Capitolo Terzo
Anima e corpo
Il
taxi li lascia a qualche metro dall’ospedale.
E
Konstantin Shepard vorrebbe essere discreta. Vorrebbe poter pensare a qualunque
altra cosa, che non sia Irikah e non vorrebbe chiedere, ma il pensiero di lei
la tormenta. Il tempo passato assieme, quello che lei ha condiviso con Thane, i
dettagli di una storia che non conosce e che, senza motivo, la angoscia.
-
Allora, come conoscevi Irikah?- chiede infine
Hiram
non risponde subito. Si adombra, inizia a torcersi le mani:- noi…- mormora
infine, scuotendo il capo -… ci conoscevamo quand’eravamo bambini. Eravamo…- si
morde il labbro inferiore e, per un attimo, sembra più giovane di vent’anni –
oh cazzo - geme poi – era mia sorella.-
-
Tua…- Shepard trasale -…tua sorella?-
-
Sì, sì. Mia sorella.- ripete lui – Siamo cresciuti insieme ma poi le nostre
vite hanno preso strade diverse. Lei si è sposata e, per quel che vale, mi è
parsa davvero felice. Finché…- i suoi occhi si fanno vitrei, la sua mente fugge
indietro, indietro nel tempo e lontano nello spazio: - E’ mattina. Una voce
metallica al comunicatore. Lei è morta, lei è stata uccisa. Perdo la presa
sulla provetta che ho in mano. Rumore di vetro che s’infrange. Vogliono sapere
se è mio desiderio vederla ancora una volta, prima che preparino il rituale
d’addio. Cado in ginocchio. Vetri nelle mani, angoscia. Mi manca il respiro…
Vado al tempio e… e lui nemmeno c’è.
Un hanar. Stringe un tentacolo attorno alle spalle di un bambino, che ha gli
occhi rossi per il pianto e le labbra che sanguinano per aver cercato di
trattenere le lacrime.-
Mentre
ricorda, sillabando lentamente quelle parole mai dette a voce alta, sente la
rabbia montargli nell’animo. Alla fine si ferma in mezzo alla strada e tira un
pugno al muro. Un segnale luminoso lampeggia a intermittenza e poi si spegne.
Un brivido gli scuote le spalle, si ripercuote lungo il braccio e sulle dita.
Dietro i profondi occhi neri, Shepard intravede l’ombra di un uomo fragile e
ferito, la cui anima ancora sanguina.
-
Mi dispiace.- mormora la comandante. Vorrebbe toccarlo, portargli almeno un
vago conforto, ma sa che non servirebbe a niente. Resta immobile, al suo
fianco, aspettando che si riprenda.
-
No, no, dispiace a me. Sono passati anni e ancora brucia come il primo giorno.
I ricordi mi perseguitano, s’infilano in ogni spazio di veglia, mi privano del
riposo. Ma è sciocco prendersela con te, comandante. Nessuno mi restituirà mia
sorella.-
Ogni
volta che pensa ad Irikah, Hiram sente una stretta gelida allo stomaco. Un
dolore sordo, improvviso, freddo e lancinante, che aveva finto di poter
dimenticare. Sua sorella era stata la sua miglior amica per tutta la
giovinezza. Era poco più grande di lui, eppure sembrava quasi adulta. Era
sicura, determinata, padrona della situazione. Era una guerriera. E quando
qualcosa la faceva infuriare, un fuoco le ardeva dalle vene e un bagliore le
illuminava lo sguardo. Hiram avrebbe giurato che nulla potesse fermarla.
Ma
qualcuno c’era riuscito, l’aveva fermata, qualcuno aveva preso la sua vita,
aveva cancellato ogni speranza futura, aveva spezzato il suo respiro. L’aveva
lasciata riversa in una pozza di sangue, con un foro in mezzo agli occhi. A
quei dolci occhi scuri, che lentamente avevano perso ogni luce.
L’ultima
volta che Hiram aveva visto Thane, era stato al rituale d’addio.
Mentre
il corpo di Irikah scompariva negli abissi del mare, Hiram aveva alzato lo
sguardo verso quell’uomo distante e triste, che stringeva al petto un bambino
in lacrime.
Improvvisamente,
non aveva più avuto voglia di litigare e se n’era andato senza dirgli niente.
Si era sentito svuotato di ogni energia, di ogni rabbia. Aveva realizzato che
tutto quello che gli restava di Irikah era in quel bambino. Un frammento di sua
sorella era ancora vivo. Una parte di lei sarebbe sopravvissuta a quel giorno,
sarebbe cresciuta, l’avrebbe fatto sorridere, e combattere, e sognare un
destino felice e il grande amore.
Sta
ancora recuperando il controllo su sé stesso, quando una scarica di proiettili
lo richiama al presente.
Un
dolore bruciante gli squarcia la spalla. La camicia s’impregna di sangue.
Poi
sente le mani di Shepard che gli afferrano la vita e lo trascinano giù, dietro
ad una panchina.
-
In un modo o nell’altro…- sospira la donna, estraendo la pistola – finisce
sempre che qualcuno mi spara.-
Vorrebbe
avere il suo fucile d’assalto, il prolungamento del suo braccio, con cui non
deve nemmeno più prendere la mira. Stringe la pistola e si sporge un po’ dal
riparo, per controllare la situazione
-
Cosa sta succedendo?- chiede Hiram, a mezza voce
-
Non ne ho idea, dottore.- ribatte Konstantin, allungando il braccio e sparando
un colpo.
Gli
aggressori sono quattro, di cui due ben visibili, esattamente di fronte alla
loro posizione.
Indossano
tute scure, di un materiale leggero ma resistente.
Shepard
si mette in ginocchio dietro all’improvvisato riparo, poi scatta di lato e fa
fuoco. Non può negare una certa soddisfazione, quando sente i gemiti di uno
degli aggressori. Ormai, quella lotta continua, senza quartiere, sta diventando
la sua routine. Più dei Razziatori, sembra che ogni organizzazione criminale
abbia almeno un motivo per odiarla e per volere la sua testa.
Sospira,
sporgendosi dal riparo per esplodere altri tre colpi. Un tempo, quando si
svegliava sull’astronave di sua madre e contemplava l’universo, oltre i
pannelli, era una bambina con gli occhi pieni di meraviglie. Aspettava
ansiosamente di diventare un soldato, ma non il genere in cui poi si era
trasformata. Immaginava di andare a sorvegliare sul pacifico sviluppo delle
colonie, di annientare la piaga dei pirati batarian, di essere un simbolo di
placida sicurezza, non di eterna guerra. Poi, un giorno, su Elysium, si era
resa conto che puoi distruggere un nemico, ma sempre un altro prenderà il suo
posto, in un ciclo estenuante, senza fine.
Colpisce
in piena fronte uno degli aggressori, che si accascia in avanti, agonizzando.
Sente
i suoi gemiti strozzati e, improvvisamente, sente tutta la stanchezza del mondo
gravarle sulle spalle. Vorrebbe tornare alla sua vita nello spazio, dove il suo
unico problema era compiacere sua madre e apprendere quanto più poteva da lei e
da chi l’accompagnava.
Lancia
appena uno sguardo ad Hiram. Il medico sta rannicchiato dietro al riparo
improvvisato, reggendosi il braccio ferito. E’ spaventato, ma non atterrito. C’è una strana lucidità nei
suoi occhi, quella che acquisti quando ogni giorno decine di vite passano sotto
le tue mani, a portata del tuo bisturi, quando basta un sobbalzo per
distruggere un’esistenza.
Shepard
sta per sparare di nuovo, quando due agenti dell’SSC irrompono nella via, con i
fucili spianati.
I
misteriosi aggressori esplodono ancora qualche colpo in aria, poi lanciano un
fumogeno e si dileguano nell’ombra, lasciandosi dietro il corpo del compagno.
-
Comandante Shepard.- la riconosce uno degli agenti, rivolgendole un rigido
saluto militare
-
Grazie, per l’aiuto.- sorride la donna, diplomaticamente. Non ha mai davvero
avuto bisogno dell’SSC per trarsi d’impaccio, ma è bello sapere che le autorità
stanno rendendo più efficiente il sistema di sicurezza della Cittadella.
-
Tutto bene, dottore?- chiede poi, voltandosi verso Hiram.
Il
drell si sta tamponando la ferita, che sembra superficiale e ha quasi smesso di
sanguinare.
-
Tutto bene, comandante.- abbozza un sorriso – Vita emozionante, la tua.-
-
Fin troppo.- ribatte Shepard
-
Comandante… avremmo bisogno di prendere la sua deposizione.- s’intromette
l’agente SSC.
Konstantin
annuisce. Si appoggia ad un cartello pubblicitario, respirando profondamente.
E’ quasi grata a quel gruppo di anonimi criminali, che le hanno dato un quarto
d’ora di riposo dalle sue angosce.
Il
rimorso del combattimento, l’amarezza che deriva dalla coscienza che non
esisterà mai un universo senza guerra, il tormento che si accompagna alla fine
di una vita… sono demoni con cui Shepard sa convivere. Sono i suoi veri
compagni. Discreti, eppure sempre presenti. Non abbastanza forti da fermarla,
ma sufficientemente oscuri da avvelenare i suoi pensieri. Oltre l’adrenalina,
oltre la sicurezza e l’eccitazione dello scontro, c’è sempre una punta di dolore.
Eppure,
Shepard è grata a quella fitta di agonia. E’ ciò che la mantiene umana.
Una
volta al Huerta Memorial, rintracciano in fretta il dottor Francis.
E’
un uomo basso e grassoccio, dai rossi capelli arruffati e dai modi bonari. Ha
le mani sudate e una stretta tremolante, poco sicura, quasi emotiva. Borbotta
semplicistiche formulazioni e sentenze sommarie. E sempre tentennando, sempre
esitando, come a voler chiedere conferma.
Mentre
lo ascolta parlare, Shepard sente un brivido di raccapriccio correrle lungo la
schiena.
Come
ha potuto Thane stimare così poco la sua vita, affidandola a un simile
fantoccio?
Hiram
ascolta il resoconto con distaccato interesse, annuendo e memorizzando. Tiene
la cartella clinica fra le mani, passando i polpastrelli sulla copertina.
Alla
fine, i due dottori si appartano per discussioni che lei non è sicura di poter
capire.
E
Konstantin s’intrufola nell’ambulatorio.
Thane
è in sala d’aspetto, che finge di leggere una noiosissima rivista con in copertina
una foto di Blasto.
-
Non pensavo t’interessassero i film d’azione.- ride la giovane, sedendosi
accanto a lui.
Il
drell sbatte le palpebre, risvegliandosi dal solipsismo
-
Stavo… ricordando.- si scusa. Poi sorride:- ricordavo te.-
-
Me mentre sparo ai vorcha o me mentre sono tutta nuda?-
Thane
le accarezza i capelli color rame, prima di baciarla teneramente sulle labbra.
Ama il modo in cui Konstantin sorride, ama le sue battute, ama quella piccola
cicatrice sulla guancia. – Pensavo… ad Horizon. A quando sei tornata da quella
missione.-
-
Fra tutti i nostri ricordi – mormora Shepard, posando il capo sulla sua spalla
– perché proprio questo?-
-
Perché quella sera, per la prima volta, ti ho visto umana. Fino a quel momento eri stata solo una corazza vuota, armata
di una ferrea volontà e di qualche dozzina di frasi fatte. E dopo Horizon ho
visto la donna che vive dentro al soldato. Ho visto l’anima, e non più solo il
corpo.-
Konstantin
sospira, intrecciando le dita a quelle di Thane:- volevo essere la migliore.-
-
Non puoi salvare tutti, siha.-
sussurra lui, gli occhi velati di malinconia.
-
Ma posso tentare.- ribatte lei, conscia che non stanno più parlando di Horizon,
né dei Razziatori, né della guerra – Posso combattere fino allo stremo, posso
non arrendermi mai. Posso tentare.- ripete
Thane
fa scivolare le dita fra i suoi capelli:- Non è compito tuo, siha. Ognuno affronterà la sua fine, un
giorno. Non c’è via di fuga. Ma si può morire in pace. Si può trovare riposo
nella consapevolezza di aver riparato ai propri torti, di aver costruito
qualcosa, che resisterà ben oltre la nostra vita terrena. Di aver trasceso i
limiti del corpo, liberando lo spirito dall’inganno della materia. Ma questo, siha, è un viaggio che ognuno compie da
solo. Tu affronterai il tuo e il tuo solamente.-
-
Questo lo capisco. Una parte di me può anche accettarlo. Ma voglio rinviare la
partenza più a lungo possibile. E, visto che siamo in tema, Kasumi mi ha messo
in contatto con un nuovo medico.-
Thane
scuote la testa, ma non parla. Shepard è una delle donne più cocciute e
determinate che abbia mai conosciuto. La guarda, semplicemente, imprimendosi il
suo viso nella memoria.
-
… si tratta di Hiram.- completa la donna, in quel momento – Hiram Zane.-
Thane
sente il respiro bloccarsi nei propri polmoni. Hiram. Quel nome rievoca in lui
una fitta di rimorso. Hiram è l’uomo a cui ha fatto crescere suo figlio. E’
stato tutto quello che avrebbe dovuto essere lui. Lentamente, la coscienza di
aver protetto Kolyat dal suo mondo riesce a placare il senso di colpa.
Lui
e Hiram non si erano mai conosciuti abbastanza da diventare amici, ma era pur
sempre il fratello di Irikah. Socchiude gli occhi e, inavvertitamente, ci
pensa.
“Profumo di cibo caldo. Lei
in piedi nella sala da pranzo, vestita di lino. Dalla finestra soffia una
brezza rovente. Kolyat a quattro zampe sul pavimento. Un uomo in camice bianco
a carponi accanto a lui. Lei sorride dolcemente. L’uomo si alza, le cinge la
vita con le braccia. “Ciao, mia splendida sorella”. La bacia sulla guancia.
Kolyat tira una palla contro il muro. Sua madre ride.”
Un
sospiro gli sfugge dalle labbra. L’unico sogno di Irikah era stato avere una
famiglia ma, quando lei non c’era stata più, quella famiglia si era
accartocciata su sé stessa, ed era morta.
--
Buongiorno!
Anche questa settimana riesco ad aggiornare puntualmente! Non garantisco per le
prossime, perché sto rivedendo la parte che ho scritto e sto scrivendo quella
che non ho scritto… e prometto di non fare più battute come questa XDXD
Volevo
ringraziare infinitamente Hi Fis per i preziosi consigli, che hanno sicuramente
contribuito a far migliorare questa storia e darmi più soddisfazione! Grazie
anche a Marie16 che mi ha recensita! E grazie anche a voi, lettori silenziosi,
(sperando che ci siate e che non vi stia immaginando io XD)
Alla
prossima!
Char--