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Autore: millyray    22/10/2012    1 recensioni
Una normalissima lezione di educazione fisica può trasformarsi in qualcosa di molto più... come si potrebbe dire... particolare? quando ti tocca scontare una noiosa punizione con un insegnante molto, molto sexy e attraente, gli ormoni che girano e che ti fanno fare pensieri strani e, soprattutto... tante, tante palle tra le mani ^^.
Cose che nemmeno il divano di fronte alla televisione e un piatto di lasagne possono scontare...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TUTTA COLPA DI QUELLE DANNATE PALLE!

Era tutta colpa di quelle dannate palle!

Lo dico, lo ridico e lo ripeto.

Ma andiamo con ordine e raccontiamo con calma come si sono svolte le cose.

Era stata una mattinata come tutte le altre, le lezioni a scuola sono state noiosissime come sempre e, per dirla con tutta franchezza, non vedevo l’ora che suonasse la campanella dell’ultima ora e avere così il permesso di andarmene a casa, al mio agognato divano di fronte alla televisione e al mio succulento piatto di lasagne che mia mamma mi aveva lasciato in forno.

Sì, una bella prospettiva dopo una lunga mattinata passata a stare seduto nel banco di scuola col culo che perdeva sensibilità ad ogni ora a causa di quella sedia dura come l’acciaio e la mente piena delle voci degli insegnanti che non facevano altro che parlare e spiegare e parlare e spiegare cose di cui, molto spesso, non me ne frega un bel niente.
Senza contare, poi, tutti gli altri miei pensieri che mi vorticavano per la testa. Come la festa di sabato alla quale sarei voluto andare. Sicuramente ci sarebbe stata anche Lara, la ragazza più carina della scuola. Lei di solito non viene alle feste organizzate dai nostri compagni, di solito il sabato sera lo passa con altri amici, quelli più grandi, e vanno a ballare nelle discoteche e a ubriacarsi. Questo almeno lo scrive nei suoi stati di Facebook. Ma non fatico a crederci, in fondo lei è molto carina. Ed è sempre un evento quando partecipa ad una delle nostre feste, tutti i ragazzi le ronzano intorno, anche i nerd più sfigati. E in quel caso sì che c’è da ridere.

Ma forse sto divagando. Non è questo il tema centrale della storia.

Dicevo… non vedevo l’ora di tornare a casa e al mio piatto di lasagne e, per fortuna, i miei desideri stavano per essere realizzati: ancora cinquantacinque minuti e trenta secondi e sarei potuto tornare a casa. Bastava solo che passasse anche l’ora di educazione fisica e sarei stato soddisfatto.
E poi, comunque, non era così pesante. Ginnastica mi piaceva, lo sport in generale mi piaceva, anzi, io ero e sono uno degli atleti più bravi nella squadra di atletica della scuola.

In pochi minuti ci siamo cambiati nello spogliatoio, le ragazze in quello riservato a loro e noi ragazzi nel nostro. Mia madre si era dimenticata di lavarmi la tuta da ginnastica, così quel giorno avevo dovuto indossare i pantaloncini che di solito indosso per correre. Il che, poi, non era un peccato: erano comodi e mi stavano attillati e sapevo di avere un bel pacco dietro che valeva la pena di essere mostrato.

Alla fine siamo arrivati in palestra dove l’insegnante, anzi, il supplente ci stava già aspettando. Questo tipo ha poco più di vent’anni e deve essere fresco di laurea. È nella nostra scuola solo temporaneamente, deve sostituire l’insegnante di educazione fisica che si è infortunato (ha cinquant’anni e va ancora a fare le corse con la moto da cross), rompendosi il bacino.
Comunque sia, nonostante questo, è piuttosto duro e sa fare il suo lavoro.
Ma secondo me tutti gli obbediscono solo per il suo bel fisico. Le ragazze, appena lo vedono, non fanno che sbavargli addosso e guardargli il didietro con risolini e commenti neanche troppo velati.

Ebbene, quel giorno dovevamo giocare a pallavolo e il mio umore, che un pochino si era ristabilito, fece un salto repentino verso il terreno. Non amavo particolarmente quello sport, ma ci sapevo fare. Avrei però preferito una partitina a basket, quantomeno.

Ma va be’, l’insegnante è lui, così mi tocca semplicemente sottostare e mettermi nella squadra alla quale mi aveva assegnato. Aveva diviso in due la classe così da poter fare due squadre e, per distinguerci e sapere in quale squadra eravamo, una doveva indossare le casacche e l’altra no. Io per fortuna ero finito in quella senza, non mi donava particolarmente quel color giallo evidenziatore.

Al suono del fischietto la partita ebbe inizio e riuscimmo a giocare decentemente per dieci minuti. Ma, improvvisamente, la mia squadra ha iniziato a perdere. Io ero uno dei pochi che sapeva giocare a pallavolo come Dio comanda e la mia squadra era costituita quasi interamente da ragazzine urlanti che, anziché prendere la palla, la guardavano volare e si spostavano con facce spaventate per paura di essere colpite. O mangiate.
Chi le capisce è bravo.

Sta di fatto che a questo punto eravamo indietro di sei punti contro l’altra squadra e questo mi dava parecchio fastidio. Detestavo perdere. Non mi interessava se era solo un allenamento e se stavo giocando contro la mia stessa classe, ma detestavo comunque perdere.
Perciò la rabbia e la frustrazione avevano preso ad assalirmi di brutto e avevo constato che, se non avessi preso io in mano la situazione, qui si sarebbe messa male. Peccato che la palla non mi arrivava mai e, quando provavo a recuperare, ormai era troppo tardi e il pallone cadeva a terra.

Toccò all’altra squadra battere, per l’ennesima volta. Kiki fece proprio una bella battuta, d’altronde anche lei faceva parte di quei pochi che sapevano giocare a pallavolo (che, guarda caso, erano finiti tutti proprio nella sua squadra, uff) e la palla volò dritta verso il nostro campo.
Non appena superò la rete, la compagna che mi stava davanti gridò: “Mia!” e si slanciò a colpirla. Ma io, stanco di starmene lì impalato a guardare la mia squadra perdere, ero già partito per recuperarla, nello stesso esatto momento della ragazza.
Mi sarei potuto fermare, certo, ma l’adrenalina e la stanchezza di vedere la palla cadere continuamente nel nostro campo mi avevano afferrato e, perciò, senza neanche fare troppo caso a quello che stavo facendo, feci un salto spingendo via la mia compagna e riuscii a colpire la palla e a mandarla al di là della rete.

Dall’altra parte nessuno la prese, anche se avrebbero potuto. L’insegnante, invece, aveva suonato il fischietto e, soltanto allora, mi resi conto di quello che avevo fatto: dietro di me, la compagna che voleva colpire la palla, sedeva per terra con sguardo dolorante e si teneva tra le mani un ginocchio sanguinante. Io sgranai gli occhi, mentre quelli dei miei compagni si puntavano su di me lanciandomi occhiate malevole.

Giuro che non l’avevo fatto apposta, sapevo di averla colpita un po’ col braccio ma non credevo così forte da averla fatta cadere.

“Stai bene?” le chiese l’insegnante avvicinandosi col suo passo sicuro e sculettante.

Francy, la ragazza a terra, annuì semplicemente, con sguardo vacuo, non saprei dire se era perché le faceva male il ginocchio o perché si era persa ad ammirare l’insegnante.

“D’accordo, ragazzi!” esclamò di nuovo il prof, questa volta parlando a tutti. “La lezione è finita. Potete andare a cambiarvi”.

Oh, questa sì che era una bella notizia! Non mi ero neanche reso conto che l’ora era già passata.

I miei compagni, stanchi e fiacchi, cominciarono a dirigersi verso gli spogliatoi e io feci per seguirli.

Ma un dito indice del professore puntato contro di me mi fece fermare.

“Tu no! Sei in punizione! Metterai in ordine tutti i palloni del magazzino dopo averli contati. E domani chiederai scusa alla tua compagna”.

Io rimasi boccheggiante e spalancai gli occhi.
Cosa? Solo perché per sbaglio, e sottolineo per sbaglio, avevo spinto una mia compagna? Ma non era giusto! Questa si chiamava dittatura, era un’ingiustizia vera e propria! Capirei se l’avessi fatto apposta, ma insomma… ero anche dispiaciuto. Non ero di certo un bullo e non facevo male alla gente di proposito.
Ok, magari io potevo anche fermarmi ed evitare di fare tutto quel macello, ma diamine!, la mia squadra stava perdendo.
E poi lui chi cazzo si credeva di essere per mettere me in punizione, impedendomi così di tornare a casa per il pranzo, al mio agognato divano e al mio piatto di lasagne? Era solo uno stupidissimo supplente.

“Ma… ma io…”. Feci per protestare, ma l’insegnante mi zittì con uno sguardo raggelante. Ok, era giovane ma sapeva come terrorizzare o affascinare gli studenti.

“Niente ma. La competitività va bene fino ad un certo punto, ma bisogna anche saper perdere”. Mi rabbonì lui.

E così, non potendo fare altro, mi diressi al magazzino adiacente alla palestra e osservai con sguardo sconsolato tutto il disordine che c’era, cercando di non inalare troppa puzza che proveniva dagli oggetti lì dentro che ormai dovevano star prendendo la muffa a forza di stare lì senza essere usati. Infatti erano pochi gli attrezzi e gli oggetti della palestra che usavamo.

Il supplente mi portò un foglio di carta e una penna per appuntare tutto ciò che contavo, intanto che io lo maledivo in tutte le lingue che conoscevo.
Lo odiavo, sì, lo odiavo. Se prima mi stava indifferente adesso lo odiavo e niente e nessuno avrebbe potuto farmi cambiare idea. Non importava se era un bravo insegnante e se aveva un bel faccino, io lo odiavo. 

Di malavoglia iniziai a contare i palloni da basket, molto, molto lentamente. Ma se continuavo di quel passo a casa ci sarei tornato quella sera.
Però non avevo proprio nessunissima voglia di contare e mettere in ordine tutto quel macello. Ma insomma, perché la gente non è in grado di riporre le cose come si deve quando finisce di utilizzarle?
E poi io non ero in grado di riordinare nemmeno la mia stanza, figuriamoci i palloni e gli attrezzi della palestra.

Voltai il capo verso la palestra e vidi che l’insegnante stronzo era ancora seduto alla cattedra a leggere dei fogli con una penna in mano.
Rimasi un attimo a osservare il suo profilo e, d’improvviso, mi resi conto che non ricordavo il suo nome. Doveva essere qualcosa con la m. Forse Matteo o Mattia. No, un attimo… Marco. Sì, Marco! Sì chiamava Marco.
Al cognome non ci pensavo proprio, figuriamoci se riuscivo a ricordare quello.

Tornai ai palloni, adesso era il turno di quelli da pallamano. Ma, dopo poco, riportai di nuovo lo sguardo sull’insegnante. C’era come una specie di calamita che attirava il mio sguardo verso di lui.
Ok, lo ammetto: anche io, quando l’avevo visto la prima volta, avevo pensato che fosse proprio attraente e sexy. Ma poi, un po’ perché mi sono abitato a vederlo e un po’ perché non stavo a guardarlo così tanto in ogni suo dettaglio, avevo concluso che in realtà non era poi sto granché.

Ma adesso che lo vedevo meglio dovevo ricredermi.
Così chino sulla scrivania, i muscoli delle braccia tesi, i capelli scuri e spettinati che leggermente gli ricadevano sulla fronte segnata da un paio di rughe di concentrazione, le gambe lunghe coperte da una tuta che gli donava parecchio incrociate sotto al tavolo. E poi aveva gli occhi azzurri e a me piacevano gli occhi azzurri.
La mia prima ragazza aveva gli occhi azzurri, era per questo che mi ero innamorato di lei.

Ora, vi chiederete: come mai un ragazzo fa commenti di apprezzamento verso un altro essere di sesso maschile? Be’, non c’è niente di strano, sono bisex, anche se non amo molto queste etichette.
Devo dire di aver fatto più esperienze con le ragazze, però, anche se una volta avevo accompagnato la mia amica Kiki in un locale lgbt ed è finito che quella sera, sia perché ero mezzo ubriaco, sia perché ero parecchio eccitato di mio, mi ero fatto fare un pompino da un tipo di cui neanche ricordo la faccia. E mi era piaciuto.
Ma in realtà, mi sono reso conto che mi piacciono anche i maschi già parecchio tempo prima.
E la cosa non mi aveva affatto sconvolto, come qualcuno potrebbe pensare.
Ho una mentalità abbastanza aperta io. Ovviamente, però, non lo vado a dire in giro. Insomma, ho una reputazione da difendere.
Cioè, non è che mi importa molto di quello che pensa la gente, però non vorrei attirarmi troppi guai. E questo mondo è ancora troppo pieno di bigotti omofobi.

All’improvviso, l’insegnante tira un colpo di tosse e si butta sullo schienale della sedia. Io volto il cado di scatto, tanto che per poco non mi stiro il collo e cerco di tornare alle mie palle.
Però sento parecchio caldo, come se qualcuno avesse alzato di colpo il riscaldamento. Credo di essere diventato pure rosso e sentivo una strana sensazione addosso, una specie di formicolio in tutto il corpo.
La rabbia e l’odio che provavo nei confronti del prof. era scemata di colpo. Mi sentivo il suo sguardo addosso, mentre brividi di caldo mi percorrevano tutta la schiena.

Ma che mi prendeva?

Riprovai a concentrarmi sulle palle. Sette palle, otto palle, nove palle, dieci palle… palle, palle, palle…
La mano mi scivolò sulle mie di palle.

Maledizione! Tutti quegli ormoni non aiutavano di certo.

Il mio sguardo tornò di nuovo sull’insegnante e ora mi sembrava ancora più sexy e attraente. Ma com’è che lo notavo solo ora? Anzi, perché lo stavo notando proprio ora?!!
Quello, però, di nuovo si muove e decide di alzarsi dalla sedia, forse per sgranchirsi le gambe.
Mi resi conto troppo tardi che si stava dirigendo verso di me e, allora, impallidii.

Feci finta di star scrivendo qualcosa sul foglio, mentre lui mi passava accanto e andava al fondo del magazzino. Si mise a frugare tra le racchette e io cercai di ritrovare un contegno.

Decisi di alzarmi dal pavimento, forse un po’ di movimento mi avrebbe aiutato a far calmare questi ormoni e l’eccitazione, sì, ormai dovevo ammettere che di quella si trattava, che mi premeva tra le gambe.

Mi chinai quasi a novanta gradi verso uno scatolone per contare le palline da tennis, però, quando mi raddrizzai, andai a sbattere contro qualcosa dietro di me. Voltandomi, vidi che si trattava proprio del supplente e il mio cuore perse qualche battito.

“Non sei neanche a metà. Dovresti sbrigarti se vuoi tornare a casa presto”. Disse lui con voce roca. In realtà non badai molto a quello che mi avevo detto, quanto più al tono che aveva usato: caldo, sensuale… arrapante.

Oh mio Dio! A lezione non usava mai quel tono. O forse ero solo io che lo sentivo. E in quel momento mi resi conto anche di quanto fossimo vicini. La sua faccia era a dieci centimetri dalla mia e… mi teneva una mano sul fianco.
Perché mi teneva una mano sul fianco?

Io però non riuscivo a spostare il mio sguardo dal suo, i miei occhi stavano percorrendo tutto il suo corpo: le labbra morbide e gonfie, il pomo d’adamo prominente, i pettorali che si intravedevano sotto la maglia attillata. Avrei persino voluto poggiargli le mani sul sedere per sentire che consistenza avesse quella sua parte del corpo tanto ammirata dalle ragazze.

Solo in un secondo momento, ma proprio vagamente, mi chiesi perché diamine pure lui se ne stesse fisso immobile come un baccalà a fissarmi, mentre c’era un sacco di spazio nel quale poteva passare. E non accennava a togliere la mano dal mio fianco.

Cominciò ad avvicinare il viso al mio, o forse io al suo, non ricordo. Sta di fatto che, dopo neanche dieci secondi, eravamo avvinghiati l’uno all’altro, a baciarci appassionatamente, le sue mani sotto la mia maglietta a graffiarmi la schiena e le mie strette sulle sue natiche.
Le nostre lingue si riconcorrevano per trovarsi quasi immediatamente e iniziare un frenetico gioco in cui entrambi eravamo le parti dominanti. Sembravamo due amanti che non si vedevano da un sacco di tempo, o semplicemente due amanti in calore. Be’, in calore lo eravamo.

Non mi rendevo conto proprio del tutto di quello che stava succedendo, mi sembrava di vivere la scena di un film o di essere in un sogno. Però mi piaceva e non volevo pensare ad altro.
Eravamo soli noi due, in uno stretto magazzino pieno di oggetti anche abbastanza doppio sensisti, sudati e accaldati. Non ci preoccupavamo che qualcuno potesse entrare e vederci. Dovevamo avere i cervelli del tutto scollegati. Solo il corpo era attivo.
La scuola, dopotutto, doveva essere quasi vuota.

Ci staccammo solo il tempo necessario per toglierci le magliette e poi tornammo avvinghiati. Io gli salii a cavalcioni, le gambe attorno ai suoi fianchi e questa volta era lui a tenermi per il sedere.

Dopo un po’ mi mise giù per abbassarmi i pantaloni e glielo lasciai fare.
Solo oggi mi chiedo come non mi preoccupassi assolutamente di quello che stava per avvenire, come mai non avessi paura, né niente. Solo adrenalina e tanta eccitazione. 

Mi toccò il sesso già duro e rigido e poi mi girò a dargli le spalle. Io mi appoggiai al bordo dello scatolone e lui mi avvolse i fianchi con le braccia, prendendo a mordere e leccare la mia schiena.

Ero completamente nudo davanti al mio insegnante di educazione fisica.
Stavo per fare sesso col mio insegnante di educazione fisica ed era la prima volta che lo facevo con un altro maschio.
E non me ne preoccupavo.

Di solito non sono un tipo che si preoccupa, non lo sono mai stato. Ma avere almeno un po’ di paura sarebbe stato logico. Magari ne avevo, può darsi che adesso non ricordi. Ma l’eccitazione sicuramente dominava su tutto il resto.

Ad un tratto, sentì qualcosa perforare la mia apertura. Avrei voluto lanciare un urlo, o magari un ululato per quanto dolore provai, ma mi trattenni. Non volevo mica apparire debole. Sopportai così per un altro paio di spinte, mordendomi la lingua, ma poi arrivò il piacere, forte, invadente, passionale e doloroso.
Ma pur sempre piacere.

Lui spingeva contro di me e io contro di lui. Non ci eravamo messi d’accordo su chi avrebbe fatto l’attivo ma mi andava bene così.
Io ansimavo e gemevo, cercando di non farmi sentire troppo. Non avrei voluto che qualche bidello accorresse preoccupato per i rumori strani che sentiva. Avevo il sudore che mi colava dalla fronte e le lacrime agli occhi che il dolore iniziale mi aveva procurato. Le palline da tennis dentro lo scatolone sul quale mi reggevo mi apparivano sfocate e non sembravano più palline.    

Io e l’insegnante di educazione fisica in uno sgabuzzino da soli pieno di oggetti equivoci
Due giovani maschi gay e attraenti pieni di ormoni in uno spazio stretto e angusto.

La situazione era equivoca fin dall’inizio.

Altre poche spinte ed entrambi raggiungemmo l’orgasmo. Quanto ci avremmo messo a venire? Poco più di cinque minuti?

I nostri gemiti si calmarono. Sì, anche lui aveva ansimato, lo sentii quando il mio battito cardiaco si era calmato un po’. Eravamo senza fiato, come se avessimo appena finito di correre una maratona.

Una volta recuperate le forze, mi voltai verso di lui. Mi stava guardando in modo strano, ma non riuscivo a capire se si rendeva conto di quello che era appena successo. 
Io ero minorenne e per di più un suo studente. Se qualcuno lo avesse scoperto le cose non sarebbero finite bene, non per lui.

Mi venne in mente solo in quel momento. Mi venne in mente tutto quello a cui prima non avevo pensato.
Ma come potevo affrontare la situazione? Non avevo nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia.

Così feci la cosa che mi pareva essere la più buona e sensata in quel momento, la classica via d’uscita: mi infilai in fretta i pantaloni, presi al volo la maglietta e, senza nemmeno infilarmela, uscii di corsa dal magazzino e dalla palestra, completamente dimentico che non avevo ancora finito di contare le palle.

Ma chi se ne importava. D’altronde, era iniziato tutto per colpa di quelle dannate palle!!

Lo devo ammettere, però: era stata la scopata più bella che io abbia mai fatto fino ad ora.

 

 

MILLY’S SPACE

Ehehehe, quando la perversione attacca è inutile cercare di sconfiggerla ^^.

Questa storia mi è venuta in mente proprio dopo l’ora di educazione fisica, quando io e un’altra mia compagna avevamo dovuto contare e mettere in ordine tutti i palloni che c’erano nel magazzino XD chiaramente, però, non avevamo concluso come hanno fatto i due protagonisti xD Quindi, non fatevi strane idee u.u

Spero vi piaccia, non voleva essere niente di pretenzioso questa storia, solo un piccolo sfogo di una ragazza piena di ormoni fissata con lo yaoi. : )

Lasciatemi qualche commento e venite a visitare la pagina Facebook dedicata alle mie fanfic http://www.facebook.com/MillysSpace

Un bacio e buona serata,

Milly.

  
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