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Autore: LucyFire    05/10/2012    2 recensioni
Prendete Rea, una ragazza introversa, che volontariamente si esclude dal mondo circostante.
Aggiungete la sua migliore e unica amica, Laura, sempre sorridente e allegra.
Aggiungete un ragazzo appena arrivato nella loro cittadina, Eric, che vive per la popolarità.
Contate anche il capo della loro scuola, Ken, che fa una scommessa con Eric.
Cosa verrà fuori da questo gioco? Eric riuscirà a conquistare Rea?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 4

 

 

Avevo la cartella che mi pesava sulle spalle ormai indolenzite. Sbuffai; al diavolo a chi diceva che bisognava soffrire per il "peso della coltura". Vorrei vedere i professori portare più del doppio del proprio peso di libri ogni giorno. Ti ritrovi con l'artrite a vent'anni.

Persa nei miei pensieri, ritornai dalla biblioteca della scuola con dei libri in mano. Ne avevo presi qualcuno da leggere, ad esempio alcuni di James Patterson o di Nicholas Sparks, che tenevo cautamente fra le mie mani. Per me i libri erano sacri, intoccabili da quelle persone che non li rispettavano. Forse era per il silenzio, ma più probabilmente quello che mi attraeva di loro era che chiudendo gli occhi potevo immaginare qualunque cosa.

Ogni tanto infatti mi fermavo nella biblioteca della scuola per fare i compiti, dove non c'era la confusione che invece potevo trovare a casa con quello scemo del mio fratello maggiore.

Strano ma vero, non era una di quelle che ci si aspetta solitamente come biblioteca scolastica. Nel senso che negli scaffali non c'erano i soliti libri inquietanti vecchio stile, con tutta quella polvere sopra che ben indicava la totale mancanza di masochismo dei normali studenti. I romanzi o le avventure, che si potevano trovare in quella grande aula, erano dal più nuovo dei fantasy, al più diabetico dei romanzi rosa, fino al più intrigante libro di Aghata Christie. Forse era la cosa più aggiornata in quel buco di paese dove abitavo, visto che si ringraziava il cielo quando funzionava internet!

Guardai l'ora: erano le due e mezza, quindi sicuramente c'erano ancora studenti che giravano per le classi.

Stavo per uscire dalla scuola, quando mi ricordai che avevo dimenticato un libro. Ritornai velocemente in biblioteca e lo vidi sopra alla scrivania dove mi ero messa prima.

Uscii dall'aula e, tutta presa dai miei pensieri, non mi accorsi che avevo una persona davanti.

Ci andai a sbattere contro e, mentre tutti i miei libri cadevano per terra, rimbalzai sul ragazzo davanti rovesciandomi in modo molto da sacco di patate e mi lasciai uscire un' esclamazione difficilmente censurabile.

 

Cos-?

 

Mi massaggiai la testa – che avevo picchiato per terra – e aprii la bocca per fare le mie scuse, visto che anche l'altro era finito con il sedere sul pavimento, ma mi bloccai quando i miei occhi incontrarono i suoi.

Blu.

«Oh magnifico! Il cafone dell'altro giorno!» sbottai. Fra tutte le persone a cui potevo andare a sbattere, proprio quel cretino dovevo ritrovarmi!?

Mi guardò male. Forse l'avevo detto a voce alta? Dalla sua occhiata indiscutibilmente si.

 

Ops...

 

Il mio rispetto verso le altre persone mi diceva di scusarmi per la mia scortesia, ma il mio orgoglio ferito voleva fargli capire chi ero. Ovvero una ragazza con le scatole piene dei cretini che spuntano ogni volta da una nuovo angolo.

Feci per aprire bocca e buttargli in faccia tutte le frasi acide che avevo avuto la saggezza di pensare in questi giorni, ma quello mi bloccò interrompendomi prima ancora di farmi iniziare.

«Ehi, la ragazza manesca dell'altro giorno!» mi rispose sorridendo. Un dieci e lode per la fantasia.

«Certo» ribattei acida «il ragazzo deficiente dell'altro giorno» se si aspettava calma e pazienza, aveva trovato la persona sbagliata: il suo comportamento era inconcepibile sotto ogni punto di vista.

Punto primo: dato per scontato che qualsiasi ragazzo in piena crisi ormonale trovi quantomeno divertente saltare addosso alla prima che passa, sicuramente non deve farlo davanti a mezza scuola e – fatto più importante – senza neanche conoscerla.

Avrei capito di tutto! Ero abituata all'allupato di turno che ogni tanto continuava a ronzarmi intorno, memore delle mie performances degli anni scorsi come Cheerleader, ma con una rapida occhiata sufficientemente velenosa quello si toglieva facilmente dai piedi.

Ma con un prepotente che inizia dal classico bacio a stampo per poi iniziare a fare il mulino a vento non era la classica definizione di cortesia.

Eric capì benissimo il fulcro della frase, fissandomi sorpreso.

«Vedo che ti ricordi di me» tono di voce e sorriso sexy.

 

Decisamente troppo negli standard, amico.

 

«Impossibile dimenticare la faccia»

«Lo so, sono troppo bello» si passò una mano fra i capelli neri con falsa modestia. Feci una mezza risata.

«fammi finire!, del ragazzo che ti ficca la lingua in bocca e che neanche ti conosce!»

«Cosa? Io so il tuo nome, tu sai il mio. Mi sembra sufficiente la cosa.»

AAA, cercasi vocabolario. Accanto alla definizione di "pazzoide-prepotente-idiota" avrei trovato la sua foto. Magari anche quella di una scimmia, tanto per completare l'opera.

«No, davvero. Ma sei serio?» intanto c'eravamo alzati entrambi e io ero già piegata a raccogliere tutti i miei libri sparsi per terra.

«Non sparo balle. Cazzo, non c'è niente di male nel provare attrazione fisica per una persona!» mi schernì in modo altezzoso.

Ok, ero davvero uscita dai gangheri. Non riuscivo a capire seriamente il suo comportamento. Come può una persona baciarti così perchè un giorno – puff! – gli viene voglia e quando quella gli chiede spiegazioni si limita a una scrollata di spalle dicendo qualche frase sconnessa che verga su "attrazione fisica". Nemmeno la telenovela più stupida l'avrebbe usata come trama.

Mugugnai. «Ho capito. Quindi cosa sei, una specie di ragazzo depresso in cerca di un ragazza su cui scaricare le proprie frustrazioni?» gli chiesi sarcasticamente, sistemandomi meglio la tracolla sulla spalla dopo aver finito di tirar su i libri.

Mise le mani in tasca in un modo studiato per apparire figo, dopo essersi passato una mano fra quei capelli stupen...

 

Ma cosa sto dicendo?

 

«Piuttosto uno che cerca una ragazza che sappia trattarlo bene, che gli faccia tante... coccole.» allusioni schifose.

«Ma la tua tecnica di abbordare una ragazza chi te l'ha insegnata?» non riuscii più a trattenermi. O sarei scoppiata a ridere all'infinito prendendolo in giro, oppure gli facevo una domanda sarcastica.

«Tutto naturale, baby.» urca, adesso faceva anche il finto ragazzo donnaiolo. Bhe, l'aspetto ce l'aveva.

Peccato che il livello di tutto il resto era sotto zero. Paurosamente sotto zero.

«Si, ok.» rabbrividii al solo pensiero di come aveva detto naturale «Ci si vede.» gli diedi le spalle iniziando a camminare verso l'uscita.

Certo che un ragazzo con quel bel fisico, direttamente proporzionale alla massa grigia, era sprecato. Totalmente.

 

 

 

Stavo camminando per ritornare a casa, quando sentii il cellulare vibrare.

Fra quanto sei a casa?

Ma non lavorava mai Mike? Sempre dietro al cellulare e ragazze facili: non sarebbe mai cresciuto il bambinone. A malapena riusciva ad essere responsabile per sé stesso, figurarsi per un'altra persona.

Cliccai su "rispondi", mentre gettavo un'occhiata veloce alle macchine.

Sto ritornand-

«Attenta!» ce l'avevano con me?

Feci in tempo a girarmi che vidi due fari venirmi incontro troppo velocemente.

Mi impietrii all'istante. Un clacson risuonò e in tutta risposta mi misi le mani davanti al viso in un inutile tentativo di frenare la macchina, pronta per la botta.

Quando sentii una spinta buttarmi in avanti ero già pronta, ma non fu quello che mi aspettavo. Finii sull'asfalto grattandomi braccia e faccia, mentre sentivo pian piano il buio avvolgermi.

L'ultima cosa che vidi fu la luce di un semaforo rosso e le espressioni sconvolte dei passanti che guardavano dietro di me, mentre il suono dei freni si appiattiva contro qualcosa di pensante.

 

 

 

 

Bip.

Aprii gli occhi lentamente e mi si presentò sopra un soffitto bianco.

 

Cazzo ero, in paradiso?

 

Sentii una fitta al braccio e lo fissai: avevo una flebo impiantata all'interno del gomito. Deglutii all'istante: ago. Da bravo ragazzo perfetto e scazzacoglioni avevo una paura fottuta per un ago.

Chissà se lo avesse saputo Ken: mi avrebbe potuto rincorrere per la scuola con uno di quelli e sarei corso via come una femminuccia.

Bip.

Dava parecchio fastidio quell'apparecchio. Quasi peggio di una sveglia con tutti i suoi "bip bip" del cavolo.

Ormai avevo capito che ero in ospedale e che sicuramente non ero morto o stavo sognando: mancava l'essenziale, le infermiere sexy, di cui la realtà al momento era parecchio sprovvista.

Com'è che si chiamava quella che si era vestita per me in quel modo? Sara, Giulia, Martina... no forse era Federica.

Nha, qualunque fosse delle tante mi aveva trattato da Dio quel giorno, il miglior sesso in assoluto mai fatto. Sarà stato per il modo in cui si era vestita o perchè ci sapeva davvero fare, ma il migliore, assolutamente. Mi stava venendo in mente un ricordo di quella serata quando un'altra bionda (?) si fece spazio fra i miei pensieri.

Non sarebbe stato male svegliarmi con Rea che ballava in modo porco davanti a me. Anzi, sarebbe stato fantastico. Con quella sua aria perennemente scocciata dalle mie coglionate sarebbe stata stupenda.

Mi accorsi che stavo sorridendo come un coglione innamorato a quei pensieri solo quando sentii bussare alla porta.

«Avanti»

«Scusa, disturbo?» una testa fece capolino.

 

Sono ancora in tempo per credere che sia un sogno?

 

Venne dentro lentamente, sistemandosi nervosamente i capelli. Si guardava intorno come se fosse spaventata di vedermi. Che cazzo avevo combinato sta volta? Feci mente locale, mentre l'incidente mi veniva in mente.

 

Oh.

Cazzo.

 

Adesso mi ricordavo. Ero stato preso sotto da una macchina al posto suo. Cazzo ero, il principe che corre in salvataggio delle ragazze più belle?

No, mi risposi da solo. Non avevo mai salvato nessuna, tranne lei. Stavo camminando per andare a casa e l'avevo vista che guardava il cellulare, mentre una macchina le sfrecciava incontro. Mi ero messo a correre come un pazzo, pensando "Non lei".

 

Cazzo.

 

Certo che era proprio bella con quella felpa larga, jeans e faccia rossa. Sembrava una piccola gattina spaurita.

Dovevo ammetterlo, era una bella ragazza. Non di quelle belle da "Mi fai vedere camera tua?" o rifatte. Lei aveva una bellezza... naturale. Non aveva niente di troppo esagerato e – da quel poco che avevo capito – non si truccava mai, se non leggermente.

Niente di paragonabile alle ragazze con cui ero stato prima di cambiare città.

«Puoi sederti, mica mordo sai.»

 

 

 

 

Mi sistemai per l'ennesima volta i capelli, sicuramente erano in uno stato disastroso: mi ero svegliata si e no nel letto dell'ospedale un'ora prima.

Ero venuta lì da lui per ringraziarlo, convinta al massimo, e adesso non sapevo più che dire. Ero in imbarazzo cronico e lui non aiutava, fissandomi con quello sguardo penetrante.
Era stupendo: il colore degli occhi risaltava alla perfezione con i suoi capelli scuri che – anche se sembrava che avesse dormito a testa in già alla pipistrello – gli stavano benissimo. Non era magro, ma nemmeno muscoloso. Direi più una via di mezzo molto... wow.

Mi fissava in modo strano. Di solito quando una persona ti guarda, cerca di non metterti in imbarazzo. Ogni tanto abbassa lo sguardo, gira la testa, fa finta di essere sorpreso delle occhiate che vi state scambiando... Insomma, l'abc delle relazione fra conoscenti!

Ma sicuramente non ti sta lì a fissare negli occhi da sfacciato.

Continuava a guardarmi. Non che volessi distogliere lo sguardo per prima, ma il tempo non si sarebbe fermato e io iniziavo a diventare – se possibile – ancora più rossa dall'imbarazzo.

Perciò con un sospiro lo distolsi, mentre apriva bocca.

«Puoi sederti, mica mordo sai.» lo disse con un ironia nascosta, mentre ridacchiava di una cosa che sapeva solo lui.

Annuii distrattamente e mi sedetti sulla sedia che era vicino a lui.

«Volevo ringraziarti... per oggi, sai.. prima, ecco.» sussurrai balbettando. Non era da me ringraziare, che ero orgogliosa e sempre stata circondata da gente adorante.

Ghignò divertito. «Cosa? Non ho capito.»

Che faceva adesso, mi prendeva pure in giro? Stavo per rispondergli male, ma mi venne in mente che lui era in ospedale in quelle condizioni per colpa mia.

«Grazie per avermi salvata oggi» oddio, detto così faceva tanto da damigella in pericolo «quindi mi puoi chiedere tutto quello che vuoi. Tutto.»

Vedendolo ammutolito mentre distoglieva lo sguardo ricominciai «Cioè, mi puoi chiedere qualunque cosa, vorrei sdebitarmi.»

Si girò all'istante per guardarmi con un luccichio negli occhi e un ghigno che ormai avevo imparato a vedergli «Qualunque cosa?»

«Si qualunque.» si aprì in un sorriso che di tenero non aveva niente. Era.. terrificante. «Aspetta, non intendo mica...»

«Hai detto qualunque cosa.» mi ricordò sfacciato.

Dio, dove mi ero cacciata? Dovevo ricordarmi che la persona con cui stavo parlando era un pervertito cronico. Dovevo formulare meglio la frase.

«Si ma non intendevo mica che dovevo venire a letto con te!» ribattei già sulla strada per l'incazzatura. Io ero andata da lui con tutti i miglior i propositi, e lui si metteva a chiedermi favori sessuali, inconcepibile.

«Questo l'hai detto tu, io non ho mai detto niente del genere.»

Mi ammutolì così, spiazzandomi. Balbettai qualcosa di indefinito: era vero che non l'aveva detto, ma si capiva benissimo cosa voleva intendere: mi aveva fregato con le mie stesse parole.

«Non ho capito bene.» mi fissava sorridendo mentre mi sfotteva, il bastardo.

«Lascia perdere. Come stai?» gli chiesi cercando di cambiare argomento, cosa di cui si accorse.

«Niente di rotto.» Alzò le spalle reprimendo una smorfia di dolore. Allora qualcosa che gli faceva male ce l'aveva eccome.

«Mi dispiace davvero.» fu il mio senso di colpa a parlare, ma vidi che si era stupito, sgranando leggermente gli occhi.

«Vorrà dire che ti chiederò qualcosa di davvero... bello... per ringraziarmi.» si era ripreso velocemente, dovevo ammetterlo. Stavo per rispondergli nuovamente a rime, quando la porta si aprì all'improvviso.

«Che ci fai qua Rea?» sobbalzai come colta in fragrante – anche se non stavo facendo niente di male – sentendo quella voce familiare.

«Cosa ci fai tu qui Mike, piuttosto.»

«Ti stavo cercando. E lui chi cazzo è?» ringhiò puntando lo sguardo su Eric.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ehilà :)

Dopo che due stupendissime mi hanno chiesto di continuare la storia, ho finalmente aggiornato. Lo so, sono in ritardo, ma per una buona causa.

Bhe, devo ancora inventarmela, ma è in fase di elaborazione.

Cosa ne pensate dello sviluppo della storia?

Non so se ve ne siete accorte, ma il mio modo di scrivere è un po' cambiato nell'ultimo tempo. Rileggendo i vecchi capitoli di questa storia mi sono accorta di errori temporali (a proposito dei personaggi) e alcune frasi che tendono all'obrobrioso (esiste?).

Perciò credo che prossimamente modificherò i primi capitoli. Certo, continuerò a scrivere, ma mantenendo questo nuovo stile.

Bho, credo di aver detto tutto :)

 

Ah si, I love Mike sooo much.

 

Anna

  
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