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Autore: Beapot    29/09/2012    6 recensioni
La cabina telefonica spicca attraverso la pioggia fitta e lui non deve far altro che raggiungerla. In tasca la mano sudata stringe delle monete, stringe la sua possibilità di chiedere perdono e la sua speranza di ottenerlo. Basterebbe davvero poco per provarci. [...] Con gli estranei è sempre tutto più facile; la parte difficile è tornare sicuri di sé davanti alle persone che significano davvero qualcosa, quelle a cui si vuole bene e che si vuole vedere felici, la parte difficile è anche riuscirsi a guardare allo specchio senza aver voglia di piangere o di prendersi a schiaffi."
[Seconda Classificata al "The Untold Story Contest" indetto da jaybree88 sul forum di EFP]
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'I wish I could love you'
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Storia che partecipa all'iniziativa AurorGround del gruppo di FB "Cercando chi dà la roba alla Rowling[Team Harry/Hermione]"

 

 




Too late

"Life doesn't always have a happy ending"

 

L'odore dell'asfalto bagnato dalla pioggia gli fa venire voglia di chiudere gli occhi per un po', solo per un istante, solo per fingere che vada tutto bene.
Potrebbe farlo, in effetti, potrebbe chiudere tutto fuori per un attimo e starsene fermo a inspirare quel profumo e a perdersi ad ascoltare lo scalpiccio frettoloso dei passi di chi, rimasto senza ombrello, corre verso il riparo più vicino, ma sa che sarebbe inutile. Ha passato così tanto tempo a cercare di isolarsi dalla realtà che farlo ancora adesso - proprio adesso, ora che è finalmente riuscito a tornare - non avrebbe alcun senso.

 

La cameriera lo guarda perplessa mentre gli serve il terzo caffè consecutivo e gli chiede ancora una volta se è sicuro di non voler entrare. I tavolini fuori sono stati messi per puro arredamento, dice, il gazebo fa filtrare l'acqua e nessuno vuole sedersi col rischio di essere colto dalla solita pioggia improvvisa, dice, ma lui ha già smesso di ascoltarla.
Le gocce iniziano a cadere più forti, e a conferma delle parole della ragazza il telo grigio sospeso sopra le loro teste inizia a lasciar passare più acqua del dovuto, arrivando a bagnare il tavolino di metallo al quale è seduto. Harry prende la tazza e si sposta verso quello vicino sotto lo sguardo accigliato della cameriera, poi le sorride con cortesia e le dice di non preoccuparsi, le dice che vuole sentire il rumore e il profumo della pioggia e che resterà lì, se per lei non è un problema.
Le vorrebbe dire che non ha importanza, perché quella è la posizione migliore per vedere l'altro lato della strada - e lui ha bisogno di vederlo per trovare il coraggio - ma lei non capirebbe e allora dovrebbe spiegarle tutto, così sceglie di rimanere in silenzio e di bruciarsi la lingua con il caffè bollente, mentre si prende qualche altro minuto per riflettere.
Si brucia la lingua e si prende qualche altro minuto da circa due ore, in effetti, ma occupa posti che nessuno vuole e paga con soldi precisi ogni volta che viene servito, perciò il proprietario non è ancora uscito a cacciarlo.
Potrebbe essere questione di minuti però, al momento non è certo una bella presenza che attira i clienti.

I capelli umidi gli si appiccicano sulla fronte, gli occhiali si appannano un po' ogni volta che la porta del locale si apre e fa uscire l'aria calda del condizionatore, ma la macchia rossa sull'altro marciapiede si vede benissimo anche attraverso le lenti opache, e al momento quella è l'unica cosa di cui gli importi. Deve prendere una decisione e deve farlo in fretta, ma come sempre pensare è più facile che agire; probabilmente è anche più doloroso ma fa male a meno persone, e lui ormai ha imparato a trattenere l'istinto. Forse lei ne sarebbe orgogliosa, lo troverebbe più maturo, o forse semplicemente non lo riconoscerebbe più; forse non vorrebbe riconoscerlo dopo quello che ha fatto, dopo tutti quegli anni di silenzio.
Ha sbagliato, lo sa; lo sapeva anche allora, ma non è bastato per farlo restare.

 

«Sta aspettando qualcuno?»
Si era chiesto, in effetti, perché ancora non glielo avesse chiesto nessuno: di solito quella è una domanda che precede le ordinazioni, ed è senza dubbio la domanda più scomoda a cui qualcuno seduto al tavolino di un bar debba rispondere. È anche la più inutile, considerando che un eventuale accompagnatore arriverebbe comunque entro pochi minuti - a meno che qualcuno non consideri prassi usuale arrivare con ore di anticipo ad un appuntamento -, ma evidentemente nessuno deve ancora averci pensato.
La cameriera è di nuovo di fronte a lui e lo guarda con un sorriso incerto. Ha levato il grembiule verde con il logo del locale e si è sciolta i capelli; deve avere un paio di anni meno di lui e gli dà del lei, anche se ha appena finito il turno e non è più tenuta a quell'esagerato rispetto che le impone il suo mestiere nei confronti dei clienti. O lei è molto educata, o lui deve sembrare più vecchio di dieci anni.
Harry scuote la testa e abbassa lo sguardo sul tavolo. Ha capito che la ragazza vorrebbe sedersi e magari scambiare due parole, ma lui deve farcela da solo e non può permettersi distrazioni. Tornare è stato difficile, ma ci è riuscito e adesso manca l'ultimo grande passo.

La cabina telefonica spicca attraverso la pioggia fitta e lui non deve far altro che raggiungerla. In tasca la mano sudata stringe delle monete, stringe la sua possibilità di chiedere perdono e la sua speranza di ottenerlo. Basterebbe davvero poco per provarci.

«Sembra triste». La ragazza è ancora lì e non sembra intenzionata ad andarsene. Harry la guarda senza nascondere un leggero stupore, e lei arrossisce lievemente.
La sua espressione lo riporta tra ricordi lontani che credeva di aver messo da parte. Anche lei arrossiva così quando ostentava sicurezza e poi si lasciava intimidire da uno sguardo diverso dal solito. Chissà se lo fa ancora?
«Forse un po' lo sono» le concede con una stretta allo stomaco.
Non doveva ricordare, non doveva pensare a lei, non prima di aver stretto in mano la cornetta e aver composto il numero. Adesso dovrà ricominciare da capo a raccogliere le forze per farlo.
La ragazza sembra rassicurata dal fatto che non l'abbia presa a parolacce, così trattiene il fiato e si siede di fronte a lui. Prima ha avuto modo di notare che fissava la cabina telefonica come se ne fosse ipnotizzato, e anche se non sa che significato abbia per lui si sposta più a destra per permettergli di continuare a vederla e cerca di rilassarsi sulla sedia.
È timida e impacciata, ha l'aria di una che vorrebbe alzarsi e scappare via a nascondersi, eppure sembra combattere con se stessa per restare lì. È uno strano quadro, a vedersi. Due ragazzi seduti allo stesso tavolo, due perfetti sconosciuti: lui ha lo sguardo perso davanti a sé, lei stringe il bordo della sedia con le mani e ha la schiena tesa.
«Spesso la pioggia ha questo effetto» azzarda piano, e Harry la guarda bene per la prima volta: ha le labbra fine e screpolate e uno sguardo dolce e un po' spaventato, come se temesse di aver sbagliato ogni cosa e volesse rimangiarsi tutto quello che ha detto. Le risposte di Harry tardano sempre ad arrivare e questo sembra metterla a disagio. Tardano ad arrivare da quando lui ha deciso di seppellire l'impulso sotto un atteggiamento riflessivo che però sembra ancora troppo forzato.
«A me piace la pioggia» dice, «sono mesi che non ne vedo così tanta» piega le labbra in un sorriso, a metà tra il malinconico e il divertito, e beve un sorso di caffè.
La pioggia gli è mancata davvero. Gli è mancato il profumo dell'aria pulita che c'è dopo un temporale, gli è mancata l'acqua fresca sulla pelle e le corse per trovare un riparo, o i passi impacciati per stringersi in due sotto lo stesso minuscolo ombrello.
«Oh, se ne stancherà presto, mi creda» la ragazza ha abbassato le spalle e accavallato le gambe, poi ha posizionato la sedia in modo da stare più comoda; si sente a suo agio, adesso, a parlare della pioggia con la sua esperienza da poco più che ventenne e con il fastidio di chi non ne può più di costringere i capelli nel cappuccio dell'impermeabile e di lasciare gli stivali zuppi fuori dalla porta di casa.

Harry scuote la testa ma non la contraddice. Sa che probabilmente ha ragione, si conosce abbastanza da riuscire ad ammettere che cambierà idea nel giro di qualche giorno, come per ogni cosa da qualche anno a quella parte, ma è tornato per restare e non vuole iniziare a pentirsene per un motivo stupido come la pioggia.
«Suppongo di sì, ma al momento non me ne preoccupo» ribatte allora, stringendosi nelle spalle. La ragazza inizia a giocherellare con la manica del proprio cappotto e sembra distratta da qualche pensiero; in realtà ogni tanto sembra sul punto di voler dire qualcosa, ma poi ci ripensa e chiude di nuovo le labbra. Harry la lascia fare, non ha una grande voglia di parlare e non ha fretta di dare spiegazioni.

«Lei è qui da molto» gli fa notare dopo qualche minuto di silenzio che deve esserle sembrato teso e imbarazzante, ma che lui ha accolto con piacere. Harry nota che continua a dargli del lei e le chiede cortesemente di smettere di farlo. Cerca di essere sempre cortese, adesso, non vuole più rivolgersi nel modo sbagliato alla persona sbagliata, non vuole trovarsi a urlare cose che non pensa - o che non vorrebbe pensare - davanti a tutti.
Si è imposto l'autocontrollo in ogni occasione, anche se è un atteggiamento che non gli è mai appartenuto. Lei non se ne accorge però, lo conosce poco e non ci fa caso, così si scusa con un sorriso e gli porge la mano per presentarsi. Si chiama Sally e ha le dita arrossate dal freddo e dai segni dei denti che hanno staccato le pellicine intorno alle unghie. Harry lo nota, ultimamente è diventato un buon osservatore e nota ogni particolare: lo aiuta a concentrarsi e a ricordare. Se trova le differenze con lei si accorge che al mondo esiste altro, che non c'è solo il suo profumo e la sua pelle, non c'è solo il suo sguardo e la sua voce, ma adesso quelle mani arrossate gli ricordano le sue e lui non può farci niente.

«Come quelli del film» la ragazza si lascia sfuggire una risata e lo strappa dai suoi pensieri.
La guarda confuso, senza capire, e lei scuote la testa continuando a sorridere. «“Harry, ti presento Sally” è il titolo di un film, i protagonisti si chiamano come noi» gli spiega, e anche se lui non ha la minima idea di cosa stia parlando annuisce e sorride, mettendo di nuovo la mano in tasca e ricominciando a stringere le monete. Prima o poi dovrà alzarsi e infilarle nel telefono, lo sa, ma forse è ancora troppo presto.

«Sei qui da molto» ripete, tornando seria. È curiosa, vuole capire il perché di quel suo strano atteggiamento, ma non vuole sembrare un'impicciona. Le piace parlare con gli sconosciuti, le vite degli altri e le loro abitudini la incuriosiscono, è per questo che ha cercato un lavoro come cameriera per mettere da parte qualche soldo. È a contatto con la gente e ha la possibilità di sconfiggere la sua timidezza. Con gli estranei è sempre tutto più facile; la parte difficile è tornare sicuri di sé davanti alle persone che significano davvero qualcosa, quelle a cui si vuole bene e che si vuole vedere felici, la parte difficile è anche riuscirsi a guardare allo specchio senza aver voglia di piangere o di prendersi a schiaffi. Lo sa anche Harry, lo ha imparato in questi anni di solitudine, così decide di rispondere alla sconosciuta Sally e di raccontarle un po' di verità; una cosa del genere non può fare male a nessuno, in fondo, e sentire la propria storia ad alta voce è sempre meglio che tenerla nascosta tra i pensieri. Sembra più reale e più semplice, e fa un po' meno paura.
«Ho bisogno di tempo per trovare il coraggio di fare una cosa» dice, lanciando uno sguardo rapido alla cabina telefonica e poi tornando a guardare Sally. Lei non sembra sorpresa, in qualche modo aveva intuito che fosse qualcosa del genere.
Nessuno che sia sicuro di sé passa ore seduto al tavolino di un bar a riflettere come sta facendo lui. Lei preferisce appoggiarsi alla colonna della stazione e osservare la gente che le passa accanto: vanno sempre tutti di fretta e nessuno si accorge di lei, così non rischia che i suoi pensieri vengano interrotti. Lo dice anche a Harry, gli dice tutto, poi si scusa perché interrompere i suoi pensieri è proprio quello che lei ha appena fatto.
Sono anni che nessuno gli chiede più scusa, sono anni che nessuno passa abbastanza tempo con lui da poter rischiare di offenderlo in qualche modo, quindi invece di cogliere l'occasione per chiederle di andarsene la ringrazia. È una compagnia piacevole, dopotutto.
«Di cosa hai paura?»
È una domanda banale, eppure lui non se l'era ancora mai posta. Ha perso tempo a chiedersi se fosse giusto tornare a cercarla, ha perso tempo a immaginarsi la sua reazione e la sua vita, ma non si è mai detto di cosa avesse realmente paura.
«Che sia troppo tardi» ammette con un filo di voce, e quella prospettiva fa male, fa male da morire.
Fa male perché sapeva che si sarebbe concretizzata dal momento in cui le ha voltato le spalle senza una spiegazione, ed è quello a togliergli il coraggio.
A volte vivere nel dubbio è più facile che abituarsi alla sconfitta.
«Se non ci provi non lo saprai mai» cerca di rassicurarlo lei. La sua voce è calma e gentile senza che lei si sforzi di farla sembrare tale, e quello che dice è talmente diretto e appropriato che per un folle attimo gli ricorda Luna.
Anche quello è un ricordo che fa male, è un volto che appartiene al passato e ai suoi errori più grandi, è un volto che ha rinchiuso con gli altri in un angolo remoto della sua memoria per non permettergli di ferirlo. È un altro dei volti a cui ha detto addio senza pensare alle conseguenze, e adesso è un'altra fitta al cuore.
«Vai, andrà bene» continua a spronarlo Sally. Ovviamente non può essere sicura che sarà davvero così, ma Harry forse ha solo bisogno che qualcuno glielo dica. Forse, inconsciamente, cerca solo qualcuno da poter incolpare per il suo dolore quando il perdono e la comprensione gli verranno negati.
Ancora una volta, uno sconosciuto è meglio di se stesso.

Harry la guarda, indeciso tra il darle ascolto e il chiederle di non intromettersi, ma l'ha resa partecipe di quella parte della sua vita quando ha deciso di dirle perché si trovava lì, perciò ora non ha il diritto di trattarla male. Le sorride, anzi, e si alza dalla sedia mantenendo la presa salda sulle monete nella tasca e lo sguardo fisso sulla cabina di fronte a sé. Chissà, magari ha ragione e lui potrà ricominciare a vivere - vivere veramente, stavolta - o magari si sbaglia e sta andando a farsi sconfiggere dalla sua più grande paura.
Le porge nuovamente la mano prima di andarsene, la stringe come se volesse ancorarsi all'ombra di una speranza, poi la ringrazia e le promette che tornerà a raccontarle la fine di quella storia che lei può solo immaginare.

 

Le auto sfrecciano veloci e il semaforo rosso spicca allo stesso modo della cabina oltre la nebbia, ma lui non ha fretta e può aspettare; ha aspettato fino ad ora, in fondo.
Si chiude finalmente la porta rossa e pesante alle spalle, lasciando fuori lo scrosciare della pioggia e il caos della città, e fa scivolare le monete nella piccola fessura in cima all'apparecchio. Le ascolta cadere una alla volta e trattiene il fiato, poi compone il numero. Le cifre sono rimaste impresse nella sua memoria fino a oggi, non ha nemmeno il tempo di chiedersi se siano ancora quelle giuste, che qualcuno dall'altro capo del telefono solleva la cornetta.
«Pronto?»
La sua voce è come la ricordava, resa solo più ovattata dallo strato di sporcizia che si è accumulato sull'apparecchio a cui Harry si aggrappa con tutte le sue forze. È la voce che ha conservato nel cuore in tutti questi anni, la stessa che un tempo gli ha sussurrato promesse e parole rassicuranti, e lui non vuole rischiare di non sentirla più.
«Pronto? Chi è?»
Riesce a capire che si sta spazientendo. Può immaginarla mentre arriccia le labbra e aggrotta le sopracciglia infastidita, e desidera di poterla prendere di nuovo in giro per quella smorfia così buffa che non le si addice affatto.
Se adesso dicesse qualcosa lei lo riconoscerebbe e forse non gli darebbe nemmeno modo di parlare.
Forse riaggancerebbe dicendogli di non farsi vivo mai più e vomitandogli addosso parole di odio e rancore, e lui non è ancora pronto per questo. Non è ancora abbastanza forte.
La sente sospirare, e quel sospiro lo conosce benissimo. È quello che fa quando si trattiene dal rispondere male a qualcuno e si volta dall'altra parte mordendosi la lingua. Lo sa, sta per chiudere la conversazione, ma proprio appena prima di sentir cadere la comunicazione lui si fa forza e parla.
«Hermione».
Lei trattiene il fiato, lui stringe gli occhi e spera che non finisca tutto subito. Aspetta gli insulti e la rabbia - si ricorda come ha trattato Ron tanti anni prima, e lui era stato via solo alcune settimane. Li aspetta ma non arrivano, e lui non sa più cosa verrà dopo.
«Harry?»

 

È tornato a sedersi a quel tavolino e ha ordinato un altro caffè; non è certo la cosa migliore per calmare i nervi ma lui lo ha sempre preferito a una tisana o un tè aromatizzati. Sally indossa di nuovo il grembiule verde, e Harry non può fare altro che aspettare e sperare di vederla comparire davanti a lui.
La telefonata non è stata lunga - gli sono avanzate un paio di monete che adesso tintinnano nella tasca - perché Hermione non ha mai voluto affrontare le cose a distanza, nascosta dietro una cornetta o nell'inchiostro nero di una pergamena. Hermione preferisce far incontrare gli occhi e sentire i profumi, studiare la piega delle labbra e il cambiamento d'espressione.
Hermione è coraggiosa, lui no. Lui avrebbe evitato il confronto diretto perché l'ultima volta non è stato in grado di gestirlo, lo avrebbe evitato perché lo spaventa.
È più facile accusare il colpo quando si è soli con se stessi e non ci si deve preoccupare di non dare a vedere le proprie emozioni.
È più facile essere rifiutati a chilometri di distanza piuttosto che guardando negli occhi chi una volta per noi era tutto.
Però Harry non può chiedere tanto. È stato lui a mollare tutto, è stato lui a tagliare i ponti con la sua vita e a scappare senza una parola. Quella volta era riuscito ad evitare il confronto che tanto temeva, e ancora non se lo è perdonato.
Resta immobile a guardarla mentre attraversa la strada, e in quel momento il cuore gli fa così male che vorrebbe urlare. Lei lo ha visto ma non dà ancora segno di averlo riconosciuto; nessuna reazione sul suo viso nemmeno mentre si siede al tavolo, ma le mani le tremano e le nasconde sotto ai gomiti.
Potrebbero restare in silenzio per ore a contemplarsi senza il minimo cambiamento di espressione, ma Harry ha sempre mascherato le sue emozioni e per lui non è certo una novità, mentre Hermione è rimasta il libro aperto che ha conosciuto. Sincera e genuina, non ha mai avuto paura di mostrare le sue debolezze, e adesso il suo sforzo deve essere enorme.
Harry cerca di capire se sta trattenendo le lacrime o la rabbia, o tutte e due, ma non trova una risposta.
«Sei tornato» la sua voce è leggermente roca per tutto il tempo che ha passato in silenzio, ma non trema. La voce di Hermione non trema mai, Harry se lo ricorda. C'è un'accusa in quelle parole, un'accusa che non può non fargli male nonostante sappia di meritarsela. Annuisce appena senza rispondere davvero, ma il silenzio non dura troppo.
«Non sarei dovuta venire» continua lei, «avrei dovuto riagganciare e fingere che non fosse successo niente». Gli rivolge uno sguardo duro e aspetta che dica qualcosa. Aspetta qualche minuto, ma il volto di Harry è ancora imperscrutabile e lei si spazientisce. Non può permettergli il lusso di non esporsi, non vuole farlo e lui sa che non potrà tirarsi indietro.
«Hai ragione» dice, accusando il colpo. «Grazie per non averlo fatto» non fa in tempo a trattenere l'istinto stavolta. Con lei è sempre stato difficile fingere, ed evidentemente il tempo non ha cambiato niente. Ma ha detto di nuovo la cosa sbagliata alla persona sbagliata nel momento sbagliato.
«Non ringraziarmi» dice, abbassando gli occhi per un brevissimo istante «Avrei voluto avere la forza di ignorarti» ammette, guardandolo quasi con sfida. Harry non capisce e cerca di dare un significato alle sue parole, ma ne è talmente sorpreso da non riuscire a dar loro un senso. Hermione è quella forte, è sempre stata lei. Non si è mai tirata indietro da nulla, né ha mai avuto difficoltà a esprimere e difendere le sue opinioni - nemmeno quelle all'apparenza più bizzarre, come quando aveva preso a cuore la condizione degli Elfi Domestici. Si ricorda di quante volte lo ha affrontato con forza e orgoglio per farlo ragionare, si ricorda di quanto, alla fine, lui si è trovato a darle ragione e a ringraziarla per avergli impedito di fare qualche sciocchezza. Si ricorda ancora troppo bene dell'ultima volta che l'ha ignorata e le ha voltato le spalle, gettando a terra tutto quello che avevano costruito insieme.
Adesso però è sincera quando dice che non ha avuto tutta la forza che avrebbe voluto. Lo capisce dalla sua voce spezzata e dal suo sguardo sfuggente, e sa che tutto quello dipende da lui. Ha sempre saputo quanto fosse importante per Hermione averlo al proprio fianco, eppure non si è fermato un attimo a pensare a lei quando ha cercato di lasciarsi tutto alle spalle. Non ha pensato al male che le avrebbe fatto, e ora se lo trova davanti tutto in una volta.
Lei avrebbe avuto tutto il diritto di ignorare la sua chiamata e il suo invito, avrebbe dovuto urlargli contro e chiuderlo fuori dalla sua vita, eppure aveva ceduto. Ancora una volta aveva ceduto, mettendo da parte il suo orgoglio, e lo aveva fatto per lui.
«Scusami. Scusami per tutto, ti prego» resiste all'impulso di posare una mano su quella di lei, ma cerca di mettere in quelle parole tutto il suo rimorso e il suo dolore. Lei gli chiede perché lo ha fatto, perché ha voltato le spalle ai suoi migliori amici e li ha esclusi dalla sua vita. Gli dice che Ron all'inizio non lo avrebbe perdonato e che poi un giorno ha semplicemente smesso di parlare di lui perché gli fa troppo male. Gli dice che Ginny ha pianto un po' di nascosto ma che da un po' di tempo se ne è fatta una ragione e si è stancata di aspettarlo. Luna invece ha sempre scommesso che un giorno, quando sarebbe stato pronto, sarebbe tornato.
Perché alla fine, in un modo o nell'altro, chi se ne va torna sempre, anche se per poco, anche se all'improvviso in un sogno o in un ricordo.
Harry non può biasimare nessuno di loro; lui ha pensato solo a se stesso quando ha deciso di andarsene, non può prendersela per le reazioni che hanno avuto.
Gli ha parlato di Ron, di Ginny e di Luna, gli ha detto che anche Molly lo ha cercato spesso, ma non gli ha detto come ha reagito lei. Harry ha quasi paura di saperlo, non sopporterebbe di sentire ancora quanto male ha fatto con la sua paura e il suo egoismo, ma per fortuna Hermione non va avanti.
Non lo fa per lui, è ovvio, non si preoccupa di proteggerlo dalle conseguenza delle sue azioni, ma lo fa per se stessa e per non ammettere ad alta voce quanto la sensazione di abbandono lasciata dalla sua partenza l'abbia ferita. Ma soprattutto non vuole ammettere che ha continuato a soffrire ogni giorno, anche se ha sempre cercato di convincersi del contrario.
«Mi dispiace» dice Harry, e questa volta è sincero anche lui. Non è stato l'istinto a guidarlo, non è stato il buon senso, ma solo la consapevolezza dei propri errori.
Inizia a raccontarle cosa lo ha spinto a scappare, le confessa la sua paura di non essere all'altezza della vita vera - di quella normale - la sua paura di rimanere solo dopo che tutti avessero ripreso ad andare avanti, la paura di essere abbandonato e quella di non essere più compreso.
Ha cercato la solitudine per paura di rimanere solo, e ha creduto che potesse funzionare.
Hermione scuote la testa: questa volta non lo sostiene. Scuote la testa e gli occhi le si velano di lacrime perché non può perdonarlo. È stato il suo migliore amico e avevano giurato di proteggersi sempre, ma lui è scappato e non l'ha portata con sé, e in quel momento è finito tutto. Fa male da entrambe le parti adesso, ma prima o poi si abitueranno al dolore come hanno sempre fatto, con l'unica differenza che ora non potranno più contare l'uno sull'altra. Hermione ha solo bisogno di dirgli addio, il resto può affrontarlo da sola, adesso.
«È troppo tardi, Harry» dice piano, alzandosi. Gli lascia un bacio leggero sulla guancia e stringe le labbra per trattenere le lacrime, poi gli volta le spalle evitando di incrociare il suo sguardo.
Lui la guarda allontanarsi, resta immobile mentre la sua figura viene oscurata dalla pioggia prima che riesca a girare l'angolo.
Il caffè nella tazza si è raffreddato e il sole ha cominciato a tramontare; le luci del locale si spengono e l'ultimo cliente esce facendo suonare lo scaccia pensieri appeso alla porta. Anche Sally lo saluta con un cenno del capo. Sembra dispiaciuta, forse ha visto cosa è successo e ha capito.
Adesso Harry è davvero solo.

 



NdA: Eccomi, per la vostra gioia sono tornata!
Oltre ad essere un piccolo pensiero per augurare un buon compleanno a tutti gli Aurorucci del gruppo nati a settembre, questa storia ha partecipato anche al "
The Untold Stories [Multifandom & Originali - Inedite ed Edite] contest indetto da jaybree88 sul forum di EFP classificandosi seconda. Il giudizio potete trovarlo qui.
E infine, un grazie a Roxy per il parere "a fresco"!

EDIT 20/11/2012 - storia consigliata all'iniziativa "Settimana del consiglio a tema" indetta dal gruppo FB HPeace&Love
   
 
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