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Autore: KH4    01/10/2012    3 recensioni
Quando Nami aveva espressamente detto di non combinare alcun guaio, intendeva cose del tipo “Non attirate troppo l’attenzione con le vostre buffonate”, “Non fatevi vedere dalla Marina” o “Evitate di scatenare l’ennesimo pandemonio”. Insomma, i classici avvertimenti che non mancavano mai di essere ripresi e ripassati. Ma tra questi e l’infinita serie di avvertimenti da lei elargiti, nessuno aveva mai parlato di ragazze isteriche trasportanti in spalla, come sacchi di patate, fratelli mezzi dissanguati e seguite a ruota da innocenti bambine con grandi occhi azzurri. Un evento decisamente più normale del solito, umano, per dirla nella giusta maniera, ma, sicuramente, non privo di sorprese, se si teneva conto del fatto che, a portarli sulla nave, era stato proprio Rufy. (estratto del capitolo quattro).
 
Il Nuovo Mondo è pronto ad accogliere Rufy e la sua ciurma, tornati insieme dopo due anni di separazione; lasciatisi alle spalle l'isola degli Uomini Pesce, i pirati approdano su di un'isola, dove incontreranno un piccola amante della pirateria, bisognosa di aiuto. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ragazzi!
Seguito di “Giglio di Picche.”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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“Ma guarda un po’ chi abbiamo qui: Lars Gallower.”
“Ciao, Eliah.”

Era sorprendente quanto la voce e il volto di una persona potessero essere così fastidiosamente incisivi; lo scatenare dei ricordi assopiti e il riportarli a galla senza tralasciare dettagli era qualcosa che coglieva impreparato anche il più calcolatore degli individui. Nel suo piccolo, Lars era riuscito ad alleggerire il colpo solo grazie al fatto di aver riconosciuto sin dall’inizio quelle sponde bianche e spoglie sopra cui aveva camminato otto anni addietro.

Otto anni…e la cicatrice gli doleva come se fosse stata la prima volta.
La sensazione della pelle che viene tirata e squarciata scavò l’interno della sua mente, riempiendola di dolore e facendo subentrare l’incandescente bruciore che poi gli era colato sulle guance, caldo e rosso come il sangue che aveva tinto la sua vista.
Pulsava da morire, picchiava tanto da volergli aprire il cranio.
Era la stessa di allora, la stessa e identica sensazione provata quel lontano giorno, non era cambiato proprio nulla. Tutto, perfino quegli striminziti ciuffi d’erba verdastra che spuntavano alla base di alcune rocce. Non era niente di cui stupirsi; San Lorein era sempre stata terribilmente allergica a qualsiasi novità non pertinente alle proprie tradizioni, ma se gli fosse stato concesso un solo desiderio, Lars avrebbe preferito di gran lunga non vedere Eliah, almeno non così presto. Pretendere di non vederlo affatto era impossibile, non quando il suddetto era il Master di San Lorein, autorità indiscussa e a cui non si poteva sfuggire. Tenere testa a quelle pozze bluastre che lo stavano guardando con sorriso beffardo gli diede un assaggio di quanto il loro soggiorno sarebbe stato inospitale e poco piacevole. Una consapevolezza che doveva condividere con Rufy e i suoi compagni prima che Eliah decidesse di prendere seri provvedimenti nei loro confronti.

“Sono molto sorpreso di vederti”, parlò quest’ultimo, avanzando di qualche passo “Quando ho trovato questi due a gironzolare per le vie della città non pensavo certo di incontrare te, ma considerato che non tutti a questo mondo hanno i capelli argentati, un piccolo sospetto me lo sono comunque tenuto.”

Bugia. Finzione. Completa distorsione della verità. Eliah aveva subito riconosciuto in Azu quella sorella di cui gli era stato tanto parlato e come le schioccò una velocissima occhiata, rivolse nuovamente la propria attenzione su quella vecchia conoscenza che non vedeva da svariati anni.

“E’ piuttosto strano che tu sia qui. Di tua spontanea volontà, per giunta”, riprese “Ne deduco che la ragione dipenda dai tuoi compagni di viaggio.”
“Infatti. Siamo solo di passaggio”, affermò l’albino.
“Lo immaginavo. Anche perchè, che io ricordi……”, ridacchiò con sottile malignità beffarda “Ti ho esiliato”, aggiunse poi, guardando la cicatrice che spiccava sotto alcune ciocche argentee dell’albino.

Era come se gli stesse dicendo “Ti dona molto, sai?”.

Fu impossibile non leggere negli occhi del Master quel consistente senso di soddisfazione. Neppure durante gli ultimi minuti trascorsi a San Lorein aveva sfoggiato così tanta arroganza: l’essere visibilmente compiaciuto dello sbrego che gli aveva quasi fatto saltare via un occhio - e il cui pulsare non cessava minimamente di diminuire -, stava rendendo momentaneamente più accettabile la presenza di altre persone sul suolo della sua isola, ma non era niente per cui bisognasse gioire: un Van Incardine non andava mai sottovalutato ed Eliah aveva giocato la carta dell’esilio unicamente per sottolineare quanto la sua posizione, la posizione di Lars Gallower, fosse pericolosamente a rischio. Una situazione che necessitava dovute spiegazioni, ma troppo carica di tensione per pretenderle subito, senza contare poi l’enorme svantaggio dei pirati; l’essere stati avvistati ancor prima di scendere dalla nave aveva permesso al Master di organizzarsi e di prevenire un’eventuale scenata di panico da parte del popolo. Non poteva sapere chi stesse arrivando di preciso, ma la sua perspicacia e il fatto di aver avuto un incontro più che ravvicinato con sua sorella – sempre incastrata fra i soldati insieme a Zoro – gli aveva concesso il privilegio di fare due più due e dunque sfruttare la parente e lo spadaccino come un ottimo pretesto d'incontro.
Inconsapevolmente, gli avevano offerto su di un piatto d’argento un’entrata in scena degna del nome che portava.

Bloccata fra quegli uomini in divisa, Azu se ne stava in silenzio, insieme ad un Zoro stante a braccia conserte. Nonostante la moltitudine di quelle teste le offuscasse la visuale, riuscì a distinguere i pirati, Shion, suo fratello, e soprattutto l’altro ragazzo che aveva giocherellato con i suoi capelli senza che lei avesse il tempo di prenderlo a schiaffoni. Il cogliere nel suo aspetto una nota stonante sembrò concederle un ulteriore barlume di coscienza, una natura ancor più sconcertante di quanto si fosse immaginata: la voce rassicurante di quel tizio aveva appena dato mostra di una facciata ancor più crudele della precedente, divertita, ma senza essere troppo incisiva o pesante da ascoltare. Conosceva Lars o meglio, conosceva parti di lui che lei manco aveva ipotizzato e lo stava attaccando con gradualità, sottolineando una qualche differenza di cui soltanto loro due erano consapevoli. Nonostante la sorpresa per come quella situazione si era creata, Azu afferrò il nome di San Lorein come fosse una palla al balzo, ricordando lo sdegno delle cornacchie incontrate e di come avevano parlato della Regina dei Ghiacci. Erano due cose troppo simili, troppo vicine fra loro perché non vi potesse esserci un qualche collegamento da fare e l’espressione dipinta sul volto di Lars ne era la prova schiacciante.

Lars… ma che razza di casino hai tirato su? Si chiese, cercando volutamente di mettere a tacere quella microscopica punta di preoccupazione, emersa dall’altrettanto minuscolo angolo emotivo, dedicato al fratello.

Quei due si stavano scandagliando a vicenda e non c’era niente di pacifico o di amichevole nei loro sguardi, almeno non in quello di Eliah. Non erano neppure passate due ore e quel tipo già le stava sullo stomaco. Non si era gettato addosso al parente, non lo stava attaccando con assidua ripetizione, ma quel suo modo di fare sottile e vagamente colpevolizzante stava calcando su di un peso che Lars si era sempre portato addosso e che lei stava iniziando a scorgere solo in quel frangente. La parola “Esiliato” era stata sufficiente perché la sua mente cominciasse a porsi domande sul misterioso periodo d’allenamento di suo fratello e su che cosa questo fosse essenzialmente consistito. Doveva essere successo qualcosa di tremendo per scatenare quella nauseante e insopportabile tensione elettrica che le stava punzecchiando le mani e la lingua. Qualcosa che, molto probabilmente, era collegato alla bella spada di cui Lars si prendeva morbosamente cura.

Ci mancava solo che saltasse fuori un’altra diavoleria come Saphira, sbottò mentalmente, cercando di non dare a vedere quanto la cosa le seccasse.

Non odiava la spada di Lars, ma la sensazione che le dava sulla pelle riusciva a scuoterla irrimediabilmente. Le dava i brividi, come se fosse più viva di un essere umano, e lo scoprire l’esistenza di un altro oggetto capace di tale influenza, ridusse di qualche centimetro la sua spavalderia. E mentre lei si dannava per non pensare a quanto diventasse piccola davanti a quello stuzzicadenti azzurro, Eliah inclinò il viso e guardò il consistente gruppetto, sorvolando su ciascuno con occhio rapido e dettagliato.

Quando Shion fu guardata da quel tale, affondò le dita nei jeans di Rufy, accostandosi ancor di più alle sue gambe. Era bastato che le iridi di quel ragazzo si posassero su di lei per tenderla come una corda di violino, ma nonostante ciò non ruppe quel brevissimo contatto visivo: sebbene il cuore le palpitasse incessantemente e quegli occhi bluastri fossero alquanto suggestivi, non ebbe paura. Sentiva di non dover distogliere lo sguardo, di essere forte, il che la spinse a corrucciare la fronte e le labbra in quella che fu la sua più impegnativa espressione di sfida. Espressione lautamente supportata da Red, le cui braccia pelose erano attorcigliate al suo collo.  

“Conoscendo Lars, immagino non vi abbia detto chi sono”, disse poi il ragazzo, rivolgendosi ai pirati con tono più cordiale “Mi presento: il mio nome è Eliah Van Incardine, Master di San Lorein. Cosa vi porta da noi?”
“Il log pose”, si fece avanti Nami, mostrando il cinturino e la bolla incastonata “Dobbiamo aspettare che registri il magnetismo di quest’isola, se vogliamo riprendere la nostra rotta.”
“Impossibile, dovete andarvene immediatamente: gli stranieri non sono ammessi qui”, decretò il capitano della guardia, per poi sibilare a bassissima voce “Figurarsi dei mostri….”
“Ehi! Piano con le offese!” esclamò Usopp.
“Non disturberemo, lo promettiamo”, giurò Chopper “Tanto non dobbiamo fare rifornimento, vero Robin?”
“No, siamo a posto”, confermò la bella archeologa.
“Eeeh?! Ma io voglio visitare la città, non vedevo l’ora!” si lamentò Cappello di Paglia “E poi non siamo stranieri! Siamo pira….!”
“Taci, idiota!”

SBONK!

Mancò pochissimo che quella situazione già traballante si trasformasse in una tragedia irreparabile. Spiattellare con nonchalance di essere un pirata non era la mossa migliore per convincere la gente a lasciarli entrare nella propria città, figurarsi poi presentarsi come il futuro Re dei Pirati. Grazie al cielo Rufy non l’aveva detto, ma solo perché Nami aveva avuto il buon gusto di sedarlo prima che quella sua boccaccia di gomma li costringesse a partire senza che il log pose avesse registrato il magnetismo del posto.

“Ahia! Nami, perché l’hai fatto?” domandò il capitando, tenendosi il grosso bernoccolo spuntato dalla cima del suo cappello di paglia.
“E hai anche il coraggio di chiederlo?!” sibilò furibonda la rossa.
“Yohohoho! Nami-san, diventi ogni giorno più terrificante! E dire che ne ho viste di cose terrificanti, anche se gli occhi non ce li ho più!” ridacchiò Brook, tenendosi quel che rimaneva della pancia.

Nonostante il rigoroso allenamento impartito sin dalla giovane età, le guardie trovarono veramente difficoltoso rimanere impassibili davanti a quello spettacolo. Con la loro mentalità limitata e chiusa, vedere qualcosa che non rientrava all’interno delle loro mura equivaleva a identificarlo come appartenente al mondo dal quale volevano tenersi alla larga. Il sentire parlare quella strana creatura con le corna e il naso blu li aveva visti strabuzzare gli occhi, per non parlare poi dell’entrata in scena dello scheletro ridacchiante.
Mostri. Demoni dell’esterno. Non poteva esserci altra spiegazione plausibile. Non esistevano animali in grado di parlare, così come non potevano esistere scheletri viventi o uomini pompati di metallo con tanto di colori sgargianti. Doveva essere per forza opera di qualche strano potere maligno, ma anche se non ci fosse stata alcuna entità a cui collegare quelle peculiarità così strambe, di certo non avrebbero cambiato idea al loro riguardo. Il capitano delle guardie dovette fare appello a tutta la sua integrità per non lasciarsi ipnotizzare da quel manipolo squinternato e stante fuori dai canoni insegnatigli, ma era davvero difficile ignorare il polverone che stavano sollevando. Imporre le leggi scritte di San Lorein era la sola maniera a sua disposizione per affrontarli e garantire la sicurezza dei cittadini, già in allerta per colpa di quei due tizi che avevano messo bellamente in discussione la sua autorità.

Non potevano permettere in alcun modo il crearsi di disagi civili.

“Lo ripeterò ancora una volta”, disse, riprendendo la parola “Dovete andarvene imme…..”
“Capitano, ritorni al suo posto”, lo fermò Eliah, prima che potesse terminare la frase “Non è questo il modo di accogliere i nostri ospiti.”
“Ospiti?” l’uomo non poté fare a meno che mostrarsi stupito per l’uscita del proprio superiore “Master Eliah, noi…”
“Il magnetismo di San Lorein è registrabile in due giorni e mezzo, un lasso di tempo più che ragionevole per tutti quanti noi”, riprese il ragazzo, “Capisco il vostro sdegno e mi fa piacere che mettiate sempre la sicurezza della città prima di qualunque altra cosa, ma converrete con me, capitano, che due giorni e mezzo non sono nulla in confronti a dieci anni, no?”

Lo schioccare un’occhiata appuntita e furtiva fu l’ennesimo colpo che Lars incassò senza emettere fiato, troppo intento a riflettere sulla sospettosa cordialità di Eliah. Aveva i suoi buoni motivi per osservare quel quadro con fare guardingo, ma per quanto l’ex amico fosse restio a trattare con degli stranieri, non li avrebbe mai attaccati senza un motivo apparente. Il problema però era che lui non era considerato più come uno straniero, ma come “L’esiliato possessore della Regina dei Ghiacci”, il che poteva rivelarsi problematico, conoscendo l’indole dei Van Incardine.

“Shion”, disse poi Lars, rivolgendosi alla piccola “Voglio che tu rimanga sulla nave fino al mio ritorno.”
“Perché?” chiese la piccola, stupita “Io voglio venire con…”
“Fa come ti ho detto e non discutere”, sibilò seccamente. L’occhiata fredda e lapidaria soppressero bruscamente qualsiasi altro tentativo di replica.

Un singulto sfuggì dalle labbra della bambina, rimasta con gli occhi sgranati nel sentire la voce dell’amico così diversa dal solito. L’eccitazione di visitare quell’isola le scivolò via dalle mani come un getto d’acqua, riempiendo le sue iridi azzurrine di vacillazione. Stringere le spalle e rannicchiare le braccia al petto fu immediato e istintivo, un gesto dato da quel battito cardiaco che le sfuggì nel lasciar rimbombare la voce di Lars nella propria testa.
Non le aveva mai parlato a quel modo, non con una voce simile. Era sempre stato gentile con lei. Perché ora non poteva seguirlo?

“E’ meglio che anche voi rimaniate sulla nave”, consigliò Nico Robin a Chopper, Brook e Franky “Se gli stranieri non sono ammessi all’interno della città, il vedere voi potrebbe causare dei problemi.”
“D’accordo. Vi aspetteremo qua”, acconsentì il Divoratore di zucchero filato, annuendo.
“Aw! Non c’è problema! Ne approfitterò per apportare qualche modifica al nostro armamentario!” esclamò il Cyborg “Naso lungo, mi dai una mano?”
“Sì, non mi va tanto di scendere”, asserì il cecchino.
“Yohohoho! Per me va bene!” assentì Brook.

La loro “Vistosità” non rappresentava nulla che potesse farli sentire offesi o esclusi. Chopper, più di tutti, sapeva perfettamente che cosa significasse venire messo da parte, ma aveva imparato che il tentare di assomigliare ad un esser umano non era così importante come aveva sempre creduto, se non poteva aiutare chi lo aveva accettato per quello che era. Franky non aveva mai avuto problemi a professarsi libero e orgoglioso per com'era riuscito ad assemblarsi o per la sua tendenza a indossare rigorosamente delle mutande elasticizzate: era un uomo troppo “Super” per porsi crucci interiori di quel genere. Quanto a Brook, il suo essere uno scheletro gli offriva più vantaggi di quanti gliene fossero stati concessi da vivo. Senza contare poi, la sua mania di scherzare sul fatto che fosse già morto una volta.
Aspetto fisico a parte, erano buonissimi, ma l’accoglienza elargita imponeva di saggiare il terreno con cautela e vedere se poteva esserci una qualche alternativa che non lasciasse indietro i compagni.

“Coraggio, seguitemi”, disse Eliah, mettendosi alla testa del plotone “Sarò felice di condurvi nel nostro palazzo.”



Visitare una nuova città è sempre emozionante. Ci si guarda intorno con frenesia, sforzandosi di allungare il collo per trovare qualcosa di cui nemmeno si conosce il nome, correndo addirittura il rischio di sbattere la faccia contro un palo. Guardare non è un reato che implica il venire considerati colpevoli, ma l’essere osservati con occhi stretti, guardinghi e con tanto di bisbigli poco lusinghieri, trasmette le stesse sensazioni.

Rufy camminava davanti ai suoi amici, tranquillo e con gli stessi occhi scintillanti di un bambino di fronte a un enorme parco giochi. Non era minimamente toccato dal flusso di negatività che vorticava attorno a lui e ai suoi compagni, meno sereni e più attenti a come le bocche sibilanti della gente si muovevano in sincronia. Il silenzio, poi, scandito soltanto dal rumore dei loro passi, non aiutava di certo a sciogliere quella rigidità insinuatasi nei loro muscoli e nelle loro ossa. Ostentare un volto dai lineamenti sicuri e per nulla desiderosi di contrarsi in una qualche smorfia involontaria non era niente che richiedesse capacità al dì sopra della media, ma perfino Nico Robin dovette ammettere che quella faccenda cominciava a essere piuttosto pesante. Neppure l’affrontare la Marina a muso scoperto o senza piano era mai stato così snervante.

“Un’accoglienza davvero calorosa, non c’è che dire”, bisbigliò sarcasticamente quest’ultima.
“Ci guardano come se fossimo loro nemici. Quel capitano non scherzava quando ha detto che gli stranieri non sono i benvenuti”, mormorò Sanji.

Benché fra la folla schiacciata ai lati della strada ci fossero anche delle donne, l’essere coperte da capo a collo impediva a Gamba Nera di perdere la testa e fiotti di sangue recuperabili solo con massicce dosi di flebo. Un problema in meno a cui pensare, dato che il medico era rimasto sulla nave.

“Che forza, questa città! Chissà com’è la carne qui!” si domandò Cappello di Paglia.
“Rufy, per favore, abbassa la voce”, gli sussurrò all’orecchio Nami “Non vedi come ci osservano tutti?”
“Uh? E che problema c’è, scusa? Ci guardano perché sono curiosi!” le disse con sicura ovvietà.
“Io non credo proprio…”

Non occorreva chissà cosa per smantellare la risposta di Rufy e trasformarla in qualcosa che meglio combaciasse con la realtà, ma la Gatta Ladra non se la sentì di contraddire il capitano, non in quel momento. Gli era vicino, abbastanza da distinguere i filamenti della sua casacca rossa e scorgerne eventuali imperfezioni. Mai avrebbe pensato di poter essere gelosa del modo di fare di Rufy, ma le era troppo difficile negarlo: la spensieratezza del suo capitano, la sua allegria, la sua stessa semplicità nel giudicare gli altri, erano qualcosa di assolutamente inattaccabile, che gli consentiva di respingere ogni genere d’insulto o malevolenza. Quella gente poteva parlare all’infinito, come meglio credevano: tanto a Rufy non sarebbe mai interessato nulla che non rientrasse nelle sue curiosità. Ma Nami era diversa, era più coscienziosa e attenta a certe cose, per questo non ce la faceva proprio a ignorare il comportamento di quelle persone.

“Non posso crederci! E’ tornato!” li sentì dire. Stavano parlando di Lars.
“Con che coraggio si fa vedere? E con altre persone, per giunta!”
“Che cosa vorranno da noi?”
“E chi lo sa?”

Non era la prima volta che lei e i suoi amici si trovavano nel bel mezzo di una spirale interminabile di commenti, frecciatine e sussurri appuntiti quanto l’ago di un punta spillo, ma l’incompatibilità con quel posto, unito al buon senso di non dare in escandescenza, stava favorendo il declino delle sue difese emotive. Nami non avrebbe ceduto tanto facilmente, ma l’enorme voragine creatasi all’interno d'esse cominciava a darle fastidio. Concretizzare i propri pensieri sarebbe stata una mossa più che legittima, ma inappropriata alla loro posizione: si era accorta fin troppo bene di come Lars e quel tale di nome Eliah si fossero guardati e non le occorreva ponderare sul da farsi per realizzare che un solo gesto sconsiderato sarebbe costato non poco.

Certo che se si degnassero di tenere un po’ più bassa la voce…., pensò, dopo aver udito un commento piuttosto fastidioso sulla giacca aperta di Robin.

Possibile che non avessero niente di meglio da fare che parlottare su come lei e l’amica fossero vestite? Cominciare a chiedersi seriamente quanto accidenti fosse lunga quella benedetta strada fu un quesito che Nami prese con tutta la serietà di cui era stata donata sin dalla nascita. Se proprio non poteva contestare quelle donne, tanto valeva impegnare il proprio cervello in qualcosa che la costringesse a non pensare ad altro.

“Non capisco perché Master Eliah li abbia fatti entrare in città. Chi ci garantisce che non siano dei ladri?” continuarono quelle.
“Santo cielo, guardate quella ragazza dai capelli rossi: è completamente svestita!”
“Che indecenza! Indossare simili stracci...!”
“Oi! Dateci un taglio!”

Prossima a immergersi mentalmente nel compito prefissatosi, ecco che quella voce a lei terribilmente familiare la scosse, facendole aprire gli occhi e dischiudere la bocca per la sorpresa. Non aveva valutato quell’ipotesi, quella possibile svolta, per tale ragione la Gatta Ladra si ritrovò a guardare Rufy con incredulità, giratosi verso un piccolo e compatto gruppo di donne.

“Rufy?”
“Non mi piace di come state parlando della mia navigatrice. Nami può indossare quello che vuole”, lo sentì dire, con le mani sui fianchi e un tono tanto rimproverante quanto fermo.

L’approfondirsi del silenzio accentuò l’affermazione di Cappello di Paglia, come se volesse farla spiccare più di qualunque altra cosa presente. Lo scioccare quelle donne, tanto da zittirle per come si erano permesse di parlare, lasciò ancor più allibita Nami, momentaneamente ipnotizzata da come il capitano si fosse imposto sul pubblico. Gli erano bastate poche parole perché quel fastidioso vociare venisse meno. Poche parole, insieme a uno sguardo alterato con tanto di bocca rivolta all’ingiù, perché quella gente arretrasse di un passo, completamente sbigottita. Nessuna traccia di Haki, nessuna sfumatura che ne identificasse la presenza. Solo un gesto incapace di ammettere repliche. La capacità di Rufy di lasciare il segno ovunque andasse, era una delle tante cose inspiegabili che rendevano il ragazzo unico nel suo genere. Non era una persona capace di mentire o minimizzare il proprio comportamento: faceva tutto a suo modo ed era un dato di fatto più che lampante.

Nessuno dei suoi amici allargò le proprie mascelle per lo sconcerto e nemmeno Azu e Lars, sebbene non fossero parte integrante del gruppo. Era bastato davvero pochissimo per capire che uno come Rufy era ingestibile sotto tutti i sensi, ma la rossa non se la sentì proprio di rimproverargli per l’ennesima volta quanto la sua impulsività fosse pericolosa. Non era andato a setacciare ogni angolo dell’isola in cerca del cosciotto di carne più grande da addentare e non aveva lasciato tutti quanti loro col timore che potesse combinare l’ennesimo cataclisma. Era lì, a pochi centimetri, con la sua schiena che la separava dagli occhi malevoli della gente, la stessa che – per un abbondante paio di secondi – fu tentata di toccare col palmo della mano. Magari non aveva detto quelle parole con un sentimento superante l’amicizia, però…l’aveva comunque protetta.

“Tutto a posto, Nami! Adesso non ti daranno più fastidio”, disse lui, rivolgendosi a lei con il suo mega sorriso.
“Eh? Cosa?” trasalì la ragazza.
“Ho detto che è tutto a posto. Guarda che l’ho noto se non stai bene o no, sai?”

Le occorse qualche secondo supplementare per realizzare che il viso del capitano era talmente vicino al suo da permetterle di percepire alcuni dei suoi ciuffi neri sfiorarle la fronte. Rufy le si era avvicinato senza che lei se ne accorgesse, senza malizia o doppi fini, non come un certo cuoco che stava sclerando vistosamente alle loro spalle. Lui era estraneo sul che cosa ci fosse dopo l’amicizia, ma il tastare di prima persona come non avesse esitato a difenderla, il sentire quella piacevole sensazione pervaderle cuore e guance mentre guardava sottecchi quella schiena più larga e forte della sua, l’aveva rasserenata e mozzato il respiro come mai in vita sua.
Ora che era un po’ più lucida, avrebbe negato qualsiasi evidenza, ma nell’angolo più profondo del suo animo non poté negare che, per qualche istante, aveva davvero provato il desiderio di appoggiare il suo palmo tremante sulla schiena del capitano.
Per vedere se era reale, per vedere se era vero e non uno dei tanti sogni a cui da piccola si era aggrappata costantemente. Aveva avuto il dubbio, ma l’enorme sorriso di Rufy era troppo luminoso perché fosse solo il frutto di una sua immaginazione.

“Lo so. Grazie, Rufy”, gli disse lei, annuendo.
“Shishishi! Ecco, così va meglio!” ridacchiò lui, nel vederla sorridere “Dai, andiamo!”




“Da questa parte, prego.”

Eliah aveva slargato il braccio destro per fare pressione su un portone color marrone chiaro, intarsiato da sottili ed eleganti linee intrecciate fra di loro. La biblioteca del palazzo di San Lorein era di una bellezza sconvolgente, una reliquia avente ampi soffitti ad arco, lunghe finestre a campana – con tanto di vetrate colorate - e quadri raffiguranti persone dalle ampie vesti svolazzanti. La luce del sole la illuminava interamente, riflettendosi sulle librerie di mogano lucidissimo, sopra cui era riposto tutto il sapere di San Lorein. La sua storia, le origini, i nomi dei Master…tutto era stato scritto su grandi tomi dalle pagine ingiallite, avvolti in copertine dure e consunte che ne indicavano la fragile antichità. Nel suo osservare, Nico Robin scorse anche delle pergamene, diari e intere pagine riposte sotto vetro. Ogni cosa era in perfetto ordine, senza alcun grammo di polvere, sistemato con un’organizzazione che la lasciò molto impressionata, seppur stesse ammirando il tutto da una ristretta zona circolare, con un paio di divanetti e un minuscolo tavolo nel mezzo.  Perfino Nami era rimasta colpita per come quell’ala fosse particolarmente fine. Non era la prima volta che visitava luoghi sontuosi come i palazzi, ma dovette ammettere che quell’ala, i corridoi attraversati, le scale e i giardini intravisti parzialmente, non avevano nulla in comune con la casa di Vivi o la reggia di Re Nettuno. Aleggiava un’atmosfera differente, uno stile rispecchiante un tempo completamente diverso, antico - per usare termini giusti -, ma non era nulla che potesse interessare le mente di Rufy, troppo impegnato a piegare i propri colli all’indietro, e quella di Azu, insolitamente calma e con gli occhi guardinghi.

“L’accesso alla biblioteca è vietato a tutti, salvo a me e al consiglio, ma vista la situazione, farvi attendere in aree pubbliche non è una buona idea”, disse il Master “Siete pregati di non toccare nulla, di non prendere nessuno dei libri e di non uscire fino al mio ritorno”, aggiunse poi con più serietà.
“E se volessimo sgranchirci le gambe?” domandò Sanji.
“Astenetevi. Lo dico per la vostra sicurezza e per i compagni che avete lasciato sulla nave”, rispose Eliah “Siamo delle persone pacifiche, ma gli stranieri non ci sono mai andati a genio, men che meno quelli con un aspetto ambiguo.”
“Franky, Chopper e Brook sono normali quanto noi”, affermò Nami, immettendosi nella conversazione.
“Dal vostro punto di vita, non dal nostro. Avere a che fare con personalità così particolari non ci capita tutti i giorni, specie con qualcosa che crediamo sia inesistente”, si giustificò il Master.
“Non ce ne eravamo accorti”, mormorò la Bambina Diabolica.

Scoprire velocemente che una città così bella fosse sorretta da persone incapaci di accettare le diversità, ostili e non esitanti a giudicare qualcuno basandosi solo sull’aspetto, aveva fornito una panoramica generale su quanto quei due giorni e mezzo sarebbero stati lunghi e difficili da digerire. Se Gamba Nera avesse potuto almeno fumarsi una delle sua amate sigarette, anziché tartassarne il pacchetto stante nella tasca dei suoi pantaloni, il suo umore avrebbe compiuto un balzo di qualità più che rincuorante. Certo, avrebbe ottenuto risultati migliori andando a sbavare dietro a qualche sottana attillata, ma il suo Mellorine-radar non aveva adocchiato niente che si avvicinasse a un paio di gambe flessuose o a un balconcino prosperoso e sodo. Il biondo non era tanto scemo da non comprendere che se vedeva anche solo l’ombra di una donna perdeva sangue e testa contemporaneamente, ma piuttosto che andare contro la sua stessa natura, preferiva morire. E se doveva rimetterci le penne, voleva farlo a modo suo: guardando tutte le donne del mondo come un pervertito di prima categoria.

Ma, pensieri perversi a parte, al cuoco non sarebbe affatto dispiaciuto inalare l’odore acre della nicotina di una delle sigarette che si portava sempre dietro: se ne fumava sempre una quando doveva  valutare e riflettere adeguatamente su qualcosa che richiedeva un particolare metro di giudizio e in quel frangente,  sarebbe stata la soluzione perfetta per smuovere quello strano senso di costrizione che si era appollaiato sulle spalle di tutti quanti loro. Il solo che non risentiva di quel forte senso d'inadeguatezza – escludendo il capitano - era Lars; lui non aveva problemi, giacché i dieci anni passati a San Lorein lo avevano immunizzato da qualsiasi sua sorpresa.  La gente non sprecava certo il suo tempo in applausi o cascate di fiori, specie per delle persone con cui non volevano avere niente a che fare. Al massimo, si divertivano a tagliuzzare la faccia altrui.

Lanciando il proprio sguardo sulla figura di Eliah, l’albino ne colse l’incrollabile sfrontatezza con cui soleva calcare la propria posizione. Non si nascondeva dietro a mormorii impercettibili o ampie distanze di sicurezza: il volto del Master di San Lorein era lo specchio cristallino del suo carattere, poco incline alle novità e il cui tono elegantemente arrogante stava sottolineando quanto fosse stretto il raggio d’azione di ciascuno di loro. Ironicamente, quel lungo cappotto rosso sembrava mettere in risalto non solo ogni suo movimento, ma anche le parole, il sorriso, e il taglio di quelle pozze bluastre che stava tenendo d’occhio con affinata discrezione.
Non c’era niente di cordiale nel suo comportamento: se era intervenuto personalmente, era per via del titolo che portava e per evitare grane alla sua gente, ma lo scoprire che fra gli stranieri ci fosse proprio lui, aveva fatto scattare quell’antica molla di competitività rimasta quieta per tutto il tempo. Ed era quello a rendere i suoi pensieri così lunghi e intricati…

“Vi prego di mantenere la calma e di essere ragionevoli”, riprese Eliah, alzando le mani in segno di difesa “Posso capire il vostro disappunto, ma ci terrei a mettere in chiaro la situazione: noi abbiamo le nostre regole, la nostra prassi, e se io avessi deciso di seguirla alla lettera sicuramente non vi trovereste all’interno della biblioteca.”
“Se per questo ti aspetti un “Grazie”, campi male” affermò stizzita Azu, incrociando le braccia sotto il prosperoso seno.
“Eh eh! No, figurati, non mi permetterei”, ridacchiò il ragazzo, con leggerezza “Vedete, il punto è che noi stiamo su due fronti completamente diversi e immagino che sappiate bene chi fra i due è il più svantaggiato, no?”
“Eliah, vieni al sodo”, tagliò corto Lars.

Che fosse studiato o casuale, il suo girare intorno al nocciolo della questione non stava giovando alla pazienza dello spadaccino dai capelli argentati, avente ora un più diretto contatto con gli occhi blu dell’altro maestro di spade. Niente d'incisivo o troppo intenso perché il discorso venisse rotto senza una ragione, ma sufficientemente concreto perché sancisse la necessità di una conversazione privata.

“Quello che voglio dire….”, riprese il ragazzo, tornando a guardare i pirati “E’ che due giorni e mezzo, a prescindere dal fatto che siano lunghi o meno, rappresentano comunque un periodo che ci vedrà sulla stessa barca. Escluso oggi, rimane un giorno e mezzo prima della vostra partenza, quindi sarebbe conveniente venirci tutti quanti incontro.”
“Intendi ospitarci in questo palazzo a patto che non mettiamo piede in città, giusto?” intuì Nami.
“Molto arguta, hai indovinato”, si complimentò Eliah “In qualità di Master di San Lorein, è mio dovere assumermi ogni responsabilità che riguardi la città e questo include anche la sicurezza dei cittadini. Se vi vedessero girare liberamente fra le vie potrebbero nascere forti dissapori ed è una prospettiva che non gioverebbe a nessuno, ne a me ne a voi.”

Si avviò verso la porta d’entrata, lasciando che il fondo della giacca rossa si aprisse e venisse sollevato di qualche centimetro. Il distogliere lo sguardo non fu una scelta voluta, ma inevitabile, poiché altre faccende lo attendevano urgentemente.

“Parlerò al consiglio affinché anche i vostri amici possano raggiungervi. Fino ad allora, vi raccomando di essere molto prudenti e di non ficcare il naso in stanze al dì fuori di questa. Quanto a te, Lars…”, e voltò parzialmente il volto “Ti dispiacerebbe seguirmi? Mio nonno vorrebbe salutarti.”
Il signor Eliorath?

In tutta franchezza, Lars non avrebbe mai pensato che l’anziano fosse ancora vivo. Ne aveva un buon ricordo, siccome non aveva mai dimenticato quanto fosse importante nella vita di Eliah. Lo era stato anche per lui, più di quanto le apparenze dessero a vedere, e sapeva che il legame fra egli e il nipote era troppo saldo perché quest’ultimo non facesse tutto il possibile per esaudire le sue richieste. Non faticò a immaginare quanta forza Eliah avesse utilizzato per respingere la riluttanza che gli albergava dentro, ma, evidentemente, il pensiero di suo nonno era stato più incisivo del suo orgoglio.

“Lars?”
In silenzio, l’albino si era incamminato verso l’entrata che dava sul corridoio, fermandosi a pochi passi dal Master.

“Tranquilli, torno presto”, dopodiché, si chiuse la porta alle spalle e seguì Eliah.



“Allora, voi che ne pensate?”

Chiedere una qualunque opinione fu spontaneo quanto il guardarsi in faccia dubbiosi. Di accoglienze ne avevano ricevute parecchie, di belle e brutte, ma non si erano mai fatti dei problemi al riguardo, giacché la vita piratesca implicava tutto un groviglio di assurdità pittoresche. Eppure, lì…..era tutto troppo diverso perché decidessero di volgere la testa altrove. La gente era inquadrata. Fastidiosamente e irreversibilmente inquadrata. Lo era fino alla nausea e non occorrevano anni per capirlo: ciascuno dei pirati era stato guardato con la puzza sotto il naso, scandagliato e criticato come fosse un obbrobrio inguardabile. Non era la prima volta che ricevevano un benvenuto piacevole quanto un coltello impiantato nel fianco, ma, insomma… il modo con cui li avevano guardati dall’alto in basso, i bisbigli taglienti e la premura di nascondere i bambini…tutto rasentava un’esagerazione allucinante, un comportamento basato unicamente su un sapere superficiale e allergico ad ulteriori approfondimenti.

Fra movimenti fluidi e parole eleganti, Eliah non ci aveva impiegato molto a spiegare quanta differenza si frapponesse fra loro e San Lorein, quanto meglio fosse per loro adeguarsi, fintanto che stavano sotto la sua giurisdizione. A saperlo prima, se ne sarebbero rimasti sulla Thousand Sunny, tutti insieme, perché era veramente impensabile che persone di quello stampo potessero sciogliersi con uno spettacolino divertente o con un buon boccale di birra. Chissà poi che disastro, se questi avessero scoperto che erano dei pirati ricercati dal Governo Mondiale e dalla Marina…

“Io dico di fare marcia indietro e tornarcene alla nave”, decretò Sanji, annuendo con convinzione “E’ evidente che non gli piacciamo e che non hanno intenzione di cambiare idea. Aspettiamo che il log pose registri il magnetismo dell’isola e ce ne andiamo.”
“Non possiamo, non subito almeno”, asserì Nami “Anche se la cosa non mi va a genio, è meglio per tutti quanti seguire il consiglio di Eliah e non dare troppo nell’occhio. Abbiamo già fatto una cattiva impressione senza muovere un solo muscolo e se dovessero scoprire chi siamo, chiamerebbero la Marina all’istante.”
“Non credo che lo faranno. Anzi, non credo nemmeno che abbiano i mezzi per farlo o che conoscano il Governo Mondiale”, affermò tranquillamente la compagna.
“Uh? Come fai a esserne così sicura?” le domandò Rufy, risistemandosi la testa.
“Beh, le mie sono solo ipotesi…”, cominciò lei, mentre si avvicinava a una di quelle elaborate pagine tenute sotto vetro “Ma quando mi trovavo insieme ai rivoluzionari, ho avuto accesso alla lista di tutti i paesi che sottostanno alla grande alleanza fondata dal Governo Mondiale. Anche se si trattava di una copia, era molto recente e conteneva i nomi di alcune isole presenti nel Nuovo Mondo.”
“E questo centra qualcosa, Robin-chan?” domandò Gamba Nera.
“Penso di sì. Facendo un calcolo approssimativo, la grande alleanza generata dal Governo Mondiale include più del novanta per cento delle isole abitate, dei regni e dei villaggi presenti nella prima metà della Rotta Maggiore. Solo una cerchia ristretta è stata esclusa, ma si tratta perlopiù di zone selvagge, che include anche quelle inesplorate e sconosciute. In questi due anni, ho memorizzato tutti i nomi delle isole che hanno accettato di collaborare con il Governo Mondiale e San Lorein non rientra fra queste.”
“Credi che faccia parte del gruppo non rientrante nell’alleanza?” le chiese Nami.
“E’ plausibile, ma non ne sono del tutto sicura: ho studiato attentamente il nome e le coordinate di ogni territorio di quella lista e ho notato che anche le isole non abitate sono state comunque identificate. Questa San Lorein, invece, sembra non esistere da nessuna parte e forse la ragione sta nella sua stessa storia.”
“Effettivamente, questo spiegherebbe il comportamento esagerato delle guardie e degli abitanti, il che giocherebbe a nostro vantaggio: se davvero non hanno contatti con l’esterno o con la Marina possiamo stare tranquilli, ma ancora non capisco come Lars possa conoscere questo posto: non penso proprio che lui e Azu-chan siano nati qua”, parlò Sanji, guardando di sottecchi l’albina, immersa in un profondo e imperscrutabile silenzio di tomba, con le braccia incrociate e il viso rivolto alla grande porta della biblioteca.
“Non lo credo neppure io, ma Eliah si è rivolto a lui con molta familiarità, quindi deve esserci qualcosa sotto”, sospettò la rossa.
“Beh…  Può darsi che la faccenda abbia a che fare con Saphira”, arrivò l’archeologa, senza distaccare gli occhi azzurri dal documento che stava accuratamente traducendo.
“La sua spada?”
“Sì. Questa pagina parla di una leggenda che risale ai tempi della fondazione di San Lorein e di alcune spade che sarebbero il suo tesoro più prezioso. Può darsi che la spada di Lars sia una di quelle.”
“Sì, ma questo non spiegherebbe il perché di tanto astio. Rufy , tu che ne pensi?” domandò Nami.
“Uhm…. non mi interessa”, rispose con nonchalance.
“Cosa? Rufy, guarda che stiamo parlando di una cosa seria!” lo rimproverò la rossa, appoggiando le mani ai fianchi.
“Lo so, ma non mi interessa”, replicò tranquillamente lui “Io voglio solo che gli altri ci raggiungano, non ci tengo tanto a sapere quello che la gente di qua pensa o meno. E non credo che a Lars farebbe tanto piacere se ci impicciassimo.”

Non era del tutto vero che al ragazzo di gomma non interessasse il giudizio della gente. Potevano parlare male di lui quanto volevano, scaricargli addosso intere vagonate di epiteti, ma nessuno doveva permettersi di offendere i suoi amici. Il valore delle loro vite era incalcolabile, ma non occorreva certo un metro per capire che Rufy avrebbe dato la vita stessa per proteggerli tutti quanti. Il disinteresse per Lars non era dato da una qualche antipatia con lui o da una qualche stupida preferenza: a prescindere dal fatto che Rufy nemmeno conosceva il significato di “Preferenza”, la sua più grande abilità – escluso l’allungarsi e il sapersi infilare settantacinque cosciotti di carne in bocca senza sputarne fuori neanche uno -, era proprio quella di capire gli amici. Un “Capire” di cui tutti i membri dell’equipaggio avevano largamente beneficiato. A volte non servivano neppure le parole: uno sguardo, un’intuizione… e Rufy decideva se era meglio insistere fino allo sfinimento oppure chiudere la bocca e continuare a elargire una cieca e disarmante fiducia. A conti fatti, non abbandonava mai nessuno, ne era totalmente incapace, neanche se la sua fosse stata una patologia: così aveva “amorevolmente” incastrato ogni suo compagno. La sua testardaggine non conosceva limiti di decenza e manifestazione, ma per lui l’importante era che tutti stessero bene. Nami lo sapeva, Nico Robin e Sanji pure, quindi non si sprecarono a insistere sulla faccenda: se il capitano dava un ordine, lo si eseguiva.

“Uf! Certo che aspettare è davvero noioso!” brontolò poi “E poi ho fame! Sanji, mi dai qualcosa?”
“Non ho niente”, borbottò il cuoco, con le mani infossate nelle tasche dei pantaloni.
“Bugiardo. Lo so che hai del cibo, ne sento il profumo!” replicò il capitano, additandolo.
“Spiegami dove accidenti lo starei nascondendo!” esclamò a denti aguzzi il biondo, per poi guardare voltare la testa verso una finestra aperta “Probabilmente qualcuno starà cucinando. Anche se non sembra, si è quasi fatto mezzogiorno”, ipotizzò poi, percependo un sottile e delicato profumo di carne.
“E noi siamo ancora qua. Senti, Azu, tu non….Azu?”
“Dov’è finita?”

Fu il caso a far notare ai presenti che l’albina era svanita nel nulla. A giudicare da com'era rimasta in disparte durante la conversazione, era ipotizzabile che avesse preferito tenere per sé i propri pensieri, ma un’indole ribelle come quella dell’albina non era capace di mettersi seduta e fare la brava bambina più del tempo stabilito.
E la porta aperta biblioteca ne era l’assoluta conferma.




Guardare con occhi semichiusi le larghe spalle di Eliah e chiedersi quando si sarebbe deciso a fare la prima mossa era un dovere a cui Lars avevano cominciato a rispondere non appena la porta della biblioteca si era chiusa. La frettolosità non apparteneva a un Van Incardine, era sinonimo d'impazienza e di una possibile compiutezza che avrebbe arrecato solo danno a quell’illustro cognome, ma questo non rappresentava di certo una qualche forma di sollievo: la lingua serpeggiante del Master di San Lorein stava aspettando il momento giusto, riflettendo adeguatamente sulle parole da utilizzare e sulle domande da porgli. Dal corridoio inondato di luce che stavano percorrendo alle stanze del signor Eliorath non occorreva molto tempo, ma Eliah non aveva paura di prendersela comoda: sarebbe stato capace anche di fermarlo sull’ultima soglia da varcare pur di non lasciarlo esente da ulteriori colpi.

“Te lo devo proprio dire, Lars: non mi sarei mai aspettato di rivederti, dopo tutto questo tempo”, gli rivelò per l’ennesima volta il ragazzo, senza voltarsi o fermarsi “In compagnia di gente così bislacca, poi…”
“Mi pare di averti già detto che sono di passaggio. E, particolari o meno, quei ragazzi sono una compagnia decisamente più gradevole di certa gente di qua.”
“Lo avevo intuito, visto che ti è sempre piaciuto stare da solo”, replicò con placidità velenosa “Devono essere proprio speciali per aver attirato la tua attenzione.”
“Abbastanza da chiederti di smetterla con questa pantomina e parlare seriamente.”

Inscenare una stupida commediola dove si rivangavano i bei vecchi tempi andati o stupidate impensabili non era nelle intenzioni di Lars, figurarsi poi in quelle di Eliah. Non gli interessava che cosa diavolo il Master di San Lorein stesse confabulando o quanto acidi sarebbero stati i commenti della gente a suo carico, ma Rufy e gli altri dovevano rimanere fuori da tutta quella faccenda, così come Azu e Shion. Quell’isola non gli aveva mai concesso la grazia, per modo di dire, e a lui non era mai interessato riceverla: tuttavia, non voleva vedere messo in mezzo qualcuno che non aveva fatto nulla.

“Come sei serio…”, sospirò, dopo essersi lasciato scappare una risata divertita e giratosi con le mani sui fianchi “Cosa ti fa credere che io stia fingendo?”
“Eliah, piantala con le domande inutili e parla: hai qualcosa contro di me, non è una novità, ma mi auguro che tu abbia il buon gusto di non mettere in mezzo quelle persone solo perché le conosco o perché sono sbarcate a San Lorein. A prescindere dal fatto che non si addirebbe al titolo che porti, il benvenuto della tua gente è stato più che sufficiente.”

Generalmente e da quanto ricordava, essere un Master non significava soltanto “Potere” o “Prestigio”, ma anche “Responsabilità”. Un obbligo nei confronti del popolo, dell’intera città e del rigido protocollo che si tramandava da immani secoli e a cui ogni Master doveva rifarsi per ogni evenienza. Che ci fosse un santo o tiranno a ricoprire il titolo più ambito e importante di tutta l’isola, questo era costretto a rispettare i sacri scritti che reggevano la semplice - ma ben radicata - politica di San Lorein, supportata dal consiglio dei saggi. In fatto di devozione, Eliah era a dir poco impeccabile, ma non era una notizia capace di suscitare sorpresa in chi già aveva avuto a che fare con questo lato del suo carattere. Il Master era la guida, il modello a cui rifarsi e da cui bisognava trarre il giusto esempio, e la sola ragione plausibile che spiegasse il perché gli abitanti non avessero impugnato sassi, forconi e spade, era unicamente perché Eliah non aveva ancora espresso il proprio giudizio.

“Rilassati, non ho mica detto di volerli rinchiudere nelle nostre prigioni. Almeno…queste sono le mie intenzioni”, mormorò, assottigliando le proprie pupille.
Cogliendo uno scintillio poco rassicurante negli occhi blu di Eliah, Lars tese momentaneamente i propri muscoli, per poi farli rilassare come se nulla fosse accaduto. Aveva ragione a credere che il coetaneo stesse macchinando qualcosa, non era stato tanto idiota da pensare che questo avesse messo da parte l’ostilità di punto in banco perché colpito da un’illuminazione divina. Un Van Incardine era capace di molte cose e lo sfruttare le occasioni senza fuoriuscire dal protocollo era solo un’altra abilità che si aggiungeva alla già lunga lista.

“Lars…”, lo chiamò poi, compiendo due passi in avanti “Tu sai come funzionano da noi le cose, vero? Sai che ogni questione deve essere messa sul tavolo delle trattative e discussa con il consiglio, no?” gli domandò retoricamente “Questa non fa eccezione, anzi”, e lo guardò con più incisività “E’ decisamente una situazione che va presa con l’estrema cautela.”
Come il cercare di tagliarmi la testa? Anche quella faccenda ha richiesto il parere dei matusalemme? Lars ringraziò il cielo di averlo dotato di un autocontrollo fuori da qualsiasi norma, altrimenti quell’elegante e sontuoso corridoio si sarebbe ridotto a un mucchietto di detriti e cemento.

Per quanto il tenere in pugno le sorti di un piccolo gruppo di persone esterne lo allettasse, Eliah Van Incardine non si sarebbe mai permesso di porre il proprio divertimento prima della sicurezza della città. Prendeva il suo dovere con il massimo dell’attenzione e quanto stava dicendo rasentava la pura verità. Una verità che, tuttavia, si stava stringendo attorno alle sue spalle.

“Ho permesso a degli esterni di entrare a San Lorein”, riprese, incamminandosi verso la finestra, con le mani dietro la schiena “E può darsi che il consiglio non sia tanto magnanimo da permetterne il soggiorno all’interno della città. La mia autorità è indiscutibile, ma è mio compito prendere atto delle opinioni dei saggi, però tu, fra i tuoi amici…”, e lo guardò di traverso, con quel sorrisino che non lasciava presagire nulla di buono “Sei l’unico che conosce bene le nostre usanze, pertanto potresti  agevolare la faccenda.”
“E sentiamo, in che modo?”

Si odiò istantaneamente per l’aver fatto quella domanda idiota e prevedibile, ma prima o poi Eliah lo avrebbe comunque reso partecipe dell’idea che gli bazzicava in testa, quindi tanto valeva levarsi il dente immediatamente. Al sol vedere le labbra del ragazzo incurvarsi in un più accentuato sorriso sospetto, il senso di costrizione che gli attanagliava le spalle si accentuò, sfregando sulla sua pelle come carta vetrata. Era bloccato su tutti i fronti, e quando i loro occhi si ritrovarono nuovamente coinvolti in quello scambio indefinibile di ricordi rotti e segreti di cui solo loro due erano a conoscenza, si arrivò a toccare quel punto a cui Eliah desiderava ardentemente arrivare.

“Un duello di spade. Io e te. Come numero di chiusura dell’esercitazione di domani.”

Non poteva esserci una condizione più perfetta di quella. Era semplice, deducibile e grande abbastanza perché vedesse tutti quanti soddisfatti. Anche se vi fossero state a disposizione altre scelte, Eliah avrebbe comunque optato per quella, molto più appariscente e combaciante con le proprie necessità. Sì, perché, al dì fuori del proprio ruolo, non c’era nulla di male a soddisfare qualche grammo del proprio orgoglio di spadaccino. Purtroppo Lars non aveva a sua disposizione tutta una serie di alternative valide che lo tirassero fuori da quell’impiccio: escludendo il tempo richiesto dal log pose per registrare il magnetismo di San Lorein, era indispensabile che nessuno venisse a conoscenza che Rufy e gli altri fossero dei pirati. Non c’erano apparecchi o strumenti che favorissero una comunicazione a distanza e anche se non gli sarebbe dispiaciuto vedere la mascella di quei vecchi barbagianni cadere a terra mentre la banda di Cappello di Paglia faceva saltare in aria una delle loro preziosissime statue, era meglio evitare l’innescarsi di catastrofi o pandemoni con la “P” maiuscola.

Eliah sapeva come calcare la mano e permettergli di sfruttare ancor di più quella situazione sarebbe stato un grosso errore da parte sua.

“Immagino di non potermi tirare indietro”, sospirò l’albino.
“Immagini bene. E’ un ordine del Master di San Lorein e sai che non puoi discutere”, puntualizzò il ragazzo.
“Non non ne avrei la benché minima intenzione nemmeno se non ci fosse in gioco l’incolumità di qualcuno a me vicino” disse Lars sorpassando Eliah, per terminare quella porzione di corridoio rimanente “Qualunque cosa faccia, l’avresti sempre vinta tu. Se non hai altro da dirmi, vado da tuo nonno. L’ho fatto aspettare anche troppo.”

Scivolò dietro l’angolo con silenziosità assolutamente impercettibile, astratta quanto un’ombra. I raggi solari, caldi e bianchi come fasci di seta, intensificarono i riflessi argentati dei suoi capelli e di quel profilo che si eclissò quasi istantaneamente dalla vista di Eliah, rimasto con la fedele Magdala a guardare l’albino fino alla sua scomparsa. Rincontrare dopo tutti quegli anni il volto di Lars Gallower non lo aveva sorpreso a tal punto da lasciare trapelare un’emozione poco consona alla propria posizione, ma il fremere della Domatrice Scarlatta e lo scintillio che ne aveva attraversato la lama rossastra erano stati troppo vibranti e intensi perché non lo esortassero a stringere il pugno inguantato e a sfruttare l’occasione fornita dal destino. Il luccichio che aveva attraversato l’arma si era placato, appianando il veloce pulsare della spada: tutto si era svolto con rapidità, in un battito imprendibile, ma Eliah aveva imparato a conoscere ogni singola peculiarità di Magdala fin troppo bene per non comprendere quanto quel brusco cambiamento fosse rilevante.

Presto ogni cosa tornerà al proprio posto, si disse, stringendo l’impugnatura argentata e rifinita di quest’ultima.

Nessuna accondiscendenza, nessun ripensamento o inutile dubbio. Un Master non poteva concedersi nessuna forma di esitazione. L’obiettivo era messo bene a fuoco nella sua mente, così preciso e dettagliato da corrispondere unicamente con la sua determinazione. Si trattava solo di proteggere la propria gente, tutto lì.

“Ehi, dico a te, signor Master”, lo chiamò una voce femminile.

Come il giovane Van Incardine si voltò per vedere chi avesse attirato la sua intenzione, si ritrovò a osservare la sinuosa e tonica figura di Azalea Galower, a pochi metri da lui, con le braccia incrociate, la testa leggermente inclinata e le labbra leggermente incurvate verso il basso. Una sorpresa che gettò dell’amaro sul suo umore e su quel rispetto che lui prendeva con una serietà a dir poco maniacale.

“Posso aiutarti?” le domandò poi, evitando di chiedersi che cosa accidenti avesse spinto la sorella di Lars a varcare la soglia della biblioteca senza il suo esplicito permesso.


Inumidendo la bocca e arricciando il naso, la bella albina gli schioccò un’occhiata altezzosa, a cui Eliah rispose con fare muto, limitandosi semplicemente ad aggrottare la fronte.

“Vorrei scambiare due paroline con te, se non ti dispiace.”




Angolino dell’autrice:
Sono così in ritardo che penso che le scuse non mi salveranno dal lancio dei pomodori, ma mi scuso comunque perché ormai mi è impossibile aggiornare decentemente, tutt’al più che sono anche a corto di ispirazioni. Quindi, qui venite voi: cosa vi piacerebbe vedere in futuro? Se avete preferenze o idee su quello che vi aspettate o meno, o che vorreste vedere, fatemelo sapere. E’ molto probabile che aiuterete me e le mie idee mezze abbozzate.Un saluto a tutti quanti!
  
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