CORREGGERE
Il
giorno successivo, cominciò la mia nuova vita presso i
Polignac.
La
contessa aveva stabilito per me una severa tabella di marcia.
Al
mattino, lezioni di canto e pianoforte.
Nel
pomeriggio, invece, ricevevo un insegnante privato di danza.
Uomini
prezzolati e competenti…segno che, almeno sul piano della
preparazione, la
contessa era stata di parola.
Non
aveva badato a spese, pretendendo il meglio per la mia istruzione.
Era sempre
presente, durante ogni mia lezione, agitando il suo maledetto
ventaglio. Io
provavo ad estraniarmi, nella speranza d’ignorare la sua
odiosa figura…ma non
potevo fare niente contro l’ansia che mi opprimeva ogni volta
che incrociavo i
suoi occhi.
Provavo
ad applicare gli insegnamenti che Madamigella Oscar mi aveva
insegnato…ma lei,
quando notava la scuola della mia benefattrice, inaspriva le sue
prediche, come
se fosse qualcosa che andava necessariamente corretto.
Alla
fine, la mia pazienza terminò e, pur ingoiando il mio
orgoglio, le domandai
cosa la angustiasse.
E’la
vostra natura, mia cara. La vostra innata spontaneità deve
assolutamente essere
corretta rispose
un po’smielata o non
sarete mai una vera dama…ed è mio desiderio che
voi lo siate.
Non ebbi
il coraggio di ribattere.
Era
abbastanza palese che non avesse a genio nulla della mia persona. Non
le
piacevano le mie maniere, per quanto potessero essere affinate dopo la
breve
permanenza a casa De Jarjayes, e non apprezzava nemmeno
l’educazione che riservavo
alle cameriere che mi servivano.
Secondo
lei, davo loro troppa confidenza.
Alla
fine, per evitare di scatenare l’ira della contessa nei loro
confronti, mi
ritrovai costretta a non rivolgere loro la parola.
Mai
scelta si rivelò più dolorosa.
Non avevo
nessuno con cui parlare e spesso mi ritrovavo a fissare la finestra,
con
un’espressione persa nel vuoto. Mi ritrovai completamente
isolata, preda dei
miei pensieri.
Chissà
cosa stava facendo Madamigella Oscar?
Chissà
se mia sorella stava bene?
Quelle domande
pungolavano continuamente la mia testa, dandomi il tormento.
Avevo
provato a chiedere di loro alla contessa ma lei non sembrava
intenzionata ad
ascoltarmi. Si limitava a parlare di sé stessa, usando la
voce esclusivamente
per castigarmi e sopprimere la mia indole.
Posso
dire, in tutta onestà, che quella dama non avrebbe mai
approvato alcuna cosa di
me, benché facessi l’impossibile per compiacerla e
non scontentarla. Avevo il
timore, infatti, che la sua ira potesse abbattersi sulle persone a me
care.
Potevo
dunque essere biasimata per questo?
Lei
continuava a pressarmi con ordini e istruzioni precise e potei notare,
non
senza sgomento, che non ero mai lasciata completamente da sola. In
qualunque
luogo fossi, infatti, c’era sempre una cameriera, o un
valletto, o persino la
stessa governante a controllarmi.
Ogni
particolare della mia nuova vita veniva poi rigidamente disciplinato.
La
contessa selezionò appositamente i libri che potevo leggere
e ridusse
drasticamente le mie uscite. La vostra pelle deve diventare
come la
porcellana. Va mondata di ogni crosta plebea che ancora vi ricopre
fu il
suo commento sprezzante…ed io incassavo, come ormai facevo
da quando ero
arrivata lì.
Non
potevo combattere quella donna.
Lei era
una dama potente ed io non valevo nulla.
Poteva
dire tutto ciò che voleva, grazie al prestigio che aveva
conquistato. Era
merito suo, infatti, se ora la famiglia aveva tutte quelle ricchezze.
In base
alle chiacchiere che avevo udito al ballo di Madame Elisabetta,
infatti, quella
dama era riuscita ad incantare la regina grazie alla sua voce di
soprano.
Posso
affermare che quelle voci erano certamente vere. Una volta, sentii il
maestro
di musica congratularsi con lei per le sue doti canore ed io stessa
ebbi la
possibilità di udirla. Il mio insegnante, per forgiare il
mio scadente talento
nel piano, chiese alla contessa di dar prova della sua
abilità.
La
Polignac era un soprano puro.
La sua
tecnica era certamente frutto di un lungo e costante
esercizio…eppure, malgrado
quella dote, non avvertivo nessun calore nel suo canto. Era tutto
indubbiamente
perfetto… ma non sentivo nulla, come se la perfezione
formale avesse divorato
il contenuto della musica stessa.
Un
effetto ben diverso dalla musica di Madamigella Oscar.
A quel
pensiero, il mio cuore si gonfiava di nostalgia. Lei era una musicista
dilettante e non aveva mai dato mostra del suo talento a corte. Si
trattava di
un passatempo privato, a cui si dedicava nelle pause dalle mansioni di
palazzo,
quando non aveva voglia di esercitarsi con la scherma.
Le
poche volte che la udii, mi sembrava di sentir vibrare, in quei tasti,
la
passione e l’anima viva e inquieta della mia benefattrice.
Quando la ascoltavo,
percepivo qualcosa…l’anima di madamigella.
La
melodia della Polignac, invece, appariva al mio orecchio muta e
insignificante.
Probabilmente
la perfezione del timbro aveva scatenato qualcosa nella regina ma non a
me che
avevo visto la lordura di quella donna.
Una
delle poche cose che mi vennero concesse, fu quella di cucire e
ricamare.
Era ritenuta
una delle attività più consone ad una femmina di
rango ed io, come ormai avevo
fatto fin dall’inizio, non battei ciglio.
Cominciai
a passare le mie giornate in quel modo, con un ago ed una stoffa in
mano. La
contessa sembrò approvare e, per qualche settimana, mi
lasciò da sola…e,
finalmente, potei respirare un po’.
Avevo
sempre amato cucire. Era stata Nicole a insegnarmi quell’arte
quando, essendo
troppo piccola per aiutarla nella stiratura, me ne stavo in un angolo a
fissare
con ammirazione mia sorella Jeanne, mentre apprendeva tutti i rudimenti
del
mestiere.
Mi
innamorai quasi subito dell’ago e del filo e la signora
Lammorliere mi spronava
a non abbandonare questo tipo di attività, talvolta
aiutandomi nei punti più
difficili. Immagino
che vedesse in
questa mia passione un qualche futuro lavoro…e non potevo
biasimarla.
Una
sarta guadagnava molto meglio di una stiratrice.
In quei
momenti, immersa nel silenzio pesante del palazzo dei Polignac, sentivo
il peso
della solitudine come qualcosa di meno opprimente. Era come se sentissi
la
presenza di Nicole, di nuovo vicino a me.
Eravamo
di nuovo insieme, sia pure in modo completamente immateriale.
In
quelle occasioni, scorgevo lo sguardo del conte che, passando vicino
alla mia
stanza, mi lanciava delle occhiate strane.
Spesso
lo vedevo combattuto, mentre si perdeva nella sua muta osservazione.
-Vi
serve qualcosa?- domandai un giorno.
Il
conte, sentendo la mia voce, ebbe un sussulto.
-Perdonatemi-
fece- ma ho come l’impressione di conoscervi. Vi
sembrerò indubbiamente
sfacciato ma…ecco, mi ricordate tanto la mia povera e
sfortunata Charlotte.-
Un
brivido freddo mi attraversò la schiena.
Quella
domanda spiegava il suo atteggiamento. –Temo che questa
somiglianza sia
assolutamente casuale- risposi, tentando di celare il nervosismo.
Jules
di Polignac sussultò di nuovo.
-Sì-
fece mesto- forse, avete ragione.-
Non
risposi.
La
contessa, da quando avevo messo piede in quella casa, non aveva mai
pronunciato
il nome della figlia più giovane…e questa
omissione, così ostentata, mi fece
uno strano effetto. La morte di quella bambina era passata, grazie al
nuovo
potere del casato, come un incidente…eppure quel silenzio
così marcato aveva il
sapore di una dimenticanza tutt’altro che casuale.
Un’omissione
che con l’andar del tempo cominciava a preoccuparmi.
-Signor
conte!-esclamai, balzando in piedi e, incurante della stoffa che tenevo
sulle
ginocchia, mi incamminai verso il corridoi, a passo svelto.
Lui non
si era allontanato molto e quando sentì che lo stavo
chiamando, si voltò,
fissandomi perplesso.
-Perdonatemi-
feci, con voce un po’ansante- ma sono appena giunta in questa
casa, dopo aver
lasciato la mia famiglia. Mi hanno parlato tante volte di vostra figlia
Charlotte…vi piacerebbe parlarmene?-
Jules
stette un momento zitto.
Studiò
il mio viso, alla ricerca di una qualche menzogna nascosta, poi scosse
il capo.
-Ora
non posso- disse malinconico- devo andare a Tours per degli affari.
Tornerò tra
quattro giorni ma vi prometto che vi racconterò della mia
bambina. Mia moglie,
dal giorno della sua morte, non ne fa più parola.-
Ero
nella stanza insieme alla contessa. Eravamo sedute a due poltroncine.
La
Polignac fissava il paesaggio fuori dalla finestra, mentre io leggevo
un
romanzetto alla moda, approvato dalla mia carceriera. Si trattava di
una storia
strappalacrime, fatta di donne insulse, avventure inverosimili e uomini
troppo
perfetti per essere veri. Li trovavo assolutamente noiosi ma la dama mi
aveva
obbligato a nutrirmi solo di quel genere di libri.
Parlare
di storia, poi, era assolutamente inconcepibile.
Non
sono letture appropriate per una gentildonna. Le mettono in testa
strane idee,
che non competono assolutamente al suo sesso
era stato il suo commento, sprezzante e scandalizzato.
Dissi
così addio a Livio e a Giovanna D’Arco. Avevo
cominciato a leggere di
quest’ultima poco prima di lasciare Palazzo De Jarjayes e,
molto probabilmente,
non avrei mai avuto modo di conoscerne la fine, con i miei occhi. Un
vero
peccato, soprattutto considerando che passare i pomeriggi in quel modo
era
mortalmente noioso.
- Ho
saputo che amate cucire- disse improvvisamente la contessa.
Interruppi
la lettura.
-Sì,
Madame.- feci, un po’guardinga.
La
Polignac aggrottò la fronte.
-Non mi
piace il vostro tono strafottente- commentò- e credo che sia
il momento di
cessare con il cucito. Ho saputo che avete delle difficoltà
nella danza e nella
musica e non ha senso continuare con questo passatempo
così…poco nobile.-
Nemmeno
allora risposi.
-Dovremo
inoltre migliorare il vostro portamento, limare quelle scorie rozze che
ancora
indossate. Portarvi ad un ricevimento, nelle condizioni in cui siete,
è
assolutamente inconcepibile.- continuò, con un tono quasi
schifato.
Posai
il libro.
- Mi
sono già presentata a corte e nessuno ha obiettato.-replicai.
Lei mi
guardò con sufficienza.
-Eravate
a corte, certo - mi disse – e, come se non bastasse, eravate
con Madamigella
Oscar, quella donna vestita da uomo. La sua compagnia ha reso tutto
più
indulgente nei vostri confronti. Questo non significa che abbiate perso
il
vostro fare…grezzo.-
Nemmeno
allora riuscii a rispondere.
La
contessa si comportava con me in un modo che non riuscivo a
comprendere.
Vigilava in modo quasi ossessivo sui miei atteggiamenti, non perdendo
l’occasione di criticarmi, anche in modo quasi offensivo. Mi
feriva anche
quando era ormai palese la sua vittoria e la mia resa…e
più passava il tempo,
più questa condizione cominciava a starmi più
stretta di quanto già non fosse.
In
verità, la contessa non faceva altro che continuare la
preparazione che avevo
cominciato a Palazzo De Jarjayes, niente di più, niente di
meno. L’unica
differenza era che tutte le nozioni apprese tra quelle nuove mura
avevano un
qualcosa di vacuo e ipocrita.
Passavo
le mie giornate sempre allo stesso modo, conducendo, per volere della
contessa,
una vita quanto mai appartata.
Persino
le cameriere evitavano le mie stanze. Fu un periodo estremamente noioso
e non
privo di angoscia. Avevo acconsentito alle richieste della contessa,
soffocando
ogni mio desiderio di ribellione…ma non potevo comunque non
essere preoccupata.
Erano
passate varie settimane dal mio arrivo a palazzo e non avevo
più notizie del
mondo esterno.
Cosa
era accaduto a Jeanne?
Come
aveva reagito Madamigella Oscar alla mia partenza?
Tutte
quelle domande, per quanti sforzi facessi, sembravano destinate a non
ricevere
risposta. La
contessa faceva finta di
non sentire e,
quando si degnava di
ascoltarmi, liquidava la mia curiosità come qualcosa di poco
appropriato alla
mia condizione.
Ammetto
che quei momenti mi frustravano.
Non
volevo darle alcuna confidenza ma era colpa sua se ora mi trovavo in
quella
situazione.
Un
giorno, dopo aver preso il coraggio a due mani, feci presente a quella
donna
che non avevo alcuna intenzione di avversarla e che avevo bisogno di
sapere
come stava Madamigella Oscar.
- Non
vedo per quale motivo dovrei turbarvi con notizie simili- fu la
risposta
civettuola della Polignac- non siete più a Palazzo De
Jarjayes e quello che
chiedete non vi riguarda più.-
-Ma…-
feci per dire.
-Così
è- disse la dama- non ricordate più la
conversazione avuta con Madame?-
A quelle
parole, rimasi zitta.
-Ho
detto alla madre di Oscar che mi sarei occupata della vostra educazione
e che
avrei fatto di voi una gentildonna, come si conviene.- fece- Siete
diventata
ora mia pupilla e, così facendo, avete rotto ogni contatto
con quella stirpe.-
Sgranai
gli occhi.
-Ma
voi…-provai, sempre più ferita.
La
contessa rise.
-Davvero
credevate che vi avrei permesso di continuare ad intrecciare simili
relazioni?
Siete una povera sciocca- fece, scuotendo il capo- a volte non mi
capacitò
della vostra ingenuità.-
A
quelle parole, crollai a terra.
Ero
stata ingannata, per l’ennesima volta.
Un
singhiozzo uscì a tradimento dalla mia gola, mentre il
dolore riprendeva a
scorrermi in corpo e le lacrime grondavano dai miei occhi,
inarrestabili.
-Quante
storie- continuò la dama, infastidita dal mio pianto- non
avete alcuna ragione
di fare così.-
Mi
fermai di colpo.
-Avete
una casa ed un futuro radioso che io sto intessendo per voi. Dovreste
ringraziarmi per gli sforzi che sto facendo per adoperarmi al vostro
avvenire.
Non tutte le madri hanno la stessa premura che io sto adoperando per
voi.-
continuò- Sappiate che, malgrado tutto, io voglio il meglio
per voi, anche se
non siete nata da me e mio marito.-
Che
brava mammina, la Polignac! Esemplare, non è vero? Purtroppo
non avete ancora
visto nulla…non dimenticate Charlotte! Intanto la contessa
le sta imponendo una
vita quanto mai ritirata, facendo il bello ed il cattivo tempo. In
realtà, le
sta dando un’educazione aristocratica standard. Oscar e
André le hanno fornito
un sapere più ampio e ora questa istruzione tradizionale va
stretta a Rosalie.