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Autore: Yuki_o    26/09/2012    4 recensioni
una leggenda sopravvissuta nei secoli e due ragazzi che non hanno assolutamente nessun motivo per stare insieme...cosa succederebbe se ad un tratto il desiderio di uno spirito infelice gli chiedesse aiuto per cambiare il suo destino?
lo so, non sembra originale, ma è la mia prima fanfiction in assoluto! se mi lasciaste una recensioncina...grazie!! buona lettura!
N.B. titolo e introduzione provvisori!
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 7

 
 
Sentivo freddo.
Non capivo bene cosa stesse succedendo intorno a me, tra rumori ovattati e voci lontane, ma quella pungente sensazione di freddo prevaleva su tutto. E poi avevo fame.
Questi furono i pensieri con cui mi svegliai quella mattina d’Autunno trovandomi di fronte il volto di Maya.
Solo un attimo di smarrimento, poi la consapevolezza. Mi tirai su di scatto con un forte colpo di reni, rischiando di scontrarmi con lei. Mi guardavo intorno spaventata, sotto lo sguardo interrogativo della mia amica. Non capivo: come ci ero arrivata lì dal pavimento del bagno?
-Joy?- sentii la sua voce richiamarmi, velata di preoccupazione –Tutto bene? Non facevi altro che agitarti nel sonno, così ho pensato di svegliarti…-
Mi agitavo?
-Davvero? Mi spiace ti ho svegliata…- risposi più calma possibile. La sera prima…
-Non devi preoccuparti! Piuttosto tu, stavi avendo un incubo…va meglio? Ricordi qualcosa o è sempre lo stesso?- Maya mi stringeva la mano guardandomi dolce.
-Sì.- Non sapevo a quale delle due domande stessi rispondendo, ma Maya sembrò accontentarsi. Sentivo la faccia addormentata e intorpidita e avevo una strana sensazione di agitazione che mi opprimeva lo stomaco, oltre ad una fame tremenda. Mi sfiorai le guancie leggermente e le avvertii, sotto le dita, rigate di lacrime. Sentivo su di me lo sguardo preoccupato della mia amica e nonostante questo non riuscivo a fare altro che pensare a quello che era successo la sera prima.
Alla fine semplicemente mi misi seduta sul bordo del letto, stropicciandomi il volto per mascherare un po’ le lacrime. Chissà se ci ero riuscita.
Maya si alzò, stiracchiandosi come un gatto, e mi rivolse poi un sorriso tanto luminoso da sorprendermi.
-Scendiamo? Tuo padre ci ha chiamato dieci minuti fa, dicendo che la colazione ci aspetta…-
Annuii.
Scendemmo le scale senza fretta e quando entrammo in cucina trovai mio padre seduto, come sempre, al tavolo, che leggeva il giornale. Ci vide arrivare e subito lo chiuse.
-Buongiorno signorine! Dormito bene?-
-Benissimo Signor Mc Kelly!- esclamò Maya, solare.
Mi fece sorridere la loro allegria e ricordare quanto ero affamata. Mi sedetti subito a tavola e mi rivolsi a mio padre mentre ero intenta a versarmi una generosa dose di caffè.
-A proposito di dormire, a che ora sei tornato ieri sera papà?-
-Mh…era molto tardi, almeno l’una e mezza…ti sei preoccupata?-
-Sei abbastanza grande, immagino, perché io non mi preoccupi più.- dissi sorridendo.
Maya e mio padre si misero a ridere e l’emerito professore di archeologia Arthur Mc Kelly si sentì in dovere di lanciarsi in un dettagliato e –apparentemente- interminabile resoconto della serata trascorsa con il Signor Jeremiah. Ho sempre trovato che mio padre fosse estremamente buffo in questi momenti: con gli occhi brillanti, un perenne sorriso stampato in faccia e quel modo esagerato di gesticolare di quando è entusiasta per qualcosa. Ecco come mi appariva: un bambino la mattina di Natale.
Inzuppavo qualche biscotto nel caffè mentre distrattamente seguivo il discorso di mio padre, sorridevo meccanicamente…e pensavo ad altro.
L’ultima volta che ero stata seduta in quella cucina sembrava così lontana, eppure erano passate solo poche ore. La sera prima, lì dove ora sedeva mio padre c’era Noha che mi guardava sorridendomi in quel modo strano e facendomi quelle assurde domande. Mi venne da ridere.
-Tutto bene, Joy?-
Alzai il volto dalla tazza del caffè e guardai mio padre che mi fissava perplesso. Mi ero messa a ridere da sola davanti a lui e ora evidentemente si chiedeva il motivo, ma il solo pensiero di parlargliene mi fece arrossire. Risposi con una scrollata di spalle e cercai di addentare il biscotto che da qualche minuto tenevo sospeso davanti alla bocca, ma incontrai il vuoto: il povero frollino infatti vagava alla deriva nel mio caffè, dove era precipitato mentre attendeva che io lo mangiassi.
Credo che la scena sia risultata alquanto buffa, ma evidentemente non a sufficienza da distogliere mio padre dal racconto della sua interessante serata con il signor Jeremiah. Decisi che forse era il caso di seguire il discorso pur convinta che non mi sarebbe di certo interessato. Sbagliavo.
Sembrava che il vecchio indiano fosse un esperto non solo della storia di quelle terre, ma che avesse seguito con passione anche gli sviluppi dell’archeologia in materia. Così i due, perfettamente in sintonia, avevano passato la sera a discorrere sulle possibilità di ritrovare qualche resto fossile o reperti minerari di interesse geologico e magari, espandendo l’area di ricerca, resti di un misterioso cimitero indiano che si diceva un tempo, molto prima della colonizzazione britannica, sorgesse nella zona e di cui parlavano innumerevoli leggende.
-Leggende? Di che genere?- chiesi, senza riuscire a trattenermi. Al solo sentire parlare di miti indiani il mio interesse si era risvegliato; in realtà era piuttosto sciocco aspettarsi che da quella conversazione casuale sorgesse un qualcosa di interessante per me, ma non ci pensai in quel momento. La notte prima avevo sognato per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta avevo pianto. Era troppo per il mio orgoglio.
Inoltre il vecchio Jeremiah, all’inaugurazione, se ne era uscito con quella strana frase sugli spiriti…sapere qualcosa in più su di lui mi sembrava l’unica cosa che potessi fare in quel momento. Non so bene quando in me fosse sorta questa volontà di agire, di sapere –da qualche parte lungo il tragitto dalla mia stanza alla cucina probabilmente- ma già lo sentivo come un bisogno e un’acuta impazienza mi spingeva a cogliere ogni possibilità mentre pensavo alla prossima mossa.
 
 
Quel giorno feci di tutto per essere vigile e attenta a scuola e con gli amici, forzandomi a ricacciare nel profondo la stanchezza e la voglia di prendere le mie cose, correre via e cercare qualcosa –qualsiasi cosa- che potesse aiutarmi a capire il senso delle sensazioni che mi stavano tormentando.
Partecipai alle lezioni, parlai con compagni e professori, a pranzo mangiai tutto con calma e senza alcun problema, avendo ritrovato l’appetito, mi attardai persino a parlare con un ragazzo un anno avanti a me e Maya, e lui ci propose di andare al falò per festeggiare l’apertura del campionato scolastico di football.
Maya ne parlò per tutto il giorno, dicendo che lei non era mai stata invitata prima e che secondo lei Alex – il ragazzo che ci aveva invitato- in realtà sarebbe stato interessato a me. Ridacchiai e lasciai che continuasse a farneticare.
Sembrava fosse tutto a posto, tutto normale come avrebbe sempre dovuto essere, ma era normale voltarmi ogni volta che intravedevo lucidi capelli neri? Trasalire per ogni ombra dietro un angolo? Inseguire speranzosa il suono di una risata particolarmente cristallina?
Mi sentivo patetica…come in un incubo.
-Allora…hai intenzione di andarci alla fine?-
La voce di Maya mi riscosse da un breve momento di assenza, e così senza capire la fissai interrogativa.
-Andare dove? Non ti seguo.-
La mia amica sbuffò –Al falò per il football ovviamente! Che altro?-
Mi era passato di mente. Misi qualche istante per rimettere a fuoco l’immagine del ragazzo alto e robusto che appena fuori dalla mensa ci aveva avvicinate con un bel sorriso. Rividi gli occhi castani e i capelli tagliati corti, di sicuro per esigenze sportive, il sorriso rassicurante e quello che più mi avena colpito nel suo volto: un piccolo neo proprio sotto l’occhio sinistro che gli conferiva una certa finezza nei tratti. Era un ragazzo che si faceva notare, questo era certo.
Continuai a rovistare distratta nel piatto cercando di recuperare qualche briciola dei biscotti che la madre di Maya ci aveva offerto come spuntino pomeridiano.
Dopo scuola avevo riaccompagnato la mia amica a casa sua e lei mi aveva proposto di rimanere lì a farle compagnia nel pomeriggio. Ora ce ne stavamo sdraiate –davvero poco elegantemente- sul divano del suo salotto, mentre in TV passava la sigla finale del telefilm  The Vampire Diaries, uno degli innumerevoli telefilm che Maya seguiva con grande dedizione.
-Non saprei- dissi infine –tu vorresti andarci?- chiesi.
-Io vado se ci sei tu, punto. Decidi e se ti senti poco a tuo agio allora stiamo a casa a guardare “Orgoglio e Pregiudizio” mangiando gelato. Alex troverà un’altra ragione per avvicinarti, magari proprio per chiederti come mai non sei andata, quindi non c’è problema!- concluse sorridendo.
-Non capisco davvero cosa ti faccia credere che quel tipo fosse davvero interessato a me. Fammi indovinare: è stato dal modo in cui sbatteva le ciglia?- dissi con aria scettica ma sorridendo divertita.
-Non essere ridicola! Uno come Alexander Tobey non sbatte le ciglia! E comunque ti ricordo che stai parlando con la regina degli amori non corrisposti, colei che si innamora un giorno sì e l’altro pure: credimi ho visto lo sguardo che Alex ti ha lanciato e non ho dubbi, lo vedo praticamente ogni volta che mi guardo allo specchio.-
Non riuscii a trattenermi dal ridere davanti al suo sguardo risoluto e alle sue parole. Alexander Tobey non era riuscito a darmi alcuna ragione per andare al falò del football, Maya mi aveva dato fin troppi argomenti, ma la verità era un’altra: ero in imbarazzo.
Odiavo le feste studentesche –o falò che fossero- e tutte le inevitabili conseguenze di simili occasioni: ballare, bere, flirtare…tutte occupazioni per le quali mi mancava qualsiasi esperienza, che mi facevano sentire inadatta o incompleta nella mia ignoranza. E poi non avevo mai avuto qualcuno per cui fossi disposta a sopportare le imbarazzanti conseguenze di una simile iniziativa: in 18 anni di vita non mi ero mai innamorata –se si escludono Legolas e Lestat de Lincourt- ed era un primato che non mi dispiaceva.
Mentre me ne stavo lì rimuginando, per poco non mi prese un colpo al sentire un improvvisa esclamazione di Maya.
-Cosa c’è?- le domandai con il cuore in gola per la sorpresa.
Lei mi guardò contrita e disse: -Sono un’amica terribile…- il suo sguardo era talmente desolato che iniziai a preoccuparmi sul serio.
-Ma cosa stai dicendo? E perché mai, poi?- cercai di rivolgerle un’espressione dolce e comprensiva.
-Ero talmente preoccupata stamattina che mi sono dimenticata il dovere di ogni buona amica che si rispetti!- continuò imperterrita nel suo ermetico discorso.
Sorrisi un po’ divertita, lo ammetto, dal suo comportamento così imprevedibile –E quale sarebbe questo dovere imprescindibile?-
-Lo sai bene!- esclamò, e si sbagliava- Avanti! Dimmi cos’è successo ieri sera mentre dormivo!-
Non capivo e glielo dissi, ma mi pentii di non essere fuggita nel preciso istante in cui quel discorso era iniziato.
-Joy, non scherziamo, ieri sera sei tornata a casa con un ragazzo –e che ragazzo!- mentre io me ne dormivo beata e tuo padre era a 40 kilometri di distanza. Perciò, cara, ora voglio i dettagli di quello che è successo, e per dettagli intendo che mi riporterai fedelmente le virgole di ogni frase pronunciata!-
Avevo visto abbastanza telefilm per sapere che davvero quella era una tipica reazione da amica e sapevo altrettanto bene che il seguito più logico di quel copione era evidentemente una mia dettagliata confessione circa tutto quello che –non- era successo con Noha. Avrei, lo giuro, voluto rispettare tale tradizione, ci provai anche, ma fu inutile.
Maya mi guardava sempre più curiosa e dopo qualche istante nemmeno cercò più di trattenersi sfoggiando un sorriso di evidente compiacimento. Rideva sotto i baffi insomma, e non potevo biasimarla.
Dacché il silenzio era calato tutto quello che avevo potuto fare era continuare a balbettare incontrollatamente.
Quando infine tacqui, senza peraltro aver detto una sola parola il cui senso fosse intelligibile, Maya si limitò ad un’ultima considerazione prima di afferrare il telecomando e iniziare a cercare un altro telefilm per il nostro pomeriggio.
-Credo proprio che non ci andremo a quel falò; Alex del resto se ne farà una ragione…prendiamo ancora qualche biscotto?-
Non le risposi: ero troppo occupata a cercare di diventare tutt’uno con la federa del divano che, per inciso, era rosso…fuoco.
 
 
Fino a quel giorno non avevo capito quanto velocemente potessero correre le voci in una scuola piccola come quella di White River e la mensa divenne il luogo migliore per rendermi conto del fatto che ero rapidamente passata dal totale anonimato alla rinomanza: non c’era ormai quasi nessuno che non sapesse che io ero la figlia dell’archeologo da poco trasferitosi in città, ma la popolarità aveva ben poco a che fare con l’importanza culturale del lavoro di mio padre. Quello che aveva reso noto a tutti il mio viso era stata la capatina improvvisa della rappresentanza della riserva all’inaugurazione degli scavi.
Fu strano rendersene conto e la mensa divenne il più palese teatro della mia ascesa sociale: divenne estremamente difficile ingoiare qualsiasi cosa sapendo che qualcuno stava fissandomi. Sempre.
Smisi di mangiare in mensa, allora.
Maya non era d’accordo ovviamente, ma qualsiasi iniziativa era impensabile se volevo evitare che mio padre venisse in qualsiasi modo coinvolto: non volevo in nessun modo fargli sapere che la sua gentilezza nei confronti del signor Jeremiah aveva portato a quei odiosi pettegolezzi.
Mi portavo il pranzo da casa in vaschette trasparenti e mangiavo in giardino, sotto l’ombra della tettoia del cortile e oltre a Maya, che si univa a me appena aveva finito di pranzare, anche altri amici mi facevano spesso compagnia. Ne ero contenta: sapevo che non erano meglio degli altri  e se non mi avessero conosciuta sarebbero stati là anche loro a bisbigliare, ma il punto è che nemmeno io mi ritenevo migliore di loro, dato che non riuscivo a trovare il coraggio di affrontare la situazione che mi imbarazzava, solo per non coinvolgere mio padre.
Mi stavo nascondendo nell’ombra, come il giorno in cui avevo incontrato Noha in quel vicolo.
Alla fine non ero nemmeno andata al falò nonostante per molti aspetti l’idea di dover inventare una scusa convincente per Tobey mi avesse terrorizzata molto più della festa in sé, ma dopo l’improvvisa popolarità raggiunta un’intera serata di mondanità sarebbe stata intollerabile. Un fatto positivo della mia precedente scuola era che essendo così numerosi gli studenti, le uniche feste riguardavano le elitè irraggiungibili dei geni e dei figli di papà. Il massimo del divertimento per le mie amiche era passare il pomeriggio al centro commerciale o in qualche pub con una band dal vivo.
Era una situazione insolita ovviamente, ma nessuno provò mai a impedirmi di pranzare in giardino, mentre il problema sarebbe sorto con l’arrivo del freddo. Speravo solo che con il tempo i pettegolezzi sarebbero spariti da soli: prima o poi si sarebbero stancati di ricordare l’episodio dell’inaugurazione, ne ero convinta. Era l’unico motivo per cui riuscivo a costringermi ad aspettare.
Era sempre piuttosto shockante scoprire che essere una figlia perfetta per mio padre era più importante perfino del mio stesso orgoglio. Quando ero sola poi, era così difficile trovare quella me stessa remissiva e premurosa tra i miei pensieri vorticosi. Spesso perdevo ogni percezione del tempo e sempre, sempre, mi ritrovavo immersa nel sogno del bosco.
Nonostante avessi letto e riletto la leggenda e avessi avvertito ad ogni parola, ad ogni riga la stessa sensazione di comprensione, come dopo lo scioglimento di un segreto, continuavo a sognare la corsa disperata verso la luce anche se senza più paura. Dormivo e sognavo, a volte piangevo ancora, ma non così spesso, mentre a tormentarmi ora era la mancanza di successo delle mie ricerche. Apparentemente non c’era nessuno che avesse mai sentito o menzionato la leggenda della lupa da nessuna parte, esclusa la biblioteca di White River.
Ma quello non era il mio unico problema. Mangiavo e dormivo regolarmente, seguivo le lezioni e con i miei nuovi amici e Maya mi divertivo, ma ero comunque sempre irrequieta, ansiosa. In attesa.
Non lo avevo più incontrato. Lo cercavo con lo sguardo un po’ ovunque –e solo io posso sapere quanto fosse imbarazzante ammetterlo- e mi sentivo delusa ogni volta che la sciocca sensazione di averlo intravisto o sentito si scontravano con l’evidenza che no, lui non c’era. E io continuavo a essere perseguitata dal mio incubo nel bosco.
Dopo un unico incontro ero già ossessionata da Noha.
Avevo persino dovuto nascondere il mio blocco da disegno e chiuderlo a chiave in un cassetto: non facevo altro che ritrarre il suo volto, i suoi occhi e piccoli scorci di bosco, tutti soggetti che non volevo assolutamente dover giustificare con mio padre.
Un giorno come tanti però il corso delle cose mutò e mi resi conto d’un tratto che i pettegolezzi dell’ora di pranzo erano l’ultimo dei miei problemi.
 
 
Seduta su una panchina di cemento nel cortile della scuola mangiucchiavo distrattamente un sandwich morbido, senza fretta, aspettando che Maya e gli altri ragazzi arrivassero per tenermi compagnia fino al suono della campanella delle lezioni pomeridiane.
Il clima stava rinfrescando e la brezza era piacevole sulla pelle, mentre mi accarezzava le ciglia. Il giorno prima una mia cara amica di città mi aveva inviato via mail le foto scattate durante l’uscita semestrale della mia vecchia classe e –per quanto sciocca mi facesse sentire- avvertivo vaghi residui di quella malinconia che mi aveva afflitta appena arrivata a White River: sembrava molto più semplice la mia vita in quei ricordi.
Non stavo prestando attenzione a ciò che mi accadeva intorno ma ero vagamente consapevole che per la prima volta dopo molto tempo ero finalmente riuscita a liberare la mente dalle immagini del bosco e della mia corsa disperata, che mi perseguitavano così caparbiamente. Forse fu per questo che allora non percepii niente, ma in seguito capitò comunque spesso che mi ritrovassi presa alla sprovvista, totalmente ignara della sua presenza.
Quando alzai gli occhi infatti, aspettandomi di ritrovare il famigliare spiazzo cementato del campo di basket comune, non ero più sola. Avevo passato l’ultimo mese a rastrellare con lo sguardo ogni angolo e ora ecco davanti a me lo stesso irritante sorriso con cui mi aveva lasciato quella sera per me già così lontana. Come ogni volta avvertii l’ormai famigliare senso di vertigini, ma mi imposi di rimanere impassibile per quanto faticoso potesse essere. Non potevo permettermi nulla di meno, perché in piedi davanti a me c’era Noha Highcreek e respirare non mi era mai sembrato così difficile.
 
 
-Ehi…-
Ehi? E quello avrebbe dovuto essere un saluto? Beh, non ero nemmeno lontanamente disposta a considerarlo tale. Stavo ancora lottando con la consapevolezza irritante che ero terribilmente felice di vederlo. Mi sentivo stupida come non mai.
-E’ una presa di posizione interessante quella di mangiare qui…credi che così smetteranno di parlare di te?-
Lo sentii avvicinarsi e sedersi accanto a me, ma anche se non potevo impedirmi di irrigidirmi decisi comunque di continuare a ignorarlo. Ero così acutamente consapevole della sua presenza da riuscire a percepire persino il suo respiro.
-Mi stai ignorando, Joy…trovo che sia piuttosto fastidioso.-
Pensava che questo mi avrebbe smossa? Al contrario sentii un esaltante senso di trionfo alle sue parole. Il rimorso, che era solo una eco lontana, lo sotterrai accuratamente dove non avrebbe intaccato la mia determinazione. Non era che volessi dimostrare qualcosa a lui, quanto che non volevo assecondare me stessa e la mia innaturale felicità alla sua ricomparsa.
Solo che evidentemente avevo sopravvalutato la mia capacità di resistenza.
-Dove eri finito?- dissi avvampando.
Se qualcuno mi avesse visto in quel momento probabilmente avrebbe pensato che il mio volto stesse andando in autocombustione. Lui sembrava sempre totalmente ignaro delle mie reazioni e anche quella volta continuò imperterrito a fissarmi come se non si fosse accorto di nulla.
-Sono sempre stato qui…solo che ho fatto in modo di evitarti.-
Nemmeno mi resi conto di aver alzato lo sguardo, quando gli risposi.
-E lo ammetti così? Sei un idiota, Noha, più i quanto credessi possibile.-
Mi capita di rado di urlare, ma in quel momento lo feci, come se quello fosse l’unico modo in cui poter esprimere quanto fossi irritata e offesa. Lui non poteva sapere che io l’avevo cercato continuamente e quella era l’unica consolazione: io non avevo fatto altro che pensare a lui e invece ero stata deliberatamente evitata!
Feci per alzarmi, ma mi trattenne per una manica. Odiai il mio cuore e il suo cattivo tempismo nel perdere battiti.
-Credevo che non l’avresti mai fatto…-
-Cosa? Darti dell’idiota? No, era solo questione di tempo!-
Lui mi sorrise e scosse la testa.
-No, non mi riferivo a quello.- una breve pausa in cui dovetti sforzarmi per rimanere arrabbiata con lui, mentre il suo sorriso innocente non collaborava.
-Chiamarmi per nome, non mi avevi mai chiamato per nome, Joy.-
Silenzio.
-Non me ne hai dato l’occasione, stupido.-
-Ah.-
A volte i discorsi si arenano e cala il silenzio così semplicemente che è difficile trovare nuove parole e andare avanti. Con Noha succedeva spesso.
-Perché?-
-Perché ti ho evitato? Per l’unica ragione ovvia: io vivo alla riserva, tu no.-
-Le cazzate che vi inventate qui finiranno per farmi impazzire.-
E lui rise. Sarei stata tentata di seguirlo a ruota solo per il piacere di sentire risuonare ancora la sua risata strana e forte. Scrosciante.
-E qual è la ragione ovvia per cui oggi hai deciso di ricordarti che esisto? Non che comunque ci conosciamo così tanto io e te… -
Un’osservazione incidentale, apparentemente innocua mi aveva tolto il respiro. Noi non ci conoscevamo affatto e io lo stavo trattando come  se lui mi dovesse qualcosa mentre quella a essere in debito, tremendamente in debito, ero io. Io.
-Scusa.- odiavo chiedere scusa perché per qualche ragione il suono di quella parola mi sembrava sempre falso sulle mie labbra, come se i sentimenti che avrebbe dovuto portare con sè rimanessero impigliati tra il mio cuore e la mia gola.
-Joy, credimi: io ho sempre molto, molto ben presente la tua esistenza…e presenza.-
Certe volte il suo sguardo intenso era così magnetico da attirarmi altre invece da impedirmi persino di alzare lo sguardo tanto mi appariva…pesante. Fu così quella volta. Continuai a sentire il suo sguardo a lungo fissando la punta segnata delle mie vecchie All Star.
-Non hai risposto alla domanda…- mi ero dimenticata di essere tremendamente arrabbiata? Ovviamente sì.
-E’ colpa tua. Questa è la risposta.-
Lo fissai sbalordita. Eh?!
-Nessuno dovrebbe avere uno sguardo come il tuo Signorina Archeologia: è terribilmente sleale.-
Il senso della frase mi sfuggì, ma forse fu più per il sorriso di Noha e per il leggero rossore che percepivo sul suo viso che per l’effettiva difficoltà delle sue parole.
-Non ho idea di che cosa tu intenda. Non mi sembra una ragione ovvia.-
-No, in effetti…-
Mi sedetti di nuovo e iniziai a mettere in ordine gli involucri di plastica del mio pranzo.
-Devo rientrare a lezione tra poco. Ci vediamo, credo.-
Lo guardai storto finché non fui certa che avesse compreso cosa intendevo. Se i miei occhi avessero potuto parlare avrebbero urlato: “Non osare sparire di nuovo!” e poco mi importava che ci conoscessimo da poco e che quindi, a rigor di logica, non avevo nessun diritto di dire una cosa simile.
Mi aspettavo una risposta, una battuta…qualcosa! Ma lui stava in silenzio e guardava lontano dove aveva vagato anche il mio sguardo per tanto tempo. Non vedevo l’orizzonte avanti a me, ma il bosco dei miei sogni in quelle occasioni e così mi chiesi se anche lui stava volgendo lo sguardo a qualcosa che non risiedeva nella realtà ma in lui stesso.
-Vado.- mi ero già voltata e messo un paio di metri tra noi quando mi richiamò, facendomi voltare.
-Aspetta.- disse. La sua schiena in parte ombra sotto la chioma un po’ spelacchiata dell’albero sotto cui stava la mia panchina sembrava una scacchiera sgangherata fatta di macchie luminose e grandi zone d’ombra che tremavano mentre il vento scuoteva le chioma intorno a noi.
Si voltò piano e vidi per la prima volta l’unico dei suoi sorrisi che non riuscii mai ad amare: colpevole.
-Vuoi venire con me, Joy? Voglio mostrarti qualcosa. Ti va?
 
 
 
 
Angolo dell’autrice (?)
 
Ohibò son viva! Ebbene sì, su su non piangete, prima o poi arriverà la mia ora, dovete solo aspettare ^_^
Il ritardo non è un ritardo…è una vera e propria scomparsa e non mi sarei stupita di finire a “Chi l’’ha visto?” anche se dubito che qualcuno sarebbe stato interessato a ritrovarmi -.-“
Anyway!! Almeno torno con un capitolo lungo, quindi per favore riponete le asce e i forconi: la frutta marcia è più che sufficiente!! U_U
Che volete che vi dica? Lo so che l’unico motivo per cui seguite questa ff è Noha (per me è l’unico motivo per cui la scrivo *_*) e che stavolta è stato solo una comparsa nel finale ma se vi consola dal prossimo capitolo sarà il motore propulsore di ogni cosa e io mi divertirò tanto a ricordarvi ad ogni riga che è stupendo e bisogna amarlo: è l’UNDICESIMO COMANDAMENTO *_*
Spero che questa nuova svolta vi sia piaciuta e che la storia continui a interessarvi: ci ho messo molto ad aggiornare perché fino a Luglio non  ho toccato pc e da allora comunque è stato un periodo tremendo e impegnatissimo. Non è una scusa lo so, ma tant’è e ve l’ho detto ^_^
Ora vado e rivolgo il consueto appello: RECENSITE!!
È il mio modo per sapere come va, cosa cambiare e quali sono le vostre aspettative per il seguito!! Senza quelle sono come una cieca alla deriva: orsù fatevi sentire!! È vostro diritto U_U

Note: LEGOLAS: ovviamente il fantastico elfo della Compagnia dell'Anello che penso tutti conoscano *_* LESTAT DE LINCOURT: il meraviglioso vampiro creato dalla scrittrice americano Anne Rice protagonista della serie di romanzi "Le Cronache dei Vampiri"
Ringrazio poi INFINITAMENTE le 6 persone (stupende) che seguono questa fic e la 1 persona (stupenda anche lei ovviamente) che l’ha messe nelle ricordate!
Il mio amore sarà poi recapitato per posta prioritaria agli angeli che mi hanno recensita nello scorso capitolo *_*
 
Ora vi lascio e torno nel mio buco,
un bacione,
la vostra boby (che è Yuki_o)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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