Ventuno
anni – Il mio dio
L’istinto e le mamme hanno sempre ragione.
Quando sono partita lo sapevo che sarebbe andata
così, un po’ già lo sentivo. Avevo come un presentimento. Mentre guidavo non
riuscivo a concentrarmi su nient’altro che lo sterzo, e le ruote, e la strada.
Ogni altro pensiero sgusciava via, sfuggiva, come se il mio cervello volesse
suggerirmi di prestare attenzione.
Quando sono entrata dentro quella curva, ho pensato
che mia madre mi diceva sempre di non prenderla mai sulla corsia di sorpasso, percè era pericoloso. Ho pensato che forse stavo andando
troppo veloce, e quello lì è stato l’errore. Poi non ho pensato più niente, se
non che su quella strada stavo morendo. Ho visto le luci e la strada,
l’asfalto, e poi il guard rail
venire verso di me, e non ho avuto nemmeno il tempo di gridare, la cosa più
semplice, e istintiva, come se quell’unico gesto potesse consegnarti al tuo
destino, e invece io non l’ho fatto, non ho avuto il tempo, ho solo chiuso gli
occhi, sperando di chiudere fuori il terrore, ma mi sono accorta che ce l’avevo
ancora dentro, e quindi li ho aperti di nuovo. Le macchine mi sfrecciavano
accanto, qualche volto, occhi strani, mi guardavano ma non si fermavano.
Immobile là dentro a morire di paura, però non ero morta, ero morta di paura ma
viva, mentre tremavo e piangevo, e non sapevo che altro pensare.
Cosa avrebbero detto i giornali il giorno dopo? Parlando
della vita infranta di quella ragazza che aveva un camice da medico nella sua
macchina, un sogno morto con lei, e una torta appena fatta, mi dispiace mamma,
si è rovinata, e i wurstel con il formaggio, che non mangerò mai più e mi
piacevano così tanto, e quella maglietta, chissà qual era il suo colore
preferito, azzurro, come il cielo che non mi ha accolto, grazie.
Poi, ripensandoci, qualcosa ho pensato. Cosa, non lo
so. La mia macchina, perché a me, ti prego non farmi morire, mammapapàRenataIrenenonna.
Poi c’era un ragazzo, ho pensato che era carino, e
poi mi sono chiesta come potevo pensare a una cosa del genere in quel momento.
Tremavo, piangevo, guardavo la macchina e pensavo. A cosa non lo so ancora.
Papà si arrabbierà, invece papà non si è arrabbiato, perché era contento di
vedermi ancora viva e perché nei suoi occhi ho visto la vita che sarebbe stata,
e anche se lui non lo dice, uomo forte, in quell’abbraccio, in quel bacio, nel
suo silenzio mentre preparava la pasta col pistacchio che a me piace tanto ma
che non avevo voglia di mangiare, c’era tutta l’angoscia, e il terrore, e
l’amore, papà, uomo d’acciaio, mio padre che non crolla mai, io non ho mai
visto mio padre crollare, lui non crolla, muore dentro, ma in silenzio, senza
lamenti o rumori, e ieri, al mio posto, è morto qualcosa dentro di lui, e lui
era felice così, ha preferito così, nei suoi occhi io l’ho visto che sarebbe
morto tutto, completamente, pur di vedermi ancora viva.
Dicono che quando stai per morire ti passa davanti
tutta la vita. Io non stavo per morire, però un po’ di paura l’ho avuta, di
morire davvero, e posso dire, con assoluta certezza, che l’unica cosa che vedi
non sono ricordi, ma futuro. Ti passa davanti tutta la vita, è vero, ma solo
quella che non hai ancora vissuto. Pensi a tutto quello che non hai mai fatto,
mai visto. Pensi a quello che lasci.
La mia famiglia. Quella
sempre, al primo posto nei pensieri di qualunque cosa.
La luna piena. Il
tramonto dal giardino di Brucoli. Stare sott'acqua. E il mare, sempre, in ogni
stagione. Il profumo del gelsomino; quello di pioggia no, ora lo odio. La pasta
frolla della nonna. Gli abbracci di papà e i baci della mamma. I progetti per
il futuro. Le serate tra sorelle. Tutti i libri che non ho ancora scritto.
Tutte le materie che non ho ancora dato. Tutti i
sorrisi che non ho ancora regalato. I viaggi mai fatti. Le sconfitte e le
vittorie. Le amicizie, quelle vere. Le lacrime, quelle belle. Roma. La danza,
che anche se non c'è, c'è sempre. Gli occhi dei bambini. La cioccolata calda
con la panna.
La vita. Tutta quanta bellissima.
E quindi grazie; e rimango quaggiù,
e il cielo lo guardo dal basso che da questa prospettiva mi piace di più.
Io non lo so se poi sarebbe successo
davvero, se è stata fortuna o destino. Comunque la chiami, fa ancora paura. Ma
io so, perché l’ho sentito dentro, che è l’amore che ti salva. Sempre. L'amore,
ovunque e in ogni forma. Non so quale amore mi ha salvato, se il mio o quello
di chi mi voleva qui dentro, dentro questo mondo schifoso che però è bellissimo
e che davvero non vorrei lasciare mai, non ora almeno.
Ho sempre amato la vita, non avevo
bisogno di quasimorire per apprezzarla davvero. Io
voglio vivere, questo lo so da sempre. Non ho trovato risposte, ho solo tante
domande in più – perché a me è andata bene e
dopo qualche minuto a quel ragazzo è andata male? Cosa ha in serbo il destino
per me? Per cosa sono qui, perché se oggi sono viva qualcosa dovrò pur fare
dentro questo mondo stanco.
Credo che tutto accada per una ragione. Le persone cambiano perché tu possa imparare a lasciarle andare via.
Le cose vanno male perché tu le possa apprezzare quando invece vanno bene, credi alle bugie perché poi imparerai a non fidarti di nessuno tranne che di te stesso, e qualche volta le cose buone vanno in pezzi perché cose migliori possano accadere.
Magari a Dio non ci credi, però quando vedi le
lamiere della macchina accartocciate e distrutte, e se pensi che tu eri là
dentro, magari qualche domanda te la fai. Io non lo so se un Dio esiste: ho più
domande che risposte. Ma sono convinta che c’è una strada, tracciata per ognuno
di noi. Non quella su cui oggi ho rischiato di morire, e su cui, dopo pochi
minuti, qualcuno è morto davvero. Parlo di una strada vera, e bella ovunque
conduca.
Io non so quale sia il piano per me, ma un motivo
c’è se sono ancora qui, a piangere via ogni traccia di morte, a lacrimare vita,
ancora qui.
Questo è il mio dio.