Ciao a tutti...questo primo capitolo è un po' lungo...ma vi prometto che i prossimi saranno più brevi...
spero che questa storia vi piaccia!
Critiche e suggerimenti sono ben accetti! Baciottolonzi...a presto!
VITA
DA MAGGIE
I |
nciampo,
rotolo giù dalle scale e sbatto violentemente la
fronte lentiginosa sul corrimano di ferro delle scale. Ecco il primo
ricordo
“serio” che ho della mia vita. Secondo molti,
questo spiega tutto. È stato il
motivo per cui sono diventata Maggie. Secondo altri, è
semplicemente stato il
motivo per cui mia zia ha perso due settimane in ospedale con me, non
ha potuto
lavorare e ci siamo trasferite in un’altra casa.
Ma questo è
successo quando ero uno scricciolo di due anni. A quell’epoca
non sapevo che ci
saremmo trasferite altre volte e che saremmo arrivate addirittura a
trasferirci
a Londra.
- Allora, Maggie,
vogliamo parlarne? – la donna occhialuta davanti a me non mi
conosceva. E
sicuramente non voleva parlare con me. Faceva solo il suo dovere, il
lavoro per
cui veniva pagata e avrebbe potuto tornare a casa anche quella sera con
i soldi
per la cena
- Ehm…no
– risposi
sinceramente
- Hai bruciato la
scuola, Maggie, un motivo ci sarà sicuramente un motivo
– replicò
imperturbabile quella donna
- Non ho bruciato
la scuola – precisai – Ho tentato di farlo ma mi
avete fermata sul più bello –
le rammentai
- Tentare equivale
a farlo – puntualizzò la donna
- Oh…non credo
proprio perché se l’avessi fatto lei ora non
potrebbe starsene seduta su quella
poltrona – ribattei
- Bene, ora stiamo
parlando – osservò rallegrata la donna –
Io sono Miss Klane, vogliamo diventare
amiche? –
La squadrai
perplessa.
In undici anni di
entusiasmante vita da Maggie non avevo mai conosciuto qualcuno
così stupido
come Miss Klane.
- Generalmente le
psicologhe si chiamano Milly, Molly, Mandy, Kitty…lei
invece? – domandai
- Ethel –
rispose
questa
- Che bello. Niente
nomi assurdi – sorrisi senza entusiasmo
- Perché hai
tentato di bruciare la scuola, Maggie? – ritentò
- Perché mi fa
cagare – mentii
- Risposta errata
–
sorrise comprensiva Ethel – Banale –
- Io non sono una
persona banale – ribattei
- Dimostramelo –
Ethel mi fissò inespressiva
D’accordo,
dovevo
ammettere che avevo davanti qualcuno che sembrava conoscere il suo
lavoro,
finalmente, dopo anni di assistenti sociali isteriche e psicologhe che
odiavano
i bambini.
-
Speravo di uccidere mia sorella –
ammisi
- Stai scherzando
mi auguro – sussurrò Ethel
- Assolutamente no
– ribattei con aria sdegnosa – Io odio mia sorella
–
Therese Spellman.
L’emblema della perfezione.
Fisicamente eravamo
quasi uguali, del resto essendo gemelle spesso capita: stessi capelli
rossi,
stessi occhi azzurri, stesse lentigini sul viso, stesso lardo sui
fianchi,
stessa espressione stupida, stesso portamento goffo.
Ciononostante, lei
era sempre perfetta. Era la studentessa modello che ogni insegnante
vorrebbe
avere, la figlia perfetta che ogni genitore vorrebbe crescere, la
ragazza dolce
che ogni ragazzo vorrebbe sposare e l’amica ideale che ogni
ragazza vorrebbe
conoscere.
E per di più
era
una strega.
Ma non una strega
di quelle cattive che fanno patti con il diavolo e volano di notte su
una scopa
vecchia e malconcia. No, lei era una strega apprendista. Le era persino
arrivata una lettera dalla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Perdonatemi,
signori, se credevo che fosse una buffonata.
Soprattutto
perché
la suddetta lettera aveva raggiunto anche me.
Ricordo
perfettamente quella mattina di fine Agosto. Ci eravamo trasferite a
Londra da
meno di un mese: io, mia zia Tracie, mia cugina Bernadette e mia
sorella
Therese.
Ero scesa a
prendere la posta nella speranza di trovare 100000£ e un
biglietto di sola
andata per New York, ma mi ero trovata tra le mani due vecchie buste
ingiallite
con lo stemma di una scuola che non conoscevo.
- Che dice? –
chiesi a Therese non rinunciando alla mia colazione
- Sono una…strega!
– esclamò
lei con aria di
onnipotenza
- Che scoperta –
sibilai distrattamente
- Lo sapevo che non
era normale far muovere gli oggetti sulla scrivania. Ora lo so! Sono
una
strega! Una vera strega! – Therese saltellò
intorno al tavolo nel ristretto
cucinino e mostrò la lettera che aveva ricevuto alla zia
Viviamo con zia
Tracie da quando abbiamo quattro mesi, ovvero da quando
l’aereo con cui i miei
genitori e quelli di Bernie stavano andando in vacanza è
precipitato
nell’Atlantico. Ma lei, la nostra adorata zia, non ci ha mai
fatto mancare
nulla. Affettivamente parlando, perché in altri termini ci
è mancato tutto: dai
soldi, a una casa, a una vita in una città che amavamo come
New York.
Zia Tracie aveva
trovato su Internet un lavoro a Londra e aveva deciso che dovevamo
cambiare
aria, che non poteva continuare così. Così come?
Fu la domanda a cui non trovai
mai una risposta e fu la domanda che mi ripetei tutti i giorni di quel
piovoso
Agosto londinese.
- Che bello! Hai
ricevuto una lettera! – sorrise la zia entusiasta
- Leggi! Leggi!
Leggi! – Therese dischiuse la bocca in quello che mi
sembrò un ghigno perfido
- La
signorina…bla
bla bla…è invitata a trascorrere i prossimi sette
anni scolastici nella Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts e bla bla bla…la scuola
si aprirà il primo
settembre come ogni anno…bla bla bla…il treno
partirà dal binario nove e tre
quarti di King’s Cross il primo settembre 2001 alle undici in
punto – lesse la
zia distrattamente
- Sono una strega!
– ripetè Therese
- Le streghe non
esistono – replicò Bernie
Mia cugina,
Bernadette, era quella mattina uggiosa, l’unica che sembrava
mantenere un
minimo di cervello.
- Esistono, invece
– Therese le lanciò uno sguardo cattivo
- Nei libri di
fiabe per bambini – precisò Bernie – Non
nella realtà –
- A me è
arrivata
la lettera di Hogwarts – sibilò Therese
- Qualcuno ti
avrà
preso per il culo – propose Bernie
- Ti rode
perché io
sono una strega e tu no – decretò Therese
- Io andrò in
Portogallo a salvare le tartarughe marine, cosa me ne importa di una
scuola di
Magia?!? – sbottò Bernie
- Allora, zia,
posso andare ad Hogwarts? – Therese si rivolse alla zia con
un sorriso angelico
Zia Tracie mi
lanciò uno sguardo perplesso.
Io sollevai le
spalle e continuai a leggere il mio giornale di musica.
- Non so… -
iniziò
la zia sistemando le tazze nella credenza. Poi le finì tra
le mani la seconda
lettera – Maggie, ma ce n’è una anche
per te! –
- Che cosa?!? –
esclamammo in coro io e mia sorella
La leggenda
popolare vuole che le gemelle parlino sempre in coro. Io e Therese,
invece, non
avevamo mai detto nulla in coro. Non fino a quel giorno.
- Non è
possibile!
– sibilò Therese disgustata – Tu non
puoi essere una strega –
- Appunto –
convenni
- Leggetela –
suggerì la zia
La mia lettera era
esattamente uguale a quella di mia sorella. Cosa che, a quanto pareva,
non
lasciava alcun dubbio.
- Sei una strega
–
sussurrò Therese colpita – Ci dev’essere
un errore –
- Genetico –
precisai
- Stiamo degenerado
– osservò Bernie che, dall’alto dei suoi
quindici anni, si considerava una
ragazza seria e assennata
- Tu non ci vieni
ad Hogwarts! – strillò Therese istericamente
- Non preoccuparti,
non ci tengo – la rassicurai
- Tu non sai far
muovere gli oggetti! – aggiunse Therese
- Vuoi vedere come
faccio muovere questa sedia fino a spaccartela in testa? –
proposi – Sto
leggendo, Therese, e tu mi stracci i coglioni con questa stupida storia
della
scuola di magia. Non esiste una maledetta scuola di magia e non esiste
la
magia. Merda –
- Ben detto,
Margaret – Bernie applaudì
Therese ci
guardò
entrambe con disprezzo.
- Io andrò ad
Hogwarts! – annunciò
- Nessuna di voi
due andrà ad Hogland! – urlò zia Tracie
- Cosa?!? –
Therese
si voltò verso la zia – L’anno scorso
hai permesso a Maggie di fare il bagno
nell’oceano la notte di Capodanno. E poi hai lasciato che
Bernie andasse nel
Maine a vedere le martore. E ora che io voglio fare qualcosa che per me
è molto
importante…dici di no. Perché?!? –
- Perché fare
il
bagno nell’oceano o andare nel Maine non mi è
costato più di quanto costa
questa casa – osservò la zia – Mi
dispiace, Therese, so che per te è
importante, perciò metterò via dei soldi e se ci
riusciremo, potrai andare
l’anno prossimo –
Tolsi le cuffie del
walkman dalle orecchie e chiusi il giornale. La faccenda stava
diventando
interessante.
Pensai che Therese
avrebbe pianto e urlato istericamente che voleva andare alla scuola di
magia.
Invece raccolse la sua lettera senza risparmiare una mossa di disgusto
quando
sfiorò il piatto delle pan cake e poi ci fissò
una dopo l’altra, senza
risparmiare occhiate di gelo, e dichiarò con disprezzo:
- Io vi odio tutte
– e sparì nella sua camera sbattendo con violenza
la porta
Dall’episodio
erano
passati quasi otto mesi. Era fine Aprile, ma Therese non aveva
dimenticato la
lettera di Hogwarts. Tutt’altro. Ogni sera si sedeva alla
scrivania e leggeva
un librone enorme, poi prendeva una penna e cercava di farla alzare in
aria con
la sola forza del pensiero.
Nonostante io non
avessi mai visto la penna volare, Therese insisteva di essere una
strega
bravissima e che non appena avesse avuto i soldi per andare ad Hogwarts
ci
sarebbe andata.
Nel frattempo, si
impegnava perché io mi trovassi male alla St. Catherine, la
scuola che
frequentavamo assieme, per fortuna in due sezioni diverse.
In compagnia di
alcuni amici che mi ero fatta al doposcuola punitivo, avevo cercato di
dare
fuoco a delle cartacce e ora mi toccava sorbirmi un piano di recupero
mentale
con Miss Klane, la psicologa della scuola.
- Quindi tu odi tua
sorella – ripetè Ethel sorridendo dolcemente
– Capita nelle ragazzine orfane di
trovare nella sorella o in un parente di età così
vicina un nemico
insormontabile, è normale –
- Se lo dice lei
–
sussurrai
- Quello che non
è
normale è il tuo tentativo di sopraffazione nei confronti di
tua sorella –
riprese Miss Klane
- No, lei deve aver
frainteso qualcosa. Il tentativo di sopraffazione è suo.
È di Therese. È lei
che crede di essere la migliore sempre e comunque e che dice di essere
una
strega – spiegai
- Dice di essere
una strega? – chiese Ethel
- Sì. Lo ripete
da
quasi un anno – ammisi
- Forse dovrei
incontrarvi assieme. Ho bisogno di parlare anche con tua sorella
– decise Miss
Klane
Era Aprile. Un
Aprile piovoso e umido così come lo erano stati Febbraio e
Marzo. E anche
Gennaio. E Dicembre e…beh, Londra sembrava avere un clima
abbastanza uniforme
per tutto l’anno.
Quando arrivò
Maggio non sperai nemmeno di trovarvi un miglioramento.
E invece, il
pomeriggio che Miss Klane si presentò a casa nostra per
terapizzare me e mia
sorella assieme, il sole splendeva in cielo.
E Therese aveva
deciso che quello sarebbe stato il giorno in cui avrebbe dimostrato a
tutti di
cos’era capace una strega.
- La vede questa
penna, Miss Klane? – chiese docilmente mia sorella
- Sì Therese
–
rispose Ethel, con quella voce che si usa per assecondare i pazzi
- Ora la farò
volare – decretò Therese
- Certo –
borbottai
sarcasticamente io
Therese
appoggiò la
penna sul tavolo e la fissò intensamente per quelle che mi
sembrarono ore ma
che evidentemente furono solo un paio di minuti. Poi la penna si mosse.
Impercettibilmente rotolò appena verso sinistra.
Miss Klane
trattenne il respiro. Io feci un passo indietro.
Therese aveva la
fronte imperlata di sudore e gli occhi ridotti a due fessure.
-
Avanti…alzati…alzati… -
sussurrò concentratissima
La penna vibrò
e si
alzò di un paio di centimetri dal tavolo. Therese distolse
lo sguardo, la penna
rotolò giù dal tavolo e lei si lasciò
cadere su una sedia allo stremo delle
forze.
- Se avessi una
bacchetta magica, l’incantesimo di levitazione richiederebbe
molte meno energie
– spiegò tranquillamente asciugandosi la fronte
Miss Klane ci
fissò
interdetta. Voltò le spalle e scomparve nella tromba delle
scale. Due giorni dopo
si licenziò dalla St. Catherine.
Therese era davvero
una strega.
Passai l’Estate
di
quell’anno 2002 a cercare di far levitare piccoli oggetti
leggeri, ma l’unica
cosa che si alzò in volo davanti a me fu una piccola cimice.
Una sera ritornai a
casa molto tardi. Il mio gruppetto di amici della St. Catherine mi
avevano
portato al casinò, a giocare a poker. Avevo vinto
15£. Un nulla, pensando che
le scarpe che desideravo da tempo costavano 69£ ma
forse…con un po’ di
sacrifici, entro qualche mese avrei avuto quelle Nike.
La porta della
cucina era socchiusa e una luce filtrava da sotto. La cosa non mi
avrebbe
stupita se non avessi sentito una voce sussurrare frasi incomprensibili
all’interno.
La zia non stava
bevendo alcoolici. Né Bernie stava studiando. Né
Therese si esercitava con le
sue magie. Qualcuno parlava al telefono, e le frasi concitate non
lasciavano
dubbi sull’argomento della telefonata.
- Mi lasci ancora
qualche giorno, Mr Campbell… - sussurrò la voce
preoccupata della zia -…Ho
dovuto comprare dei vestiti alle mie nipotine…lo
pagherò l’affitto…non se ne
preoccupi…lo so che è da Marzo che non paghiamo
ma…vedrà che…no! La prego! –
il
tono di voce si alzò improvvisamente – Non mi
sfratti…non saprei dove
andare…non ho nemmeno i soldi per tornare a New York e ho
appena trovato lavoro
in una boutique in centro…le assicuro che avrà i
suoi soldi –
Sospirai
stancamente e infilai le mie 15£ nella scatola di biscotti
vuota che la zia
usava per i risparmi. Le Nike potevano aspettare.
Therese, invece,
non aspettò neanche un secondo. Mi aggredì e mi
trascinò in bagno.
- Stiamo andando ad
Hogwarts – decretò – Facciamo i bagagli,
prepariamoci e si va –
- Stiamo,
facciamo…prepariamo…ma sei
fuori?!? – sbottai – Tu vai dove vuoi, anche in
Papuasia. Io non mi schiodo da
qua –
- La zia non ha
abbastanza soldi per pensare a noi – osservò
Therese
- Se non ci avesse
voluto ci avrebbe mollato in un orfanotrofio quando ne ha avuto
l’occasione –
replicai
- Che ne poteva
sapere quando ne ha avuto l’occasione che noi saremmo state
un peso?!? – sbuffò
Therese
- Noi non siamo un
peso – osservai
- Questo è
quello
che credi tu. Hai idea di quanto costa farti da mangiare tutti i
giorni? – mi
domandò lei
- No – ammisi
- Ecco bene, allora
te lo dico in termini tuoi: alza il culo – sbottò
Therese
- Per fare cosa?
–
domandai
- Per. Andare. Ad.
Hogwarts – sibilò Therese – Hai capito o
te lo devo ripetere? –
- Io. Non. Ci.
Voglio. Venire – decretai – Hai capito o te lo devo
ripetere? – la scimmiottai
- Tuo malgrado sei
una strega – sospirò lei – Questa cosa
mi disgusta. Ma non ci posso fare
niente. Sei una strega e quindi verrai ad Hogwarts con me –
- Non credo che la
zia… - iniziai
- È evidente
che
non hai afferrato – Therese si sedette sul bordo della vasca
- La zia non deve
sapere nulla –
- Tu vuoi fuggire
nella notte per una scuola che neanche esiste senza avvertire la zia?
–
sussurrai
- Vedo che ci sei
arrivata. Non sei così stupida, allora. È solo
una patina superficiale di stupidità,
ma sotto sotto sei quasi intelligente – sorrise Therese
- Stiamo facendo
una cazzata – annunciai
- Quasi
intelligente – puntualizzò lei
Magnifico. Proprio
quello che ci voleva. L’armadio svuotato e tutti i miei
vestiti spariti nel
nulla.
- Therese? Se sei
stata tu con una delle tue stupide magie mi incazzo. Fammi riapparire i
vestiti
– sibilai
- I vestiti sono
qui – mi porse uno zainetto
- Lì? Lì?
– ero scioccata
– In quello zaino? E
tu vuoi farmi credere che i miei vestiti che occupavano metà
armadio ora
occupano dieci centimetri cubi? –
Therese mi
lanciò
uno sguardo d’odio in silenzio. Poi aprì lo
zainetto e tirò fuori una
magliettina che poteva andare sì e no ad una Barbie.
- Merda! – avrei
voluto strillarlo a tutto il condominio, ma Therese fu più
veloce e mi tappò la
bocca con la mano – Merda – ripetei a voce
più bassa – Come cazzo hai fatto a
ridurli così? –
- Magia –
rispose
lei misteriosa
- Questa cosa non
mi diverte affatto – sussurrai
- Pronta? – mi
chiese
Mi afflosciai sulla
sedia. Mi presi la testa tra le mani e riflettei con calma. Le opzioni
erano
due: rimanere a casa ed essere torturata dalla zia e da Bernie
perché dicessi
loro dov’era Therese per il resto della vita o seguire mia
sorella.
Che Hogwarts non
esistesse ne ero certa, quindi il viaggio alla ricerca della scuola
fantasma
sarebbe durato massimo una settimana. Poi Therese sarebbe rinsanita.
D’accordo,
la seconda opzione poteva funzionare.
- Lasciamo un
bigliettino alla zia? - proposi
Therese sorrise
trionfante. Ce l’aveva fatta: mi aveva convinta.
- Ho già
provveduto
– mi rassicurò – Le ho scritto di non
cercarci e di non chiamare la polizia –
me lo mostrò e poi lo lasciò sulla scrivania,
assieme al suo braccialetto di
caucciù con la lettera “T”
- Posso portarmi
qualcosa? – guardai la mensola piena di ricordi che mi
legavano a New York:
un’insegna luminosa di una pizzeria, una bussola rotta, il
pennello con cui
avevamo dipinto la mia camera, una scatola di scarpe che aveva
contenuto il
topo con cui avevamo spaventato a morte Miss Johnson,
l’odiosa insegnante delle
elementari che avevo frequentato
- Qualcosa di poco
ingombrante – precisò Therese
- Il Monopoli? –
proposi
- No – disse
secca
mia sorella
Sapevo cosa
prendere. Era un piccolo ciondolo che il mio migliore amico Rob mi
aveva
regalato l’ultima sera che avevo passato a New York, dopo
avermi dato il mio
primo vero bacio serio. Me lo legai al collo: un ciondolo che
raffigurava
- Questo va bene
–
approvò Therese
Scivolammo
furtivamente fuori dalla camera. La zia aveva smesso di parlare al
telefono.
Era in cucina.
Lanciai
un’occhiata
nella fessura della serratura per non dimenticarmela.
I capelli corti
rossi le ricadevano disordinatamente intorno al volto e sugli occhi
azzurri
pieni di lacrime. Era magra e piccolina, come se fosse rimasta bambina
fuori e
fosse cresciuta solo dentro. E dentro era cresciuta troppo presto,
quando a
dodici anni aveva perso la verginità con il suo spacciatore,
quando a tredici
aveva lasciato la scuola per lavorare, quando a venti si era ritrovata
tre
bambine tra capo e collo, quando a trentadue doveva scegliere come
farle vivere
bene.
Therese mi
strattonò verso la porta e uscimmò. A New York
camminare in una notte di Agosto
sarebbe stato rilassante e divertente. Londra, invece, era buia e
silenziosa. E
soprattutto, sembrava stesse per piovere.
- Allora, qual
è il
piano? – domandai a mia sorella
Non avevamo mai
camminato per così tanto tempo l’una accanto
all’altra. Io e lei avevamo
vissuto due vite separate da un muro almeno fino all’anno
prima.
- Ora andiamo
all’Admiral – decise lei
- All’Admiral?!?
–
feci io stupita
- Tu giocherai a
poker e vincerai i soldi che ci servono –
puntualizzò Therese
- Io?!? Pensavo che
il piano prevedesse anche la tua partecipazione – osservai
- Infatti l’ho
studiato io. Credo di aver partecipato abbastanza. E poi sei tu che vai
al
casinò, no? – sorrise Therese allusiva
- Quanti soldi ci
servono? – domandai
- Mah…non
so…sulle
3000£ - rispose pacata
- 3000£?!?
–
replicai – E dove le troviamo 3000£? –
- Al casinò
–
rispose lei beata
- E secondo te
troviamo un coglione pronto a giocarsi 3000£ in cambio del
nulla? – le feci
notare
- Ops…hai
ragione –
osservò Therese
-
Già…la prima
breccia nel tuo piano – ribattei sprezzante
- Non importa.
Improvviseremo – Therese si diresse velocemente verso
l’ingresso dell’Admiral
- Therese! –
esclamai
- Dimmi – lei si
voltò verso di me
- Non di
là…di qua
– la portai in un vicoletto buio e salimmo una scalinata
d’acciaio
L’unico modo per
entrare nell’Admiral senza essere notati era infiltrarsi
dall’uscita di
servizio e fu quello che facemmo. Ero stata qualche volta
all’Admiral e mi ero
fatta amica due malviventi della zona che passavano le loro serate tra
il
tavolo da biliardo e i tavoli da poker.
Erano Philipp e il
Giaguaro. Sembravano vivere in simbiosi: il Giaguaro era pelato e
vestiva
sempre di nero, Philipp era un bel ragazzo con una perla
all’orecchio sinistro
e adorava lo scotch.
Entrambi ignoravano
che avessi una gemella.
- Guarda un po’
chi
c’è! – esclamò Philipp,
abbandonando la stecca da biliardo e sollevando il
bicchiere nella mia direzione –
- Sono io che ho
bevuto troppo o sono davvero in due? – rise il Giaguaro
Therese mi
lanciò
uno sguardo curioso che si tramutò subito in uno sguardo di
rimprovero come a
dire “Tu conosci questa gente?”
- Oggi ho bisogno
di soldi – annunciai
I due sorrisero
divertiti.
Sul momento lo
trovai molto maleducato da parte loro, ma immagino che trovarsi davanti
una
ragazzina che a Dicembre (il 12, per l’esattezza) avrebbe
compiuto dodici anni
che diceva di aver bisogno di soldi risultasse abbastanza comico.
- Quanti soldi?
–
volle sapere il Giaguaro
- Circa… - mi
girai
verso mia sorella e lei annuì convulsamente –
Circa 3000£ -
- Roba da niente
–
ironizzò Philipp
- Già
– sorrisi
- E va bene, Rouge,
ma tu cosa scommetti? – sospirò il Giaguaro,
sistemando due sedie vicino ad un
tavolo
La sala dei tavoli
da gioco era avvolta nel fumo. Nell’Admiral nessuno aveva mai
parlato di
divieto di fumare e non c’era giocatore, tranne me, che non
avesse una
sigaretta in bocca. La mia mente, però, era più
annebbiata della sala.
- Mi gioco… -
mi
guardai attorno in cerca d’ispirazione – Mi gioco
mia sorella –
Il Giaguaro e
Philipp guardarono Therese.
Poi guardarono me.
- E noi cosa ce ne
facciamo? – sbottò Philipp
- E secondo te io
cosa me ne faccio? – replicai – Non è un
problema mio cosa ve ne fate, così
come non sarà un problema vostro cosa farò io con
le vostre 3000£ -
Therese che
mugolava innervosita alle mie spalle mentre giocavo mi dava alquanto
fastidio.
Mi trattenni dal tirarle un calcio e tramortirla perché
doveva rimanere nelle
condizioni da valere almeno 3000£.
Quando le banconote
furono al sicuro nella tasca dello zainetto e noi al sicuro fuori
dall’Admiral,
Therese mi aggredì con delle chiazze violacee sulla faccia.
- TU! Stronza
grassona odiosa…cos’avevi intenzione di fare?!?
– strillò Therese
fronteggiandomi con la solita aria di superiorità
- Esattamente
quando? – chiesi
- Esattamente prima
– disse Therese gelida
Quando socchiudeva
gli occhi in quel modo e digrignava i denti faceva quasi paura.
Aggiungendo il
fatto che era notte, in uno dei quartieri meno raccomandabili di Londra
e che
lei era una strega, avevo tutti i miei buoni motivi per aumentare il
passo.
- Dove stai
andando? – mi domandò Therese sospirando
- Non lo so. Di
là
– risposi
- Dobbiamo andare a
Diagon Alley – ribattè lei
Cercai di
visualizzare la cartina della metropolitana nella mia mente, ma avevo
un vuoto
totale.
- Non conosco
questo quartiere – ammisi
- Lo conosco io.
Muoviti…cerchiamo il Paiolo Magico –
sbuffò Therese e mi spinse verso la parte
opposta
Camminammo per non
so quanto tempo ancora su e giù per Londra. Un paio di volte
ebbi la sensazione
di essere già passata da quel posto, ma Therese ostentava
talmente tanta
sicurezza da convincermi che sapeva dove stavamo andando.
Le diedi retta
finchè non arrivammo davanti ad una specie di vecchia
locanda che sembrava
rimanere su per una fortuita combinazione astrale.
- Se soffi cade
–
annunciai guardando perplessa il Paiolo Magico
- Siamo davanti
alla barriera che divide i maghi dai babbani –
sospirò Therese emozionata
- Dai ba-cosa? –
feci io
- Dai Babbani.
Quelli come te. Quelli senza poteri magici –
spiegò lei
- Ma io sono una
strega – replicai piano – L’hai detto tu
–
-
Sì…certo –
rispose lei senza crederci troppo
Guardai il Paiolo
Magico. Non prometteva niente di buono.
- Tu dici che
questa è una barriera… - iniziai disgustata
– Ciò significa che i maghi stanno
in una specie di ghetto –
- Non è
così –
sbuffò Therese – Ora dormiamo. Domani vedrai
cos’è Diagon Alley – lo disse con
quella voce, quella spinta di desiderio come un affamato che vede una
torta in
fondo alla strada e sa che se arriva fin lì quella torta
sarà sua
Peccato che io
sapessi già che quella torta era di plastica.
Quella notte dormii
nel letto più scomodo che avessi mai provato. Era freddo e
bitorzoluto e
nonostante io fossi rimasta una notte in riformatorio, diverse
all’ospedale e
una notte in una clinica di riabilitazione per ragazzi difficili del
Bronx, non
avevo mai dormito in un letto così scomodo.
Alle 10 del
mattino, quindi, ero molto più stanca di quando ero andata a
dormire e per di
più avevo la schiena a pezzi.
Therese ignorò
i
miei malori e decretò che avremmo fatto shopping.
- Uh…tu conosci
il
significato della parola “shopping”? – le
chiesi stupita – Pensavo che nel tuo
dizionario forbito non rientrasse un simile termine da volgare
stracciona –
- Non stiamo
andando a comprare scarpacce da ginnastica nere glitterate o disgustosi
cappellini da baseball. Compreremo l’attrezzatura per
Hogwarts – spiegò Therese
- Ora mi si
chiarisce tutto – ammisi
- Ti prego solo di
essere più educata possibile – soggiunse lei,
passandosi un velo di
lucidalabbra
- Che motivo ho di
essere educata? – le domandai – E con chi, per
altro? Non conosco nessuno nel
mondo dei maghi –
- Proprio per
questo. Cerca di essere gentile – mi ordinò Therese
E io lo sapevo
bene: un ordine di Therese era difficilmente ignorabile.
E così dovetti
sorbirmi negozio dopo negozio una via intera di negozietti uno
più assurdo
dell’altro. Nella mia breve ma affascinante vita, nei
sobborghi newyorkesi, non
avevo mai visto nulla di simile.
Neanche a China
Town esistevano negozi di quel tipo.
Ad un tratto
inciampai in una gabbia che conteneva un gufo spelacchiato. Mi rialzai
da terra
scuotendo i miei jeans preferiti, quelli con gli strappi sulle cosce.
- Trovo tutto
ciò
molto stupido – annunciai apaticamente, mentre Therese si
sceglieva una civetta
per la posta – Non puoi usare i francobolli come tutte le
persone normali? –
Una serie di facce
incuriosite si voltò nella mia direzione.
- Hogwarts sta
diventando piena di Mezzosangue – sussurrò una
donna di mezza età, che teneva
per la mano un ragazzino bruno
- Guardate
com’è
vestita – sussurrò una bambina dietro di me
- Siamo circondati
da Babbani – soggiunse un ragazzo, un po’
più avanti
Therese arrossì
e
mi guardò facendomi sentire in colpa. Eppure, per una volta,
non avevo fatto
niente di male. Non avevo rubato nulla dagli scaffali, non avevo
minacciato
nessuno con un coltello e non avevo rotto la vetrina con una pietra.
Ero solo
una…ehm…Mezzosangue. Bene, e con questo?
- Perché non
vai a
vedere il negozio di scope? – suggerì Therese
Non mi importava
nulla delle scope, ma mi rendevo conto che togliermi dai piedi non
avrebbe
fatto che bene a mia sorella. Inforcai gli occhiali da sole e andai a
comprarmi
un gelato.
Mi sedetti su un
gradino al sole e mangiai il mio gelato in silenzio, assaporandolo
piano. Era
l’unico sfizio di avere finalmente i soldi per vivere.
- Ommioddio!
Ommioddio! Ommioddio! – Therese si aggrappò
praticamente alla vetrina di una
libreria
- Ommioddio! Una
libreria – le feci il verso
- Non
capisci…quello è Gilderoy Allock! Sarà
un nostro professore! È famosissimo…vado
a vedere se mi fa un autografo sui libri! – e corse via
lasciandomi imbambolata
in mezzo alla strada
- Gilderoy
Allock…e
chi sarà mai questo Allock di così importante
– sbuffai e andai a guardare la
vetrina del negozio di scope
Guardai la vetrina
per così tanto tempo che quando Therese uscì
dalla libreria sapevo a memoria i
nomi di tutte le scope in vetrina e avrei potuto descrivere ad occhi
chiusi
ogni particolare del manico e anche in quanti secondi acceleravano da
zero a
cinquanta chilometri orari.
- Non immaginerai
mai chi c’era in libreria! – esclamò
Therese con gli occhi che le luccicavano
come se fosse il personaggio di un cartone animato giapponese
- Gilderoy Allock
–
risposi con voce piatta – Il nostro futuro famosissimo
professore –
- NO! – Therese
saltellava entusiasta – Cioè
sì…ma…a parte lui –
- Brad Pitt? –
proposi
- Harry Potter!
–
replicò lei
- Ah…Harry
Potter,
come ho potuto non pensarci – borbottai sarcastica
- Harry
Potter…Dio…non dirmi che non sai chi è
Harry Potter – sussurrò Therese
- Non lo so –
ammisi
- Ommioddio –
sospirò Therese – Ora dovrò spiegartelo
–
- Puoi anche non
farlo. Sbrigati a finire le tue compere, ho intenzione di vedere
“City of
Angels” in televisione questa sera – le suggerii
- Harry Potter
è il
Bambino Sopravvissuto. L’unico che sia riuscito a non morire
quando tu-sai-chi
ha tentato di ucciderlo – spiegò Therese
- Mi pareva di
averti detto che non me ne frega nulla di Harry Potter –
sussurrai
- L’unico che
sia
mai sopravvissuto a tu-sai-chi! – ripetè lei
implacabile
Le lanciai
un’occhiata nella quale speravo di averci messo abbastanza
disprezzo e tirai
fuori il cellulare dalla tasca del mio jeans.
- Non ho nemmeno un
penny qui dentro. Chiamerò
- Metti via
quell’aggeggio – sibilò Therese
- Non ti conviene,
o dovrò pensare e pensando mi verrà in mente che
sto facendo una cazzata,
prenderò un taxi e le tue 3000£ e me ne
tornerò dalla zia nel mondo delle
persone normali – specificai
- Muoviti, dobbiamo
ancora comprare le nostre bacchette – annunciò
Therese
- Dio se esisti, ti
prego, batti un colpo – scossi la testa e mi rassegnai a
seguire mia sorella
Restammo rintanate
nel negozio di un vecchietto gentile di nome Olivander tutto il
pomeriggio. Fu
dura trovare una bacchetta che andasse bene per me. Ogni pezzo di legno
che mi
finiva tra le mani sembrava avere una reazione allergica a Maggie
Spellman e
schizzava via. Alla fine uscii dal negozio che fuori era buio,
stringendo una
bacchetta che aveva all’interno fibra di genitale di drago.
- Non mi sono mai
vergognata come oggi in giro con te – decretò
Therese, quando fummo in camera,
al Paiolo Magico
- Potrei dire la
stessa cosa anch’io – convenni
- Ora vado a mangiare.
Tu resta qui, ti porterò qualcosa al mio ritorno –
decise lei
- Io non sono il
tuo cagnolino pacioccoso, né tantomeno la tua serva. Quindi
se vuoi andare giù
a mangiare fai pure, ma non pretendere che io ti aspetti qui. Dammi i
soldi,
vado al McDonald’s – sbuffai
Mangiai da sola in
un angolo un BigMac guardando la mia immagine riflessa nella vetrina.
Ero
decisamente nel posto sbagliato. Ma cosa ci facevo lì? Una
lacrima scivolò
sulla mia guancia grassoccia e finì nel McFlurry.
L’asciugai con il bordo della
maglietta e presi la decisione più importante della mia
vita, almeno così
pensavo in quel momento: sarei resistita ad Hogwarts giusto il tempo di
recuperare i soldi che mi servivano a comprare un biglietto aereo per
New York
e una volta lì mi sarei fatta ospitare dai miei amici e
sarei tornata ad essere
Maggie.
Quando tornai in
camera Therese dormiva con un libro aperto sulla pancia. Lo presi in
mano.
“Guida alla Magia di Adalbert Incant”. Ero arrivata
in quel mondo da mezza
giornata e già ero stufa.
Libri, scope, topi,
gufi…che futuro di merda mi aspettava?
King’s Cross, la
stazione di Londra, era gremita di gente. Turisti che tornavano nelle
loro
sperdute città di campagna, ragazzi che si ubriacavano sui
marciapiedi, gente
in giacca e cravatta pronta a sfrecciare nella metropolitana e andare
al
lavoro.
E poi noi due.
Therese con una
gonna al ginocchio a quadri e una camicetta bianca spingeva il carrello
con gli
zainetti e una borsa ed io con un vecchio jeans sbiadito e una felpa
nera con
gli strass cercavo di capire il verso di una piantina.
- Per di qua –
Therese mi spintonò verso il binario 10
- Avevo già le
mie
perplessità prima di partire da casa
ma…dov’è il binario nove e tre quarti?
–
le chiesi
Therese si
fermò
davanti a un pilastro.
- Qui – rispose
- Qui? – feci
scettica
Alla mia sinistra
c’era il binario
- Magari è
dall’altra parte, insieme al binario quattro virgola sei e al
binario 2x meno
3y – suggerii sarcastica
- Bisogna
attraversare questo muro – replicò Therese senza
alterazioni nel tono della
voce
- Sì,
certo…come ho
fatto a non pensarci? Bisogna solo attraversare questo muro –
sospirai affranta
- Sbrigati, non
abbiamo tempo da perdere – decretò lei
- Io vengo a piedi
– decisi
- Lo fanno tutti i
maghi che frequentano Hogwarts – spiegò Therese
cercando di mantenere la calma –
Lo si è sempre fatto e nessuno è mai morto
–
- C’è
sempre una
prima volta – le ricordai
Therese non mi
rispose. Mi spinse verso il muro. Proprio nell’istante in cui
credevo che mi
sarei schiantata sui mattoncini, mi ritrovai su una banchina che prima
non
c’era, con la faccia a terra e un treno a vapore che sbuffava
ininterrottamente.
Mia sorella mi
aiutò a rialzarmi.
- Sempre la solita
– sibilò
- Abbiamo un
biglietto? Un posto prenotato? – le domandai
- Non
c’è bisogno
del biglietto, stupida, questo è l’Hogwarts
Express – ribattè lei
- Ah…si sale a
scrocco – sussurrai
Era forse
l’unica
cosa che avevo capito del mondo magico. Il treno era gratis.
Beh…bello, non c’è
che dire.
Mentre gli altri
studenti di Hogwarts con vestiti grigi e fuori moda si apprestavano a
sedersi
sulle comode poltrone del treno, io e Therese eravamo abbarbicate in
bagno. Lei
sul cesso e io sul lavandino.
- Non possiamo
restare qui per tutto il viaggio – osservai intelligentemente
- Lo decido io
quello che si può fare o no – ribattè
Therese, meno intelligentemente
- D’accordo,
Therese, tu sei il capo. Ma io ne ho fatti di viaggi a scrocco e credo
che
dovremmo andare a sederci, confonderci con gli altri passeggeri.
Desteremo
qualche sospetto chiuse nel cesso! – sbottai
Therese mi
fissò
sprezzante e poi aprì un libro.
- Trovati qualcosa
da fare ma non rompermi i coglioni – suggerì
Passai le due ore
più entusiasmanti della mia vita a contare e ricontare i
fili di lana della mia
sciarpa. Ad un tratto Therese chiuse il libro e tirò fuori
un mazzo di carte.
- E va bene,
giochiamo a poker – decise
- Tu giochi a
poker? – le chiesi perplessa
- Ci sono molte
cose che non sai di me. Molte più delle cose che sai
– mi rimbeccò lei
Quando il treno si
fermò alla stazione di Hogsmeade, mi vergognavo quasi ad
ammetterlo, ma il
tempo con mia sorella era passato abbastanza velocemente. Dopo il poker
avevamo
giocato a scala quaranta, poi a bridge e per finire avevamo messo via
le carte
e avevo convinto Therese a scrivere “Ciao Mondo”
con un pennarello blu sulla
parete del bagno.
- Ora dobbiamo
mischiarci alla gente – annunciò Therese
- Ci vedranno
comparire dal nulla, sarà dura mischiarci alla gente
– ammisi
- Seguimi e credici
– replicò Therese
Scendemmo dal treno
seguendo la fiumana di gente che si dirigeva alle carrozze trainate da
disgustose bestie grige. Proprio mentre stavamo raggiungendo una delle
carrozze, un omone alto cinque volte come me ci fermò.
- Il primo anno da
quella parte – ci disse
- Noi non siamo del
primo anno – ribattè Therese offesa e mi
trascinò via – Quando la gente ti
importuna non darle corda, chiaro? –
-
Uhm…sì – risposi
Nella nostra
carrozza c’erano tre ragazzi che sembravano decisamente
più grandi di noi. Uno
di loro, il più figo, sembrava avere intenzione di porgerci
qualche domanda, ma
rimase in silenzio per tutta la durata del viaggio. Cosa che mia
sorella
apprezzò particolarmente, ma io mi morsi le mani.
- Ora aspettiamo
–
decise Therese una volta scese dalle carrozze
- Non so tu ma io
ho fame – replicai – quindi non
aspetterò –
- Maggie, chi è
il
capo? – mi chiese Therese
- Tu – risposi
sbuffando
- Allora attieniti
al mio piano – convenne lei
- Ma il tuo piano
fa cagare – osservai – Non prevede la cena?
–
- Certo, dopo che
avremo una nostra Casa – ribattè Therese
- Speravo che
avremmo dormito a scuola – sussurrai – Le
3000£ sono finite come pensi di
pagare l’affitto? –
- Non quella Casa.
Gli studenti di Hogwarts sono divisi in case…delle specie di
squadre – spiegò
Therese stancamente, come se me l’avesse spiegato
già mille volte
- Per me non fa
differenza in che squadra sarò, quindi possiamo entrare e
andare a mangiare? –
riprovai
- No perché non
sapremmo a che tavolo sederci – rispose Therese spazientita
Nel frattempo tutti
gli studenti erano entrati e noi eravamo in giardino, al freddo,
davanti ad una
scuola di pietra illuminata a giorno e nella quale sicuramente gli
altri
stavano cenando. Il mio stomaco sussultò.
- Therese, te lo
dico in poche parole: ho fame e voglio entrare – annunciai
- Adesso entriamo,
dobbiamo aspettare la circostanza giusta – replicò
lei
In quel momento
sentii un rumore forte e chiaro, come il motore di una macchina. Mi
girai a
destra, a sinistra, ma non c’erano auto in quel giardino.
Eppure il rumore si
avvicinava sempre più ed era come se venisse…
- Giù!
– Therese mi
spinse sotto un cespuglio
Alzai gli occhi al
cielo. Una Ford Anglia blu mezza scassata stava planando verso un
grosso albero
al centro del giardino. L’albero non sembrò
prenderla bene, alzò i rami e
sfondò la carrozzeria. Due ragazzini dall’aria
parecchio terrorizzata
schizzarono fuori dalla macchina e rimasero sul prato qualche secondo.
La
macchina si mise in moto e sparì all’orizzonte. Mi
voltai verso Therese.
- Queste cose sono
all’ordine del giorno qui? – le chiesi preoccupata
- Quello è il
Platano Picchiatore – annunciò Therese –
Venne piantato anni e anni fa. È un
albero molto prezioso per questa scuola –
- Non credo che i
due sfigati che gli si sono schiantati contro la pensino
così. Ma se lo dici
tu… - sospirai quasi divertita
- Vieni! Ora! –
il
portone era aperto e una luce si diffondeva sulle scalinate –
Mio Dio…è
sensazionale – sussurrò Therese guardandosi
attorno in un enorme ingresso un
po’ inquietante
- Come il Plaza
–
ironizzai
I due ragazzi della
macchina stavano discutendo con un vecchio dall’aria burbera
sulle scale e
sembravano nella merda.
- Saliamo per di
qua – Therese si lanciò su per una scalinata di
marmo
- Cosa prevede ora
il tuo piano? – le domandai incuriosita
- Veramente il mio
piano…ehm…si fermava a come saremmo entrate ad
Hogwarts – ammise Therese
- E non hai
pianificato cos’avremmo fatto una volta dentro? –
le chiesi scioccata
- Beh…no,
pensavo che
mi sarebbe venuto naturale, del resto questa è un
po’ la mia casa – sorrise
Therese sognante
- Sai perché
non ti
schiaffeggio? Perché hai le guance sporche di terra
– sbottai
- Ehi! Voi due!
–
una voce ci urlò alle spalle
- Cazzo –
sussurrai
- Quello è
Gazza,
il custode – spiegò Therese
- Come fai a
saperlo? – le domandai
- Ne parlano come
di un gran pezzo di merda – annunciò
- E quindi? – la
fissai in attesa
- Corri! –
Therese
cominciò a correre su per le scale, poi a sinistra, poi a
destra, in un
corridoio buio, ancora a destra, su per altre scale, giù per
le scale, a
destra, corridoio illuminato, sinistra, strada senza uscita.
- Siamo in
trappola? – domandai a mia sorella
- Oh no…oh
no…oh
no…è la fine…Caput draconis!
– sospirò Therese sconsolata
Un quadro dietro le
nostre spalle si mosse e lasciò intravedere un altro
corridoio, una sala, altre
scale.
- Di qua! –
urlai
mentre Gazza compariva in fondo al corridoio
Su per le scale, a
sinistra, ancora su. Una porta aperta. Dentro una stanza.
- Siamo salve –
sussurrai
- Stai scherzando?
– Therese si prese la testa tra le mani – Non ho
idea di dove siamo e
soprattutto non ho idea di come ci siamo arrivate –
- Tu hai detto
quella cosa e… - iniziai
- Lo so! Era per
non dire “merda”. Significa testa di drago in
latino – sospirò lei
- Beh non a tutti
sarebbe venuto in mente di dire una cosa in latino in un momento del
genere –
osservai
- C’è
qualcuno?
Calì? Lavanda? – una voce si avvicinava lungo il
corridoio
- Le sorprese non
sono ancora finite, seguiteci nella prossima puntata –
mormorai sarcastica
- Avanti, dobbiamo
nasconderci, non perdiamo tempo – sibilò Therese
- Hai ragione,
Therese, dietro la tenda? – suggerii
- Nell’armadio!
–
Therese aprì un grosso armadio di legno e ci infilammo dentro
Stare troppo tempo
così vicina a mia sorella mi avrebbe uccisa, già
lo sapevo.
- Ragazze? –
chiamò
la voce da fuori – Toh…sono sparite. Vediamo un
po’ se sono già a posto tutti i
vestiti –
L’aria si
riempì di
un urlo lacerante quando la ragazza con i boccoli castani
spalancò le ante
dell’armadio. Therese urlò. La ragazza
urlò. Io urlai.
La riccioluta fu la
prima a riprendersi.
- Ehm…piacere,
Hermione Granger, cosa ci fate nel mio armadio? – chiese
cercando di parere
gentile
- Scusaci,
Hermione, ci siamo perse – spiegai cercando di sembrare
gentile anche io, ma
senza un apparente risultato
- Hermione Granger!
Sei uscita con i migliori voti dal primo anno, ho saputo –
sorrise Therese
esaltata – Io sono Therese e lei è mia sorella,
Margaret –
Hermione ci
guardò
di sbieco.
- Siete del primo
anno? – domandò
Therese scoppiò
a
ridere, divertita.
- Oh, no! Certo che
no! – disse poi
- Venite con me
–
la ragazza si girò e ci scortò fuori.
Giù per le
scale, a
destra, nella sala illuminata, corridoio illuminato, fuori dal quadro,
giù per
le scale, a sinistra, su per le scale, a destra, corridoio buio,
corridoio
illuminato, su per le scale a sinistra, in fondo a un corridoio una
porta.
Chiusa.
- Accidenti, la
parola d’ordine – sussurrò Hermione,
battendosi una mano sulla fronte
- Signorina
Granger, i suoi amici sono appena atterrati nel giardino della scuola
con una
macchina volante – sorrise un vecchio con i capelli lunghi e
una specie di
camicia da notte
- Professor
Silente! – esclamarono in coro Hermione e Therese
- Professor
Silente! – ripetei io con un sorrisetto falso appena abbozzato
- Ho trovato queste
due ragazze nel mio armadio, Professore. Le sembrerà strano,
immagino, del
resto sostengono di non essere del primo anno –
raccontò Hermione
- Venite, ne
parleremo con più calma nel mio ufficio –
annunciò il vecchio
- Ma chi è?
–
sussurrai all’orecchio di mia sorella
- Il Professor
Albus Silente è il mago più potente di tutti i
tempi, nonché preside di questa
scuola – rispose Therese
- Magnifico. Ho
battuto ogni mio record. Sono dieci minuti che sono qui e sono
già finita dal
preside. Cominciamo bene – borbottai entrando
nell’ufficio del preside
L’ufficio di
Andrew
Cohen, il preside della George Washington, era stracolmo di bottiglie
di
superalcolici. Quello di Amanda Grifft, la preside della St. Catherine,
era un
ricettacolo di quadri di paesaggi di montagna. L’ufficio di
Albus Silente
sembrava un vecchio ripostiglio. Era pieno di misteriosi oggetti dalla
dubbia
utilità e lo spazio per camminare era veramente ristretto.
Mi infilai tra un
grosso mappamondo e la libreria e aspettai a braccia conserte.
- Non ci siamo
presentati. Io sono Albus Silente, il preside – mi porse la
mano e io la
strinsi con poco entusiasmo
- Maggie Spe… -
iniziai
- Spencer –
concluse mia sorella – E io sono Therese –
- Maggie e Therese
Spencer – ripetè Silente –
E…qual buon vento vi porta qui? –
- Abbiamo ricevuto
la lettera di Hogwarts l’anno scorso –
raccontò Therese – ma purtroppo una
serie di sfortunati eventi ci ha impedito di frequentare il primo anno
–
- Noi non
rifiutiamo nessuno. Potrete farlo quest’anno –
sorrise Silente comprensivo
- No! Professor
Silente, mi scusi, io ho studiato quest’anno per recuperare
ciò che non ho
potuto fare l’anno scorso. Mi dispiacerebbe molto perdere un
anno. Credo di
essere in grado di seguire le lezioni del secondo anno –
spiegò Therese
Il suo sorriso
sembrava fatto di melassa. Era talmente zuccherato e disgustoso che il
solo
guardarlo avrebbe ucciso un diabetico. Era abbastanza snervante
starmene lì
impalata con le braccia conserte mentre mia sorella decantava le sue
abilità.
Dio quanto era odiosa.
- Professoressa
McGranitt – Silente si voltò verso una donna
piccolina con un cappello verde –
Se i professori saranno tutti d’accordo, le signorine Spencer
verranno inserite
nei corsi del secondo anno –
Therese sorrise
trionfante. Io mi fissai le scarpe da ginnastica nera rendendomi conto
di non
sapere neanche che materie avremmo studiato.
- Ma certamente
–
rispose la professoressa McGranitt, posando un cappello sdrucito sulla
scrivania del preside – E in quale Casa sono state smistate?
–
- Ah…ecco cosa
stavamo dimenticando – sorrise il professor Silente
– Il Cappello Parlante
penserà a dirvi quale sarà la vostra famiglia per
i prossimi set…volevo dire
sei anni –
Therese si sedette
elegantemente su una poltrona e Silente le posò in testa il
vecchio capello
malconcio, che dopo meno di un minuto declamò:
- Grifondoro! –
- Parla –
sussurrai
stupita
- Benissimo,
benissimo, abbiamo un’altra Grifondoro – Silente
strinse la mano a Therese –
- E le alte opzioni
quali sono? – domandai
- Serpeverde,
- I maghi più
malvagi vengono da Serpeverde – precisò Hermione
Silente la
ignorò.
- Corvonero, per i
maghi che prediligono la ragione e la calma –
continuò – E Tassorosso… -
- Per tutti gli
altri – concluse Therese
- Vieni, Maggie
–
Silente mi invitò gentilmente a sedermi
Vediamo…c’è
una piccola ribelle
qui…disonesta quanto basta…sprezzante delle
regole e decisamente scorretta con
le persone…ma sono certo che le tue doti nascoste verranno
fuori se ti affido
ad una Casa come..
- Grifondoro –
annunciò il Cappello
- Che cosa?!? –
Therese mi fissò sbigottita – Non è
possibile! Maggie non può essere una
Grifondoro! Lei non è onesta, buona, coraggiosa e tutte
quelle cose lì…lei
è…una stronza –
Silente sorrise
dolcemente e diede una leggera pacca sulla spalla a mia sorella.
- A volte siamo
convinti che il Cappello Parlante abbia sbagliato. Ma lui non giudica
le nostre
azioni, giudica come siamo dentro e molto spesso nemmeno noi sappiamo a
che
Casa potremmo appartenere. Noi no, ma lui sì – e
mi sorrise incoraggiante –
Sono certo che Maggie sarà un’ottima Grifondoro.
Le persone cattive sono quelle
che possono piacevolmente stupirci quando fanno del bene, mentre quelle
buone
possono solo deluderci. Non trova anche lei? – mi
guardò
- Sì, certo
–
risposi sorridendo
Forse in quella
merda di scuola qualcosa di buono c’era.
- Come diavolo hai
fatto a finire a Grifondoro? – Hermione Granger ci stava
silenziosamente
accompagnando nel nostro nuovo dormitorio, ignara del fatto che non
avevamo
cenato e che io avevo fame, mentre Therese si stava chiedendo come mai
questa
volta non fosse lei quella buona in tutti i sensi
- Vedi, Therese, a
volte il Cappello compie gesti insensati, del resto te l’ha
detto anche
Silente, no? – le feci notare – Difatti non vedo
come tu possa essere una
Grifondoro, viste le qualità che non hai –
- Sono molto
più
onesta, buona e leale di te, se vogliamo dirla tutta –
sbottò lei offesa
- Certo, ma non
credo tu conosca molto bene il valore dell’amicizia, o
sbaglio? – la
punzecchiai
- Scusate… -
fece
Hermione
- Oppure vogliamo
parlare di quella volta che hai scambiato il tuo compito di storia con
quello
della tua migliore amica per avere un voto più alto?
– le ricordai
- Scusate… -
ritentò Hermione
- Stai parlando di
una cosa successa due anni fa – ringhiò Therese
– Tu piuttosto, ad Aprile hai
bruciato la scuola –
- Non ho bruciato
la scuola! Ho tentato di bruciare la scuola – ribattei
- Scusate! –
Hermione picchiettò sulle nostre spalle
La fulminammo
entrambe con un’occhiataccia.
- Che
c’è? –
chiedemmo all’unisono
- Volevo solo dirvi
di sbrigarvi, perché ho bisogno di parlare con i miei amici
ora – dichiarò
Hermione
Quella Hermione
Granger già mi stava sul culo.
Therese, invece,
non la pensava così. O meglio, la pensò
così fino alla mattina dopo quando vide
Hermione Granger in compagnia di due ragazzi che di speciale non
avevano
davvero nulla.
Uno era bassino,
con gli occhiali rotondi da sfigato e l’altro era alto, con i
capelli rossi e
le lentiggini. Erano seduti a fare colazione e discutevano animatamente
con
Hermione. Mentre Therese correva verso di loro, rimasi a fissare la mia
immagine in una vetrata.
Indossavo una
squallida divisa grigia da ragazzina per bene e, cosa ancora
più tremenda, un
mantello nero e un cappello da strega. Eppure mancava più di
un mese ad
Halloween.
- Sei nuova? –
mi
chiese un ragazzo nero, dall’aria quasi simpatica
- Sì, ma non
rimango
a lungo – risposi freddamente e mi voltai verso il mio
cellulare – In questo
postaccio non c’è nemmeno campo! –
- Ehi! Maggie!
Maggie! – mi urlò mia sorella, che si era seduta
accanto a Hermione. Finsi di
non sentirla e mi diressi a grandi passi verso l’altra
estremità del tavolo –
Maggie! Siamo qui! –
Siamo?
Mi voltai e le
lanciai uno sguardo affranto.
- Che vuoi? – le
chiesi
- Volevo
presentarti i miei nuovi amici – sorrise
- Bene –
brontolai
- Loro due sono
Harry Potter e Ron Weasley. Harry Potter, capito? – si
voltò verso i due
ragazzi dall’aria perplessa – Lei è mia
sorella. C’è stato uno sbaglio, in
realtà doveva essere a Serpeverde –
- Lo sbaglio
c’è
stato – la corressi – Perché io non
dovevo proprio essere qui. Dovevo scappare
con le 3000£ e andarmene a New York –
Hermione
ridacchiò
e anche gli altri due fecero un sorrisino di comprensione a Therese.
Perfetto,
ora sì che sarebbero diventati amici: e avrebbero avuto
anche un facile
bersaglio da prendere in giro.
Imburrai due fette
di toast e quando suonò la campana dell’inizio
delle lezioni mi resi conto di
aver dimenticato la bacchetta magica in camera. Raggiunsi
l’aula di Pozioni,
nei sotterranei, dopo quasi un quarto d’ora di ardua ricerca.
Entrai di
soppiatto. Dal silenzio sembrava non ci fosse nessuno.
- Che culo! Sono la
prima – chiusi la porta e mi girai. Circa trenta paia di
occhi mi fissavano
sbalorditi – Ehm…volevo
dire…buongiorno! –
Un uomo alto, con
il naso talmente rivolto verso il basso che quasi gli sfiorava il
labbro e una
folta chioma di capelli unticci, sorrise sarcastico.
- Non sarà un
buongiorno se lei non si siede immediatamente al suo posto –
dichiarò l’uomo
- D’accordo
–
borbottai perplessa
- Non si dice
“d’accordo”, si dice
“sì, professor Piton” –
replicò l’Anguilla di Fiume
La mia mente
perversa se lo immaginò mentre abbracciava una donna e gli
sgusciava da tutte
le parti per via di quella viscidità.
- D’accordo
–
approvai – No, scusi, volevo dire…sì
professor Piton – mi corressi
- Pensa di essere
spiritosa, signorina Spencer? – mi domandò
l’Anguilla..ehm…Piton
- Abbastanza,
quando c’è il sole – risposi
- Come, scusa? –
fece lui
- Sono abbastanza
spiritosa quando è sereno. Credo di essere lievemente
metereopatica – ammisi
Qualcuno
ridacchiò
tra gli studenti.
- Silenzio – li
zittì Piton – Spencer, vai a sederti prima che
possa togliere dieci punti a
Grifondoro –
- Sì professor
Piton – diedi un’occhiata all’aula.
L’unico posto libero era vicino ad un cesso
astronomico che cercava goffamente di pulire il tavolo dallo schizzo di
una
pozione con un libro
Mi accomodai e
attesi.
- Signorina
Spencer, dove sono il suo libro, la sua bacchetta e se non oso troppo
il suo
calderone? – chiese Piton
Siamo
partiti con il piede sbagliato…
- Ah quelli –
sorrisi preoccupata – Credo di poterne fare a meno per oggi.
Seguirò la
lezione… come dire…in disparte, per
familiarizzare con la materia –
- Malfoy, la
signorina Spencer seguirà la mia lezione assieme a lei
– annunciò Piton e si
girò a scrivere strane cose alla lavagna, senza nemmeno
dirmi chi fosse Malfoy
In uno scatto di
intelligenza decisi che Malfoy doveva essere quello che mi stava
guardando o
che aveva liberato un posticino per me. La classe mi fissava senza
espressione.
Mi fissavano perché doveva essere così, ma
nessuno mi stava probabilmente
vedendo davvero.
Un ragazzino biondo
si alzò in piedi.
- Professor Piton,
mi scusi, ma io non voglio lavorare con una schifosa Mezzosangue
– annunciò
Così capii chi
era
Malfoy.
Non era neanche
male, per lo standard qualitativo dei ragazzi della classe. Alto,
biondo, con
gli occhi azzurro ghiaccio e un’espressione beffarda sul
volto. Se non mi
stesse insultando, avrei potuto quasi affermare che era degno delle mie
attenzioni.
La classe
trasalì
quando Malfoy pronunciò la parola
“Mezzosangue”. Compresi che doveva essere un
insulto bello tosto, anche se ignoravo cosa significasse.
- Beh, professor
Piton, mi scusi, ma se Malfoy non vuole lavorare con me, non ha
importanza, nemmeno
io voglio lavorare con lui – decretai lanciandogli uno
sguardo di sfida
- Come ti permetti?
– sbottò lui, senza cercare in Piton un
intermediario
- Il tuo ego è
talmente gonfio che trasborda dalle finestre di questa classe
– sibilai
- E tu sei talmente
lurida che non ho intenzione di parlarti ancora –
ribattè Malfoy
- Io? Io sarei
lurida? – digrignai i denti – Allora guardati un
po’ allo specchio – mi girai
di schiena e gli mostrai le chiappe nude
La classe trattenne
il respiro.
Piton trattenne il
respiro.
Malfoy trattenne il
respiro.
Quando finalmente
tutti ricominciarono a respirare un venticello attraversò la
classe.
- Signorina
Spencer, questo insulto ad un suo compagno costerà a
Grifondoro cinquanta punti
in meno – dichiarò Piton
Gli sguardi di
quelli che indossavano una cravatta a righe rosso e oro si fecero
minacciosi
verso di me. Malfoy ridacchiò sollevato.
- Non pensi che
ignorerò il suo comportamento maleducato e offensivo, signor
Malfoy, solo
perché è della mia Casa. Per aver denigrato una
compagna solo per le sue
origini Babbane toglierò cinquanta punti anche a Serpeverde
– continuò Piton
- Ma non è
giusto!
– ribattè Malfoy – Professor Piton
–
- Io, invece, lo
trovo giustissimo – sorrisi
- Ciò non
toglie
che resti una sporca Mezzosangue – sorrise Malfoy –
Una razza che odio –
- E ciò non
toglie
che tu resti uno schifoso snobbettino viziato e pieno di sé
– sibilai – Una
razza che odio –
- Spencer! Malfoy!
Da Silente. Ora – Piton prese me per il braccio e Malfoy per
il polso e ci
trascinò fuori dalla classe – E non cercate
inutili scappatoie – soggiunse
sbattendo la porta
Io e Malfoy ci
fissammo velenosamente negli occhi. Poi distolsi lo sguardo e mi avviai
lungo
il corridoio.
- Ehi, Mezzosangue,
non vorrei disilludere le tue scarse conoscenze di Hogwarts ma
l’ufficio del
preside è di qua – mi richiamò Malfoy
Non trovai qualcosa
da ribattere e lo raggiunsi. Camminammo in silenzio su e giù
per le scale,
finchè ad un tratto Malfoy parlò.
- Come hai detto
che ti chiami, Mezzosangue? – mi chiese
- Non l’ho detto
–
risposi secca
- Ah… - Malfoy
tacque per qualche altro corridoio – E…come ti
chiami? –
Lo fissai
sprezzante.
- Perché
dovrebbe
importarti? – gli domandai
- Non mi importa,
te lo chiedo solo per passare il tempo – sorrise Malfoy
- Allora ti
suggerisco un metodo per passare il tempo: conta quante righe ha la tua
cravatta – ribattei
Malfoy sbuffò e
accelerò il passo. Arrivammo davanti alla porta
dell’ufficio di Silente
praticamente correndo. E Silente, esattamente come la sera prima,
comparve
dall’altra parte del corridoio.
-
Cos’è tutta
questa fretta di raggiungermi? – sorrise amichevolmente
- Non vedevo
l’ora
di dirle, professor Silente, che la qui
presente…Spencer…mi ha mostrato le
chiappe nude – sibilò Malfoy
- E io, invece,
volevo dirle che il qui presente Malfoy mi ha insultata –
soggiunsi
- Bene, ne
parleremo nel mio ufficio, davanti a dei deliziosi muffin che mi sono
appena
stati recapitati – propose Silente
La seconda volta
che Piton mi sbattè da Silente trovai una torta al
cioccolato, la terza un
frappè, la quarta una mousse alla vaniglia e la quinta un
vassoio di
Cioccorane.
Anche se di questo
passo sarei diventata in breve una balenottera lentiginosa, non
disegnavo
l’idea di trascorrere l’ora di Pozioni in compagnia
di Silente.
Tra l’altro un
giorno, avevo fatto notare a Piton che trovavo ingiusto punire
un’intera
squadra per il fallo di una persona e che era come se invece di dare il
cartellino rosso a un giocatore venisse espulsa tutta la squadra.
Quindi Piton
aveva deciso che ogni qualvolta il mio comportamento si spingeva al di
là dei
limiti consigliati dalla buona educazione, mi avrebbe mandato in
presidenza
senza togliere punti a Grifondoro.
Non si era reso
naturalmente conto, così facendo, di essersi fatto autogol.
Silente era, ad
Hogwarts, il mio unico amico.
L’altra persona
con
cui parlavo di sfuggita era Malfoy, ma le nostre discussioni si
limitavano
essenzialmente a insulti e ogni tanto lui faceva l’originale
chiedendomi “ma
posso sapere come ti chiami?” o cose simili.
Se l’avesse
davvero
voluto sapere avrebbe potuto chiederlo a chiunque altro o guardare
nell’elenco
dei Grifondoro del secondo anno.
Therese mi ignorava
e passava il suo tempo libero inseguendo Hermione Granger e i suoi due
amici in
giro per Hogwarts. Avrei tanto voluto dirle che gli amici non si
conquistano
portandoli allo sfinimento, ma il dialogo tra noi era completamente
nullo.
Vivevo apaticamente
sedendomi sul marmo freddo della finestra e pensavo nuove tattiche per
trovare
le 600£ che mi dividevano da New York.