CAPITOLO
9
MANGIAMORTE
AD HALLOWEEN
Era impazzita. Oltremodo
impazzita. Ed era felice. Oltremodo felice. Sarebbe di certo parsa malata a
qualcuno che non conosceva lo svolgimento dei fatti, ma dato che nessuno li
conosceva, in effetti pareva alquanto pazza alle sue compagne di stanza grifondoro. Più specificatamente, a tutte le sue
compagne di stanza grifondoro.
Ma torniamo al punto saliente che
non l’avrebbe fatta parere stupida se qualcuno ne fosse venuto a
conoscenza.
Era successo che dopo essersi tolta
dalla divisa tutto quel rosso quasi indelebile, aveva raccontato a Luna che,
per quanto triste fosse, non si sarebbe potuta presentare al ballo, anche
perché non avrebbe mai messo la tenda di sua madre. E si era quasi messa
a piangere quando Luna le aveva ricordato che avrebbe dovuto disdire
l’appuntamento con Jeff. Poi, proprio quando
lei stava per tirare su col naso per la trecentoventunesima
volta, ormai sconfitta, a Luna era venuta l’idea più brillante che
mai le fosse venuta in tutta la sua vita.
Ginny era
stupita.
“Ti posso prestare il mio
vestito dell’anno scorso che non ho mai messo, quest’anno
non lo posso usare perché mi va troppo stretto, ma credo che per te
possa andare, anche perché altrimenti lo dovrei buttare via!”.
Luna era sempre stata una santa.
Certo, vagonate di pazzia, secchi di droghe, ma di certo maree di
santità. E non si sapeva da dove venisse, dato che il padre era famoso
solo per la sua pazzia altamente acuta e la madre, non l’aveva mai vista
in nessun giornale, a meno che non fosse uno degli animali avvistati dal padre,
perché altrimenti si sarebbe spiegato tutto.
E poi era una ragazza così
dolce, carina, simpatica… frena. Stava adulando mentalmente Luna solo
perché le prestava un vestito? Che ingrata.
Fatto sta che era stata veramente
l’unica ancora di salvezza per Ginny quella. E
dopotutto, anche se non lo dimostrava, Luna sapeva che le era profondamente
grata per tutto quello che stava facendo per lei.
Comunque, dopo tutti gli
sproloqui vari, ecco che si ritrovava là, davanti allo specchio, a
rimirarsi nel “suo” vestito. E doveva ammettere che Luna nello
scegliere capi d’abbigliamento non era male. Ovviamente, dopo avrebbe
scoperto che il vestito era stato scelto da suo padre e non da lei. Anche
perché non era mai successo che Luna sceglieva un vestito decente da
indossare davanti ad un pubblico della sua età senza far ridere nessuno.
Fatto sta che Ginny
era fasciata da un bellissimo corpetto rosa pesca di seta rifinito interamente
da fili dello stesso colore un po’ più scuro, ed una gonna
estremamente larga della medesima tonalità che le dava la sensazione che
l’avrebbe lasciata da un momento all’altro. Quando camminava un
po’ più velocemente si intravedevano le scarpine basse bianche
mentre i capelli, per l’occasione raccolti in uno chignon, erano
circondati da una coroncina di roselline, e due
ciocche arricciate le ricadevano sul volto candido.
Si sentiva estremamente a disagio
nei panni di Cenerentola. In primo piano perché quello non era il suo
tipo di vestito, in secondo piano perché non sapeva nemmeno chi fosse
Cenerentola.
Luna aveva cercato brevemente di
riassumerle la storia ma Ginny aveva capito solo
qualcosa di simile ad un topo con la bacchetta. I concetti basilari si erano
rinchiusi nel vero senso verbale in quella scena. Ed ancora non riusciva a
spiegarsi come un topo potesse essere vestito come lo era lei in quel momento.
Cercò di districarsi da
quel suo grave dilemma legandosi la mascherina nera con rifiniture pesca al
viso e cominciando a scendere le scale del dormitorio.
Jeff le aveva
dato appuntamento all’ingresso della sala grande, e lei non intendeva
fare ritardo.
*
Il ticchettio di quell’orologio era esasperante.
Una festa come un’altra.
Ricordava con asprezza quei
momenti in cui l’ansia lo prendeva, quando doveva fare le sue entrate ad
effetto per tramortire qualche bella ragazza. Sapeva che non ce ne era bisogno,
perché le ragazze le tramortiva solo con lo sguardo, ma amava lo stesso
fare quel che faceva.
Ora, avrebbe preferito di gran
lunga rimanere nel suo letto a dormire. Non trovava più nessun
divertimento in quelle feste, se non la reale noia che lo avrebbe avvolto tutta
la serata.
Vedeva sempre i professori, di
solito rimanevano seduti ai loro posti tutta la sera a guardare gli studenti
ballare, e sapeva che quella sera gli sarebbe toccata la stessa sorte.
Si posò il pesante
mantello nero sulle spalle, e poggiò una mascherina argentata sul volto.
E perché non si sarebbe potuto vestire da mangiamorte?
Tanto se lo avessero fermato in sala grande, lui non possedeva il tatuaggio.
Lui non possedeva quel MALEDETTO TATUAGGIO!!! Arrabbiato marcio per tanti di
quei motivi che neanche lui riusciva a fare mente locale su uno solo di questi,
si trascinò fino alla porta della sua stanza e si avviò verso la
sala grande.
Attenzione, stava per arrivare il
mangiamorte più pericoloso di Hogwarts!!!
*
Le stavano tremando le gambe.
Le stavano tremando le gambe e da
pochi minuti aveva sentito qualche piccolo segno di cedimento anche da parte
della sua bocca. Non poteva, non poteva, non doveva, non sapeva… lo
riusciva ad osservare da lontano, ed ancora le sue gambe non si erano decise a
raggiungerlo. Insomma, non è che fosse pratica di rapporti con i
ragazzi. Anche perché l’unico ragazzo con cui era stata era
stato… sentì d’un colpo la mente svuotarsi e le gambe
partire in sesta. Le faceva bene a volte pensare a certe cose, le dava la giusta
“spinta” che le necessitava.
Cercando di avere il passo di una
principessa si avvicinò a Jeff, ancora voltato
di spalle, e gli bussò dolcemente sulla spalla con il dito. Lo vide
voltarsi di colpo e fissarla per un momento. Poi le prese la mano e gliela
baciò.
“Buonasera principessa, non
riesco nell’astenermi dal dirle che questa sera è sul serio
bellissima!” ok, ora le gambe le stavano
davvero crollando a terra. Ma perché doveva farle quell’effetto?
“Grazie Jeff!”
cercò di stare al gioco la rossa. Gli diede la mano avvicinandosi un
po’ di più a lui, anche se non troppo.
Non era male nel suo smoking nero
doveva ammettere.
La sala era bellissima.
Appena entrati non riuscirono a
credere ai propri occhi. Tutto circondato da piccoli tavolini, una musica soffusa
riscaldava e stendeva un velo di protezione dall’inizio di quell’inverno pungente su tutta la sala. Era
magnifico. Era quasi completamente piena di tutti gli studenti, e fu ancora
più magnifico, dovette ammettere Ginny, quando
partì la musica vera e propria e la sala si oscurò, illuminata
solo dalla tenue luce emanata dalla polvere di stelle gettata da Silente nella
stanza.
Era come la notte di San Lorenzo
quando Ginny si era ritrovata ad esprimere quel
desiderio…
*
La notte era fantastica. Quel
manto scuro infinito punteggiato qua e là da piccoli puntini luminosi le
infondeva pace e tranquillità, nonostante si trovasse ai margini di una
foresta.
Conosceva quel posto come le sue
tasche, fin da quando aveva pochi anni, si ritrovava a fuggire da casa per
poter stare in pace con se stessa, con gli alberi e con il cielo stellato. Ma
amava quel posto soprattutto perché l’aiutava a capire ciò
che di più la faceva soffrire. Era come se fosse un cassetto dei
desideri, e con tutte quelle stelle, chi lo avrebbe potuto definire
diversamente.
Quella sera aveva voluto andare
lì per poter esprimere un desiderio.
Era la notte di San Lorenzo, e
solitamente fra i babbani era di tradizione quel
giorno osservare attentamente il cielo per poter trovare una stella cadente.
Lei non ci credeva molto, ma si convinceva pensando che provando non avrebbe
fatto niente di male, anche perché le piaceva passare il tempo
lì.
Si sedette poggiata al tronco di
un albero, sulla fresca erbetta, contemplando il cielo.
Lo pensava notte e giorno ormai,
non poteva farne a meno. Era come un virus che le aveva intasato le vene,
contaminato il sangue e di cui non si conosceva nessun rimedio. Era quasi certa
di averlo visto tra le leggere increspature delle nuvole del cielo, e solo dopo
poco si era resa conto che non poteva essere materialmente in quel luogo, a
meno che il padre non lo avesse ucciso, certo, cosa molto probabile secondo i
suoi racconti.
Non capiva ancora per quale insulso
motivo si fidava così ciecamente di lui, non comprendeva perché
mai si era lasciata andare solo con lui, e non era propriamente sicura che lui
l’amasse veramente. Sapeva solo che era per la prima volta che si sentiva
come adesso, e l’unica cosa di cui era sicura era che lei lo amava.
Pazzamente, scioccamente, inconsciamente, pienamente cosciente,
illimitatamente, lei, lo amava. E non le importava se lui non l’amasse,
importava solo che lei lo amasse.
In quel momento vide una luce
intensa attraversare il cielo diventato azzurro chiaro lungo la scia luminosa.
Come se un fascio di fuoco attraversasse una lastra di ghiaccio infinita. Era
come se avesse visto il fuoco sciogliere il ghiaccio.
E chiudendo gli occhi espresse il
suo desiderio. Con tanta di quella foga e quell’intensità
che quella notte, qualcosa cambiò nell’intero ecosistema,
sconvolgendo il giorno e la notte, il buio e la luce, il fuoco ed il ghiaccio.
Sconvolgendo il bene ed il male.
<
*
Tra le braccia di Jeff ballare un lento era come ballare un tip tap a livello
professionistico. Non sapevi mai dove mettere i piedi e finiva che glieli
calpestavi dieci volte su dodici. Fortunatamente lui era tanto paziente da cercare
di far finta di non accorgersi della tua goffaggine. Ma l’impresa era
ardua, come arduo era cercare di trovare un po’ di delicatezza in un
elefante.
Ginny si
sentiva così a disagio che non sapeva se fosse stato peggio non andare
al ballo o fare quella figura con lui.
Forse sarebbe stato meglio se
Luna non l’avesse aiutata. Infondo Jeff neanche
lo conosceva. Lui neanche la conosceva. Non avrebbe sofferto se avesse
rinnegato l’invito adesso. Ma lei no, è tosta Ginny,
deve andare al ballo, deve stare con il ragazzo più bello di Hogwarts consapevole che non sa muovere un muscolo, o
perlomeno non lo sa muovere a ritmo di musica.
Finì che dopo soli dieci
minuti Ginny dovette chiedergli di portarle da bere
per porre fine un po’ a quel volteggiare continuo che le stava dando alla
testa. Anche se ben consapevole che bere l’avrebbe fatta stare solo
più male.
In che guaio che si stava
mettendo.
Poi vide la sala in subbuglio.
Ogni cavaliere si era diviso
dalla sua dama ed aveva chiesto di ballare ad un’altra. Probabilmente era
una nuova sparata di Silente. Lei non aveva fatto molta attenzione al suo
discorso, più impegnata a concentrarsi sui muscoli di Jeff per poter prestare attenzione alla barba bianca del
preside più vecchio di Londra.
Poi vide la punta di un cappuccio
davanti a se. Un cappuccio nero molto simile a… ma che, mangiamorte a scuola, Silente non lo avrebbe permesso.
“Vuole ballare con me
bellissima principessa?” la voce lenta e pacata l’accolse
dolcemente cullandola nel suo pericoloso abbraccio.
Non ebbe il tempo materiale di
poter accettare perché le sue gambe risposero per la sua bocca,
avvicinandosi al ragazzo. Il contatto con quella mano marmorea la fece
rabbrividire nel vero senso della parola. Era così fredda che
paragonarla ai brividi di gennaio era un eufemismo. Le bastò comunque
poggiare la mano sulla sua per finire nel suo abbraccio caldo e forte. E quando
lo vide in volto sbiancò. Una maschera argentata gli copriva il viso.
Quello o era un mangiamorte, o era un pazzo. Ma stranamente lei aveva una
strana attrazione per entrambi i casi. Più per il secondo cercò
di pensare. Non voleva spaventarsi pensando di avere di fronte un mangiamorte. Quello era un normalissimo ragazzo vestito da mangiamorte. Stranamente ancora non gli aveva calpestato
nessun piede. Doveva ammettere che Jeff le aveva
insegnato bene. Ripensò al poveretto al tavolo delle bevande. Lo aveva
lasciato solo senza curarsene più di tanto, ma solo lasciandosi trasportare
da quelle braccia solide e forti.
Era da ormai cinque minuti che
ballavano, fra poco la canzone sarebbe finita e si sarebbero dovuti separare.
Stranamente Ginny non voleva. Non voleva abbandonare
quel ragazzo misterioso, l’affascinava. E più lo pensava
più si sarebbe presa a schiaffi. Se li sceglieva proprio bene i ragazzi.
Mangiamorte, travestiti, pazzi maniaci, killer. Wow.
La canzone finì
improvvisamente, facendo tornare entrambi alla realtà. Ginny rimase abbracciata a quel mangiamorte.
Non voleva lasciarlo. Non poteva
lasciarlo. Era come se lo conoscesse sotto quella maschera. Come se sapesse di
conoscerlo. Ma certo che lo conosceva, si diede della stupida, era un ragazzo
di Hogwarts.
Lo vide sciogliersi da quell’abbraccio più lungo, poi
s’inchinò e le prese la mano baciandogliela dolcemente.
“Devo dedurre che le
è piaciuto ballare con me, principessa!” le fece fare una
giravolta mentre riprendeva un’altra canzone e le coppie originali si
ricomponevano, poi se la portò stretta a se con i visi vicini ed i nasi
che si sfioravano appena.
Gli sguardi incatenati in una
forte magia oscura. Infondo si aveva sempre a che fare con un mangiamorte.
“Arrivederci bellissima
principessa, chissà che non ci rivedremo in altre vesti!” detto
questo scomparì in una nube trasparente, lasciandola in compagnia del
vuoto della sua assenza.
No. Quello non era uno studente,
era un mago. Si ritrovò a pensare Ginny. Era
evidentemente in forte agitazione tanto che se fosse passato un altro minuto
senza sedersi sarebbe svenuta. Si avvicinò al tavolino più vicino
e fece ciò che le veniva richiesto dal suo corpo. Quel ballo era durato
così poco, ma nello stesso tempo era come se fosse durato tantissimo.
Aveva provato così tante emozioni in una volta sola che cercare di
esprimerle sarebbe stato un ottimo modo per suicidarsi.
Poi dal suo posto vide Jeff. Con in mano ancora uno strano liquido la raggiungeva.
Aveva un’aria sollevata.
“Finalmente, ma
dov’eri finita, hai cercato di scappare?” le disse sedendole vicino
e porgendole la coppetta.
Ginny si
sentiva profondamente in colpa. Tanto che per trovare le parole per formulare
una risposta ci mise come minimo dieci minuti.
“Mi dispiace, mi sono
sentita un po’ male e sono uscita fuori a prendere una boccata d’aria!”
bugiarda, vile, crudele, stupida, spregevole. Ed ora perché mentiva? Non
era di certo colpa sua se un mangiamorte
l’aveva rapita. Ops, forse, ora che ci pensava,
aveva fatto bene ad omettere il fatto mangiamorte.
Già.
Lo vide posare il bicchiere e farla
alzare.
No, ancora ballare no!!!
*
“Professor Malfoy, che.. look questa sera!” disse con la sua
solita voce pacata un Silente divertito.
Draco
andò su di giri. Com’è che quel vecchio sapeva sempre come
prendersi gioco di lui.
“Le spiace?”
“Affatto, lo trovo molto
originale!” rispose il vecchio preside.
“Ma Albus,
si rende conto che questo ragazzo sta…” la Mc
Granitt cercò di intervenire difendendo dei
principi neanche molto ben chiari a lei.
“Minerva, è Halloween, e come tale ognuno può mascherarsi come
più desidera. Ed infondo credo che il signor Malfoy
abbia ragione, Halloween è la festa del male,
e lui ha rispettato pienamente la tradizione!”ed “argomento
chiuso” era esplicito.
Draco
ribolliva dentro. Com’è che Silente riusciva sempre a fraintendere
i suoi comportamenti in modo sbagliato? Gli serviva, voleva, VOLEVA QUEL
TATUAGGIO!!!
Cercò di riprendere la
calma, anche perché altrimenti non sarebbe riuscito a sedare la voglia
di uccidere tutti in quella stupida sala per dimostrare la sua unica indole
malvagia. Unica… ma che diceva, lui ERA un tutt’uno
di malvagità… ma gli mancava quello stupido teschio sul braccio.
Non lo aveva mai desiderato come in quel momento.
Si sedette irato sulla sedia. Poi
gli tornò alla mente la figura di quella ragazza. Da quando si
concentrava su argomenti così futili per lui? il suo unico obbiettivo
era… bhè, non lo sapeva neanche lui in
quel momento, ma era sicuro di una cosa, il suo obbiettivo non era sicuramente
cadere nella trappola di qualche bella principessa.
*
Ed ora era lì.
Un ballo fuggente tra le stelle
cadenti di un cielo artificiale e poi le era sparito da davanti, le era
sfuggito dileguato nelle tenebre di quella sera. L’aveva lasciata con un
palmo di naso, a guardarsi continuamente in giro per la sala per poter scovare
ancora quello sguardo così stranamente familiare. E non riusciva proprio
a capire cos’era quel fastidio che sentiva all’altezza dello
stomaco. Per quanto felice si fosse sentita grazie solo a quel breve contatto
adesso era estremamente incavolata nera. Con se stessa, con lui, e con tutti i
presenti della sala. Perché non riusciva a trovare un ragazzo che non le
scappasse via ogni secondo, perché non ne riusciva a trovare uno normale
come facevano tutte le sue compagne, perché ignorava proprio la sua
bellissima possibilità di nome Jeff che la
guardava ammaliato ammirando la sua confusione silenziosa, lì, a poca
distanza aerea dal suo corpo, ma anni luce lontano dal suo cuore perso tra i
meandri più oscuri dei suoi pensieri irrazionali.
Ed ancora non riusciva a capire
perché, invece di rammaricarsi per quel ragazzo evidentemente innamorato
pazzo, continuava a setacciare da cima a fondo la sala per poter trovare quell’affascinante mangiamorte.
(O anche subdolo Ginny, cerca di essere obiettiva
è sempre un mangiamorte!!!).
Si sentiva così male,
così profondamente ipocrita e cattiva e maligna con quel dolce ragazzo,
come quei vermi super viscidi che intasavano ogni volta il lavandino della
capanna di Hagrid.
Mentre si perdeva nel labirinto
della sua più completa stupidaggine vide qualcosa percorrere di gran
fretta il salone. Ma non qualcosa tipo un animale, più qualcosa riferito
in verità a qualcuno somigliante ad un animale, che però era
talmente affascinante da farle venire i brividi sulla schiena. Qualcosa che la
fece correre come una pazza per scoprire chi si celava sotto quella maschera.
Gli poggiò una mano leggera sulla spalla facendolo voltare, sicura di
trovarlo lì, di nuovo davanti a lei pronto a farle mandare in
cortocircuito il cuore con qualche altra delle sue frasi ad effetto. Ma quello
che trovò fu deprimente. Oltremodo deprimente.
Alex Smith. Corvonero del settimo anno
per nulla eccitante e molto, molto noioso. Gli chiese scusa con una strana
smorfia tornando verso Jeff, pronta ad inventare
un’altra balla colossale che potesse coprire il suo comportamento
infantile. Per un attimo aveva sentito di nuovo quella strana sensazione, come
se dentro di lei stesse scoppiando una tempesta colossale. Poi, quando aveva
capito di aver serio bisogno di un paio di occhiali da vista, tutto quel
tumulto di sensazioni si era trasformato in qualcosa di molto simile a nausea,
tristezza, pietà, ed una maggiore dose di disprezzo per se stessa con
l’incremento della compassione naturale che provava verso Jeff.
Poveretto. Ancora non si
ricordava perché fosse andata al ballo con lui poi. Se non fosse stato
per la sua autoconvinzione sarebbe potuta rimanere nel dormitorio, senza vestito, piena di felicità,
e con la totale inconsapevolezza dell’esistenza di un mangiamorte
così affascinante ad Hogwarts.
Cercò di dimenticare tutto
quello che era avvenuto quella sera. Non poteva chiudersi nel mare in burrasca
delle sue emozioni per qualcuno che nemmeno conosceva, che non avrebbe mai
più incontrato. Non doveva più pensare al passato o al futuro, ma
vivere per come le si prospettava il presente. Per quanto brutto, triste,
felice o allegro che fosse, lei non poteva più aggrapparsi ai ricordi
del passato, ma cercare di far parte del presente vivendo con felicità
anche i momenti più brutti. Come ad esempio andare per un altro mese a
lezione di pozioni con quello scarafaggio.
Si avvicinò a Jeff prendendolo per un braccio. Lo vide arrossire
così tanto da fare invidia ad un peperoncino messicano.
“Scusa Jeff,
ma mi era sembrato di vedere Luna!” che balla. Certo che quando voleva le
inventava proprio bene, così bene che non le erano nati neanche i sensi
di colpa.
Ricorda Ginny,
vivi al presente.
*
Si rese conto che vivere al
presente era troppo difficile. Cioè, era da malapena un’ora che
aveva stabilito la cosa, e già cercava di trovare tutti i possibili modi
per tornare sui suoi passi iniziali. Peccato che non ricordasse la strada e
avesse smarrito la cartina geografica.
Glielo diceva sempre sua madre,
mai lasciare la vecchia via per la nuova, si sa quello che si lascia ma non si
sa quello che si trova.
Genio sua madre. Da piccola la
riteneva molto simile ad una divinità greca, peccato che crescendo la
venerazione si era affievolita. Se solo le avesse dato ascolto.
Ma no, lei doveva fare la ragazza
matura, la ragazza filosofica, la ragazza intelligente e perspicace. Mannaggia a Ginny e a quando si
metteva in testa di crescere. Perché ogni volta che lo faceva
sistematicamente diminuiva d’intelligenza. Tutta quella mezz’ora
che aveva passato in sala grande a rimuginare sull’errore che aveva fatto
le era servita a ben poco.
Comunque sia, qualsiasi cosa avesse
pensato prima e qualsiasi rimedio avesse potuto trovare, ormai era troppo
tardi. Jeff era a pochi centimetri dalla sua bocca ed
un suo rifiuto non sarebbe potuto essere giustificato se non dalle tre parole
apparentemente insignificanti “non. Ti. Amo.”. Se possibile si
sentiva un verme ancora peggio di prima.
E come faceva ad allontanarlo?
Facilissimo, non lo avrebbe allontanato. Si sarebbe lasciata baciare, gli
avrebbe detto che lo amava tanto, e sarebbe andata a letto pestandosi la testa
allo scheletro di ferro del letto a baldacchino. L’indomani probabilmente
esclusa Luna che avrebbe pianto a più non posso come una bambina, tutti
avrebbero partecipato al suo funerale e poi si sarebbero dimenticati della
bella Ginny, che si era uccisa per un motivo ignoto.
Che catastrofe. Che catastrofe era la sua vita. Un continuo susseguirsi di caos
irrimediabilmente irrimediabili.
Un centimetro in meno. Pensa Ginny, pensa. Due centimetri in meno. Pensa Ginny, pensa. Tre centimetri in meno. Pensa Ginny, pensa. Quattro centimetri in meno.
Ginny non fu
più in grado di pensare. Aveva voluto fondersi con il pavimento
scivolando su di esso.