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Autore: Leliwen    16/10/2012    6 recensioni
Stiles reclinò per un istante la testa all'indietro, andando a posarla sulla spalla del licantropo, e respirò profondamente, ad occhi serrati e labbra dischiuse.
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Capitolo VI
Rinforzi

Gli artigli penetrarono nella carne, slabbrando i tessuti, tagliando i nervi. Sentì la licantropo uggiolare saltando di lato, prima di venir attaccato dall'altro che, con una zaffata di pino nero, gli si avventò addosso, grinfie e morso pronti all'attacco.

Derek scivolò di schiena, puntò un piede contro il ventre del lupo e lo catapultò contro la donna che si stava rialzando, la ferita già parzialmente assorbita.

Isaac uggiolava di dolore, Peter ringhiava infuriato, Scott si era appena aggrappato all'Alfa nel tentativo di gettarlo a terra.

Parò un assalto con la sinistra, stringendo il polso possente e peloso tra le dita, cercando di rompere l'osso, schivò il colpo di lei, girò su se stesso per evitare quello di lui, facendo perno sul braccio che finalmente si spezzò. Lei gli fu addosso, contro la schiena, una gamba enorme a bloccargli il braccio contro il petto, una zampa ad afferrargli il muso deformato dalla trasformazione, l'altra elevata per sferrare il colpo.

Un primo colpo di pistola.

Lei s'immobilizzò l'attimo necessario perché lui si ribaltasse di schiena, schiacciandola contro un ramo spezzato. S'incontrò con l'altro a metà strada, in un cozzare di muscoli ed artigli. Lei gli fu nuovamente addosso, le fauci spalancate pronte a mordergli la giugulare.

L'odore del sangue era inebriante e nauseante al contempo. Sapeva che era il sangue del suo branco ad essere versato, eppure quell'odore lo spingeva a cercare altro sangue, ad essere ancora più spietato.

Liberò una mano dalla stretta dell'altro licantropo e la tirò indietro, facendo un passo indietro per allontanare il fianco scoperto, ed affondò gli artigli nella spalla di lei.

Non era la furia che doveva prevalere, ora.

Stiles.

Doveva proteggere Stiles.

E il padre di lui. E il proprio branco.

Non era più tempo per la rabbia cieca.

Altri due spari. In rapida successione.

Lei, questa volta, non si spaventò. L'altro licantropo gli storse il braccio che ancora gli bloccava, gli artigli conficcati nella carne. Lei lo morse sul braccio che la stava ferendo prima di assaltargli la giugulare.

Derek non poté far altro che urlare di dolore.

   

Lydia osservava Jackson muoversi per quella casa sconosciuta, prendendo misure e contando porte e finestre e, davvero, non riusciva a capire a cosa tutto quello servisse. Si sentiva spaventata, come lo era stata quando era stata costretta ad aiutare Peter, ma era disturbante il pensiero che fosse Jackson, ora, a renderla inquieta. Aveva provato a chiedere agli altri due cosa stesse succedendo, cosa Jackson stesse facendo, ma nemmeno loro lo sapevano.

Poi lui tornò con dei fogli e un penna.

"Una cuspide per ogni lupo, una linea per ogni cucciolo d'uomo, un quadrato per ogni porta, una tacca per ogni finestra e un cerchio per legare il tutto."

Cantilenò, quasi in trance, mentre tutti gli altri, avvicinatisi al tavolo, lo guardavano eseguire ad occhi chiusi ciò che le parole stavano suggerendo. Lydia sgranò i propri osservando ciò che gli altri pareva non notassero: le iridi di Jackson brillavano, ad intermittenza, di una luce azzurra, intensa, innaturale. Cercando di ritrovare la salivazione provò a parlare, riuscendo a non balbettare troppo.

"Cosa dovrebbe significare?"

"E' un glifo."

Aveva risposto Erica, crollando immediatamente dopo sulla sedia di fronte a Jackson, esausta.

"Serve per proteggere la casa."

Rispose il ragazzo osservando strabiliato il proprio disegno.

"A me sembrano solo un'accozzaglia di segni senza senso."

Boyd recuperò il foglio, osservandolo attentamente.

"Mai visto nulla del genere né da Derek né al vecchio rifugio."

"Tu come puoi conoscerlo? Te l'ha insegnato lui?"

"Oh, andiamo, e quando l'avrebbe fatto? In un sogno? Non si sono più rivisti da quando si è finalmente trasformato."

Lydia li ascoltava solo con una parte del cervello; l'altra, la maggior parte, era occupata a cercare di decifrare l'espressione del proprio ragazzo e le parole mute dal movimento quasi impercettibile delle labbra. Tentativo vano.

Erica sbuffò, riconcentrando tutta l'attenzione su di lei.

"Tenerci all'oscuro non significa rimanere tutto il giorno a girarsi i pollici."

Jackson iniziò a guardarsi intorno freneticamente e Lydia, credendo si sentisse a disagio da quell'interrogatorio, si mise in mezzo.

"Cosa Derek gli abbia detto non è affar nostro: la sola cosa importante è che gli abbia affidato la casa, quindi direi che poiché la momento non siamo esattamente al sicuro, ci conviene fidarci di qualcuno che, per un motivo o per l'altro, può fornirci protezione. Credo sia più comodo agire ora e preoccuparci più tardi, che ne dite?"

Boyd scosse la testa ma poi diede il proprio consenso. Erica sembrava ancora tremendamente scettica, o forse solo gelosa, ma poi annuì convinta.

Lydia cercò allora di attirare l'attenzione di Jackson e, al terzo tentativo, il ragazzo le spiegò cosa farne di quei glifi.

Dovevano essere replicati – uno all'esterno e un all'interno – su ogni porta e ogni finestra. Dopodiché sarebbero stati un po' più al sicuro. Non garantiva l'assoluta inattaccabilità della casa, ma avrebbe impedito ogni tipo di attacco a sorpresa e gli avrebbe fornito un po' di tempo per organizzarsi contro la minaccia.

Jackson e Boyd si occuparono dell'esterno, Erica del piano terra e Lydia del resto della casa. Venti minuti dopo erano nuovamente tutti in salotto.

Erica si tolse una medicazione, la ferita si era quasi del tutto rimarginata. Si mise accanto a Boyd, che ormai riusciva a tenersi in piedi per conto suo, e guardò attentamente Jackson.

"E ora che si fa?"

"Si aspetta che tornino Derek e gli altri o di venire attaccati dagli Alfa."

"Oh, perfetto, programma magnifico."

Jackson si sistemò sul divano con quella sua posa artefatta strafottente e provocante che gli riusciva tanto bene. Alzò un sopracciglio ghignando e guardandola con sufficienza.

"Suggerisci qualcosa di più movimentato? Nelle tue condizioni? Hai lasciato il branco, per poco non hai fatto ammazzare te stessa e il tuo compagno e hai ancora il coraggio di recriminare?"

"Chi diamine ti credi di essere, tu? Solo perché Derek ti ha preso con sé, non significa che tu sia speciale."

Lydia rise, un po' istericamente. Era stanca di tutta quella tensione: sarebbe voluta andare a casa, rintanarsi dentro il letto – possibilmente col proprio fidanzato – e dormire fino al mattino. Invece era bloccata con tre mannari che stavano cercando di sembrare più importanti di quanto in realtà non fossero.

"Oh, beh, considerata la furia con cui è uscito, credo proprio che l'unica persona che Derek consideri speciale è Stiles, quindi sarebbe il caso di smettere di litigare su questo punto."

Gli altri l'osservarono stupiti, ma non dissero una parola per molto tempo. E Lydia ringraziò ogni entità conosciuta per quella tregua.

   

Scott si volse immediatamente verso il rumore degli spari e verso l'urlo disperato di Stiles. Gerard stava bloccando il braccio dello sceriffo verso l'alto e la pistola aveva colpito a vuoto. Si ricordava perfettamente il male di un colpo di pistola ma sapeva anche che contro Gerard, nonostante fosse stato appena morso, non aveva avuto l'effetto sperato. Forse il fatto che fosse già stato morso da Derek gli aveva in qualche modo già iniziato la trasformazione e una volta che il corpo s'era liberato dell'aconito ora reagiva più velocemente al morso di un altro Alfa.

Non aveva idea di cosa fosse successo, ma aveva fatto un casino, se ne rendeva conto solo ora.

Un manrovescio lo lanciò contro un tronco, annebbiandogli per un attimo la vista.

Derek si stava liberando del lupo che gli immobilizzava un braccio e aveva iniziato a scrollarsi la lupa che l'aveva aggredito da dietro attaccandolo alla giugulare. Erano uno spettacolo spaventoso.

Vide Stiles fa rimbalzare gli occhi da suo padre a Derek e in quel momento decise.

E vide Isaac approvare la sua decisione lanciandosi di potenza contro l'Alfa, nonostante avesse ferite più gravi delle sue. Derek gli aveva ordinato di occuparsi di Stiles.

S'abbatté contro Gerard, staccandolo dallo sceriffo e iniziarono a rotolare sulle foglie secche.

Fu in quel momento che sentì l'urlo di Stiles.

Seguito da quello disperato dello sceriffo.

   

Stiles vide Scott gettarsi su Gerard. Fece appena in tempo a tirare un sospiro di sollievo nel vedere suo padre alzarsi, che una palla di pelo munita di zanne e artigli lo scaraventò a terra.

Il panico s'abbatté su di lui come uno tzunami, lasciandolo boccheggiante, le mani protese nel tentativo di difendersi da quegli artigli che gli stavano lacerando la pelle. Rotolò su se stesso, col lupo che tentava di morderlo, dilaniarlo, farlo a pezzi.

Meglio la morte, pensò con un lampo di lucidità. Non voleva esser reclamato da quell'Alfa, chiunque esso fosse. Non sentiva più le urla o i rumori di chi lo circondava, solo in raspare di gola del licantropo sopra di lui e l'odore del suo fiato.

Poi, d'un tratto, aria fresca.

Sbatté le palpebre un paio di volte e rotolò su un fianco, per alzarsi con più facilità: aveva sicuramente qualche osso incrinato – se non addirittura rotto – e le mani erano sporche di sangue – il proprio sangue.

Alzò lo sguardo e vide Derek, davanti a lui, in sua protezione. Il licantropo che l'aveva attaccato giaceva scomposto qualche metro più in là mentre un altro lo stava, ora, fronteggiando. Si alzò traballante sulle gambe e il corpo del lupo gli si spinse contro, quasi ad indicargli di tornare a terra.

La mano di Stiles finì nel pelo scuro di Derek, impiastricciandosi di sangue fresco. Lo osservò meglio e sotto la luce lunare intravide il riflesso scarlatto imbrattargli il pelo in più punti.

"ISAAAC!!!"

L'urlo lontano di Peter diede il via all'ultimo duello.

Nell'istante in cui Stiles alzava gli occhi, cercando di scandagliare il buio davanti a sé, i due lupi partirono all'attacco, cozzando a meno di due metri da dove si trovava.

Fu come se tutto viaggiasse al rallentatore. Si sentì urlare il nome dell'Alfa mentre sentiva colpi di pistola e vedeva dardi conficcarsi nell'ammasso di carni davanti a sé.

Erano arrivati i cacciatori.

   

Si erano spostati in cucina per cercare qualcosa di commestibile da mangiare. Ovviamente, l'idea di chiamare un fattorino per le pizze era stata immediatamente bocciata come quella di mandare qualcuno a comprarne. Il frigo era vuoto, ma nella dispensa c'erano un po' di sottolio e sottaceto con cui avrebbero potuto cucinare qualcosa di commestibile.

Jackson stava tirando giù una scatola di riso, imponendosi di pensare ad altro, quando le braccia di Lydia andarono a circondargli la vita.

"Che succede?"

Aveva sbuffato per fingersi scocciato dal comportamento appiccicoso della propria ragazza.

"Vuoi raccontarmi come facevi ad essere a conoscenza di quel glifo?"

"Perché vuoi saperlo? Non ti fidi nemmeno tu?"

Si era immediatamente allontanato da quelle braccia, sentendosi quasi scottato. Era stanco di non esser parte di qualcosa, di non esser creduto, di avere sempre paura di essere sbagliato.

Stava per perdere il controllo, gli occhi lampeggiavano bagliori azzurri, ma il ricordo del calore dell'abbraccio del suo Alfa lo fece calmare.

Voleva che Lydia gli credesse, voleva che lei non lo guardasse come un oggetto da mostrare, che per lei fosse importante… ma aveva altrettanta paura di quei desideri, di ciò che era, di chi era.

La voce della sua ragazza lo riportò alla realtà, all'acqua che bolliva sul fuoco, alle scatolette ancora da aprire.

"Io mi fido di te. E non so nemmeno perché dovrei fidarmi, dato che non sono mai stata la cosa più importante della tua vita, ma io non posso smettere. Non posso semplicemente decidere di non fidarmi più, o di non amarti più, perché sei parte di me, perché ne abbiamo passate tante. Però sono stanca di essere lasciata, costantemente, all'oscuro. Non posso stare con te, non posso esprimere tutto il mio amore per te, se tu mi nascondi la tua vita, non mi dici quello che pensi, tieni sotto chiave i tuoi sentimenti. Io sono qui. Sono qui per te. Ma vorrei che tu ci fossi per me allo stesso modo, altrimenti che senso ha tutto questo?"

Una lacrima scivolò sul suo viso e Jackson si mosse prima ancora di riuscire a formulare un pensiero, uno qualsiasi.

"Ho visto un bambino…"

Le disse tra i capelli, appoggiandosi al tavolo per evitare di perdere l'equilibrio. Lei lo strinse ma non disse nulla: se l'avesse interrotto, lui non sarebbe riuscito ad andare avanti, di questo ne era certo.

"Aveva i capelli scuri e gli occhi grandi. Credo stesse studiando. Non so chi fosse, ma sento una nostalgia mai provata prima a pensare a lui."

La luce di un mattino illuminava una cucina, anche questo si ricordava. C'era rumore di stoviglie, da qualche parte, ma lui non poteva vedere da dove provenisse quel suono.

"Teneva una matita in mano e su un foglio stava riproducendo per la… non so credo, terza o quarta volta, quel glifo."

Più che una matita sembrava un carboncino. L'odore di bucato appena ritirato attirava di tanto in tanto la sua attenzione, ma subito dopo le dita morbide del bambino gli facevano il solletico e lui tornava a prestare la massima attenzione ai compiti che l'altro stava svolgendo.

Quei ricordi, quel sogno, non aveva senso.

"Una cuspide per me, una per la mamma, una per la zia, perché noi siamo lupi. Una linea dritta per te, che sei ancora un cucciolo d'uomo. Tre quadrati, uno per la porta d'ingresso, uno per la porta in veranda, una per quella sul retro. Devono stare sotto, perché sono quelle più facili da cui entrare. Poi devo fare tutte le tacche per le finestre. E questa volta non devo sbagliare. Contiamo insieme?"

Lydia lo osservò con gli occhi dilatati dallo stupore. Lui le sorrise, crollando subito dopo la testa sulla sua spalla.

"E' ciò che ricordo: lui che impara e io che gli sto vicino e… farfuglio qualcosa, credo. Era prima, molto prima che venissi adottato."

Le mani di Lydia gli finirono tra i capelli e lui non poté fare a meno di abbracciarla, baciarla, perdersi nel sapore inebriante di lei.

"Non è un sogno… non è così?"

Sussurrò appena, ma non fu la voce della propria fidanzata a rispondergli, ma quella di Erica.

"Credo siano ricordi."

"Ma quindi…"

Lydia guardò i due mannari vicino alla porta della cucina. Il riso borbottava nella pentola e ormai doveva esser fatto, ma non importava più a nessuno. Gli occhi di Erica si assottigliarono mentre la comprensione si faceva strada, facendole storcere il naso.

"Sei come Derek. Sei un purosangue."

Gli disse prima di lasciare la cucina sbuffando.




Scusatemi innanzitutto se non ho ancora risposto ai vostri meravigliosissimi commenti: ad un mese di merda non poteva che seguire l'ennesimo inizio settimana di merda, e scusatemi i francesismi ma, davvero, questa volta ci vuole.
Purtroppo, proprio la mia RealLife potrebbe far slittare il prossimo aggiornamento. Spero, con tutto il cuore, di riuscire a ritagliarmi quei dieci minuti al giorno per poter scrivere, ma non so se ne sarò in grado. La cosa renderebbe triste me per prima dato che, finalmente, la storia entra nel vivo!
Detto questo, v'è piaciuto il capitolo? Lo spero davvero tanto! Il punto di vista di Derek si capisce o è troppo incasinato? L'infanzia di Jackson vi intriga?
Fatemi sapere che io, al più presto, cercherò di rispondervi!

PS: scrivendo ho scoperto di detestare un pochino Erica...
  
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