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Autore: Iurin    15/10/2012    6 recensioni
Il settimo anno di Denise Davis è finito, e dopo la cerimonia del diploma finalmente è libera di vivere la propria vita come più vuole, senza - cosa più importante - che vi sia ancora il bisogno di nascondere ciò che lei e Severus Piton provano l'uno per l'altra.
E così, durante una giornata di metà estate, grazie all'arrivo di una buona notizia, i due si ritrovano a 'festeggiare' l'avvenimento passando il pomeriggio in un piccolo luna park.
[Questa one-shot si ricollega ad un'altra mia fanfiction, "Buio apparente". Chi vuole saperne di più, clicchi sul titolo e si accomodi. Qui sarebbe troppo lungo, da spiegare ;)]
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
- Questa storia fa parte della serie 'Buio Apparente'
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Buon salve a tutti!

Mi pare giusto dire qualcosina, prima di lasciarvi alla lettura: questa one-shot ha, come protagonisti, Severus Piton (come avrete notato) ed un OC, che però è stato già presentato in una mia vecchia fanfiction, tale "Buio apparente".
Perciò ecco perché in questa storia molte cose - non troppe, ma diverse sì - verranno date per scontate, cose che, per forza, chi non ha letto la suddetta "Buio apparente" non capirà. Non vi dico di andarvi a leggere la mia vecchia fanfic (in caso, armatevi di coraggio xD), ma, certo, mi è parso giusto avvertirvi della faccenda.

Per tutti gli altri che invece già conosco BA... Beh, questa one-shot vuole essere un suo piccolo 'seguito', sebbene non vi sia questa grande trama, dato appunto il fatto che si tratta di un solo capitolo.
Spero che nel leggere quanto segue vi spunterà un sorriso, così come è spuntato a me nell'iniziare a scrivere e nel ritrovare la cara Denise Davis ancora lì, pronta ad attendermi :)

Spero gradiate! Un bacio grande, grande, grande <3

Iurin










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Pioveva, fuori dalla finestra, ed io stavo controllando gli opuscoli di mille e mille ospedali magici per sapere quando sarebbero iniziati i corsi per il ruolo di guaritore. O guaritrice, ovviamente, nel mio caso.
Mi ero seduta a terra, sul tappeto nuovo che avevamo appena comprato, ed avevo praticamente sommerso il pavimento di biglietti e bigliettini vari, scorrendo poi con gli occhi dall’uno all’altro senza, detto in parole povere, sapere neanche io che cosa fare esattamente.
Come facevo a scegliere?
Ok, c’erano i corsi del San Mungo, d’altronde era quello l’ospedale magico più rinomato, e in quel modo sarei andata sul sicuro. Magari una volta finiti i corsi mi avrebbero fatta lavorare direttamente lì!
Però ero comunque parecchio indecisa…
Mi ero informata, e alla fine ero venuta a conoscenza di altri ospedali, cliniche pubbliche e private, tutte magiche, ovviamente, un po’ come se fossero il corrispettivo delle strutture babbane.
Per qualche giorno avevo persino pensato di studiare qualcosa in ambito prettamente babbano per poi così avere delle conoscenze che altri invece non avrebbero avuto – rendendomi così più qualificata, forse – però poi con un breve calcolo ero giunta alla conclusione che sarebbe stata un’impresa pressoché impossibile, quindi – fortunatamente – avevo lasciato perdere.
Ma c’erano comunque così tante alternative!
E così continuavo a fissare quegli opuscoli, senza riuscire a decidermi.
C’era la Merlin’s Accademy, nella campagna intorno a Liverpool, per esempio, che offriva servizi per ‘approfondire le conoscenze da medimago e guaritore, basandosi su un avveniristico utilizzo degli incantesimi di guarigione e infermieristici’.
Oppure il GremlinHospital, i cui corsi erano più che altro incentrati sul ‘dedicarsi ai metodi di cura non solo degli esseri umani, ma anche delle altre specie viventi, quali elfi e folletti e altri. La Gremlin Hospital, oltretutto, propone una vasta gamma di corsi di specializzazione all’estero’.
Insomma, tutte cose molto interessanti, e per questo mi risultava parecchio difficile riuscire a scegliere. Ne andava del mio futuro, dopotutto!
“Non è che se continui a fissare quei pezzi di carta, cosa che stai facendo da venti minuti, cambierà qualcosa.” Disse poi, improvvisamente, una voce – la sua – interrompendo i miei pensieri.
Io alzai gli occhi, rimanendo però comunque nella medesima posizione… ovvero praticamente sdraiata per terra, ormai.
Severus mi stava guardando seduto sulla sua solita poltrona e con il libro che stava leggendo momentaneamente poggiato sulle proprie gambe.
“E tu per caso mi staresti osservando da venti minuti, per poterlo dire?” Ribattei.
Severus continuò a guardarmi per un momento, poi fece scocchiare appena le labbra, e poi ricominciò a leggere.
Io ridacchiai tra me e me; certe cose, anche qualora fossero veramente state vere, lui non le avrebbe mai ammesse, poco ma sicuro.
Io comunque mi misi nuovamente seduta a gambe incrociate, alzando le braccia in alto e stiracchiandomi la schiena, guardandomi intorno, nel frattempo.
La cerimonia del diploma, ad Hogwarts, si era già conclusa da qualche settimana, perciò in quel momento, in quella precisa mattinata, ero a tutti gli effetti una valorosa ex studentessa.
Valorosa, sì; dopo tutto quello che era successo in quegli ultimi tre anni della mia vita ero più che convinta di essere stata fortunata ad essere rimasta psicologicamente integra.
Beh, più o meno; Severus non perdeva occasione per farmi notare, ogni tanto, che il mio comportamento stesse rasentando la follia, ma ormai era routine, e io neanche ci facevo più caso. Né me la prendevo, ovviamente: gli facevo un sorriso, gli scoccavo un bacio sulla guancia, lui borbottava qualcosa senza però poter evitare di incurvare gli angoli della propria bocca all’insù… e tutto continuava ad andare avanti come sempre.
La cerimonia del diploma, poi, fu qualcosa di memorabile: i risultati dei M.A.G.O. erano usciti da neanche un giorno, e a tutti noi, io, Sam, Andrew, Bill, Margaret e Ashley erano andati bene; chi più chi meno, ovviamente, ma nel complesso eravamo riusciti tutti a rimanere più che soddisfatti. Io non avevo preso un ‘Eccezionale’ a Pozioni, ma solo un ‘Oltre ogni previsione’ – l’ansia mi giocò un brutto scherzo – e superai Trasfigurazione per il rotto della cuffia, con uno stirato ‘Accettabile’, ma quando notai, scorrendo col dito il documento affisso in bacheca, partendo da ‘Denise Davis’ fino a raggiungere l’altro capo del foglio, notando di aver passato tutte le materie che mi interessavano… non potei che fare i salti di gioia!
E così ci erano poi stai consegnati i nostri attestati, nientedimeno che da Silente in persona: eravamo tutti seduti in Sala Grande, noi dell’ultimo anno, e Silente ci aveva chiamati uno alla volta per consegnarci la nostra sudata pergamena. All’evento erano ovviamente presenti tutti i parenti di ogni studente, come era giusto che fosse.
E naturalmente nessuno venne a vedere me. Poco male, non ci speravo assolutamente, senza contare che, in caso, sarebbe stata solo una cosa estremamente imbarazzante e deprimente per tutti, perciò fu molto meglio così. Erano presenti i miei amici, era presente Severus – più che un semplice docente, ormai, per me – e dei miei consanguinei non mi interessava più.
Quindi, in effetti, in definitiva, sì: la mia famiglia fu presente, alla consegna del mio diploma, solo che non era famiglia legata dal sangue, ma di qualcosa di ancora più forte.
Quando Silente chiamò il mio nome, dunque, mi alzai dalla sedia sulla quale ero seduta e mi avvicinai a lui. Ero raggiante; mi stavo diplomando con un ritardo di tre anni, quindi sentivo veramente che si stava concludendo un capitolo della mia vita, un capitolo importante, nonostante la relativa brevità, perché in questi tre anni la mia vita l’avevo ripresa in mano nella mia totalità. C’erano stati alti e bassi, ma ora potevo veramente affermare ‘Ehi, sono Denise Davis, proprio io!’.
E, come si suole dire, chiusa una porta si apre un portone, al di là del quale una nuova fase sarebbe cominciata. E non sarei stata da sola: quel tipo seduto dietro a Silente, vestito di nero, sarebbe stato con me, stavolta senza sotterfugi.
Come facevo a non sorridere da un orecchio all’altro?
“Complimenti, signorina Davis.” Mi disse Silente, allora, una volta che l’ebbi raggiunto “Mi raccomando: d’ora in poi non lasci più in sospeso nulla.”
Pensavo che si riferisse proprio al mio aver lasciato la scuola, senza dubbio.
“Tanti auguri per il futuro.” Continuò – e concluse, con uno sguardo profondo.
Molto serio, in effetti, quasi grave, ma allo stesso tempo… acceso da una certa luce che però non riuscii ad interpretare.
Lui era a conoscenza di me e Severus, lo sapevo. Alla fine Severus gliel’aveva proprio detto per mettere in chiaro le cose una volta per tutte. Silente non mi aveva personalmente detto niente, lui sapeva che io sapevo che lui sapeva e… beh, finita lì la storia.
Forse però il suo augurio voleva essere più di una semplice frase fatta, chissà.
“Grazie, Preside.” Risposi comunque, laconicamente, non sapendo effettivamente cosa dire con esattezza.
E poi la cerimonia andò avanti, vennero consegnati tutti gli altri diplomi, e poi fu il momento – abbastanza strappalacrime, in effetti – di salutare tutti i nostri professori – la McGranitt, a proposito, mi fece persino un sorriso. Che avesse finalmente accettato la situazione?
Dopodiché… beh, venne praticamente subito il momento di partire, giusto il tempo di andare a recuperare i bagagli già pronti da qualche ora. E quando io uscii dal mio dormitorio… Merlino, che magone. Così come quando varcai il portone del castello.
Ero felice di lasciare Hogwarts, certo, ma… un addio era sempre un addio, dopotutto, e si sa che gli addii non sono mai facili da affrontare.
“Promettetemi che non sparirete nel nulla.” Disse a quel punto Ashley, guardando ognuno di noi, mentre camminavamo nel parco per raggiungere le carrozze.
“Sei pazza?” Le fece subito Margaret, di rimando “Non sarà assolutamente possibile.”
“Concordo.” Confermai.
“Sarebbe come se mi dimenticassi come mi chiamo.” Se ne uscì Bill, al che tutti quanti gli facemmo un gran sorriso meritato.
“Boh, dipende da cosa ho da fare, sul momento.” Disse invece Andrew, e lui, invece, dovette sorbirci le nostre occhiatacce, a differenza dell’amico “Ehi, non posso mica pensare a voi tutto il giorno!”
“Sei veramente senza cuore!” Lo rimproverò Sam.
“Oh, ma per te è diverso, mio piccolo bocciolo di rosa.”
“…Hai di nuovo esagerato col cioccolato, per caso? Credo mi verrà una carie per la troppa dolcezza.”
Andrew alzò gli occhi al cielo, ma Sam ridacchiò e gli fece una carezza sul braccio.
Arrivammo ad Hogsmeade dopo non molto, e forse prendemmo il treno fin troppo presto. Iniziavo a sentirmi spaesata: non volevo partire, ma allo stesso tempo era ciò che volevo di più.
Sì, gli addii sono veramente una cosa difficile, sebbene, in questo caso, forse non era un vero e proprio addio, dopotutto. Era un po’… un lasciarsi alle spalle un vecchio stile di vita, ecco.
Una volta arrivati a King’s Cross, poi, baci e abbracci non vennero risparmiati per niente, anzi, probabilmente ne ricevetti una dose doppia da quella che mi veniva riservata di solito!
E poi… ognuno per la propria strada, con la promessa che ci saremmo tenuti in contatto, che ci saremmo sentiti, che ci saremmo visti. Perché i veri amici fanno così, e non c’è neanche bisogno di dire ‘lo prometto’, è tutto sottinteso, ma la promessa invece è vera. Non come quelli che dicono che ci saranno sempre e che invece spariscono dopo neanche mezza settimana. Noi sentivamo che davvero non ci saremmo persi.
Oh, beh… I pensieri strappalacrime d’altronde facevano da pendant con baci ed abbracci.
E poi, una volta trovato un posto tranquillo, mi smaterializzai, ricomparendo poi direttamente a Spinner’s End. L’abitazione di Severus era già illuminata, segno che lui era arrivato da chissà quanto, ma, come al solito, io, a differenza sua, non avevo potuto evitare di prendere il treno per tornare a Londra; ma tanto, sinceramente, in quell’occasione neanche mi si era posto il problema.
Da quel momento la ‘nuova vita’ sembrava essere cominciata, in particolare da quando, a mio parere, riposi sopra il camino una foto mia e di Severus.
Ero riuscita a trascinarlo fuori di casa con il valido motivo che ancora non avevamo festeggiato la fine della scuola.
“Odio questo genere di festeggiamenti.” Aveva semplicemente risposto lui “Specie se in… grande stile.”
“Oh, non ho intenzione di affittare il palazzo reale, su questo puoi stare tranquillo; voglio solo andare a cena fuori.”
“Considerando i tuoi elevati standard, finiremo in un fast-food, o, alla meno peggio, in uno squallido pub.”
“Sei veramente antipatico, quando ti impegni. Anzi, anche quando non ti sforzi!”
Severus aveva fatto un sorrisetto. “Un’arte raffinata col tempo, Denise.”
Io avevo alzato gli occhi al cielo.
Alla fine però eravamo riusciti ad uscire, e – no – non costrinsi Severus né ad andare in qualche pub, né in qualche banale fast-food. Ripiegammo su un semplice ristorante.
Ma mi feci comunque ‘odiare’, sulla via del ritorno, quando ci imbattemmo in un fotografo ambulante, con una di quella macchinette che facevano foto istantanee ben legata al collo.
“Casualmente gli si sarebbe potuto stringere ulteriormente quel laccio…”
“Severus!”
Mi aveva risposto con un ghigno.
La foto che ci era stata fatta non era delle migliori, ma non mi interessava, d’altronde era la nostra prima foto insieme. Neanche si muoveva, quindi, a detta di Severus, sarebbe stato più opportuno gettarla nel cestino, ma io invece finii persino con l’incorniciarla, per poi posizionarla – appunto – sopra il camino.
“Potresti anche darmi una mano, comunque.” Osservai, sempre quella mattina, posando gli occhi nuovamente su di lui, staccando di nuovo il mio sguardo dagli opuscoli sparsi sul pavimento.
Lui girò una pagina del proprio libro, continuando comunque a leggere.
“Non sono io che voglio diventare guaritore, sai?”
“Guaritrice, semmai.”
“Non mi ci vedo, con la gonna.”
Mi misi a ridere, avendo comunque capito l’antifona, ovvero che avrei dovuto fare tutto da sola. Mi scrocchiai le dita e mi misi al lavoro.
Dopo un’ora e mezza non era che avessi concluso granché, ma non mi scoraggiai, dato che comunque avevo ancora diversi giorni per inviare la mia domanda di ammissione ai diversi corsi.
Dopo un’altra mezz’ora metà degli opuscoli erano in grembo a Severus, intento ad esaminarli attentamente uno per uno, mentre io ne guardavo altri e di tanto in tanto ci scambiavamo opinioni e prendevo appunti su un foglio.
Alla fine feci una richiesta di ammissione per diversi posti – uno era persino sperduto in Nuova Zelanda, ma l’avevo fatta tanto per scrupolo – tra i quali anche il classico San Mungo, al quale, secondo Severus, sarebbe stato più facile entrare, dato che il numero di studenti accettati era comunque maggiore rispetto ad altrove. Tanto per stare sul sicuro, insomma. Se poi non fossi stata presa neanche al San Mungo, a quel punto avrei anche potuto reputarmi una grande sfigata.
Insomma, incrociai le dita e, tramite la posta di Diagon Alley, spedii gufi a destra e a manca.
Dovetti aspettare quasi un mese prima che qualcuno si degnasse di rispondermi. Alla fine, un sabato mattina, un gufo picchiettò al vetro della finestra della camera da letto, e io quasi svenni dall’ansia. Era la prima risposta! Merlino, speravo davvero, davvero, davvero che mi avessero presa – da ovunque fosse provenuto quel gufo. Certo, di risposte dovevano arrivarmene altre, ma era meglio avere fin da subito un riscontro positivo, invece di rimanere con l’amaro in bocca e continuare a mangiarsi le mani per i giorni successivi, no?
Perciò aprii la finestra e lasciai entrare il gufo.
Avrei voluto dargli qualche biscotto da mangiare – come se ingraziarmi l’animale avesse eventualmente potuto modificare quanto scritto nella pergamena – ma non appena ebbi afferrato la mia lettera, quello volò via in un nanosecondo. Evidentemente in quel periodo c’era molto da fare anche per loro.
Mi rigirai la busta tra le mani, indecisa. Diamine, l’avevo aspettata per un sacco di tempo e neanche mi decidevo ad aprirla? Sì, avevo decisamente l’ansia.
“Severus!” Gridai, in pratica, per farmi udire al piano di sotto, ma non mi giunse alle orecchie nessuna risposta.
Corsi così fuori dalla camera, e scesi velocemente le scale, per poi ritrovarmi in salone.
Quello che vidi mi lasciò abbastanza perplessa, sul momento: c’era Severus – e chi altri, altrimenti? – con la testa infilata nella canna fumaria del camino.
“Ma che cosa…” Mormorai tra me e me, per poi andare da lui e dargli una leggera bottarella sul gomito per attirare la sua attenzione.
“Ehi, Severus!”
Forse feci tutto un po’ troppo precipitosamente, perché lui sobbalzò appena, dando però una sonora craniata al camino. Si abbassò subito per tirarsi fuori da lì, e quando si rimise dritto in piedi si teneva la fronte con una mano, lamentandosi.
“Oddio.” Feci io, allarmata. Ci mancava solo che si fosse fatto veramente male per colpa mia “Ghiaccio. Giaccio immediatamente!”
E filai in cucina, mentre sentii lui pronunciare qualcosa che però non capii molto bene, dato che stava praticamente borbottando.
Tornai da lui dopo neanche quindici secondi, con dei cubetti di ghiaccio chiusi in un canovaccio, e quando entrai nella stanza lo vidi seduto in poltrona, sempre con una mano sulla fronte.
“Eccomi, eccomi!” Mi affrettai, mentre lui toglieva la mano e io gli premevo l’impacco che avevo tra le mani sulla sua testa.
“Si può sapere cosa diamine ti era saltato in mente?” Mi disse però lui, guardandomi male – molto male, in effetti.
“Non sapevo come attirare la tua attenzione!” Mi giustificai “Ed ho fatto nel modo meno rumoroso possibile!”
“Non mi è parso!”
“Ma poi scusa, eh, ma che ci facevi con la testa infilata là dentro? Hai persino della fuliggine sulle orecchie.”
Lui mi lanciò un’altra occhiataccia, come se avessi detto chissà che.
“Ho sentito un rumore, quindi ho pensato che un uccello potesse essere entrato nella canna fumaria. O un pipistrello, magari.”
“Oh, un tuo parente, dunque. Non avrebbe potuto semplicemente bussare alla porta, allora?”
Severus mi guardò male per l’ennesima volta, e oltretutto mi tolse l’impacco di ghiaccio dalle mani e provvide a premerselo sulla fronte da sé.
“Ehm… Comunque…” Feci allora io, prendendo la lettera che mi ero momentaneamente messa in tasca, dato che ora, a quanto pareva, avevo entrambe le mani libere. “E’ appena arrivata questa… Puoi leggerla tu?” E gli porsi la busta.
Lui l’afferrò, adocchiandola perplesso, e lesse a chi fosse destinata.
“Davis, è per te, non per me.”
“Oh, lo so. Solo… non voglio leggerla io. Fallo tu!”
Lui mi guardò ghignando appena.
“Paura?”
Quasi quasi mi venne la tentazione di procurargli un altro semi-bernoccolo.
“Aprila e basta, su!”
Lui a quel punto acconsentì – finalmente – e posò il ghiaccio sul bracciolo della poltrona, dedicandosi all’apertura della busta, e, ovviamente, alla lettura di ciò che essa conteneva.
Dal suo viso non traspariva nessuna espressione, vedevo solo i suoi occhi muoversi da sinistra verso destra, mentre io, invece, mi stavo praticamente torturando le mani da sola.
Dopodiché lui ripiegò semplicemente il foglio di pergamena, rimettendolo nella busta e riconsegnandomi poi il tutto. Io lo presi guardandolo interrogativa.
“Quindi…?”
Certo che gli piaceva proprio tenermi sulle spine, eh?
“Ti conviene procurarti qualcosa di prevalentemente verde smeraldo, prima o poi,” Rispose “Perché potresti averne bisogno, casomai tu decida di andare in Irlanda.”
“Aspetta, quindi…”
“Oh, attiva quel cervellino, avanti. Ti hanno presa al…” Diede un'altra occhiata alla lettera “Al Leprechaun Center.
Rimasi a fissarlo per dieci secondi buoni. Prima, ovviamente, di saltargli addosso urlando.
“Calma, calma! Per Salazar, non mi toccare la testa, hai già fatto troppi danni!”
“Congratulati con me invece di lamentarti!”
Alla fine Severus mi abbracciò – stritolandomi di proposito, probabilmente – e mi disse che in fondo – molto, molto in fondo – lo sospettava che non avrei avuto gravi problemi. Fu decisamente un complimento niente male, specie se detto da lui.
Ovviamente, però, una notizia del genere non poteva avere un effetto così poco… dirompente. Oh, no, bisognava festeggiare assolutamente!
Quando gli proposi di uscire lui, come tutte le altre volte, mi guardò con l’espressione di chi di uscire, invece, non aveva proprio voglia.
“Non fare quella faccia!” Gli dissi io praticamente subito.
“Questa è la mia faccia, in effetti.”
“No, questo è il tuo muso, al momento.”
Lo presi per una mano e tirai, tentando di farlo alzare dalla poltrona.
Invano, ovviamente.
“Attenterai nuovamente alla mia vita?” Mi chiese allora.
“Oh, ma per favore, ancora con questa storia?”
Lui inarcò un sopracciglio.
“No.” Dissi poi, facendolo contento “Ti prometto che tornerai a casa sano e salvo, con tutti gli arti, tutti i vestiti, e tutti i capelli.”
“Che razza di promessa sarebbe?”
Ma intanto sulle labbra gli si intravedeva un malamente trattenuto sorriso.
“Una promessa validissima!”
Lui ridacchiò apertamente, stavolta, prima di alzarsi velocemente, al che io traballai un pochino, ma Severus mi afferrò per un braccio, ed io non rischiai così di ritrovarmi per terra. Qualora questo rischio fosse esistito veramente, o meno, poco importava, dato che in quel momento lui mi stava praticamente stringendo contro di sé.
Cieca dieci minuti dopo eravamo già fuori di casa.
In realtà non avevo idea di dove andare; avevo proposto – e ottenuto – di uscire, ma non avevo pensato a nulla di più; così cominciammo semplicemente a camminare fianco a fianco, lui con le mani in tasca e io che in pratica gli agguantavo un braccio, come mio solito quando andavamo in giro assieme. Ormai ci aveva fatto l’abitudine. Anzi, a dire il vero non aveva mai neanche protestato, a riguardo. Meglio così.
Poi, l’idea.
Cominciai io a guidare lui, a quel punto, e Severus non fece obiezioni; tanto, se fossimo andati a destra piuttosto che a sinistra, vagando apparentemente senza meta, poco importava, anche qualcosa fossi stata io a decidere da che parte voltare, ogni volta che ci si fosse presentato davanti un bivio.
E alla fine, in un modo che quindi sembrò totalmente casuale – o ameno sperai che così sembrasse – passammo davanti all’entrata di un piccolo luna park. Severus fece per proseguire, ma io, invece, mi fermai.
“Hai visto qualcosa di interessante?” Mi chiese.
“In effetti, sì.” Risposi, rimanendo con lo sguardo fisso davanti a me.
Cavolo, non entravo in un posto del genere da un’eternità, anno più anno meno.
“Vuoi entrare?”
Mi girai praticamente subito verso di lui.
“Me lo staresti proponendo spontaneamente?”
E feci una faccia anche fin troppo sconvolta, e palesemente costruita ad hoc.
“Non ti sto proponendo un bel niente, sto solo… interpretando il tuo atteggiamento. Il che non è neanche troppo difficile, in effetti.”
“Quindi non me lo stai proponendo.”
Fece un sorrisetto.
“No.”
“Sai, anche il tuo, di comportamento, sta diventando piuttosto prevedibile.”
“Non mi faccio problemi, in tal senso. Amo la quotidianità.”
Lo guardai per un momento senza dir nulla, e poi anch’io feci una specie di mezzo sorriso.
“A me piace parecchio l’imprevedibilità.”
“A tuo rischio e pericolo.”
“E mi piace chi la possiede.” Ribattei “Quindi la cosa va anche a tuo rischio e pericolo.”
Severus inarcò un sopracciglio, mentre quel lieve sorrisetto scompariva improvvisamente dalla sua faccia. Dopodiché, però, mi afferrò per un polso e mi trascinò velocemente all’entrata del luna park, dritto alla biglietteria, quasi di peso, come se fossi io quella che non aveva voglia di entrare.
La cosa mi fece sorridere, e non poco.
“Quanti?”
Severus guardò la signora della biglietteria con un sopracciglio alzato, come a voler dire ‘Non ci vedi’?
“Due.” Rispose infatti lui, laconicamente.
Entrammo, allora, dopo aver pagato, e praticamente subito io iniziai a guardarmi intorno come fossi una bambina; c’erano i banchi con lo zucchero filato e le mele caramellate, le giostre per bambini, quella con i cavalli, per esempio, e poi diversi ottovolanti, e più in là anche la ruota panoramica. Volevo andare ovunque.
“Cosa ti va di fare?” Mi voltai allora verso Severus, che in quel lasso di tempo era rimasto completamente in silenzio.
“A me?”
“No, a quel passante laggiù.”
Lui alzò gli occhi al cielo per l’esasperazione, probabilmente, ma io, di tutta risposta, ne ridacchiai.
Avrei voluto portarlo su tutte le attrazioni presenti, ovviamente, ma la vedevo dura, quindi per il momento ci limitammo a camminare – ancora – ed io non protestai. Poi, non molto tempo dopo, passammo davanti ad uno di quei banchi in cui si poteva provare a buttare giù alcuni barattoli e, nel caso in cui ciò fosse avvenuto, vincere un premio, che di solito consisteva in un grande peluche o in un cuscino dalle forme più fantasiose. Io mi ci fermai davanti praticamente subito, e Severus fu costretto a fare altrettanto.
“Se ti incuriosisce tanto, provaci.” Mi disse lui.
Romanticismo avrebbe voluto che fosse lui a provarci di sua spontanea volontà casualmente vincendo il premio messo in palio, e poi regalarmi il peluche – o quello che era – con tanta galanteria.
“Pff, ma non diciamo cavolate.” Pensai.
“Non ho mira.” Risposi, spiegando così perché, pur volendo farlo, partecipare ad un gioco così sarebbe stato controproducente – nel senso che poi mi sarei vergognata da morire.
“Si presume che tu sia una… strega,” Puntualizzò però lui abbassando appena il tono di voce “ergo abituata a scagliare incantesimi, cosa che necessita di una mira perlomeno discreta, no?”
“Così pare.” Commentai, e lui, allora, mi posò una mano sulla schiena per poi spingermi verso il banco.
Mi girai appena verso di lui. “Dillo che lo fai solo per prendermi in giro quando farò la mia bella figuraccia.”
Severus fece un sorrisetto, di tutta risposta.
“Oh, mi hai scoperto…” Disse soltanto dopo qualche secondo.
Io contraccambiai con una botta sulla sua spalla che lui dovette per forza sopportare di buon grado, dato che se la meritava.
Poi, sì, lui mi fece uno sgambetto appena prima che mi ritrovassi a pagare per farmi dare le palline con cui avrei dovuto buttare giù i famosi barattoli, ma… vabbè, era una cosa normale, dopotutto.
Cinque minuti dopo ero pronta: avevo tre palline gialle per tre barattoli di latta. Oh, beh, ‘pronta’ per modo di dire. Effettuai il primo colpo, allora, ma quello andò a vuoto, come volevasi dimostrare.
Sentii ridacchiare, accanto a me, ma mi imposi di non farci caso. Il secondo colpo andò un pochino meglio, dato che buttai giù un barattolo, ma non ero affatto convinta che avrei concluso l’opera. Tirai allora la terza e ultima pallina, e dalla sua traiettoria capii da subito di aver fatto cilecca; solo che… la pallina cambiò improvvisamente direzione, da sola, e colpì i sue barattoli rimanenti. Io ero completamente a bocca aperta, incredula.
“Ma che diamine…” Cominciai a pensare, ma il mio pensiero venne interrotto dal ragazzo di fronte a me che mi consegnò un peluche abbastanza grande a forma di orca. Potei notare che anche sul suo viso vi era una sfumatura di perplessità, ma ovviamente io non dissi niente, a riguardo. Quando poi mi voltai verso Severus, col mio pupazzo tra le mani, vidi come la sua espressione fosse più che tranquilla. Il che era strano, dato che lui si accorgeva sempre di tutto.
Certo, a meno che…
“Sei stato tu!” Gli dissi poi, quasi esclamandolo, piantandomi di fronte a lui.
“A fare cosa, precisamente?”
“A modificare la traiettoria!”
“La traiettoria di cosa?”
“Non fare il finto tonto, ché tanto non ci riesci, e lo sai benissimo di cosa sto parlando!”
Ci fu una breve pausa di silenzio, prima che lui rispondesse.
“Tanto non se n’è accorto nessuno.” Ammise poi, con un lieve sorrisetto ad increspargli le labbra.
“Imbroglione!” Gli dissi, anche se ridendo, premendogli contro il mio immeritatissimo peluche, tanto che dovette afferrarlo lui, a quel punto.
“Oh, ma di cosa ti lamenti, hai avuto il tuo giocattolo, no?”
“Ma rimani comunque un imbroglione.” Precisai con un sorriso, che lui ricambiò.
“E tu rimani una con una pessima mira, il che quindi non mi impedirà di prenderti comunque in giro.”
Alzai per l’ennesima volta gli occhi al cielo.
“Ah, sì?” Gli tolsi il peluche dalle mani e lo strinsi a me “Allora stasera dormo con lui, non con te.”
Mi guardò male. “Che ricattatrice…”
Risi. “Imbroglione e ricattatrice. Beh, non c’è male.”
Continuammo a girovagare per il luna park, a quel punto, e quando venne l’ora di pranzo non riuscii a smettere di ridere per l’espressione sconsolata di Severus, dato che ci stavamo praticamente attrezzando per mangiare un semplice panino.
Stranamente lui non mi parlò per tutto il pranzo.
Fortuna che, perlomeno, il malumore sembrò passargli in fretta, e di comune accordo decidemmo di fare un giro sulla ruota panoramica,. Caso volle che ci ritrovammo in un cestello completamente da soli.
“L’ho sempre trovato davvero bello vedere una città da quest’altezza.” Commentai, quando la ruota si fermò e noi ci ritrovammo sul punto più alto di essa.
Londra si apriva davanti ai nostri occhi, ma non riuscivo affatto a scorgerne i confini; da lì riuscivo a vedere il Big Bene il London Eye, ruota panoramica nettamente più grande di quella su cui mi trovavo io in quel preciso istante.
“A me sembra soltanto avvilente.” Disse però Severus, al che lasciai perdere il panorama e mi girai dalle sua parte.
“Perché?”
“Ti rendi conto di quanto sei piccolo ed insignificante.”
“Ma tu non sei insignificante.” Gli risposi dopo un po’.
“Oh, io credo di sì.”
“Ma non lo sei per me.”
Anche lui mi guardò, allora, e mi fece un piccolo sorriso. Un sorriso come si deve, stavolta, non uno di quei cosi dopo i quali avrei sempre voluto prenderlo a schiaffi. In ogni caso, comunque, mi prese una mano, lui, e poi ricominciò a guardare Londra, magari senza considerarlo così avvilente, chissà.
Dopo aver finito il giro decidemmo di tornare a casa, a quel punto, continuando a guardarci intorno – io soprattutto – mentre ci avvicinavamo all’uscita. Diedi un’ultima occhiata dietro di me, mentre imboccavamo la strada di casa, sorridendo nell’osservare le giostre che ancora si muovevano e nel sentire la lieve musichetta ancora percepibile nell’aria, e solo dopo qualche minuto ricominciai a camminare guardando dritta davanti a me.
“Comunque sei stato particolarmente bravo, oggi.” Dissi, di punto in bianco “Non particolarmente petulante o antipatico, in effetti.”
Lui alzò un sopracciglio, voltandosi verso di me.
“Come, scusa?”
“Oh, su, sto scherzando.” Feci una risata “Come premio la prossima volta ti lascerò vincere a scacchi.”
“Denise, io vinco sempre a scacchi, contro di te. Non sarebbe un premio, ma routine.”
Io feci un gesto con la mano come a voler dire che la questione non fosse importante, anche se forse lo eseguii con troppa teatralità, perché lui sogghignò. Poi, però, io lo fermai posandogli una mano sul braccio e mi alzai sulla punta dei piedi, dandogli un bacio sulle labbra. Rimanemmo fermi in mezzo alla strada per qualche lungo ed inaspettato secondo.
“Mmh.” Fece allora lui, quando ci staccammo “Forse ho in mente un premio che gradirei molto, se ti senti ancora così generosa.”
Gli sorrisi. “Sei proprio uno stupido.”
E mi voltai, ricominciando a camminare davanti a lui, a qualche passo di distanza, anche se dovetti trattenere una piccola risata di soddisfazione.
Solo giunti in prossimità di casa ci ritrovammo di nuovo fianco a fianco, ed attesi che lui aprisse la porta, allora, prima di entrare con passo svelto.
“Comunque non stavo scherzando, prima.” Fece lui.
“Sì, ho immaginato.”
Lui mi fece un sorriso, e a quel punto non gli rimase che entrare in casa anche lui per poi richiudersi la porta alle spalle.

 
 
 
Fine

   
 
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