Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Sarras    01/10/2012    0 recensioni
Un tiranno muore, il suo impero si sfalda... Ma cosa succede dopo? Questa storia fantasy parte dalla fine di una tipica guerra contro il male e mostra quel che i vittoriosi eroi devono affrontare per mantenere la pace che credevano di aver conquistato. Tra intrighi, politica, delitti efferati e atmosfere talvolta inquietanti, la loro forza sarà messa a dura prova, poiché adesso saranno loro a raccogliere le sorti dell'impero.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

SCENA 5: REGOLE DI COMPORTAMENTO

Waldan squadrava in un silenzio marziale la conversazione distante tra Re Luther della Pietra e Dayan, parzialmente coperto dalla figura di Yamana accanto a lui. Il soldato contemplava turbato quella svolta. Il sovrano dei petri si comportava da amico e alleato anche più di un tempo. Si era addirittura schierato energicamente dalla parte del condottiero, quando solo pochi giorni prima aveva dimostrato di voler gestire la situazione Migdal in modo molto più cauto.
Waldan non si fidava del cambiamento repentino a prescindere dalle motivazioni. C’era da dire comunque che il loro nuovo alleato non era il solo ad aver cambiato idea in quell’assemblea. Taragos aveva fallito: nell’adunata finale, dei suoi sostenitori si erano presentati sicuri solo Giulio delle Messi e Jan del Legno. Mirog aveva deciso di vendersi al migliore offerente ed Oswald rimaneva fermo nel puerile sogno di condurre da solo l’intera battaglia. Di fatto i cavalieri avevano perso terreno. Ma Dayan non l’aveva recuperato. Colpa di Taragos che aveva calcato la retorica pungente sulle sue mancanze. Colpa di Aria e Shangis che avevano dichiarato perentori la scadenza dei privilegi del condottiero e chiesto esplicitamente la sua resa.
Allorché i campioni battevano le lance e gridavano al tradimento, il re dei Cavalli aveva cercato di strappare i vincoli di fedeltà e fratellanza tra gli eroi, aveva tentato di comprarli come mercenari. Quel verme non concedeva loro nemmeno l’onore di essere trattati da compagni e seguaci di Dayan. In mezzo a tutto questo poi si era alzato Luther e nel clamore generale si era detto pronto a schierarsi con gli eroi, a dispetto di tutte le minacce. Neanche i suoi consiglieri si erano aspettati quella decisione, aveva colto di sorpresa tutti nella sala. Come non sospettare allora di quel colpo di testa, come non dubitare del tempismo con cui Luther si era imposto sulla folla? Dayan credeva di averlo convinto con le proprie parole e forse era così, ma Waldan temeva un tranello e gli guardava le spalle, come sempre. Restava il fatto che con questa mossa si erano assicurati qualche centinaia di uomini, un buon numero di rifornimenti e i migliori architetti e ingegneri sulla piazza.
Troppo bello per essere vero, ed Eiko infatti era il solo a saltellare e fare le feste come un cagnolino. Gli altri erano meno propensi ad affidarsi al sollievo, piuttosto serbavano in loro l’estremo della sfiducia.
“Non sta bene intimidire i nuovi amici con simili sguardi”, gli giunse alle spalle la voce di Gislin, e il suo sarcasmo divenne il bersaglio di tanto sospetto.
“Amici di chi? Non certo i miei”, sbottò il soldato. Era contento di vedere i nemici in disaccordo. Ma quando i nemici di prima confabulavano con Dayan come compagni… Ebbene, non sapeva più che pensare.
“Gli amici di Yamana per il momento. Non dubito però che combatteranno dalla parte di Dayan. Non ci resta quindi che sperare che Dayan combatta dalla parte giusta”.
Waldan si voltò completamente verso la strega. “Su questo non ho alcun dubbio”.
“Allora non dovresti averne affatto”.
Curiosa frase. Si prestava ad essere fraintesa. L’uomo però non vi rifletté perché già troppo a lungo si era soffermato sulla compagna. Tornò di nuovo a focalizzare l’attenzione sul re della Pietra che stringeva il braccio di Dayan con orgoglio e si posizionava al suo fianco, accanto a Mela e Yamana, mentre il corteo di Aria si avvicinava.
Taragos passò ben lontano dal condottiero. I cavalieri e i loro soci messiri si dirigevano altezzosi e virtuosi verso i loro domini. Andavano a preparare gli eserciti, sicuro come la morte.
Eppure il sovrano dei Cavalli, trovandosi Waldan lungo il passaggio, ebbe in animo di pungerlo con le sue parole scaltrite.
“Ditemi Waldan. Conoscete la storia del cavallo di Forax?”. Senza aspettare, egli continuò. “Ebbene c’era uno stallone un fantastico esemplare figlio della prateria e non di schiatta domata. Se lo contendevano, gli tendevano continui agguati, due possidenti vicini. Ciascuno desiderava catturarlo per sé e il primo un giorno vi riuscì. Con rapidità guadagnò il collo dello straordinario animale. Ma vedete quel cavallo era assai focoso e l’uomo così testardo ambiva a domarlo con le proprie forze”.
“Sento già che mi piace”, commentò Gislin con un sorriso malvagio. Taragos la fulminò con odio ma non poté fare a meno di volgersi agli uomini di guardia intorno al palazzo dell’assemblea. Erano ancora persi nell’incantesimo della strega, in piedi e ciondolanti, ad occhi aperti ed espressioni beate. Alcuni di essi erano dei cavalieri, e il re si accingeva ad abbandonarli, così come i messiri avevano rinunciato a svegliare i propri.
“Scommetto che lo stallone alla fine ha avuto ragione dei suoi pretendenti”, continuò a deriderlo Gislin, e Taragos rispose meno compiaciuto di prima:
“Oh, no. Probabilmente sarebbe anche riuscito a vincerlo, chissà. Tuttavia arrivò l’altro uomo con i suoi servi. Trovò il suo avversario esausto e solitario, impegnato nell’impresa. Di fatto morì senza aver più la forza per difendersi, e il cavallo andò a chi era pronto a tutto per averlo”.
“Strano. Mi ricordavo un altro finale. Lo stallone era in realtà un vecchio diavolo vendicativo e cavalcò fin dentro l’Inferno con l’indegno padrone, lì dove già lo aspettava chi lo aveva preceduto nella sfida. Così i due vicini poterono incontrarsi e piangere della loro cupidigia rovinosa. Fu un servo se non sbaglio a prendersi entrambi i possedimenti, e brindò fino alla fine dei suoi giorni a quel cavallo che gli aveva dato fortuna”.
La correzione della strega non fu bene accetta, non se pronunciata con un tono di seducente innocenza. Erano in molti a guardarla con repulsione, quel genere di ribrezzo morigerato e ipocrita che mascherava la lascivia proibita. Ed il soldato si sbrigò a prendere su di sé la minaccia, a rintuzzarla con un atteggiamento altrettanto intimidatorio.
“Io non so molte storie, re Taragos. Però so che anche il primo cavallo di Dayan era bizzarro. A me personalmente stava simpatico, ma c’era qualcosa nel mio amico che a lui proprio non piaceva. Un giorno lo morse sul gomito, come se volesse staccargli il braccio. È stata una fortuna che Dayan mi abbia fermato allora, altrimenti avrebbe dovuto cavalcare delle bistecche. Io sono troppo pigro per le sfide, divento violento quando vengo attaccato, e non mi metto mai a discutere con gli animali che mordono. Quindi è un bene… che Dayan mi fermi sempre”.
“Sì, beh”, rise il re delle Messi nel silenzio precedente alla tempesta. “Che esempio di grossolana spacconeria. Questi villici non sono in grado di comunicare se non a botte. Venite, amico mio, lasciamo che le bestie soffochino nella propria bile”.
Taragos rifiutò lo sdegno per la violenza dell’alleato. Era di battaglie appunto che voleva parlare, ma non riusciva a imporsi, perché né Waldan né Gislin temevano la forza della sua nazione. I guerrieri spavaldi che lo seguivano, i migliori tra i cavalieri, erano uomini di comprovata forza, risoluti e fin troppo turbolenti. Erano pronti già adesso al confronto. Ma il re se ne andò, ed essi furono costretti a seguirlo, con la stessa promessa negli occhi.
Ci rivediamo presto Waldan. Sul campo di battaglia.
Partendosene così però, lasciavano Re Jan e i lignei nell’incertezza. Egli si era distratto per sbranare sul posto con sguardi e parole i suoi campioni, soprattutto il più giovane che si era fatto battere addirittura da Eiko. Era solo un modo per sentirsi superiore, e il suo servo fedele chinava il capo agli insulti e gli sfoghi del sovrano. Finché il soldato non fu spinto e schiaffeggiato dallo scettro, indirizzato all’accampamento come un castigo.
Karg, smettila di cercare il tuo coraggio per terra. Non lo troverai là!”, disse burbero Waldan, fermando il giovane campione ligneo quando gli passò accanto. “Te l’ha rubato lui e non te lo ridarà indietro. Se lo tiene ben stretto. Guarda…”.
Gli indicò senza timore Eiko. “Lo vedi nel bianco dei suoi occhi? Sta lì la tua proprietà. Se la rivuoi indietro, non perderla di vista. Tienila fissa finché non si volterà per scappare. Allora sarà di nuovo tua”.
Il guerriero gli diede retta, puntò con lo sguardo rosso d’ira e di vergogna il poeta che aveva infangato il suo onore con un coltello e parole spaventose. Alla fine il messiro evitò quel rancore, trattenne un brivido e tornò a sorridere forzatamente tra la corte dei petri. Waldan dette al campione una pacca, soddisfatto del risultato.
“Adesso guarda me. Oggi hai perso perché un nemico lo si affronta a testa alta. Lo si affronta non per obbedire a qualcuno, ma per proteggere qualcosa di importante. Se alimenti la tua fornace con quel che vuoi difendere, la tua testa di marra non si arrenderà neanche all’impossibile. Lotta per ciò in cui credi, altrimenti sei già morto. E se un giorno non lontano ci affronteremo, voglio vedere questa grinta nei tuoi occhi, voglio che mi onori di una ferrea convinzione, o per gli dei giuro che ti attacco ad un carro e ti trascino per tutto il campo di fronte ai tuoi amici, chiaro?”.
Lo spinse via per la sua direzione, lo coprì piazzandosi in mezzo all’ira del re del Legno. E tale era il suo sguardo nero e così spietato, che i campioni rimasti si sentirono in dovere di far da scudo al loro signore. Ma Jan non volle rischiare comunque, marciò tracotante tra i suoi soldati, come se fosse già pronto alla guerra, o meglio alla ritirata, poiché prendeva le distanze tornando ai suoi più sicuri domini.
Al che si incamminò verso il soldato Aria, la regina dei magi, con i suoi incantatori migliori, tra cui spiccava il cieco Prentice.
“Persino lei ti teme in questo momento”, commentò Gislin che non si era mai allontanata dal soldato, ma il soldato rimase concentrato sul dialogo tra il suo migliore amico e il re della Seta.
“Non ti stupisce? Che la più grande maestra di incantesimi abbia paura di te? Imponi la tua presenza su chiunque, sei una prova da superare”.
L’uomo non rispose. Stava tentando in effetti di ignorarla e mantenere lucidi i pensieri. Perché più impegnava la mente con il dovere, più riusciva a resisterle. E funzionò anche troppo bene, poiché Gislin mormorò spazientita e cominciò a muoversi più lontano. Solo che a quel punto, Waldan non volle permetterlo e le afferrò una mano. Il cipiglio della strega era sia furibondo che preoccupato, soprattutto perché in quel momento era arrivata la regina, e il soldato non le diede più che un cenno di inchino, prima di tornare sul volto di Gislin. Ella mal sopportava la vicinanza dei magi, si vedeva bene, ma Waldan non le lasciò andare la mano.
“Abbaiate ad un re senza rispetto e spronate un guerriero disonorato a non darsi per vinto. Non avete proprio senso della misura, Waldan”, esordì la regina Aria, che evidentemente non gradiva la presenza della strega.
Il soldato squadrò senza paura l’espressione severa della anziana signora, e più ancora il modo con cui i suoi campioni puntavano altrove lo sguardo, come se non valesse la loro attenzione. Era un fatto che tutti i sovrani stessero confrontandosi con lui piuttosto che con Dayan, e con un tono molto più diretto, come se non intendessero sprecare elaborati discorsi. Ad ogni modo scrollò le spalle, e assentì torvo alla regina.
“Aggredire e ispirare è un po’ la mia ragion d’essere, signora. La moderazione proprio no”.
“Vi siete fermata soltanto per educarlo alle buone maniere? Quanta generosità nell’impartire la vostra saggezza agli umili”, la apostrofò Gislin, così suadente da sembrar frivola.
“Per la verità, abbiamo a cuore la sorte dei nostri difensori”, affermò Prentice accennando ai soldati intorno all’edificio ancora sotto l’incantesimo della strega. “Sono certo che un uomo come voi può capire”.
Waldan in effetti non capiva. A rischio di apparire ottuso pose la domanda che gli sorgeva spontanea.
“Non siete in grado di liberarli con la vostra magia?”.
Ecco un modo indiretto per pungere la loro superiorità. Gislin accanto a lui si stava facendo in quattro per non scoppiare a ridere rendendo ancora più esplosiva la situazione. Solo allora il soldato si rese conto di essere semplicemente un falso interlocutore. Non era veramente a lui che si rivolgevano, ma all’incantatrice.
“Su questo siamo tutti d’accordo. È giunto il momento di svegliarli”, intervenne Eiko, raggiungendoli con una certa fretta e scuotendo il capo verso lo sguardo poco diplomatico del soldato.
“Non saprei come. Se volete posso provare a scrollarli un po’”, borbottò Waldan in risposta, rovinando la loro comunicazione indiretta.
“L’ordine viene da Dayan”, mormorò tra i denti il poeta. “Sono tutti piuttosto nervosi a vederli così”.
“Allora perché lo chiedi a me? Parlane con Gislin!”.
Stavano girando tutti intorno alla questione, come bambini che toglievano esistenza e gioco alla diretta interessata. Eiko che conosceva le formalità e tutte le piccole follie dei popoli stranieri lo guardò allarmato, e così fu lui a voltarsi verso la strega, infrangendo le regole.
“Ti spiace farli contenti? Così potranno tornarsene a casa…”.
Eiko si soffocò con la tosse dopo quelle parole brusche. Gislin invece sorrise soddisfatta.
“Non è a me che dispiacerà. Saranno loro ad esser scontenti di tornare alla realtà”, dichiarò e lo dimostrarono subito i sospiri infelici e la sorpresa di chi riprendeva i sensi, cadendo fuori da quel torpore beato.
Nessun gesto o parola. Gislin la fece sembrare una cosa facilissima, perciò a Waldan rimase il dubbio che fosse proprio una stupida questione di principio e non di potere magico.
Aria non se ne andò subito comunque. Si rivolse ancora al guerriero. “Credete di essere molto forti. Ne avete tutte le ragioni: entrare da padroni durante la riunione; rovinare un’alleanza di re sul nascere; offrirvi nuovamente come eroi contro il male. Purtroppo però siete anche degli stolti: non potete nulla contro questi poteri perché essi vi hanno già accecato, ne siete succubi sin d’ora. Domani noi rinverremo la fonte. Entreremo a Migdal su vostro invito, e mi auguro che voi sarete abbastanza saggi da uscire dalla torre al nostro invito”.
Eiko rispose con un sorriso affettato e untuoso di fronte a quella fredda rigidità da educatrice. Ma poiché si rivolgevano ancora a Waldan aspettandosi qualcosa da lui, egli borbottò come la pensava.
“Ah, sì. Come avete detto voi, siamo stolti. Ci piacciono da morire i guai. Per questo vi diamo il benvenuto nella torre domani. Ma non siamo ciechi, vi terremo d’occhio fino al momento del vostro congedo. Di tutto il resto in effetti non mi interessa nulla”.
Eiko sibilò un avvertimento, aggrappandosi al suo braccio, scandalizzato dalla indifferenza che rinfacciava alla regina.
Ma Waldan aveva solo messo le cose in chiaro e contrattaccato le minacce sottili con una chiusura decisa. Non era capace ad assecondare il nemico, sorridere e trovare la giusta arguzia per ribattere. Secondo le buone regole, l’insulto o l’offesa diretta dimostrava la propria debolezza o inferiorità. Buffo, agli occhi del soldato erano quella vecchia megera e il suo circolo di boriosi a scoprire il fianco con un disperato bisogno di parlargli.
“Se volevano la cortesia, potevano rivolgersi a te o a Dayan!”, ribatté irritato. “E visto che siamo in tema, dalle mie parti chi usa interrompere una conversazione, ignorare le persone coinvolte o dare consigli di resa sa cosa aspettarsi in risposta”.
Neanche più li guardava, dato che era il loro gioco. Diresse tutta la sua attenzione a Gislin, colei che essi non volevano neanche accettare che esistesse. E quanto si divertì allora la strega, mentre Eiko si scusava per loro e prendeva su di sé tutto il fardello della conversazione. La regina lo mollò a metà di un bel discorso insulso, se ne andò con il suo seguito mentre le parole morivano in bocca all’oratore sconcertato.
“Che diavolo ti è preso?”, scoppiò quindi Eiko, osando più del solito con il soldato. “Te ne stai qui in mezzo alla strada maestra a guardare in cagnesco signori di genti?! Stiamo cercando di evitare una guerra, non di scatenarla!”.
“Sono stato ancora gentile, più di quanto avrei dovuto”, sbottò Waldan. “Con te non lo sarò se ignori di nuovo un compagno d’armi solo per fare bella figura”.
“È una questione delicata, e lei lo sa perfettamente”, si giustificò Eiko. “Né ti rendi conto di quanto sforzo hanno fatto a mantenere la questione su un piano formale. Avrebbero anche potuto ordinarle esplicitamente e perentoriamente di dissolvere la malia, o peggio”.
Waldan scattò a quelle parole. Se avessero provato a trattar peggio la strega, egli li avrebbe spiaccicati come scarafaggi! E dovevano solo ringraziare che Gislin avesse trovato quel sistema per liberarsi di chi stava a guardia dell’assemblea, perché altrimenti, appena usciti, i re si sarebbero trovati di fronte ad un manipolo di guerrieri percossi fino allo svenimento. D’altro canto, Eiko si schermì affermando che Dayan aveva declinato ogni responsabilità sulle azioni della donna. Era vero che Gislin si era proposta per suo conto e aveva agito in un modo suo personale, eppure aveva rispettato gli ordini di non far del male a nessuno. Anzi aveva reso pacifico un ingresso che in caso contrario sarebbe stato annunciato da battaglia, laddove Dayan sarebbe entrato con Yamana a confrontarsi con i re, secondo il piano di partenza.
Waldan ci rimase male, per quanto capisse la necessità del condottiero di mantenere una certa distanza dalla stregoneria, peraltro assolutamente coerente con le sue convinzioni personali.
“Sei un vero cavaliere”, lo prese in giro Gislin affatto turbata. “Purtroppo io non sono una dama meritevole”.
Strixate!”, proruppe Waldan. “Abbiamo tutti bisogno di aiuto ogni tanto. E io non ho mai abbandonato un compagno in difficoltà. Me ne sbatto delle altre regole!”. Anche se dopo si calmò. In effetti non capiva perché se la prendesse tanto, se a lei andava bene così. Inoltre, era vero che non aveva mai avuto bisogno di esser difesa. Spesso bisognava anzi intervenire per difendere i malcapitati da lei.
“Dunque sei una sorgente di forza a cui attingere gratuitamente? Allora va bene, ne approfitterò”.
“La fai sembrare una cosa sbagliata così”.
“Ne parlo come di una cosa interessante. Giusto o sbagliato non sono esattamente di mia competenza”, rispose Gislin con un sorriso. “Adesso però inizio a capire perché una certa ragazzina di mia conoscenza ti rimane appiccicata come una zecca… Si direbbe una specie di simbiosi, anche se lei ne abusa prepotentemente e ormai ne sembra completamente drogata”.
“Non farlo”, la avvertì il soldato. “Io non ti tratto come una cosa sporca e oscura. Tu non insinuare lo stesso di lei”.
“Dunque posso essere solo una vittima o un nemico per te? Non esiste altra scelta?”, lo pungolò ancora la strega all’apparenza frustrata, poiché Waldan la stava di nuovo evitando. “E se volessi di più?”, lo sorprese, tanto da attirare il suo sguardo accigliato. “Non mi dispiace essere una figura terribile e oscura, ma posso esserlo anche senza provocare troppo dolore”.
Il soldato non poté approfondire oltre l’argomento, perché re Oswald del Ferro passò con aggressività da teppista accanto a loro, ed egli non volle perdersi l’occasione di sfidarlo a testa alta. Wulfstan fu l’unico dei vecchi amici a rispondere al suo saluto con un cenno e con il reciproco rispetto. Quando si furono allontanati poi, Eiko approfittò della pausa per chiedere scusa a Gislin del suo precedente comportamento. Anche se la donna non pareva tanto arrabbiata con lui quanto con la mancata risposta di Waldan.
Il poeta studiò rapidamente una sentinella dei cavalieri, lasciata indietro dai suoi compagni. Cercava ancora di capire cosa fosse successo, ma l’imbarazzo si insinuava lentamente nella sua confusione, conferendogli un aspetto sconvolto. Dopo aver realizzato la sua situazione, il guerriero partì allora velocemente verso il campo, seguito dagli altri che condividevano con lui la stessa vergogna.
Tuttavia alcuni rimasero paralizzati appena videro Gislin. Ed ella sorrideva per quegli sguardi scioccati.
“Che cosa stavano sognando esattamente?”, chiese allora Eiko, incuriosito dalle espressioni combattute, ammaliate o spaventate dei soldati.
“Me. I particolari e le ambientazioni differivano da persona a persona. Ma in un modo o nell’altro ho tenuto loro compagnia”.
L’aveva detto apposta, ma probabilmente era vero. Quella donna aveva l’insana passione di presentarsi nel modo in cui tutti la dipingevano. Volgare, selvatica, impudica e corrotta. Si esibiva in ogni eccesso per il piacere di scandalizzare e riusciva sempre a raccogliere pulsioni e passioni violente. Gli unici che non scappavano alla fine erano gli assassini, gli empi e i pazzi. I mostri in forma d’uomo che scomparivano nelle notti di luna piena.
Davvero, Waldan sentiva di avere tutti i motivi di preoccuparsi che la strega fosse interessata a lui. Forse avrebbe dovuto ringraziare Oswald per il suo tempismo di ieri. Una parte di lui però credeva, o voleva credere, che Gislin non volesse la sua morte, magari solo la sua anima… Avrebbe dovuto allontanarsi, tornare accanto ai due che parlavano ora con Shangis. Addirittura Mela gli stava scoccando delle occhiate sempre più insistenti, come se stesse per chiamarlo da un momento all’altro.
“D’altronde nessun sogno può durare a lungo senza trasformarsi in un incubo”, rispose Gislin, impegnata in una conversazione che Waldan aveva smesso di ascoltare. Anche la strega guardava lui nel frattempo, piuttosto infuriata.
Guai a te se provi a scappare di nuovo, sembrava volergli dire.
Era Eiko comunque che si spostava leggermente ad ogni risposta. Ecco uno che credeva di poter ingraziare a parole anche il diavolo. Maledizione! Era davvero difficile liberarsi di quella convinzione. Nonostante tutto quello che aveva detto, anche Waldan la associava al male con una naturalezza irritante.
“Però sarebbe un sogno intrigante. Fate che ora amino coloro che non hanno mai amato; e quelli che hanno sempre amato, amino ancora di più. Sì, penso che per questo si potrebbe rischiare un brusco risveglio”.
Waldan alzò gli occhi al cielo. Come si poteva essere così… Muovendo passi laterali, il poeta si comportava come un’oca e circuiva la donna mentre estrometteva il rivale dalla conversazione. Gislin rispondeva gentile e gradevole, pareva quasi accettasse il corteggiamento se non si era abbastanza attenti da cogliere lo scintillio animale negli occhi. Quando però Eiko si fece troppo vicino, esplicito il suo desiderio per quanto fosse galante e brillante la sua loquacità, il soldato emise un verso disgustato che interruppe i due.
“Non hai qualcosa di meglio da fare, da un’altra parte? È assai scomodo conversare in pace con l’ingombro di una nuvola nera e tetra. Sicuramente la tua stazza attende un lavoro alla sua portata, anziché rimanere qui ferma e inutile, a spaventare le persone perbene”.
Una mezza idea gli passò per la testa in effetti. Calpestare o malmenare un poeta ringalluzzito, e a giudicare dall’espressione di Gislin era proprio quello che lei si aspettava. Ma non era per gelosia, proprio no. Una questione di principio, piuttosto. Per ripagare l’offesa, semmai. Salvare un’idiota dal suo funerale? Come no… Comunque nulla che avesse a che fare con la gelosia.
“Sai una cosa? Hai proprio ragione. Che cosa ci sto a fare io qui?”, gli disse a sorpresa Waldan affossandolo con una pacca sulla spalla. Sul viso della strega passò una carovana di insicurezza a velocità folle, seguita da un’ira feroce e montante, mentre il soldato si voltava.
Waldan però si trovò davanti Hizon che accennò ad un saluto formale. In via del tutto eccezionale si degnava di trattarlo alla pari. Poteva almeno sfogarsi sul guerriero errante? Il giorno in cui non avesse più dovuto vedere né questi né il suo degno compare, avrebbe festeggiato offrendo da bere persino a Yamana.
“Restare qui fuori, in una posizione dichiarata e aperta rappresenta un pericolo ogni istante di più”.
Purtroppo quello che diceva aveva un senso. C’erano molti Atri nell’area, e tutti sembravano pacifici e indifferenti con gli occhi persi nel nulla. Tuttavia Waldan aveva come l’impressione che alcuni fossero arrivati da poco, e come se non bastasse la maggior parte dei re e dei soldati se n’era già andata, con tutto l’intento di farla pagare a chi si era intromesso nell’assemblea sconvolgendo i piani. Dayan era ancora impegnato a parlare con Luther e Shangis si accomiatava in quel momento, di poco preceduto da re Mirog del Sale. Invano il soldato tentò di sentire cosa si stessero dicendo ancora di tanto importante… Aveva ronzanti nella testa le facezie di Eiko e le risposte di Gislin.
“…come combatti, leggiadra e letale. Ti muovi sempre così bene?”.
“Meglio di chiunque altra…”.
Non riusciva a concentrarsi con quel fastidioso chiacchiericcio nelle orecchie.
“È grave questa tensione”, osservò Hizon intanto, invidiabile nella sua tranquillità. “Ci troviamo da giorni nella situazione di aspettare un pericolo che non arriva. Naturalmente, il tiranno ci ha abituati a ben altri livelli, ma questi re appaiono così limitati nelle loro astuzie; lenti e pigri nell’azione”.
“Magari si aspettano proprio che abbassiamo la guardia, che li sottovalutiamo abbastanza da compiere un passo falso”, replicò arcigno Waldan.
Il guerriero errante annuì. “La politica è un campo di battaglia nuovo. Una disciplina interessante nel richiedere tanta pazienza. Ma troppa finzione nel sorridere al proprio nemico e stringergli la mano. Una arte di falsi equilibri, non mi meraviglia affatto che tenda allo sbilanciamento. Le regole si cambiano come nei giochi dei bambini, e i bari vincono più che in un gioco d’azzardo, senza rischiare altrettanto. Dayan dovrebbe instaurare un assolutismo militare, sarebbe una forma di governo più sana”.
“Non ti curi di nascondere il tuo fanatismo da quattro soldi, a quanto vedo”.
Hizon lo squadrò con una lunga occhiata di una severità intransigente, poi tornò a fissare l’arrivo di Mirog. Non fece saluti né cenni al signore dei salici che giungeva con portamento da guerriero, circondato da uomini che sembravano briganti e pirati di contro alla sua alterigia.
“Li vedi? I vecchi che fuggono dal nuovo. La loro incapacità di comprendere il futuro è il loro primo fallimento. La loro sicurezza si è incrinata appena hanno visto entrare il nostro re all’assemblea e dominarla in poco tempo. Hanno così tanta paura di noi ormai, ci sfidano senza avere la forza di prevalere. Presto dovranno inginocchiarsi, è inevitabile”.
Waldan si chiese perché dovesse starlo a sentire. Perché dovevano essere gli ultimi ad abbandonare il campo? Un altro inutile sfoggio di potere? Se era così, a nessuno interessava, a parte forse agli Atri che si moltiplicavano nella notte. Sentiva ondate di parole che lo travolgevano da ogni lato, che non si fermarono neanche dinnanzi al passaggio del re del Sale. Furono malvisti per quella evidente mancanza di etichetta, ma d’altronde i soldati salici avevano occhi già colmi d’odio nero.
 “Schiavi della magia nera”, borbottò un consigliere al re, subito dopo essere passato, come un giudizio disinteressato, ed egli pur con tutta la serenità mostrata, annuì al suo uomo di fiducia. Ma Waldan pensò di essere il solo ad averlo udito, finché non parlò Hizon.
“Gli Atri sono gli unici schiavi qui. E i magi che pure si comportano da padroni, sono drogati di incantesimi. Si dovrebbero eliminare tutti, dagli adulti ai bambini. Allora il mondo sarebbe…”.
“Migliore? È questo che volevi dire Hizon?”.
Chissà come tra tutte le frivolezze di Eiko, Gislin era riuscita ad ascoltare l’opinione severa del guerriero errante. E stava per commettere un errore ora per un’ira improvvisa e violenta, malcelata da un sorriso digrignante.
“Dal momento che fai di un unico fascio i magi e gli Atri, devo ritenerla una minaccia concreta o una semplice offesa?”.
“Una pura casualità. Mi riferivo ovviamente agli indigeni e agli altri corrotti”, replicò indifferente Hizon.
“Forse allora dovrei insultare anch’io per caso i tuoi natali”.
“Gislin…”, la avvertirono in due.
“Non sarebbe affatto fortuito, e inoltre non sarebbe opportuno. Le mie origini non ti sono note. Al contrario, è chiaro tu sia un incrocio sciagurato e deprecabile. Tra di noi non esiste alcun paragone, ed è bene che così sia”.
“Tra di noi Hizon, io sono la seta e tu una setola di porco”.
Stavolta fu solo il soldato ad ammonirla, perché Eiko si guardò bene dal frapporsi al movimento compassato del serico verso il suo bersaglio.
“Come tutti gli animali, tu scalpiti e produci versi incomprensibili, preda delle tue pulsioni bestiali. Continua pure a supplicarmi di domarti, un giorno magari ti asseconderò”.
Si volse quindi verso il giovane oratore, con sdegno evidente. “E voi mastro Eiko, se volete davvero accoppiarvi con questa cagna in calore, non fatela tanto lunga, pagatela e toglietevi il pensiero”.
Waldan si abbatté su di lui con uno scatto di collera involontaria. Appena terminata la frase Hizon dovette parare il suo pugno, ma sorrise con disprezzo al soldato, per lo scarso autocontrollo e la lentezza. E prima che Waldan potesse proseguire e che il serico si preparasse a contrattaccare, Eiko li fermò con un sibilo isterico.
“Cercate un altro posto per duellare, per carità! State attirando troppa attenzione”.
Il suo allarme sarebbe rimasto inascoltato dai due se non avessero percepito entrambi l’arrivo di un altro piccolo corteo. E Shangis rivolse queste parole al gruppo: “Avete fatto scalpore oggi, per quanto in modo piuttosto grezzo. Viene da chiedersi però cosa vogliate dimostrare con un’irruzione armata per proclamarvi innocenti”.
“Non era per un bisogno di attenzione, re Shangis. Ne abbiamo fin troppa…”, rispose Eiko per tutti.
“E ne avrete ancora, fintantoché sceglierete il modo sbagliato di presentarvi”, affermò guardando con sdegno la strega dietro di loro. Prima che ella potesse replicare con perfidia, Waldan prese per un braccio Gislin e la trascinò via con sé, imponendosi di non guardare nessuno. La portò in un vicolo isolato e la fronteggiò furioso.
“Ma che karg ti prende, eh?”.
“Non sono stata io a cominciare”, rispose sorpresa e indignata la strega. Ma Waldan non le permise di andarsene.
“L’hai fatto apposta! Prima dici che non te ne frega niente e poi d’un tratto attacchi uno che neanche parlava di te. Lo hai provocato tu”.
Gislin lo guardò con altrettanta irritazione. “Sei paranoico o semplicemente stupido? Stavo soltanto pareggiando gli insulti. Nessuno ti ha chiesto di intervenire”.
Fece per allontanarsi con più decisione, come se questo concludesse tutto. Ma non risolveva un accidente. Waldan la cacciò più a fondo nel vicolo.
“Non dovevano vederci litigare. Non era il momento per provocare risse! Se per causa nostra Dayan fallisce…”.
“Non dare a me la colpa delle tue azioni! Ho il diritto di ribattere alle offese nel modo e nel tempo che mi risultano più graditi. Avevo tutto sotto controllo, chi ti ha chiesto qualcosa!”.
Secondo l’opinione della strega, non stava avendo nulla più che un battibecco, e Hizon non le avrebbe fatto nulla davanti a tutti. All’uomo invece era sembrato che stessero entrambi per scannarsi da un momento all’altro. Ora però non ne era più così sicuro. D’improvviso gli parve di aver reagito per uno sfogo irrazionale. Possibile che il caldo e la tensione gli avessero dato alla testa?
“Quel serico è pazzo e pericoloso. Non è saggio attaccare briga con lui”, borbottò cercando di mantenere salda l’ira nell’imbarazzo.
“Oh? Cercherò di ricordartelo la prossima volta che vorrai prenderlo a pugni”, ribatté indignata Gislin. “Comunque è di lui che dovresti preoccuparti nel caso. Gli farei provare quel dolore che desidera così tanto. E se non ti va, puoi anche andartene all-”.
La donna non ebbe neanche il tempo di terminare, che il soldato le chiuse la bocca con un bacio, assaporando l’ultima parola pronunciata. Gislin lo artigliò sulla schiena e sul collo al punto da fargli male, quasi volesse assicurarsi la sua proprietà, poi con le labbra salì sulla guancia fino a sussurrargli all’orecchio.
“Non osare alzare mai più la voce con me”.
“Altrimenti?”, la sfidò Waldan sollevandola tra le braccia e spingendola contro il muro.
“Ti getterò addosso un maleficio”, minacciò serrando le gambe intorno al suo busto. “E sarai in mio potere”.
“Poca fantasia”, si limitò a rispondere il soldato aiutandola a liberarsi del vestito.
“Waldan? Waldan!”, la voce di Mela giunse a loro fin troppo vicina.
“Oh, no… non adesso. È una maledizione!”, ruggì Gislin. In effetti stava diventando ripetitivo e fastidioso, soprattutto per chi veniva chiamato a più riprese, con un tono che già lo rimproverava di essersi allontanato dal suo dovere.
Purtroppo la cacciatrice trovava sempre le tracce di chiunque, per evidenza di fatti o di istinto. L’intimità così stava andando velocemente a farsi benedire. Per un attimo parve ad entrambi che non fosse così importante, tanto che la stretta di Gislin divenne se possibile ancora più forte. Poi però lo liberò con ira.
“Vattene”, lo scacciò, lottando contro il suo stesso desiderio.
Waldan si preparò allora a ricomparire con molta pazienza, ma prima di andarsene mandò alla malora ogni precauzione e diffidenza.
“Non azzardarti ad arrenderti proprio adesso”.
La strega sorrise prima di scomparire tra le tenebre della via. “Verrò a cercarti”.
Waldan annuì e si voltò appena per uscire dal vicolo, trovando subito davanti la sua persecuzione.
“Ma dove diavolo eri finito?”, chiese preoccupata Mela.
“Che succede ora di così urgente?”, domandò a sua volta il guerriero senza curarsi di rispondere all’amica. Forse era stato troppo burbero, ma la situazione gli sembrava tutt’altro che pacifica. La cacciatrice lo studiò accigliata per un istante.
“Ti ho visto attaccare Hizon e poi scappare via. Volevo essere sicura fosse tutto a posto…”, disse in un tono duro molto somigliante a quello di Mia quando era costretta a giustificarsi.
“Sto bene”, la rassicurò Waldan, ma poteva vederlo benissimo da sé. Chissà perché aveva la strana sensazione che lo stesse sorvegliando piuttosto. Mela fece per dire qualcosa di più mentre guardava dietro l’uomo neanche si aspettasse di veder comparire qualcun altro. Tuttavia scosse la testa per un diniego interiore e rinunciò a chiedere.
“Stiamo tornando alla torre. Vieni con noi?”, propose con maggiore calma e gentilezza.
“Vi raggiungo dopo”. Fu difficile per Waldan dirlo senza voltarsi verso il vicolo. Eppure era chiaro che Mela avesse capito comunque e intendeva insistere, con somma frustrazione dell’amico.
Infatti con un sorriso pestifero aggiunse: “Sicuro? Se è per Hizon te lo tengo lontano io. Stavo giusto pensando di spiegargli un paio di cose su quel che può dire e quel che deve tenere per sé”.
Aveva sentito tutto? Con Mela non si poteva mai sapere. Aveva un udito straordinario quanto la sua vista.
“Hizon non è un problema”. Ma lo avrebbe pestato volentieri, e questo in effetti era un fastidio.
“No, infatti. Non è lui il problema”, rispose la donna senza guardarlo negli occhi.
“Se hai qualcosa da dire, prego”, la invitò a parlare teso e irritato Waldan. Ma la cacciatrice scosse la testa.
“Ultimamente si comportano tutti in modo molto strano”, disse come per cambiare argomento. “Mi preoccupa ad esempio come quell’uomo si prenda la libertà di ingiuriare e minacciare tutti intorno a lui. Ha dato noie anche a me di recente, oltre a quello che ha fatto a Mia…”.
“Ho cambiato idea”, la interruppe Waldan inquietato dalle sue parole. “Vengo anch’io”.
Perché implicitamente Mela gli chiedeva di proteggere ancora una volta la sua famiglia. Era più che un richiamo al dovere, era un passo verso la stabilità, verso la chiarezza. Per quanto fosse piccola cosa, il soldato ritrovò l’equilibrio al pensiero di ritornare al suo ruolo di guardiano. Ed era ciò che in fondo egli desiderava.
La cacciatrice accolse la sua risposta con un cenno affermativo, come se non si aspettasse di meno da lui. Eppure mentre si girava con movimenti felini, Mela esclamò felice e sollevata: “Speravo proprio di poter contare su di te”.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Sarras