzi allo specchio di casa prima di uscire il mattino.

-Nicky!- Ripeté ancora, quando un pezzo di pasta troppo inzuppato crollò nel liquido bollente, schizzandole la faccia e la… era una maglia a righe verdi e marroni tipicamente maschile quella che indossava sua cugina?

Come se tutto ciò non fosse bastato a destare i sospetti dei presenti, alla sua esclamazione, Scott, che li aveva ignorati continuando distrattamente ad asciugare un bicchiere ormai consumato a furia di strofinarlo, sussultò talmente forte che il vetro gli scivolò fra le mani, cadendo fragorosamente a terra.

-Guarda che disastro!- esclamò Nicole sollevandosi con incredibile velocità per la condizione psicofisica che aveva mostrato fino a quel momento, strofinandosi con foga il viso macchiato di caffelatte. -Sarà meglio che vada…

-Ma siamo appena arrivati, prendi un caffè con noi,- protestò Annie.

-Davvero io… devo andare. Tanto ci vediamo nel pomeriggio, no? Brady… Anderson…

Nicole si voltò appena a guardare Scott, per paura di incrociare il suo sguardo. Si allontanò in fretta, silenziosa sui piedi ancora scalzi; se non fosse stato per il fastidioso campanello che Scott si ostinava a lasciare appeso sulla porta d’entrata, nessuno si sarebbe nemmeno accorto del suo elegante defilarsi.

-Scott?

Brady, che aveva seguito con gli occhi socchiusi la ragazza fino a che non si era chiusa alle spalle la porta d’entrata, si voltò di scatto verso l’amico, intento a raccogliere i frammenti sparsi sul pavimento. Stava spazzando la ormai linda superficie delle piastrelle in grès, ma non aveva intenzione di smettere, né di alzarsi esibendo un’espressione impassibile; ammesso anche che vi fosse riuscito, niente avrebbe potuto nascondere le macchie rossastre che si erano espanse sul suo viso sbarbato.

-Mmmm…- si limitò a mugugnare con tono vago, fingendosi ancora occupato.

-Devi dirci qualcosa?- gli domandò Brady affacciandosi dal bancone e piantando ostinatamente il suo sguardo sulla sua nuca, attendendolo al varco, nel momento in cui si sarebbe deciso a sollevare la testa.

-Io?- esclamò con un tono di voce insolitamente acuto, sorprendendosi di trovare il viso di Brady a così poca distanza dal suo.

-Quindi se ti chiedo perché Nicole indossava una maglia a righe marroni e verdi incredibilmente somigliante alla tua, tu mi diresti che è una pura coincidenza, vero?- continuò a domandargli, ignorando deliberatamente la sua colpevole domanda.

-Ovviamente. Esattamente come altri milioni di persone su questo mondo, visto che la vedono da H&M a soli 4 dollari e 99 cents,- rispose laconico, continuando a spazzare un pavimento ormai tirato a lucido.

-Appunto!- incalzò Annie. Scott la guardò con espressione vacua, domandandosi cosa avesse detto di così sbagliato da fare sì che i suoi amici si scambiassero uno sguardo soddisfatto, incrociando in maniera inquietantemente identica le braccia al petto.

-Scott Daniel Anderson,- lo rimproverò con teatrale lentezza la ragazza, -devo ricordarti che stiamo parlando di Nicole Cooper? Credi di poterci dare da bere che Miss Vogue possa andarsene in giro con una maglietta da cinque dollari comprata in un qualunque punto vendita di una delle catene più economiche e dozzinali al mondo?

Scott deglutì lentamente, sentendosi messo con le spalle al muro: era ben consapevole di non aver fatto nulla di male, eppure si ostinava a voler mantenere segreto quel piccolo episodio notturno con Nicole. Era come se si fosse costruito una fantasia tutta sua ed avesse paura che rivelarla a terzi avrebbe soltanto contribuito a sminuire l’importanza che avevano acquistato ai suoi occhi quel paio di ore, e a ridurle a ciò che realmente erano: null’altro che una pura concatenazione di sfortunati eventi. E poi lei gli aveva fatto promettere di non dirlo a nessuno e per nessuna ragione al mondo avrebbe tradito la sua fiducia.

Per cui, fingendo un’espressione impassibile ed un tono imperturbabile, azzardò timidamente, alzando le spalle.

-Magari era rimasta al verde a furia di mangiare sushi in uno di quei ristoranti da Sex and the City in cui paghi anche la carta igienica della toilette?

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Un caffè e due muffin ai mirtilli dopo, Annie usciva dal Pheseant leggermente stordita dal chiacchiericcio di Scott che, dopo l’uscita di scena di sua cugina sembrava aver riacquistato l’abituale uso della parola. Si addentrò lentamente nelle stradine del centro brulicanti dei turisti ormai completamente svegli che si recavano in spiaggia, o semplicemente gironzolavano distratti, senza una particolare meta. Si sorprese ancora una volta a fissare stupita le porte, i davanzali ricoperti di fiori e le vetrine dei negozi, stentando a credere di trovarsi nuovamente a casa, a compiere quei piccoli riti quotidiani che per anni avevano scandito le sue giornate a Province Town. Erano quasi le undici e doveva sbrigarsi se voleva trovare ancora del pane da portare a casa per il pranzo. Se non fosse riuscita a mettere le mani sulle famose focaccine al formaggio di Jo, suo padre non avrebbe esitato a lasciarla a digiuno, mentre l’intera famiglia si godeva in giardino la famosissima salsiccia alla Kenneth: semplici pezzi di carne cotti sulla brace. Niente di eclatante o difficile da preparare, ma nessuno osava contraddire il Signor Morgan facendogli notare che quella ricetta non aveva nulla di speciale, a meno di non voler passare i peggiori cinque minuti della giornata.

Camminava sovrappensiero, osservando un gruppetto di bambini con le loro biciclette riunitisi a confabulare sul ciglio della strada, quando una voce alle sue spalle la fece sussultare.

-Hey!

Vi sono giornate in cui, inaspettatamente, le cose cominciano a prendere la giusta piega: passeggiare tranquillamente senza meta, con le mani in tasca regala piaceri incredibili e la sola compagnia di sé stessi diviene inspiegabilmente gradevole proprio perché ci si sente in pace con il mondo. A volte questo piacere continua immutato per tutta la giornata e si va a dormire con una sensazione di appagamento che fa chiudere gli occhi serenamente; a volte, invece, tale inaspettata serie di fortunati eventi si interrompe bruscamente, facendoti ripiombare nel baratro del cattivo umore e della mal disposizione. Questo fu il caso per Annie, che voltatasi di scatto con un’aria spensierata dipinta in volto e le labbra arricciate per la canzone che stava fischiettando fra sé e sé, si adombrò di colpo quando riconobbe che colui che aveva attirato la sua attenzione era in realtà l’ultima persona che avrebbe desiderato incontrare in quel momento di insolita serenità: Landon Campbell.

-Ah, sei tu,- gli rispose voltandosi e riprendendo a camminare, sperando che cogliesse il messaggio di non benvenuto e la lasciasse proseguire in pace.

-Ti aspettavi qualcun altro?- domandò allusivo, raggiungendola con due falcate e cominciando a passeggiarle accanto, con le mani affondate nelle ampie tasche dei pantaloni blu rivoltati sotto il ginocchio.

-No.

Annie continuò a marciare svelta, puntando dritta al fornaio. Se voleva starle dietro che facesse pure, ma se le avesse fatto perdere le ultime focaccine allora avrebbe dovuto fare i conti non solo con la sua ira, ma anche con quella smossa dallo stomaco vuoto di suo padre. Ignaro del pericolo che stava incautamente correndo, Landon la superò con un passo svelto e le si piantò davanti, costringendola a fermarsi

-Sembri delusa.

-Dal non trovare chi cercavo o dal vedere te?- replicò lei annoiata, squadrandolo attentamente: con un paio di calzoncini indossati sotto ad una maglietta bianca e grigia a righe ed un paio di stringate da barca ai piedi appariva molto meno affettato della sera prima. Niente tagli di alta sartoria, fazzoletti che spuntavano dal taschino o capelli riavviati: così abbigliato le sembrava molto più giovane della sua età, o forse era solo l’effetto di quella tenuta sportiva sfoggiata con naturalezza sotto il cappellino da baseball. Piegò la testa in attesa di una sua risposta con un sorriso impertinente, osservandolo tergiversare e giocherellare nervosamente con le asticelle degli occhiali da sole.

-Entrambi direi,- rispose sinceramente Landon. -Posso offrirti un caffè per riprenderti dalla delusione?- le domandò infine dopo una lunga pausa, abbassando lo sguardo. Annie raddrizzò il capo stropicciando velocemente gli occhi incredula: avrebbe giurato che le guance del ragazzo di fossero tinte di un lieve rossore, a meno che la sua mente non le giocasse un brutto scherzo.

-Ne ho già bevuti due da quando mi sono alzata,- rispose aspettando con curiosità che lui alzasse il mento e la guardasse. Quando Landon lo fece, tuttavia, non vi era alcuna traccia di colore nel suo viso, mentre al suo posto un’espressione irritante, molto simile a quelle che le aveva rivolto la sera precedente, gli si era stampata in volto in seguito alla finta indifferenza di Annie al suo invito.

-Non avevo dubbi.

Il suo rifiuto non sembrò turbarlo affatto, dal momento che, ammiccando in direzione della pasticceria davanti alla quale si erano fermati le domandò, prima che lei potesse muovere un passo per scivolare via.

-Nemmeno un muffin?

Annie scosse la testa, distogliendo lo sguardo: -Sarebbe il terzo.

-Mi domando come mai, anche su questo, io non avessi alcun dubbio.

Lei alzò gli occhi al cielo, soppesando fra sé e sé la possibilità di stordirlo con il giornale che reggeva sotto braccio.

-Che c' é? Mi pare chiaro appetito non ti manchi,- continuò scrollando le spalle per giustificarsi. -Dove lo metti tutto quello che mangi?

Forse un giornale era una pessima idea: tre riviste, di quelle belle grosse, avrebbero fatto al caso suo.

Scrollò le spalle irritata: non sopportava l’idea di indugiare un minuto oltre a parlare con una persona che non mostrava il minimo di riserbo o imbarazzo nell’approcciarsi a lei: per tutta la vita aveva schivato con notevole abilità tutti quegli uomini per cui le sue amiche perdevano facilmente la testa che sembravano non essere capaci di avvicinarsi ad una donna se non comportandosi da perfetti stronzi, o perfetti imbecilli, per come la vedeva lei.

-Non sono bulimica, se é questo che vuoi insinuare!

Mosse rapida un passo sulla sinistra e lo schivò, ma lui fu più svelto e le afferrò una mano, bloccando i suoi passi affrettati.

-Rilassati, é evidente che non lo sei. Il mio voleva essere un complimento!

-E dimmi, questo squallido metodo di conquista di solito ha successo?- gli domandò Annie piccata, innervosita dalla stretta con cui lui la teneva ancora ferma, impedendole di sgusciare via.
-Ma non ti si può dire niente?- protestò lui aprendosi in una risata sincera. -Le donne di solito apprezzano quando si dice loro che sono magre!

A quella affermazione Annie si voltò nuovamente per studiarlo con attenzione. Le piaceva osservare il modo di agire delle persone e si stupiva ogni volta di notare come, al momento dell' approccio con l' altro sesso, questo si riducesse a due atteggiamenti: tirarsi indietro o proseguire come un treno. Il comportamento di Landon era inequivocabile, seppur anomalo. In certi momenti le sembrava di avere dinnanzi un personaggio costruito nel minimo dettaglio: affabile, affascinante, irritante, un po’ strafottente e presuntuoso. Il più piccolo dei Campbell di certo non avrebbe sfigurato nel cast di un telefilm come Gossip Girl. Ora che però le stava dinnanzi, con l’aria colpevole di chi é consapevole di aver fatto un irrimediabile sbaglio e se ne rammarica, stretto nella sua maglietta con le maniche distrattamente arrotolate e le mani affondate nelle tasche, non era più certa del suo inequivocabile giudizio.

-Senti io ora devo andare...- gli rispose confusa.

-Posso accompagnarti?- continuò imperterrito lui, con un’espressione angelica dipinta in volto, come se il piccolo diverbio di qualche minuto prima non fosse mai avvenuto.

-Tu non ti dai mai per vinto?- gli rispose Annie arrendendosi alla sua insistenza. O forse alla sua espressione ruffiana, non sapeva decidersi.

-No.
La ragazza alzò nuovamente gli occhi al cielo, tentando di mascherare il guizzo divertito che le aveva percorso gli occhi.

-E va bene. Devo andare a comprare il pane per il pranzo, però,- acconsentì infine.

-Figuriamoci se non c'entrava il cibo..

Fu allora che Annie si lasciò andare in una risata spontanea, senza più nascondere il suo divertimento: riconosceva che ci fosse qualcosa di estremamente piacevole in quel ragazzo piombato inaspettatamente -e con particolare insistenza- nella sua vita e cominciava a maturare la certezza che il vero Landon Campbell fosse ben lungi dall’impressione che si era fatta di lui la sera precedente, anche se qualcosa nel suo viso pulito e nei suoi tratti delicati perpetuava la sua irritazione. Forse era il sorriso lievemente strafottente, o la pelle liscia e tesa ammorbidita da chissà quale costosissimo dopobarba, o era semplicemente il fatto che non riusciva a smettere di lanciargli delle occhiate, sebbene facesse di tutto per non dargli l’impressione che i suoi occhi verdi l’attraessero incredibilmente.

-Dobbiamo sbrigarci però, io ci tengo alla mia testa. Glielo spieghi tu poi a mio padre il perché non gli ho portato a casa un sacco pieno delle sue focaccine al formaggio, né il pane per la colazione dei clienti domattina?

-Clienti?

-Mio padre è il proprietario del Brass Key, il Bed and Breakfast in Bradford Street,– gli spiegò lei.

Landon annuì: -Vi ho pernottato un paio di giorni ad marzo, quando sono venuto a controllare come procedevano i lavori di ristrutturazione di casa nostra. È molto carino e tuo padre è gentilissimo. E ascolta ottima musica, se non ricordo male.

Annie lo ringraziò sorridendo, continuando a camminare al suo fianco con lo sguardo fisso davanti a sé. Lui di tanto in tanto le lanciava delle occhiate di sottecchi, per capire se il silenzio che era caduto fra loro era sintomo di semplice imbarazzo, timidezza da parte di lei o, peggio, disinteresse nei suoi confronti. Capiva che il fatto che David e Nicole stessero insieme fosse una base sufficiente per un primo approccio, ma non era certo una garanzia per un rapporto più approfondito: aveva l’impressione che Annie ancora lo vedesse come una versione leggermente meno seriosa di suo fratello e questo non giocava certo in suo favore. Se avesse voluto vederla ancora avrebbe dovuto trovare qualcosa che l’aiutasse a vincere l’imbarazzo e le riserve della ragazza nei suoi confronti.

-Allora, starai in città per le vacanze estive?- le domandò sperando di potere iniziare un discorso che non cadesse nel silenzio più imbarazzante dopo pochi secondi.

-Sì, ripartirò a settembre, o forse più in là, chi può dirlo. Era da parecchio tempo che nessuna ragione mi sembrava sufficientemente valida per fare ritorno, con tuo fratello in città, Nicole sembra avere trovato tutto l’amore che non ha mai avuto per il posto dov’è nata e cresciuta.

Svoltò a destra tirandolo leggermente per la manica.

-Credo di avere accettato di stare qui con lei perché mi si era atrofizzato l’orecchio a furia di sentirla parlare.

Landon scoppiò a ridere, visualizzando Nicole e la sua parlata argentina, lasciandosi condurre attraverso le stradine del centro di Province Town.

-E tu?- gli domandò lei abbozzando un sorriso.

-Anch’io pianterò le tende a Province Town fino a fine estate, facendo la spola fra qui e New York. Ho cominciato la specializzazione e non posso allontanarmi troppo dalla città, quindi niente viaggi in posti esotici quest’anno. Certo, Cape Cod non è comoda come gli Hamptons, ma i miei sembrano fermamente intenzionati a fare risplendere casa nostra prima di metterla in vendita ed hanno imposto che passassimo tutti le vacanze qui. Anch’io credo di avere accettato pur di non perdere un orecchio che si stava accartocciando per la disperazione di sentire mia mamma lamentarsi perché non le do mai ascolto.

-Non vedo perché avresti dovuto preferire gli Hamptons e tutti gli eventi mondani dell’alta società newyorkese in vacanza a questa ridente località marittima,- rispose lei assumendo un tono serio, fingendosi offesa.

-Non avrei incontrato te se fossi andato agli Hamptons,- esordì Landon piantandosi le mani in tasca e voltandosi verso Annie per studiare la sua reazione.

Reazione che, a quanto pareva, non era quella che si sarebbe augurata la ragazza, dal momento che, dopo avere spalancato gli occhi per lo stupore, li abbassò veloce, arrossendo violentemente. Avrebbe voluto replicare con qualche battuta tagliente, ma si scoprì così sorpresa dal suo stesso comportamento, che non riuscì a trovare una risposta adeguata.

-Specializzando…- iniziò sperando di sviare il discorso.

-Chirurgia pediatrica,- rispose lui prontamente.

-Oh.

Rimase piacevolmente sorpresa: era così presa nel formulare giudizi affrettati sul ragazzo che nemmeno aveva preso in considerazione l’idea che svolgesse una professione diversa da quella di suo fratello. Non avrebbe saputo dire perché, in fondo non era un peccato capitale lavorare a Wall Street, ma l’idea di saperlo a contatto tutto il giorno con dei bambini gli faceva inaspettatamente acquistare moltissimi punti nella scala di gradimento.

-Come Alex Karev,- aggiunse sogghignando, preparandosi a spiegare all’ennesimo uomo la cui parola Grey’s Anatomy provocava una nausea acuta ed improvvisa, chi fosse il personaggio appena citato.

-Almeno non hai detto come Addison Montgomery,- obiettò lui, lasciandola ulteriormente sorpresa.

-Ti prego dimmi che non segui Grey’s Anatomy…

-Ma ti pare che guardi quella roba? È solo che me lo sono sentito dire così tante volte da voi donne che ormai li conosco come se fossero i personaggi di Nip and Tuck!

-Andiamo bene…

Al sentire nominare quella serie televisiva Annie fece una faccia così seria che Landon non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

-È una sorta di deformazione professionale, temo,- le rispose alzando le spalle, fissando come ipnotizzato il delicato profilo della ragazza, così perfetto nella sua naturalezza da sembrare disegnato da una mano particolarmente abile. La bellezza di Annie non era di quelle esorbitanti, che catturano l’attenzione al solo passaggio: piccola e magrolina, specialmente in tenuta da jogging, con il cappuccio della felpa sollevato sulla testa, poteva benissimo passare inosservata, o tutt’al più essere scambiata per una ragazzina sulla buona strada per diventare una bellissima donna eppure, si diceva Landon, il suo viso era forse il più dolce ed armonioso su cui avesse mai posato gli occhi; il naso piccolo ed appuntito, i grandi occhi azzurri e il sorriso furbo e spontaneo che le di dipingeva ogni qual volta qualcosa la divertisse l’avevano come rapito e fu solo con enorme sforzo che riuscì a distogliere lo sguardo un attimo prima che lei si voltasse e notasse la sua espressione imbambolata. Fu con estremo sollievo che Landon notò che non sembrava, perlomeno in quel momento, intenta a studiarlo quanto lo era lui: qualcosa dall’altra parte della strada aveva catturato la sua attenzione.

La panetteria di Joe e di Joanna –Annie doveva ancora spiegarsi il perché i genitori fossero stati così crudeli da scegliere quell’abbinamenti di nomi per i loro due figli- era un luogo incantato nascosto all’interno di una piccola corte rigogliosa e piena di fiori dai colori sgargianti. Chi non conosceva la sua ubicazione non avrebbe potuto nemmeno trovarla, se non fosse stato per la fragranza di pane e dolciumi che sprigionava ad ogni ora del giorno dal suo interno. Annie non aveva mai assaggiato nulla di più buono in vita sua e non perdeva occasione per recarvisi e gustarsi una focaccina mentre i proprietari la stordivano con le loro chiacchiere e le loro gentilezze. Giunti dinnanzi all’entrata Landon sembrò non accorgersi di essere giunto alla meta ed Annie dovette fermarlo tirandolo nuovamente per una manica e trascinandolo con poca grazia dentro al cortilino, dove Joanna in persona stava annaffiando i suoi preziosi gerani rosa acceso.

Quando si accorse di lei le corse incontro, stritolandola fra le braccia ben tornite con caloroso trasporto.

-Fatti abbracciare, fagiolino che non sei altro! Vedo che il tempo passa, ma tu rimani sempre la stessa piccina di un tempo!

Poi, accorgendosi di lui, le domandò incuriosita: -E questo affascinante biondino è il tuo fidanzato?

Annie arrossì imbarazzata, sollevando le mani: -No, lui é…

-Peccato, è molto sexy,- le rispose senza imbarazzo alcuno la donna. Questa volta fu Landon ad assumere un acceso colorito violaceo, fissandosi ostinatamente la punta delle scarpe.

-Se non fosse troppo giovane per me, non mi farei alcun problema a soffiartelo sotto il naso Annie, io ci farei un pensierino,- le sussurrò poi a mezza voce, avvicinandosi al ragazzo e strizzandogli una guancia con fare confidenziale.

-Forza bel biondino, vieni dentro ad assaggiare le nostre prelibatezze!

Gli afferrò un braccio, trascinandolo dentro e piazzandogli in mano una delle focaccine appena sfornate che teneva in un cesto sul bancone. Landon si voltò verso Annie, trovandola assorta ad osservarlo mordicchiandosi il labbro inferiore. Le fece l’occhiolino, facendola sussultare e distogliere velocemente lo sguardo.

-Da dove hai detto che vieni?

-Non l’ho detto: New York.

Joanna riuscì finalmente a conquistare l’ attenzione del ragazzo monopolizzata da Annie, arduo compito in cui persino la prelibatezza che reggeva in mano aveva fallito.

-E dimmi, lo fanno del pane così buono da quelle parti?

Landon fece segno di no con la testa, mentre lei gli passava anche una pizzetta e una treccina di pane alle noci che, a detta sua, faceva risuscitare anche i morti. Poi, recuperato il sacchetto di pane nel quale la mattina presto aveva già preparato le forme riservate a Kenneth, si avvicinò ad Annie osservandola con sguardo complice. Questa fece per tirare fuori il portafoglio, ma la panettiera si rifiutò categoricamente di farla pagare, garantendole che si trattava di un regalo di benvenuto.

-Non dirlo a quell’ingordo di tuo padre però, altrimenti ci tocca chiudere baracca e burattini con tutte le focaccine che si mangia!

Annie le sorrise distrattamente senza rispondere, la sua attenzione catturata dalla mano destra di Landon che si allungava come a rallentatore, bloccando il suo portafoglio con il dito mignolo, l’unico rimasto libero dalle pagnotte di cui Joanna lo stava ricoprendo, per osservare meglio il biglietto visibile attraverso la plastica del taschino più esterno.

Lo chiuse di scatto, voltandosi per decifrare il suo sguardo assorto. Notò che sorrideva con un pizzico di malinconia negli occhi, tenendo il capo lievemente piegato verso la spalla, ma attese con pazienza di essere tornata in strada ed avere salutato e ringraziato a dovere Joanna prima di domandargli spiegazioni.

-Quel simbolo…- iniziò lui una volta usciti dal negozio, con la bocca e le mani nuovamente piene dei dolcetti che la panettiera aveva loro allungato prima che varcassero la porta del negozio.

-Combatants for peace, é un movimento…

-So cosa significa,- la interruppe lui fermandosi in palese attesa del suo racconto.

-Rivkah, una compagna dell’università, è stata chiamata per il servizio militare appena finiti i primi tre anni di studio. Ha fatto obiezione di coscienza e si è unita al movimento dove già militavano i due fratelli. Non è facile, ma ha il doppio passaporto inglese ed israeliano, quindi le cose sono più semplici per lei. Ho trascorso la scorsa estate a Gerusalemme, per scrivere un pezzo freelance sul loro operato, ma non escludo di tornare, per continuare il lavoro.

-Tu sei quell’Annie Morgan?

-Ti interessa la questione Israelopalestinese?

-Molto, dopo la laurea mi sono preso un anno sabbatico e l’ho trascorso ad Hebron, con Medici senza Frontiere.

-Notevole,- commentò Annie allungandogli l’ultimo pasticcino rimasto dall’abbuffata pantagruelica che avevano improvvisato lungo la strada.

-Notevole è stato il tuo fare luce su realtà di norma ignorate,- commentò lui facendolo sparire in pochi secondi e sfregandosi le mani per fare cadere le briciole. -Non finisci mai di stupirmi, signorina.

-È stato solo il mio modo di rendermi utile, non potendo fare l’eroe come te. I tuoi saranno stati fierissimi, immagino,- commentò pensando all’espressione trionfante di suo padre quando gli aveva comunicato via Skype che le avrebbero pubblicato il reportage da Israele.

-Dimentichi chi sono i miei genitori,- rispose lui con tono rassegnato. -Credo che mia mamma abbia domandato seriamente a papà di trovare un modo per diseredarmi quando ho comunicato loro la mia decisione. In ogni caso mi ha bloccato il fondo fiduciario per un po’ quando sono partito.

Annie ridacchiò comprendendo la difficile posizione nella quale doveva essersi trovato; nessuno meglio di lei avrebbe saputo cosa significava infrangere qualunque aspettativa dei propri genitori, o di uno dei due, nel caso specifico.

-Avresti dovuto vederla, non ha mangiato per giorni e ha fatto credere alle sue amiche che la mia partenza le avesse causato un esaurimento nervoso…

-E invece?

-È esaurita di suo,- commentò serio, mentre Annie veniva colta da un eccesso di risate che ben presto finirono per coinvolgerlo.

Fra le chiacchiere e i dolcetti, nemmeno si erano accorti di essere ormai giunti davanti al Brass Key, dal cui cortile posteriore si sprigionava odore di legna bruciata e si intravedeva un leggero alone di fumo, segno che il pranzo stava ormai per essere servito. Annie tergiversava; continuava a spostare il peso da un piede all’altro, con i pugni infilati nelle tasche della felpa grigia che indossava, tormentandosi nervosamente con gli incisivi una pellicina sollevatasi dal labbro inferiore. L’ora passata con Landon era trascorsa in quelli che le sembravano pochi minuti e, se all’inizio non aveva desiderato altro che riuscire a seminarlo per le stradine della città, ora provava un pizzico di delusione all’idea di doverlo salutare.

-Casa mia è proprio dall’altra parte della strada e si è fatto tardi ormai, devo andare,- esordì con tono poco convinto, indicando l’elegante costruzione alle sue spalle.

Landon annuì comprensivo, stringendosi nella polo grigia. Sembrava indeciso sul da farsi, mentre si dondolava incerto sulle gambe leggermente divaricate, rovistando nelle tasche alla disperata ricerca di un accendino per gustarsi la sigaretta che da lungo si era posizionato dietro l’orecchio.

-Vorrei rivederti.

Annie sorrise, incapace di mascherare il piacere che quell’affermazione le aveva provocato. Se un’ora prima le avessero detto che si sarebbe trovata dinnanzi a casa, completamente priva della voglia di entrarvi una volta liberatasi dell’irritante compagnia di Landon, avrebbe riso fino alle lacrime: ora invece si sorprendeva a desiderare che il tempo potesse prolungarsi, per potere godere finalmente della compagnia di una persona che portava una ventata di aria nuova in città. Non si sorprese più di tanto dunque quando, quasi senza pensarci, lo invitò a rimanere più a lungo.

-Vuoi… fermarti per pranzo? Da quando siamo nati il sabato è il giorno in cui cucina mio padre, quindi non ti aspettare altro che salsicce-alla-Kenneth.

-Che sarebbero?- domandò Landon preoccupato.

-Salsicce alla brace…molto alla brace.

Landon sembrò esitare un istante, sfoggiando un’espressione a metà fra il divertito ed il disgustato.

-Giuro che solo per te controllerò che non le bruci! Senza esitare e lasciargli il tempo di rifiutare gli afferrò una mano e si accinse ad attraversare la strada.

-Papà!- gridò varcando il cancellino di legno bianco.

-Tesoro, lo chef è all’opera, non disturbarlo!

Annie si affacciò nel retro del giardino dove suo padre Kenneth, con un ridicolo cappello da cuoco ed il grembiule con ricamato “Sono il papà migliore del mondo” che i figli gli avevano regalato quando ancora erano bambini, brandiva un forcone con la punta affumicata, muovendosi al ritmo delle note dei Rolling Stones e fingendo di tanto in tanto che l’arma contundente che sventolava fosse la sua chitarra.

-Papà! Abbiamo un ospite!- urlò nuovamente lei per sovrastare il suono della musica, nella speranza che il padre si ricomponesse quel tanto che bastava per presentarsi dignitosamente al suo ospite.

-Dimmi che è quella disgraziata di Nicole che non mi è ancora venuta a trovare da quando siete arrivate!- le domandò suo padre avvicinandosi a ritmo di musica, per poi afferrarla e coinvolgerla nella danza. -Grandi novità oggi, tesoro! Preparo la trota con le patate alla Kenneth!

-Oddio…- Annie impallidì, voltandosi preoccupata verso Landon. Fu solo allora che Kenneth si accorse che la figlia non era in compagnia di sua nipote, bensì di un ragazzo biondo che si teneva in disparte, mordicchiandosi le labbra nel tentativo di nascondere una risata. Puntò il forcone per terra, con pomposa teatralità, fissando il nuovo arrivato con aria incuriosita: il suo viso gli ricordava qualcosa, ma non avrebbe saputo affermare con certezza a quale episodio collegarlo.

-Papà, lui è Landon Campbell.

-Piacere Landon… ci conosciamo già noi due?

Il ragazzo annuì, tendendo educatamente la mano.

-Non si è presentato in qualità di padre di Annie, ovviamente, ma sì, abbiamo già avuto modo di conoscerci. Ho soggiornato un paio di notti da voi in marzo, quando venivo a controllare lo stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione di casa nostra. Il piacere è tutto mio comunque, Signor Morgan. Mi dispiace avere invaso il suo pranzo barbecue, ma Annie mi ha letteralmente trascinato dentro, senza lasciarmi alcuna possibilità di scelta.

Kenneth si girò verso la figlia, guardandola arrossire.

-Nessun problema, il tavolo è grande, la cucina è eccezionale,- sfoderò il petto orgoglioso,- e mi hanno portato una fornitura di pesce freschissimo stamane che potrebbe bastare per un intero reggimento. Appoggia la tua roba e vieni a vedere con i tuoi occhi!

-Grazie signore e bel… cappello,- Landon tentò di rimanere impassibile dinnanzi alla vista del Signor Morgan così agghindato, ma alla fine una risata ebbe la meglio su di lui. Kenneth si toccò la testa dapprima perplesso, poi sfoggiando un’espressione orgogliosa, lo sollevò con la mano, ammiccò in direzione della figlia e del suo biondo accompagnatore e si dileguò per andare a controllare lo stato della legna.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Seduta sul bancone ligneo della grande cucina del Brass Key al termine del pranzo, Annie traeva il bilancio parziale di quella surreale giornata. Dondolava lentamente i piedi incrociati e mordicchiava distrattamente un bicchiere di plastica nel tentativo di mascherare quel sorriso ebete che le si era stampato in viso quando aveva sollevato lo sguardo verso il giardino: seduto di fianco alla brace suo padre, con fare solenne, mostrava ad un Landon educatamente attento e partecipe i benefici che un barbecue poteva trarre dalla legna rispetto che a quella fasulla invenzione per uomini incapaci di accendere un vero fuoco che era la carbonella.

A giudicare dalla foga del discorso, il ragazzo sarebbe stato inchiodato alla sedia fino a data da destinarsi o, quantomeno, fino a che la distesa di assaggini di liquori e rosoli provenienti da diverse parti d’Europa che suo padre custodiva gelosamente per i clienti più affezionati non sarebbero stati vuoti; al terzo bicchiere di Crème de Noyeaux lo aveva osservato chiudere gli occhi, visibilmente colto da una crisi nera, ed aveva storto il naso quando, nel vano tentativo di destarsi dal torpore nel quale era crollato, aveva esibito sotto il naso di Kenneth, uno degli inglesi più patriottici degli Stati Uniti, il suo pacchetto di Malboro Gold.

Quest’ultimo infatti, come da copione, scuotendo il capo in segno di rassegnata disperazione, gli aveva letteralmente strappato la sigaretta di mano, sostituendola con una della sue preziosissime Lambert&Butler che Annie si era premurava di spedirgli direttamente da Londra, dal momento che l’“inutile tabaccaio yankee” –come lo definiva lui stesso- non commercializzava quel brand.

 

Orgogliosa difesa della superiorità della madre patria a parte, la ragazza aveva notato con piacere quanto il padre avesse preso subito in simpatia Landon, mettendolo a suo agio come se fosse uno degli amici che frequentavano abitualmente la loro casa. Tolto ovviamente il momento imbarazzante in cui il “medicastro di Newyork” aveva timidamente suggerito di sollevare la prima trota dalle braci non ancora perfettamente spente: Kenneth lo aveva redarguito rivendicando con forza la sua supremazia nel campo, assicurandogli che non vi era nessuno più esperto di lui in materia. Come tutti si aspettavano il trancio di pesce era finito bruciato, ma lui aveva orgogliosamente incolpato la folata di vento che aveva momentaneamente rianimato le fiammelle che ancora si sprigionavano dai tizzoni ardenti. Convinto poi di non essere notato aveva alzato la griglia con nonchalance, fingendo che fosse sempre stata posizionata sul terzo incastro, anziché sul secondo.

La presenza di Landon si era inoltre rivelata provvidenziale quando, colpito improvvisamente dagli effluvi che si sprigionavano dalla bottiglia di Chardonnay per errore finita sotto il suo naso, Jamie era corso in bagno a vuotare l’enorme quantità di alcol non ancora perfettamente smaltita della sera precedente. Le sue domande sull’andamento degli affari in quella stagione estiva avevano distratto Kenneth dal fatto che suo figlio era filato in casa come unto inseguito precipitosamente da Sam ed Annie, angustiate più per lo stato della toilette del piano terra che per la salute del fratello.

Assorta com’era nei suoi pensieri e preoccupata per le sorti del suo ospite, non si era nemmeno accorta che sua sorella era entrata canticchiando in cucina, sfoggiando con naturalezza ed eleganza la muta da surf come se si trattasse di un elegante abito da sera ed infilando la testa nel grande frigorifero alla ricerca di un frutto con cui addolcire l’abbondante pasto servito dal padre.

Sam non si stupì più di tanto, dunque, quando ignorò la sua prima domanda circa i suoi programmi nel pomeriggio e nemmeno la seconda, quando le chiese se Landon avesse per caso un fratello più piccolo da presentarle. -Tre cugine al prezzo di una,- le aveva urlato ridendo, ma la sua voce era stata assorbita dalle spesse pareti dell’elettrodomestico, nel quale ancora rovistava alla ricerca di una pesca.

-Ci sei già andata a letto?

La richiesta che aveva ingenuamente pronunciato, convinta non essere udita per una terza volta, purtroppo non passò in sordina. Annie, la cui attenzione venne finalmente distolta dalla conversazione che si stava svolgendo oltre la vetrata della cucina, la fissò scandalizzata per qualche secondo prima di affermare di averlo praticamente conosciuto solo quella mattina, escluso l’incontro scontro della sera precedente.

-Per la maggior parte delle mie amiche questo sarebbe un piccolo, insignificante dettaglio,- le rispose sinceramente Sam alzando le spalle.

-È rassicurante tutto ciò,- commentò ancora stupita Annie, pregando in cuor suo che la sportività delle ragazze della compagnia di sua sorella non le avesse ancora fatto venire un’improvvisa voglia di correre.

-Cos’è che non ti rassicura?

-Brady!- esclamò Sam, correndo incontro al nuovo venuto, entrato in cucina come al solito senza chiedere permesso. Il Brass Key era sempre stato casa sua esattamente come lo era il cottage dei Sanders per i figli di Kenneth Morgan, amico di vecchissima data di suo padre; nulla di strano dunque se il ragazzo, piombato improvvisamente nella stanza, aveva preso posto accanto ad Annie, recuperando al volo dalla cesta del pane una focaccina al formaggio miracolosamente sopravvissuta al lauto pranzetto che era stato appena consumato.

Con un inspiegabile, piccolo crampo allo stomaco, Annie osservò Sam che, con la stessa tenerezza riservatagli quando era bambina, gli stampava sulla guancia un bacio appiccicoso di succo di pesca.

-Si parlava di opportunità sprecate,- disse la ragazzina, indugiando qualche secondo a crogiolarsi nell’abbraccio di Brady.

-Che opportunità?- domandò lui incuriosito.

-Quella di mollare tutto e scappare ad Honolulu con me, per esempio,- gli suggerì lei sfregando la guancia sul suo torace e fissandolo con finto sorriso angelico.

Brady rise scompigliandole i capelli e ammiccando in direzione di Annie: -E abbandonare tua sorella qui tutta sola alla mercé dei nostri genitori disperati per la nostra improvvisa partenza?

-Io gliel’ho sempre detto che ha commesso l’errore più grande della sua vita a non metterti un guinzaglio al collo appena ti sono passati i brufoli e la voce fessa da tredicenne,- continuò seria Sam, ignara di quanto fosse dolente il tasto che era andata a toccare: quando Annie viveva ancora a Province Town era troppo piccola per accorgersi che il rapporto fra i due andava ben oltre la semplice amicizia, per quanto profonda fosse e, quando un anno prima suo padre le aveva vietato di riferire a sua sorella dell’imminente matrimonio, si era fatta bastare la giustificazione secca che le aveva propinato alla sua richiesta di chiarimento: Brady vuole così.

Non era tuttavia così ingenua da non accorgersi dello sguardo di Annie, caduto immediatamente sulla mano sinistra che lui teneva ancora poggiata sul capo di sua sorella, dove la fede tolta per paura forse di perderla in barca, aveva lasciato un sottile segno chiaro sull’anulare. Non passò inosservato nemmeno l’atteggiamento anomalo di Brady che, per parte sua, cominciò a fissare insistentemente la piccola goccia di caffè che pendeva pericolosamente dalla beccuccio della macchinetta, come se fosse uno degli spettacoli più interessanti a cui avesse mai assistito.

Per distoglierli dunque dall’imbarazzante impiccio in cui li aveva incastrati, domandò loro se avevano voglia di scendere ad Herring Cove a surfare con lei: il vento aveva cominciato a tirare dal mare, le onde erano sufficientemente alte per potersi divertire e lei doveva comunque allenarsi per la competizione della settimana seguente. Brady accettò di buon grado, affermando che aveva proprio voglia di rilassarsi dopo una mattinata infernale con un gruppetto di viziati bambini di Chicago, che gli avevano fatto girare la testa con il loro chiacchiericcio e la loro confusione, mentre tentava di spiegargli la fondamentale differenza fra un nodo d’arresto ed uno di giunzione. Entrambi rimasero dunque in attesa di una risposta da parte di Annie, che si tergiversava torturandosi con le unghie il labbro inferiore.

-Io… magari vi raggiungo più tardi…- mormorò imbarazzata, rivolgendo un rapido sguardo oltre la vetrata, nel giardino.

-Dai, Annie! Si può sapere cos’hai da fare di così importante da rinunciare ad un pomeriggio al mare?- le domandò lui sfiorandole la spalla. Non ricevendo alcuna risposta da Annie, continuò imperterrito: -un tempo avresti fatto carte false per un vento traverso on-shore con cui divertirti per ore! Cos’è, gli anni di inattività ti hanno rammollito, per ca…

Tacque improvvisamente, voltandosi finalmente a guardare ciò che Annie fissava, visibilmente sulle spine. Come a rallentatore, stette ad osservare la figura di un ragazzo biondo con il capo chino, oscurata dal sole che batteva contro la vetrata, spingere la porta scorrevole fino ad aprirla quanto bastava per scivolare all’interno. Poté avvertire la fastidiosa sensazione delle parole morirgli in gola in sincronia con il suo sopraggiungere verso il punto dove era rimasto bloccato, con la bocca semi aperta, spingendo con forza le dita sulla nuca di Sam –e rimediandosi un calcio di protesta negli stichi-.

Fu solo allora che si rese conto della leggerezza e della fretta con cui, quella mattina, aveva rassicurato Annie stringendola a sé: le cose non potevano più essere le stesse di quando erano adolescenti, e questo era evidente, ma d’un tratto, mentre Landon lo salutava tendendogli il braccio, realizzò di non essere più così certo che sarebbero potute rivelarsi migliori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di una pazza delirante

 

Essere giunta alla conclusione di questi due capitoli mi sembra un miracolo: sono due mesi che ci lavoro (e non mi convincono ancora) e ora che sto per pubblicae grido al miracolo. C'erano alcune questioni che andavano affrontate e spiegazioni da dare, spero di averle rese al meglio. Me lo auguro perché le relazioni fra questo gruppetto di disagiati stanno diventando sempre più complicate via via che li si conosce in modo approfondito: spero che non mi bastoniate e che li apprezziate tutti un pochino per quello che sono. Dei disagiati, appunto.

 

Sono un pochino senza parole, un po' perché ho una fretta indiavolata, un pochino perché temo di aver blablablato così tanto da essere miracolosamente rimasta senza parole: con mio grandissimo stupore la somma della parte uno e della parte due del capitolo sono arrivate a cinquanta pagine di Adobe Garamond Pro 12. Ancora non ci credo di avervi tediato così a lungo, ma se siete arrivate fino a questo punto vuol dire che un pochino siete interessate, quindi vi ringrazio, come sempre.

Nell'ultimo capitolo ho ricevuto recensioni carinissime da nuove lettrici, o comunque lettrici che fino ad ora non avevano commentato: do a tutte un calorosissimo benvenuto e un abbraccio virtuale. Grazie ad Erica, i cui capelli sono diventati finalmente rossi e ricci per la disperazione nera nella quale é caduta correggendo questo capitolo e anche alla SidRevo che si é premurata giorno per giorno, a partire da un delirante viaggio in treno in ritorno da Bolzano, affinché mi muovessi a portare a termine questo delirio.

 

Comunicazioni di servizio

 

Nelle prossime settimane avrò un esame, mi cominceranno le lezioni e sarò via da Bologna *.* per un'occasione importantissima: la laurea della mia nonnina Emily Alexandre (fatele gli auguri!), quindi temo che faticherò a scrivere. Conto di portare a termine l' OS delirante su Scott e Nicole da piccoli, che per mia (e spero vostra) grande gioia, comincia a vedere la fine. Spero abbiate la pazienza di aspettare che le acque si calmino per il nuovo capitolo!

 

Ricordo a random il video trailer della storia, nel caso qualcuno se lo fosse perso, come avevo fatto io -____-'' . Lo so, son pessima, mi sono ricordata della sua esistenza solo quando, dopo l'acquisto di Scotty (il mio nuovo, fighissimo PC, il cui nome é PURAMENTE casuale), ho trasferito tutti i documenti vecchi.

 

Dovrei avere concluso, se mi sono dimenticata qualcosa........pace!

Per reclami, lamentele, pomodori e botte in testa, o semplicemente per due chiacchiere o ancora per avere un assaggio del mio profondo disagio esistenziale, mi trovate, come sempre, su Facebook, non fatevi problemi a contattarmi (o meglio, fateveli per la vostra salute, ma questa é un'altra storia).

Un abbraccio gigante

 

Lyra

 

 

 

   
 
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