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Autore: N33ROD84    15/10/2012    5 recensioni
Vi è mai capitato di desiderare, o solo pensare, leggendo un libro che se foste stati i protagonisti di quella storia avreste agito in un certo modo e non in un altro? Cosa succederebbe se vi venisse data davvero questa opportunità? Questa è la storia di Elisabeth, una ragazza come tante che in un giorno come tanti si ritrova catapultata all’interno del sesto libro della mitica serie senza conoscerne minimamente la storia. Troppo semplice? E se si trovasse a vestire i panni di Harry Potter in persona e a dover fare i conti con il tormentato legame che la unisce indissolubilmente a Lord Voldemort?
Genere: Azione, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Severus Piton, Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VI libro alternativo
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Non possiedo Harry Potter. Harry Potter e qualsiasi cosa ad esso legato appartengono unicamente all’autrice J.K. Rowling.

Premessa alla storia: Vi è mai capitato di desiderare, o solo pensare, leggendo un libro che se foste stati i protagonisti di quella storia avreste agito in un certo modo e non in un altro? Cosa succederebbe se vi venisse data davvero questa opportunità? Questa è la storia di Elisabeth, una ragazza come tante che in un giorno come tanti si ritrova catapultata all’interno del sesto libro della mitica serie senza conoscerne minimamente la storia. Vediamo se indovinate quali panni si troverà a vestire? ;)

Premessa al capitolo 15 : Ciao a tutti! Ci ho messo un po' di più del solito, ma in compenso vi regalo il capitolo più lungo della storia :) Spero vi piaccia. Enjoy!




UN ANNO DA HARRY POTTER
ONE YEAR LIKE HARRY POTTER

CAPITOLO 15
UN TUFFO NEL PASSATO


Elisabeth non poteva, o voleva, credere a ciò che aveva appena sentito.
 
Un brivido le percorse la schiena.
 
Piton avrebbe cercato di forzare le barriere della sua mente. Dio solo sa cosa avrebbe potuto scoprire di lei.
 
Una goccia di sudore scivolò dalla sua fronte. La gola le si seccò all'istante mentre la bocca iniziò a riempirsi di un aspro sapore.
 
Sentì il proprio corpo irrigidirsi. Le mancava l'aria.
 
Non poteva permetterlo.
 
Non doveva permetterlo.
 
«No» contestò con decisione. Due semplici lettere pronunciate con molta più fermezza di quella che credeva di avere.
 
Quale scusante avrebbe potuto avanzare?
 
Non le importava. Doveva uscire da quella situazione.
 
Il sopracciglio di Piton si inarcò per la sorpresa. Dopo qualche istante di silenzio riprese la conversazione. «Ciò che probabilmente non le è chiaro, Potter, è che la mia non è una richiesta che cerca accoglimento».
 
Pronunciò queste parole con la solita calma. Poi, con naturalezza, gesticolò con la mano destra tracciando nell'aria due piccoli cerchi.
 
Elisabeth non ne capì il significato. Nonostante questo non ci prestò particolare attenzione e, con tutta l'energia che riuscì a racimolare, ribatté: «Ciò che probabilmente non è chiaro a lei, professore, è che se crede che starò ai suoi giochi, si sbaglia di grosso»
 
Detto questo fece per alzarsi dalla sedia sulla quale si trovava seduta. Solo allora si accorse che qualcosa non andava.
 
Per quanto si sforzasse non era in grado di muovere le braccia. Era come se una forza invisibile la obbligasse a rimanere ancorata alla sua postazione.
 
«Ma cosa..» borbottò spaesata.
 
«Una piccola precauzione. Come dicevo, non ho bisogno della sua approvazione. Faremo questa cosa che lei lo voglia o meno» spiegò il professore.
 
La ragazza sgranò gli occhi. Ciò che le stava accadendo era fuori da ogni logica. Nel mondo reale, nel suo mondo, nessun docente si sarebbe mai sognato di comportarsi in un modo simile.
 
Ma lei non si trovava nel suo mondo.
 
Si trovava in un libro.
 
In questa dimensione nessuno sarebbe mai venuto in suo soccorso. Non c'era via di scampo.
 
E mentre la rabbia si impadroniva della sua mente tutti i suoi ricordi d'infanzia le passarono davanti agli occhi. Proprio quei ricordi che avrebbe dovuto allontanare da ogni suo pensiero rendendoli nascosti, segreti e irraggiungibili.
 
"No, non ci devo pensare" si disse.
 
Ma era più forte di lei.
 
Più pensava a ciò che doveva rendere inaccessibile e più questo riaffiorava come una fotografia davanti ai suoi occhi.
 
Perché era così difficile? Perché con Silente c'era riuscita quasi senza volerlo? Qual era la chiave?
 
La sua mente era travolta da un turbine di immagini che rifletteva i ricordi più segreti della sua esistenza.
 
No, doveva fermarli.
 
Doveva impedire che lui li vedesse.
 
D'un tratto, senza che Elisabeth facesse nulla, questa frenesia terminò.
 
Una semplice parola, pronunciata come un sussurro, pose fine al vortice.
 
«Legilimens»
 
E tutto diventò nero.
 
Nel posto in cui si trovava c'era poca luce. Tutto sembrava stretto e soffocante.
 
In quale strano luogo era capitata? Si sforzò di mettere a fuoco un qualche ricordo rimosso della sua infanzia ma senza successo.
 
Si accorse di essere sdraiata.
 
Senza rendersene conto si mise a sedere, ma con la testa picchiò contro il soffitto.
 
La sensazione era la stessa che provava quando riviveva i ricordi di Voldemort: per quanto si sforzasse non era padrona dei propri movimenti.
 
Che fosse un altro frammento della vita di Tom Riddle?
 
La sua mano si spostò verso la fronte a esaminare la ferita ma si bloccò a mezz'aria prima di giungere a destinazione. Un forte rumore proveniente dal soffitto la fece sussultare.
 
«HARRY SVEGLIATI!!!»
 
Qualcuno stava saltando... sopra la sua testa?
 
Prima che un pensiero sensato si formulasse nella sua mente si sorprese accendere la luce per scoprire il luogo nel quale si trovava.
 
Un sottoscala.
 
Lo spazio era ampio lo stretto indispensabile per contenerci un letto, ma non sufficientemente alto per permettere a una persona - o a un bambino - di stare in piedi.
 
A ogni tonfo, proveniente dal soffitto, della polvere cadeva sulla sua testa posandosi tra i capelli.
 
Come poteva un bambino vivere in simili condizioni?
 
In effetti non si era mai posta domande su dove fosse vissuto Harry fino al momento del suo arrivo ad Hogwarts, o su dove trascorresse le vacanze estive.
 
Era senza genitori.
 
A chi mai avrebbe potuto essere affidato fin da quella tragica notte di Halloween? Chi poteva volergli tanto male da farlo vivere in un sottoscala?
 
La mano del suo alter ego si mosse verso una delle mensole fissate sopra la testiera del letto alla ricerca degli occhiali.
 
La ragazza, osservando le piccole dimensioni del corpicino nel quale si trovava, dedusse che Harry doveva avere circa 4 o 5 anni. Le braccia erano estremamente magre. Molto più magre di quello avrebbero dovuto essere. La maglia del pigiama ricadeva abbondantemente sulle braccia e intorno alla vita. Era probabilmente di due o tre taglie più grande.
 
Le si strinse il cuore.
 
Finalmente le esili dita trovarono quello che stavano cercando. Un paio di occhiali dalle lenti rotte.
 
Se li accomodò delicatamente sugli occhi, ma non cambiò un granché. La stanza - se così la si poteva chiamare - era troppo scura per lasciar scorgere alcuni dettagli, e i graffi sulle lenti offuscavano alcune aree della sua visuale.
 
Elisabeth si sentì tirare un sospiro per poi alzarsi, a capo chino per non picchiare nuovamente la testa contro il soffitto, e aprire finalmente la porta.
 
Prima ancora di essere travolta dall'accecante luce del corridoio venne risucchiata nuovamente nel buio.
 
---
 
Era tutto così semplice.
 
Così deliziosamente semplice.
 
Voldemort si passò la lingua tra le labbra.
 
Il ragazzo si stava indebolendo.
 
La sua forza di volontà stava venendo a meno.
 
Lo sentiva.
 
Sentiva quella vibrazione diminuire di giorno in giorno.
 
E per ogni passo incerto compiuto da Potter, percepiva il potere scorrere nelle vene con sempre maggior intensità.
 
E più acquistava potere e più sentiva di poter influenzare le emozioni e i comportamenti del ragazzo.
 
La rabbia.
 
Quella era la chiave.
 
Il mancato controllo delle emozioni creava una voragine, nella mente del suo nemico, che lui poteva varcare con assoluta semplicità.
 
E la lezione con Severus capitava al momento giusto.
 
Non avrebbe potuto esserci occasione migliore per iniziare a mettere in pratica il suo piano.
 
Il suo servitore stava mettendo a dura prova la stabilità morale del ragazzo al fine di fortificarlo da eventuali attacchi mentali.
 
Che ironia.
 
Questo gli facilitava le cose.
 
Severus fino ad allora aveva svolto un buon lavoro passandogli informazioni segrete che si erano sempre rivelate corrette.
 
Ma fino a quanto si sarebbe spinto in là per portare a termine i suoi incarichi?
 
Poteva davvero fidarsi di lui?
 
No.
 
Non ancora.
 
Serviva di più.
 
Fino ad allora aveva svolto il ruolo di spia in modo impeccabile.
 
Ma non era sufficiente.
 
Presto sarebbe giunto il momento nel quale avrebbe potuto dimostrare la sua lealtà.
 
Mentre sulle labbra si formava un ghigno, strinse con maggior forza la pietra che teneva tra le mani.
 
Un frammento di Quarzo Rutilato, debitamente incantato con della magia oscura, incanalava l'energia psichica verso la mente del ragazzo.
 
Un piccolo stratagemma che sembrava fortificare gli effetti delle sue manipolazioni. Anche a distanza.
 
Solo.
 
Ecco come doveva arrivare a sentirsi.
 
Solo e tradito.
 
Voldemort chiuse gli occhi.
 
Doveva concentrarsi.
 
Doveva cercare nella mente del ragazzo tutti quei ricordi negativi che avrebbero contribuito a farlo sentire più debole, e farli emergere affinché li vedesse.
 
Solo a un totale senso di abbandono si sarebbe aperto completamente a lui.
 
Questo era il primo passo.
 
Ci sarebbe voluto del tempo.
 
Ma sarebbe accaduto.
 
Mentre davanti ai suoi occhi scorrevano le immagini di centinaia di ricordi, la mano nella quale Lord Voldemort custodiva la pietra si chiuse con maggior forza.
 
---
 
Elisabeth non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando aveva avuto inizio quella tortura.
 
Si era aspettata di inciampare prima o poi in uno dei suoi personali ricordi.
 
Ma ciò non era accaduto.
 
Eppure lei li sentiva ben chiari nella propria mente.
 
Che questi, appartenendo al suo mondo, fossero inaccessibili ai personaggi del libro?
 
Non ebbe il tempo di soffermarsi a pensare che tutto intorno a lei iniziò nuovamente a ruotare.
 
Velocemente chiuse gli occhi per non farsi sopraffare dal senso di nausea. Poi tutto si fermò.
 
Un altro ricordo.
 
L'ennesimo.
 
Non avrebbe saputo nemmeno vagamente definire quanti ricordi aveva già rivissuto.
 
Ciò di cui era certa era che nessuno di questi era anche solo lontanamente felice.
 
Dall'infanzia vissuta a casa degli zii Vernon e Petunia, per la quale ancora le si stringeva lo stomaco per come veniva trattato, fino al suo arrivo ad Hogwarts. I primi screzi con Malfoy, padre e figlio, con il professor Piton, e i primi scontri con quella che sembrava essere solo un'ombra dell'attuale Voldemort.
 
In ognuno di questi ricordi si era sempre ritrovata da sola.
 
Nessun amico al suo fianco. Nemmeno Ron o Hermione, o Luna o Ginny. Nessuno.
 
Com'era possibile che la vita di Harry Potter fosse stata così triste? Così cupa. Senza alcuna voce gentile a sostenerlo.
 
Eppure da quando era arrivata in quel mondo aveva sempre sentito, da parte degli altri giovani maghi, un atteggiamento gentile nei i suoi confronti.
 
Perché allora tutta quella cattiveria? Quella delusione? Quella solitudine?
 
Non ebbe tempo per soffermarsi a pensare che le immagini intorno a lei iniziarono a prendere forma.
 
La prima cosa che avvertì fu un forte dolore alla gamba.
 
Diamine se faceva male.
 
Spostò lo sguardo verso il basso.
 
Sangue.
 
La gamba era ricoperta di sangue.
 
Elisabeth era consapevole di trovarsi in un ricordo e di non essere padrona dei propri movimenti. Eppure il dolore che provava era così.. reale. Così intenso. Così vero.
 
Se avesse potuto avrebbe urlato.
 
Sentì la gamba cederle e così si trovò adagiata a terra.
 
Lo sguardo si spostò quindi sull'ambiente circostante.
 
Siepi.
 
Attorno a lei c'erano solo siepi. Ma dove diavolo era capitata?
 
Fu allora che lo vide.
 
Un enorme ragno dal corpo peloso giaceva a terra a fianco a lei appoggiato contro gli arbusti. Otto occhi neri brillavano senza vita fissandola.
 
Se fosse stata padrona del corpo nel quale si trovava probabilmente avrebbe gridato e sarebbe corsa il più lontano possibile. Ma così non era, di conseguenza non poté far altro che continuare a fissare con ribrezzo quel mostro dalle tenaglie grandi e affilate quanto rasoi.
 
Finalmente quel supplizio finì.
 
La visuale si spostò nuovamente a esaminare la gamba ferita. Non c'erano parole per descrivere il dolore che provava, eppure si ritrovò a tentare di rimettersi in piedi anche se a fatica.
 
La gamba in effetti non dava l'impressione di poter reggere da sola il peso del corpo, e così dovette spostarlo sull'altra.
 
«Harry!» gridò una voce. «Stai bene? Ti è caduto addosso?»
 
Solo allora lo sguardo si spostò su di lui. Un ragazzo alto, dai capelli scuri e dai brillanti occhi grigi. La carnagione chiara e lucente esaltava il rossore sulle sue gote probabilmente accentuato dalla battaglia che si era appena tenuta.
 
Elisabeth ne rimase immediatamente affascinata. Perché durante la sua permanenza a Hogwarts non aveva mai avuto modo di incontrarlo? Eppure giudicando dai colori che indossava doveva appartenere alla casa dei Tassorosso.
 
«No» si sentì rispondere con decisione. «Prendila dai» si sentì poi aggiungere. «È tua Cedric, ormai ci sei».
 
Cedric? A Elisabeth parve di aver già sentito quel nome in altre occasioni, ma non riusciva a mettere a fuoco in quale contesto.
 
Lo sguardo si spostò quindi sulla coppa alle spalle del ragazzo. Un trofeo dorato brillava donando un po' di luce a quel luogo reso ancora più cupo dalla leggera foschia che si levava da terra.
 
Cedric scosse la testa. «Prendila tu. Devi vincere, è la seconda volta che mi salvi la vita qui dentro»
 
Il ragazzo si stava comportando in modo molto onesto. Da un lato Elisabeth ne fu sorpresa perché era la prima voce gentile che udiva in tutti i ricordi che aveva rivissuto. Dall'altro lato lo guardava con ammirazione e rispetto.
 
Mentalmente si appuntò di andare a cercare questo "Cedric" non appena fosse ritornata alla "realtà", se così  la si poteva chiamare.
 
«Non è così che funziona» affermò irritato il suo alter ego.
 
Perché Harry sembrava essere così arrabbiato? Elisabeth lo sentiva. Avvertiva la sua seccatura provenire da dentro.
 
«Il primo che raggiunge la coppa prende i punti. E quello sei tu. Ti assicuro che non vincerei nessuna corsa» continuò Harry.
 
«No. Mi hai aiutato, mi hai detto dei draghi» disse esasperato il tassorosso.
 
«Anche tu mi hai aiutato, mi hai detto dell'uovo!»
 
I due discutevano animatamente. A Elisabeth tutto questo sembrava sciocco. Da un lato perché si trovava dibattere in prima persona senza poter minimamente gestire quella conversazione. Dall'altro lato perché ai suoi occhi la soluzione più semplice sembrava chiara.
 
Finalmente anche Harry ci arrivò. «Tutti e due» disse infine il giovane mago.
 
Cedric parve non capire.
 
«La prenderemo nello stesso istante. È sempre una vittoria per Hogwarts e noi finiremo in pari» spiegò.
 
L'altro parve titubante ma alla fine annuì.
 
Entrambi si avvicinarono alla coppa e contemporaneamente l'afferrarono.
 
Elisabeth immediatamente avvertì uno strappo in un punto imprecisato dietro l'ombelico e i suoi piedi si staccarono da terra. Il trofeo la stava trascinando in alto in un ululato di vento e in un vortice di colori, con Cedric al suo fianco.
 
---
 
Accadde qualcosa. Elisabeth non seppe spiegarlo. La sensazione che aveva provato era diversa da quella provata in precedenza nel passaggio da un ricordo all'altro.
 
Quando i suoi piedi toccarono terra, accanto a lei  continuava ad esserci il tassorosso.
 
"È lo stesso ricordo. Non è cambiato" realizzò.
 
Non appena il peso si spostò sulla gamba ferita quest'ultima cedette trascinandola nuovamente a terra.
 
Cedric la aiutò ad alzarsi. Aveva l'aria altrettanto spaesata alla vista del luogo nel quale erano capitati: un cimitero buio e abbandonato. «A te qualcuno aveva detto che la coppa era una passaporta?» chiese.
 
«No» rispose l'alter ego di Elisabeth. «Questo dovrebbe far parte della prova?»
 
«Non lo so. Che dici, tiriamo fuori le bacchette?» propose l'altro.
 
Elisabeth si trovò ad annuire e a estrarre la propria dalla tasca.
 
La tensione era palpabile. Qualcosa non era andato come doveva, e questo sembrava essere evidente a entrambi.
 
A un certo punto il silenzio venne interrotto da alcuni passi.
 
Una sagoma oscura stava avanzando a passo deciso tra le tombe. Tra le braccia sosteneva qualcosa.
 
O forse qualcuno visto che il fagotto di abiti sembrava fasciare un neonato.
 
Lo strano individuo si fermò davanti a una tomba a pochi metri da loro.
 
A Elisabeth le si gelò il sangue.
 
>TOM RIDDLE<
 
Non poteva essere. Non doveva essere.
 
Tutto ma non questo. Elisabeth non si sentiva pronta per incontrarlo. Non si sentiva pronta per vederlo.
 
È vero. Ogni notte se lo ritrovava nei suoi incubi, ma in ognuno di questi assisteva agli accadimenti in prima persona, e per lo più si trattava di ricordi di quand'era bambino. Ricordi di quando la sua malvagità non si era ancora manifestata o pienamente espressa.
 
Ma vederlo. Incrociare il suo sguardo. Era tutta un'altra cosa.
 
La ragazza pregò di con tutto il suo cuore di svegliarsi da quello stato di trance prima che fosse troppo tardi, ma per quanto si sforzasse non avvertì mutamenti.
 
E poi, senza preavviso, la cicatrice esplose di dolore. Un male che Elisabeth non aveva mai provato prima e che costrinse il suo alter ego a mollare la bacchetta per portare entrambe le mani verso il viso come a voler contenere un qualcosa che non poteva essere contenuto. Le ginocchia cedettero mentre la testa sembrava volersi spaccare in due.
 
Infine una voce, la sua voce, si conficcò nell'aria tagliando il silenzio come solo la più affilata delle lame avrebbe potuto fare.
 
«Uccidi l'altro»
 
Fredda, acuta e terrificante come la morte.
 
La stessa morte che abbandonò la bacchetta di Codaliscia circondata da una luce verde smeraldo sotto le parole di «Avada Kedavra» e che in seguito colpì Cedric in pieno petto portandolo con sé lontano dal mondo e lontano da tutto.
 
Il dolore si intensificò mescolandosi alla disperazione.  La disperazione si mescolò con l'unica immagine che Elisabeth riusciva a vedere. L'immagine che ritraeva lo sguardo senza vita di Cedric Diggory.
 
---
 
L'urlo riecheggiò in tutta la stanza.
 
Per diversi secondi Elisabeth non riuscì a smettere di gridare così come non riuscì a trattenere le lacrime che, infime, si erano insinuate ai lati degli occhi.
 
Fu uno sforzo incredibile per lei trattenerle e rimandarle indietro da dove erano venute.
 
Davanti a lei lo sguardo vagamente sorpreso di Piton che ancora teneva la bacchetta alzata.
 
Non era certa se la sorpresa fosse dovuta al fatto che aveva interrotto l'incantesimo o se, invece, era dovuta all'urlo agghiacciante che aveva lanciato.
 
Tuttavia il professore si ricompose velocemente. «Davvero commovente» commentò con scarsa partecipazione e abbassando la bacchetta.
 
Elisabeth non aveva nemmeno la forza di ribattere. Davanti a lei non riusciva a vedere altro che il corpo steso a terra di Cedric Diggory. Per quanto si sforzasse non riusciva a scacciare quell'immagine.
 
«Si suppone, signor Potter, che lei debba cercare di interrompere l'incantesimo per evitare che il nemico si insinui nella sua mente. Ciò che ha fatto, al contrario, è immergersi nei suoi stessi ricordi» precisò Piton. «La lezione per oggi è finita» aggiunse liberandola, con un gesto della mano, dall'incantesimo che la teneva bloccata alla sedia.
 
Dopo essere rimasta ferma e incapace di muoversi per qualche secondo, la ragazza si alzò e - senza dire una parola - uscì dalla stanza.

--- Fine Capitolo 15 ---


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