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Autore: Lycoris    25/09/2012    3 recensioni
In cui Dean viene travolto da un pazzo con gli occhi blu in una cabina blu che vola –dannazione, vola!- e trascinato nel 1816, l’anno senza estate. [CROSSOVER Supernatural/Doctor Who]
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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O Captain, my Captain!
O Captain, my Captain!



Un rumore raschiante riempì le orecchie di Dean, come aria risucchiata in un tubo.


Strano paragone, davvero.


Non che potesse pretendere più di tanto, le sue poche sinapsi rimaste intatte erano tutte occupate a processare l’idea “oh, un uomo sconosciuto ti ha appena baciato alla francese e tu hai le gambe che sembrano gelatina”.


Era una cosa da raccontare.


Tralasciando il fatto che, ehi, lui era Dean Winchester e non andava in giro a baciare sconosciuti nei weekend, e tantomeno ne parlava.


Ed era di nuovo nella cabina blu. Davvero perfetto. Era stato rapito da un pazzo in una cabina blu che baciava alla francese.


No, non era la cabina che baciava alla francese, era il matto. Che oggettivamente non baciava nemmeno male.


Nel tempo che impiegò a formulare tutti questi pensieri –deliri?- uno scossone fece tremare la cabina, facendo  incontrare il suo coccige con il pavimento.


Oggetti non meglio identificati iniziarono a rotolare per la stanza e Dean fece appena in tempo ad aggrapparsi alla sottile balaustra metallica.


Il Dottore girava intorno alla consolle tirando leve e premendo bottoni colorati, si girò verso di lui e con un sorriso urlò sopra il frastuono:«Scusa la turbolenza!»


Turbolenza, sempre meglio.


Turbolenza.


Stava volando?


Il sangue defluì istantaneamente dalla sua faccia, le ginocchia già instabili lo fecero crollare a terra mentre solo le braccia mantenevano la presa sul metallo, le scapole che  premevano dolorosamente conto il tubo.


L’uomo, sempre che di umano si trattasse,  accorse accanto a lui e si sedette sui talloni.


«Dean? Dean Winchester!»


Lo scrollò violentemente per le spalle, i muscoli erano rigidi come la pietra e le nocche erano sbiancate per la forza con cui le mani erano attaccate alla balaustra.


Gli assestò uno schiaffo a mano aperta su una guancia, al quale Dean rispose istintivamente con un pugno.


«Ma sei fatto?! Ma che cazzo schiaffeggi così la gente?!»


«Chiedo venia, credevo avessi contratto la paralisi uraniana. Non è che tenga particolarmente a vederti trasformato in granito sbriciolato. L’unica soluzione era risvegliare le cellule cerebrali prima che mutassero.»


Un taglio verticale gli attraversava le labbra dove il suo pugno le aveva lacerate.


Doveva far male.


Lui, infastidito dal sangue che gli era colato fino al mento ci passò il dorso della mano che si tinse di rosso.


Saggiò la ferita con la lingua, strizzando gli occhi come un bambino che assaggia un limone.


Forse avrebbe potuto sentirsi perfino un po’ in colpa. Solo un po’.


Bravo Dean. Coltiva la tua Sindrome di Stoccolma. Avanti così che vai bene.


Tanto per appesantirgli la coscienza, la sua voce interiore somigliava in maniera inquietante a quella di suo fratello.


Sammy sarebbe uscito di testa.


Già si immaginava la paternale “ecco cosa succede quando cacciamo separati, quando imparerai a tenerti fuori da affari più grossi di te” e via fino allo sfinimento, e lui avrebbe urlato in risposta che tutta la loro vita era un circolo infinito di impicciarsi in affari più grandi di loro.


Avrebbero tenuto il muso per un po’, e fatto pace con una birra e una fetta di torta, come quando da bambini intrecciavano i mignoli promettendo di non raccontare i misfatti dell’altro a papà.


Doveva tornare da lui, e in fretta anche.


L’altro era ancora seduto davanti a lui, con quella dannata testa di capelli da letto inclinata di lato.


Si tirò in piedi con un grugnito, rifiutando la mano che l’altro gli porgeva.


«Sto bene. Starei anche meglio se sapessi che diavolo sta succedendo.»


«Esci e giudica tu stesso» rispose quello con una faccia da schiaffi da primo premio.


Lo prendeva per il culo? L’aveva appena rapito e ora voleva farlo uscire?


E non dimentichiamo che aveva appena volato.


Era in una cabina volante più grande all’interno.


Si avvicinò cautamente alla porta, attendendo il manifestarsi di una qualche trappola.


Dean Winchester era avventato, non stupido.


Allungò un braccio verso la maniglia d’ottone…



Poi qualcuno bussò alla porta.

Tirò rapidamente indietro il braccio come se il suono l’avesse scottato e si voltò verso l’altro uomo che guardava l’entrata con espressione sorpresa.

« Nessuno sa che sono qui, non è fisicamente e temporalmente possibile che qualcuno in quest’anno sappia chi sono. Non è possibile.»


Due colpi sordi si infransero di nuovo sulla superficie di legno, seguiti dalla voce di un uomo.


«Sono il lupo cattivo, aprimi cappuccetto in trench!»


Il Dottore si lanciò verso la porta, la spalancò e rimase con le braccia spalancate come la grottesca imitazione di un crocifisso.


«Non mi inviti a entrare? Rischio di congelarmi le estremità qui fuori, e mi servono. Se capisci cosa intendo».


L’uomo non abbandonò la sua posa rigida rifiutando di far scorgere a Dean, ancora accasciato sul pavimento, il proprietario di quella voce ancora incorporea.


«Vuoi un abbraccio? Credevo di aver raggiunto la seconda base da un pezzo!»


C’era un ghigno implicito nel suono di quella voce che mandò un brivido giù per la schiena di Dean.


Ma dove cazzo mi sono andato a cacciare?


Il Dottore si spostò dall’uscio volgendo la schiena alla corrente d’aria fredda che ancora entrava dalla porta spalancata passandosi le mani tra i capelli
scuri, con l’espressione di un uomo che ha trovato un orso a sonnecchiare sul parabrezza dell’auto. Dean si lasciò sfuggire un sorriso leggero al paragone quantomeno bizzarro.


L’uomo apparve gradualmente come l’immagine di uno stivale che colpiva il gradino di legno per far cadere a terra la poltiglia attaccata sotto la suola, un ginocchio coperto da un pantalone di taglio classico di stoffa blu navy e le falde di un cappotto del medesimo colore.


Sulla soglia stava un uomo alto, con i capelli scuri. Sembrava uscito da uno di quei film assolutamente angoscianti sulla seconda guerra mondiale, le spalle larghe accentuate dall’imbottitura della giacca e i piedi solidamente ancorati al terreno.


Un sorriso si aprì sul suo volto come un filo di perle che spunti dall’orlo di un vestito, si avvicinò al Dottore con tre rapide falcate.


«Mi sei mancato, Castiel»


 Gli incorniciò il viso con le mani e le sue labbra avvolsero quelle dell’altro in un bacio lento.


Dean diede un colpo di tosse. La situazione aveva dell’incredibile. E “incredibile” non era una parola che usciva spesso dalla sua bocca.


Il tizio si voltò rapidamente e guardò a terra, accorgendosi solo in quel momento del terzo incomodo nella stanza. Navicella. Quel che diavolo era.


«Non mi avevi detto di avere già compagnia. Poco male, mi piace condividere.»


La figura del Dottore si parò di fronte a quella del cacciatore.


«Non è come pensi. È Dean Winchester, il cacciatore. Lui può aiutarci.»


Il viso dell’uomo si aprì in un altro sorriso.


«Piacere Dean Winchester. Sono il Capitano Jack Harkness, al tuo servizio. E la mia era una proposta seria, anche se hai l’aria del tipo possessivo.»


Dean si lasciò sfuggire un sospiro a metà tra lo stanco e il frustrato.


«Ancora non so in cosa devo aiutarvi. Ho capito che vi serve un cacciatore ma sarebbe anche il cazzo di momento giusto per dirmi che cazzo devo
fare, magari.»


 L’espressone del capitano si indurì, la mascella contratta gettava ombre sul suo viso, facendolo sembrare molto più vecchio.


«Esci e giudica tu stesso.»


Il maggiore dei Winchester camminò spedito verso la porta ancora aperta della cabina, deciso a mettere la parola “fine” a tutta quella situazione assurda.


Il freddo e il vento tagliente gli morsero le guance.


Un sole rosso incendiava il cielo, tingendolo di colori che mai in vita sua aveva visto in un tramonto. Le nuvole andavano dal porpora al color ruggine, passando per un giallo acceso e quasi malato che feriva gli occhi.


Il Dottore –o Castiel?- lo affiancò, uno sguardo grave ad intristirgli gli occhi blu che avevano preso riflessi innaturali sotto la luce di quel sole che non dava il minimo calore, che non portava conforto alle membra già intirizzite dal gelo.


«Come mai nevica, se c’è il sole?» chiese Dean con sincero stupore.


L’altro si voltò lentamente verso di lui.


«Questa non è neve, Dean Winchester. È cenere.»





NdA:


Zan zan.

Vi devo delle scuse. Sono quasi tre mesi che non aggiorno assolutamente nulla. E non è “colpa dell’estate”, perché non ho combinato assolutamente un cavolo, se escludiamo le due settimane di borsa di studio che mi hanno dato a Dublino per studiare giornalismo, ma vabbè.
Detta proprio terra terra m’è presa malissimo, sono andata in depressione, delusione generale rispetto alla ma vita miseranda, scarsa fiducia nelle mie capacità di “scrittrice” e via dicendo.
Il mio problema principale, dal quale mi riservo di mettervi in guardia per il futuro, è che io non reputo di saper scrivere. Saper scrivere immagino che preveda una qualche sorta di pianificazione di quel che finirà sul foglio, sia esso elettronico o di cara vecchia cellulosa. Scrivo perché mi piace, scrivo per sbrogliare quel gomitolo di lana mohair che sono le mie idee bislacche riguardo a qualunque cosa mi piaccia.
Che poi a voi piaccia quello che scrivo è un’altra cosa che non smette di stupirmi e sconvolgermi, e per cui non smetterò mai di ringraziarvi. Ognuno di voi per me ha un’importanza che nemmeno immaginate.
Quindi grazie, scusa e ti amo, chiunque tu sia.
Caso mai vi venisse voglia di scrivere qualcosa, una recensione, un consiglio, un ma và a morì ammazzata io sono qui che aspetto fiduciosa.
Un bacio,
Lycoris.
   
 
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