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Autore: Nanda    10/04/2007    2 recensioni
A nessuno sono sconosciuti i sentimenti. Forse più nascosti, birichini e permalosi cercano di giocare a nascondino con i loro padroni, ma nessuno può dire di non possedere dei veri sentimenti. Perché per quanto si possa sembrare freddi e privi di emozioni, sempre la nostra valigia invisibile ci seguirà ad ogni nostro più minimo passo, facendoci crescere e assediandoci il cuore, anche quello più gelido.
Poi, bisogna solo saper giocare a nascondino con loro, e riuscire a scovarli in qualsiasi posto loro si siano nascosti.
Feelings plays with our life.
I sentimenti giocano con la nostra vita. Bisogna solo saper vincere.
E Draco, aveva finalmente vinto, come ogni Malfoy che si rispetti.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

CAPITOLO 9

 

MANGIAMORTE AD HALLOWEEN

 

Era impazzita. Oltremodo impazzita. Ed era felice. Oltremodo felice. Sarebbe di certo parsa malata a qualcuno che non conosceva lo svolgimento dei fatti, ma dato che nessuno li conosceva, in effetti pareva alquanto pazza alle sue compagne di stanza grifondoro. Più specificatamente, a tutte le sue compagne di stanza grifondoro.

 

Ma torniamo al punto saliente che non l’avrebbe fatta parere stupida se qualcuno ne fosse venuto a conoscenza.

 

Era successo che dopo essersi tolta dalla divisa tutto quel rosso quasi indelebile, aveva raccontato a Luna che, per quanto triste fosse, non si sarebbe potuta presentare al ballo, anche perché non avrebbe mai messo la tenda di sua madre. E si era quasi messa a piangere quando Luna le aveva ricordato che avrebbe dovuto disdire l’appuntamento con Jeff. Poi, proprio quando lei stava per tirare su col naso per la trecentoventunesima volta, ormai sconfitta, a Luna era venuta l’idea più brillante che mai le fosse venuta in tutta la sua vita.

 

Ginny era stupita.

 

“Ti posso prestare il mio vestito dell’anno scorso che non ho mai messo, quest’anno non lo posso usare perché mi va troppo stretto, ma credo che per te possa andare, anche perché altrimenti lo dovrei buttare via!”.

 

Luna era sempre stata una santa. Certo, vagonate di pazzia, secchi di droghe, ma di certo maree di santità. E non si sapeva da dove venisse, dato che il padre era famoso solo per la sua pazzia altamente acuta e la madre, non l’aveva mai vista in nessun giornale, a meno che non fosse uno degli animali avvistati dal padre, perché altrimenti si sarebbe spiegato tutto.

 

E poi era una ragazza così dolce, carina, simpatica… frena. Stava adulando mentalmente Luna solo perché le prestava un vestito? Che ingrata.

 

Fatto sta che era stata veramente l’unica ancora di salvezza per Ginny quella. E dopotutto, anche se non lo dimostrava, Luna sapeva che le era profondamente grata per tutto quello che stava facendo per lei.

 

Comunque, dopo tutti gli sproloqui vari, ecco che si ritrovava là, davanti allo specchio, a rimirarsi nel “suo” vestito. E doveva ammettere che Luna nello scegliere capi d’abbigliamento non era male. Ovviamente, dopo avrebbe scoperto che il vestito era stato scelto da suo padre e non da lei. Anche perché non era mai successo che Luna sceglieva un vestito decente da indossare davanti ad un pubblico della sua età senza far ridere nessuno.

 

Fatto sta che Ginny era fasciata da un bellissimo corpetto rosa pesca di seta rifinito interamente da fili dello stesso colore un po’ più scuro, ed una gonna estremamente larga della medesima tonalità che le dava la sensazione che l’avrebbe lasciata da un momento all’altro. Quando camminava un po’ più velocemente si intravedevano le scarpine basse bianche mentre i capelli, per l’occasione raccolti in uno chignon, erano circondati da una coroncina di roselline, e due ciocche arricciate le ricadevano sul volto candido.

 

Si sentiva estremamente a disagio nei panni di Cenerentola. In primo piano perché quello non era il suo tipo di vestito, in secondo piano perché non sapeva nemmeno chi fosse Cenerentola.

 

Luna aveva cercato brevemente di riassumerle la storia ma Ginny aveva capito solo qualcosa di simile ad un topo con la bacchetta. I concetti basilari si erano rinchiusi nel vero senso verbale in quella scena. Ed ancora non riusciva a spiegarsi come un topo potesse essere vestito come lo era lei in quel momento.

 

Cercò di districarsi da quel suo grave dilemma legandosi la mascherina nera con rifiniture pesca al viso e cominciando a scendere le scale del dormitorio.

 

Jeff le aveva dato appuntamento all’ingresso della sala grande, e lei non intendeva fare ritardo.

 

*

 

Il ticchettio di quell’orologio era esasperante.

 

Una festa come un’altra.

 

Ricordava con asprezza quei momenti in cui l’ansia lo prendeva, quando doveva fare le sue entrate ad effetto per tramortire qualche bella ragazza. Sapeva che non ce ne era bisogno, perché le ragazze le tramortiva solo con lo sguardo, ma amava lo stesso fare quel che faceva.

 

Ora, avrebbe preferito di gran lunga rimanere nel suo letto a dormire. Non trovava più nessun divertimento in quelle feste, se non la reale noia che lo avrebbe avvolto tutta la serata.

 

Vedeva sempre i professori, di solito rimanevano seduti ai loro posti tutta la sera a guardare gli studenti ballare, e sapeva che quella sera gli sarebbe toccata la stessa sorte.

 

Si posò il pesante mantello nero sulle spalle, e poggiò una mascherina argentata sul volto. E perché non si sarebbe potuto vestire da mangiamorte? Tanto se lo avessero fermato in sala grande, lui non possedeva il tatuaggio. Lui non possedeva quel MALEDETTO TATUAGGIO!!! Arrabbiato marcio per tanti di quei motivi che neanche lui riusciva a fare mente locale su uno solo di questi, si trascinò fino alla porta della sua stanza e si avviò verso la sala grande.

 

Attenzione, stava per arrivare il mangiamorte più pericoloso di Hogwarts!!!

 

*

 

Le stavano tremando le gambe.

 

Le stavano tremando le gambe e da pochi minuti aveva sentito qualche piccolo segno di cedimento anche da parte della sua bocca. Non poteva, non poteva, non doveva, non sapeva… lo riusciva ad osservare da lontano, ed ancora le sue gambe non si erano decise a raggiungerlo. Insomma, non è che fosse pratica di rapporti con i ragazzi. Anche perché l’unico ragazzo con cui era stata era stato… sentì d’un colpo la mente svuotarsi e le gambe partire in sesta. Le faceva bene a volte pensare a certe cose, le dava la giusta “spinta” che le necessitava.

 

Cercando di avere il passo di una principessa si avvicinò a Jeff, ancora voltato di spalle, e gli bussò dolcemente sulla spalla con il dito. Lo vide voltarsi di colpo e fissarla per un momento. Poi le prese la mano e gliela baciò.

 

“Buonasera principessa, non riesco nell’astenermi dal dirle che questa sera è sul serio bellissima!” ok, ora le gambe le stavano davvero crollando a terra. Ma perché doveva farle quell’effetto?

 

“Grazie Jeff!” cercò di stare al gioco la rossa. Gli diede la mano avvicinandosi un po’ di più a lui, anche se non troppo.

 

Non era male nel suo smoking nero doveva ammettere.

 

La sala era bellissima.

 

Appena entrati non riuscirono a credere ai propri occhi. Tutto circondato da piccoli tavolini, una musica soffusa riscaldava e stendeva un velo di protezione dall’inizio di quell’inverno pungente su tutta la sala. Era magnifico. Era quasi completamente piena di tutti gli studenti, e fu ancora più magnifico, dovette ammettere Ginny, quando partì la musica vera e propria e la sala si oscurò, illuminata solo dalla tenue luce emanata dalla polvere di stelle gettata da Silente nella stanza.

 

Era come la notte di San Lorenzo quando Ginny si era ritrovata ad esprimere quel desiderio…

 

*

 

La notte era fantastica. Quel manto scuro infinito punteggiato qua e là da piccoli puntini luminosi le infondeva pace e tranquillità, nonostante si trovasse ai margini di una foresta.

 

Conosceva quel posto come le sue tasche, fin da quando aveva pochi anni, si ritrovava a fuggire da casa per poter stare in pace con se stessa, con gli alberi e con il cielo stellato. Ma amava quel posto soprattutto perché l’aiutava a capire ciò che di più la faceva soffrire. Era come se fosse un cassetto dei desideri, e con tutte quelle stelle, chi lo avrebbe potuto definire diversamente.

 

Quella sera aveva voluto andare lì per poter esprimere un desiderio.

 

Era la notte di San Lorenzo, e solitamente fra i babbani era di tradizione quel giorno osservare attentamente il cielo per poter trovare una stella cadente. Lei non ci credeva molto, ma si convinceva pensando che provando non avrebbe fatto niente di male, anche perché le piaceva passare il tempo lì.

 

Si sedette poggiata al tronco di un albero, sulla fresca erbetta, contemplando il cielo.

 

Lo pensava notte e giorno ormai, non poteva farne a meno. Era come un virus che le aveva intasato le vene, contaminato il sangue e di cui non si conosceva nessun rimedio. Era quasi certa di averlo visto tra le leggere increspature delle nuvole del cielo, e solo dopo poco si era resa conto che non poteva essere materialmente in quel luogo, a meno che il padre non lo avesse ucciso, certo, cosa molto probabile secondo i suoi racconti.

 

Non capiva ancora per quale insulso motivo si fidava così ciecamente di lui, non comprendeva perché mai si era lasciata andare solo con lui, e non era propriamente sicura che lui l’amasse veramente. Sapeva solo che era per la prima volta che si sentiva come adesso, e l’unica cosa di cui era sicura era che lei lo amava. Pazzamente, scioccamente, inconsciamente, pienamente cosciente, illimitatamente, lei, lo amava. E non le importava se lui non l’amasse, importava solo che lei lo amasse.

 

In quel momento vide una luce intensa attraversare il cielo diventato azzurro chiaro lungo la scia luminosa. Come se un fascio di fuoco attraversasse una lastra di ghiaccio infinita. Era come se avesse visto il fuoco sciogliere il ghiaccio.

 

E chiudendo gli occhi espresse il suo desiderio. Con tanta di quella foga e quell’intensità che quella notte, qualcosa cambiò nell’intero ecosistema, sconvolgendo il giorno e la notte, il buio e la luce, il fuoco ed il ghiaccio. Sconvolgendo il bene ed il male.

 

<>

 

*

 

Tra le braccia di Jeff ballare un lento era come ballare un tip tap a livello professionistico. Non sapevi mai dove mettere i piedi e finiva che glieli calpestavi dieci volte su dodici. Fortunatamente lui era tanto paziente da cercare di far finta di non accorgersi della tua goffaggine. Ma l’impresa era ardua, come arduo era cercare di trovare un po’ di delicatezza in un elefante.

 

Ginny si sentiva così a disagio che non sapeva se fosse stato peggio non andare al ballo o fare quella figura con lui.

 

Forse sarebbe stato meglio se Luna non l’avesse aiutata. Infondo Jeff neanche lo conosceva. Lui neanche la conosceva. Non avrebbe sofferto se avesse rinnegato l’invito adesso. Ma lei no, è tosta Ginny, deve andare al ballo, deve stare con il ragazzo più bello di Hogwarts consapevole che non sa muovere un muscolo, o perlomeno non lo sa muovere a ritmo di musica.

 

Finì che dopo soli dieci minuti Ginny dovette chiedergli di portarle da bere per porre fine un po’ a quel volteggiare continuo che le stava dando alla testa. Anche se ben consapevole che bere l’avrebbe fatta stare solo più male.

 

In che guaio che si stava mettendo.

 

Poi vide la sala in subbuglio.

 

Ogni cavaliere si era diviso dalla sua dama ed aveva chiesto di ballare ad un’altra. Probabilmente era una nuova sparata di Silente. Lei non aveva fatto molta attenzione al suo discorso, più impegnata a concentrarsi sui muscoli di Jeff per poter prestare attenzione alla barba bianca del preside più vecchio di Londra.

 

Poi vide la punta di un cappuccio davanti a se. Un cappuccio nero molto simile a… ma che, mangiamorte a scuola, Silente non lo avrebbe permesso.

 

“Vuole ballare con me bellissima principessa?” la voce lenta e pacata l’accolse dolcemente cullandola nel suo pericoloso abbraccio.

 

Non ebbe il tempo materiale di poter accettare perché le sue gambe risposero per la sua bocca, avvicinandosi al ragazzo. Il contatto con quella mano marmorea la fece rabbrividire nel vero senso della parola. Era così fredda che paragonarla ai brividi di gennaio era un eufemismo. Le bastò comunque poggiare la mano sulla sua per finire nel suo abbraccio caldo e forte. E quando lo vide in volto sbiancò. Una maschera argentata gli copriva il viso.

 

Quello o era un mangiamorte, o era un pazzo. Ma stranamente lei aveva una strana attrazione per entrambi i casi. Più per il secondo cercò di pensare. Non voleva spaventarsi pensando di avere di fronte un mangiamorte. Quello era un normalissimo ragazzo vestito da mangiamorte. Stranamente ancora non gli aveva calpestato nessun piede. Doveva ammettere che Jeff le aveva insegnato bene. Ripensò al poveretto al tavolo delle bevande. Lo aveva lasciato solo senza curarsene più di tanto, ma solo lasciandosi trasportare da quelle braccia solide e forti.

 

Era da ormai cinque minuti che ballavano, fra poco la canzone sarebbe finita e si sarebbero dovuti separare. Stranamente Ginny non voleva. Non voleva abbandonare quel ragazzo misterioso, l’affascinava. E più lo pensava più si sarebbe presa a schiaffi. Se li sceglieva proprio bene i ragazzi. Mangiamorte, travestiti, pazzi maniaci, killer. Wow.

 

La canzone finì improvvisamente, facendo tornare entrambi alla realtà. Ginny rimase abbracciata a quel mangiamorte.

 

Non voleva lasciarlo. Non poteva lasciarlo. Era come se lo conoscesse sotto quella maschera. Come se sapesse di conoscerlo. Ma certo che lo conosceva, si diede della stupida, era un ragazzo di Hogwarts.

 

Lo vide sciogliersi da quell’abbraccio più lungo, poi s’inchinò e le prese la mano baciandogliela dolcemente.

 

“Devo dedurre che le è piaciuto ballare con me, principessa!” le fece fare una giravolta mentre riprendeva un’altra canzone e le coppie originali si ricomponevano, poi se la portò stretta a se con i visi vicini ed i nasi che si sfioravano appena.

 

Gli sguardi incatenati in una forte magia oscura. Infondo si aveva sempre a che fare con un mangiamorte.

 

“Arrivederci bellissima principessa, chissà che non ci rivedremo in altre vesti!” detto questo scomparì in una nube trasparente, lasciandola in compagnia del vuoto della sua assenza.

 

No. Quello non era uno studente, era un mago. Si ritrovò a pensare Ginny. Era evidentemente in forte agitazione tanto che se fosse passato un altro minuto senza sedersi sarebbe svenuta. Si avvicinò al tavolino più vicino e fece ciò che le veniva richiesto dal suo corpo. Quel ballo era durato così poco, ma nello stesso tempo era come se fosse durato tantissimo. Aveva provato così tante emozioni in una volta sola che cercare di esprimerle sarebbe stato un ottimo modo per suicidarsi.

 

Poi dal suo posto vide Jeff. Con in mano ancora uno strano liquido la raggiungeva. Aveva un’aria sollevata.

 

“Finalmente, ma dov’eri finita, hai cercato di scappare?” le disse sedendole vicino e porgendole la coppetta.

 

Ginny si sentiva profondamente in colpa. Tanto che per trovare le parole per formulare una risposta ci mise come minimo dieci minuti.

 

“Mi dispiace, mi sono sentita un po’ male e sono uscita fuori a prendere una boccata d’aria!” bugiarda, vile, crudele, stupida, spregevole. Ed ora perché mentiva? Non era di certo colpa sua se un mangiamorte l’aveva rapita. Ops, forse, ora che ci pensava, aveva fatto bene ad omettere il fatto mangiamorte. Già.

 

Lo vide posare il bicchiere e farla alzare.

 

No, ancora ballare no!!!

 

*

 

“Professor Malfoy, che.. look questa sera!” disse con la sua solita voce pacata un Silente divertito.

 

Draco andò su di giri. Com’è che quel vecchio sapeva sempre come prendersi gioco di lui.

 

“Le spiace?”

 

“Affatto, lo trovo molto originale!” rispose il vecchio preside.

 

“Ma Albus, si rende conto che questo ragazzo sta…” la Mc Granitt cercò di intervenire difendendo dei principi neanche molto ben chiari a lei.

 

“Minerva, è Halloween, e come tale ognuno può mascherarsi come più desidera. Ed infondo credo che il signor Malfoy abbia ragione, Halloween è la festa del male, e lui ha rispettato pienamente la tradizione!”ed “argomento chiuso” era esplicito.

 

Draco ribolliva dentro. Com’è che Silente riusciva sempre a fraintendere i suoi comportamenti in modo sbagliato? Gli serviva, voleva, VOLEVA QUEL TATUAGGIO!!!

 

Cercò di riprendere la calma, anche perché altrimenti non sarebbe riuscito a sedare la voglia di uccidere tutti in quella stupida sala per dimostrare la sua unica indole malvagia. Unica… ma che diceva, lui ERA un tutt’uno di malvagità… ma gli mancava quello stupido teschio sul braccio. Non lo aveva mai desiderato come in quel momento.

 

Si sedette irato sulla sedia. Poi gli tornò alla mente la figura di quella ragazza. Da quando si concentrava su argomenti così futili per lui? il suo unico obbiettivo era… bhè, non lo sapeva neanche lui in quel momento, ma era sicuro di una cosa, il suo obbiettivo non era sicuramente cadere nella trappola di qualche bella principessa.

 

*

 

Ed ora era lì.

 

Un ballo fuggente tra le stelle cadenti di un cielo artificiale e poi le era sparito da davanti, le era sfuggito dileguato nelle tenebre di quella sera. L’aveva lasciata con un palmo di naso, a guardarsi continuamente in giro per la sala per poter scovare ancora quello sguardo così stranamente familiare. E non riusciva proprio a capire cos’era quel fastidio che sentiva all’altezza dello stomaco. Per quanto felice si fosse sentita grazie solo a quel breve contatto adesso era estremamente incavolata nera. Con se stessa, con lui, e con tutti i presenti della sala. Perché non riusciva a trovare un ragazzo che non le scappasse via ogni secondo, perché non ne riusciva a trovare uno normale come facevano tutte le sue compagne, perché ignorava proprio la sua bellissima possibilità di nome Jeff che la guardava ammaliato ammirando la sua confusione silenziosa, lì, a poca distanza aerea dal suo corpo, ma anni luce lontano dal suo cuore perso tra i meandri più oscuri dei suoi pensieri irrazionali.

 

Ed ancora non riusciva a capire perché, invece di rammaricarsi per quel ragazzo evidentemente innamorato pazzo, continuava a setacciare da cima a fondo la sala per poter trovare quell’affascinante mangiamorte. (O anche subdolo Ginny, cerca di essere obiettiva è sempre un mangiamorte!!!).

 

Si sentiva così male, così profondamente ipocrita e cattiva e maligna con quel dolce ragazzo, come quei vermi super viscidi che intasavano ogni volta il lavandino della capanna di Hagrid.

 

Mentre si perdeva nel labirinto della sua più completa stupidaggine vide qualcosa percorrere di gran fretta il salone. Ma non qualcosa tipo un animale, più qualcosa riferito in verità a qualcuno somigliante ad un animale, che però era talmente affascinante da farle venire i brividi sulla schiena. Qualcosa che la fece correre come una pazza per scoprire chi si celava sotto quella maschera. Gli poggiò una mano leggera sulla spalla facendolo voltare, sicura di trovarlo lì, di nuovo davanti a lei pronto a farle mandare in cortocircuito il cuore con qualche altra delle sue frasi ad effetto. Ma quello che trovò fu deprimente. Oltremodo deprimente.

 

Alex Smith. Corvonero del settimo anno per nulla eccitante e molto, molto noioso. Gli chiese scusa con una strana smorfia tornando verso Jeff, pronta ad inventare un’altra balla colossale che potesse coprire il suo comportamento infantile. Per un attimo aveva sentito di nuovo quella strana sensazione, come se dentro di lei stesse scoppiando una tempesta colossale. Poi, quando aveva capito di aver serio bisogno di un paio di occhiali da vista, tutto quel tumulto di sensazioni si era trasformato in qualcosa di molto simile a nausea, tristezza, pietà, ed una maggiore dose di disprezzo per se stessa con l’incremento della compassione naturale che provava verso Jeff.

 

Poveretto. Ancora non si ricordava perché fosse andata al ballo con lui poi. Se non fosse stato per la sua autoconvinzione sarebbe potuta rimanere nel dormitorio,  senza vestito, piena di felicità, e con la totale inconsapevolezza dell’esistenza di un mangiamorte così affascinante ad Hogwarts.

 

Cercò di dimenticare tutto quello che era avvenuto quella sera. Non poteva chiudersi nel mare in burrasca delle sue emozioni per qualcuno che nemmeno conosceva, che non avrebbe mai più incontrato. Non doveva più pensare al passato o al futuro, ma vivere per come le si prospettava il presente. Per quanto brutto, triste, felice o allegro che fosse, lei non poteva più aggrapparsi ai ricordi del passato, ma cercare di far parte del presente vivendo con felicità anche i momenti più brutti. Come ad esempio andare per un altro mese a lezione di pozioni con quello scarafaggio.

 

Si avvicinò a Jeff prendendolo per un braccio. Lo vide arrossire così tanto da fare invidia ad un peperoncino messicano.

 

“Scusa Jeff, ma mi era sembrato di vedere Luna!” che balla. Certo che quando voleva le inventava proprio bene, così bene che non le erano nati neanche i sensi di colpa.

 

Ricorda Ginny, vivi al presente.

 

*

 

Si rese conto che vivere al presente era troppo difficile. Cioè, era da malapena un’ora che aveva stabilito la cosa, e già cercava di trovare tutti i possibili modi per tornare sui suoi passi iniziali. Peccato che non ricordasse la strada e avesse smarrito la cartina geografica.

 

Glielo diceva sempre sua madre, mai lasciare la vecchia via per la nuova, si sa quello che si lascia ma non si sa quello che si trova.

 

Genio sua madre. Da piccola la riteneva molto simile ad una divinità greca, peccato che crescendo la venerazione si era affievolita. Se solo le avesse dato ascolto.

 

Ma no, lei doveva fare la ragazza matura, la ragazza filosofica, la ragazza intelligente e perspicace. Mannaggia a Ginny e a quando si metteva in testa di crescere. Perché ogni volta che lo faceva sistematicamente diminuiva d’intelligenza. Tutta quella mezz’ora che aveva passato in sala grande a rimuginare sull’errore che aveva fatto le era servita a ben poco.

 

Comunque sia, qualsiasi cosa avesse pensato prima e qualsiasi rimedio avesse potuto trovare, ormai era troppo tardi. Jeff era a pochi centimetri dalla sua bocca ed un suo rifiuto non sarebbe potuto essere giustificato se non dalle tre parole apparentemente insignificanti “non. Ti. Amo.”. Se possibile si sentiva un verme ancora peggio di prima.

 

E come faceva ad allontanarlo? Facilissimo, non lo avrebbe allontanato. Si sarebbe lasciata baciare, gli avrebbe detto che lo amava tanto, e sarebbe andata a letto pestandosi la testa allo scheletro di ferro del letto a baldacchino. L’indomani probabilmente esclusa Luna che avrebbe pianto a più non posso come una bambina, tutti avrebbero partecipato al suo funerale e poi si sarebbero dimenticati della bella Ginny, che si era uccisa per un motivo ignoto. Che catastrofe. Che catastrofe era la sua vita. Un continuo susseguirsi di caos irrimediabilmente irrimediabili.

 

Un centimetro in meno. Pensa Ginny, pensa. Due centimetri in meno. Pensa Ginny, pensa. Tre centimetri in meno. Pensa Ginny, pensa. Quattro centimetri in meno.

 

Ginny non fu più in grado di pensare. Aveva voluto fondersi con il pavimento scivolando su di esso.

 

  
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