TUTTA
COLPA DI QUELLE DANNATE PALLE!
Era
tutta colpa di quelle dannate palle!
Lo
dico, lo ridico e lo ripeto.
Ma
andiamo con ordine e raccontiamo con calma come
si sono svolte le cose.
Era
stata una mattinata come tutte le altre, le
lezioni a scuola sono state noiosissime come sempre e, per dirla con
tutta
franchezza, non vedevo l’ora che suonasse la campanella
dell’ultima ora e avere
così il permesso di andarmene a casa, al mio agognato divano
di fronte alla
televisione e al mio succulento piatto di lasagne che mia mamma mi
aveva
lasciato in forno.
Sì,
una bella prospettiva dopo una lunga mattinata
passata a stare seduto nel banco di scuola col culo che perdeva
sensibilità ad
ogni ora a causa di quella sedia dura come l’acciaio e la
mente piena delle voci
degli insegnanti che non facevano altro che parlare e spiegare e
parlare e
spiegare cose di cui, molto spesso, non me ne frega un bel niente.
Senza contare, poi, tutti gli altri miei pensieri che mi vorticavano
per la
testa. Come la festa di sabato alla quale sarei voluto andare.
Sicuramente ci
sarebbe stata anche Lara, la ragazza più carina della
scuola. Lei di solito non
viene alle feste organizzate dai nostri compagni, di solito il sabato
sera lo
passa con altri amici, quelli più grandi, e vanno a ballare
nelle discoteche e
a ubriacarsi. Questo almeno lo scrive nei suoi stati di Facebook. Ma
non fatico
a crederci, in fondo lei è molto carina. Ed è
sempre un evento quando partecipa
ad una delle nostre feste, tutti i ragazzi le ronzano intorno, anche i
nerd più
sfigati. E in quel caso sì che c’è da
ridere.
Ma
forse sto divagando. Non è questo il tema
centrale della storia.
Dicevo…
non vedevo l’ora di tornare a casa e al mio
piatto di lasagne e, per fortuna, i miei desideri stavano per essere
realizzati: ancora cinquantacinque minuti e trenta secondi e sarei
potuto
tornare a casa. Bastava solo che passasse anche l’ora di
educazione fisica e
sarei stato soddisfatto.
E poi, comunque, non era così pesante. Ginnastica mi
piaceva, lo sport in
generale mi piaceva, anzi, io ero e sono uno degli atleti
più bravi nella
squadra di atletica della scuola.
In
pochi minuti ci siamo cambiati nello spogliatoio,
le ragazze in quello riservato a loro e noi ragazzi nel nostro. Mia
madre si
era dimenticata di lavarmi la tuta da ginnastica, così quel
giorno avevo dovuto
indossare i pantaloncini che di solito indosso per correre. Il che,
poi, non
era un peccato: erano comodi e mi stavano attillati e sapevo di avere
un bel
pacco dietro che valeva la pena di essere mostrato.
Alla
fine siamo arrivati in palestra dove
l’insegnante, anzi, il supplente ci stava già
aspettando. Questo tipo ha poco
più di vent’anni e deve essere fresco di laurea.
È nella nostra scuola solo
temporaneamente, deve sostituire l’insegnante di educazione
fisica che si è
infortunato (ha cinquant’anni e va ancora a fare le corse con
la moto da
cross), rompendosi il bacino.
Comunque sia, nonostante questo, è piuttosto duro e sa fare
il suo lavoro.
Ma secondo me tutti gli obbediscono solo per il suo bel fisico. Le
ragazze,
appena lo vedono, non fanno che sbavargli addosso e guardargli il
didietro con
risolini e commenti neanche troppo velati.
Ebbene,
quel giorno dovevamo giocare a pallavolo e il
mio umore, che un pochino si era ristabilito, fece un salto repentino
verso il
terreno. Non amavo particolarmente quello sport, ma ci sapevo fare.
Avrei però
preferito una partitina a basket, quantomeno.
Ma
va be’, l’insegnante è lui,
così mi tocca semplicemente
sottostare e mettermi nella squadra alla quale mi aveva assegnato.
Aveva diviso
in due la classe così da poter fare due squadre e, per
distinguerci e sapere in
quale squadra eravamo, una doveva indossare le casacche e
l’altra no. Io per
fortuna ero finito in quella senza, non mi donava particolarmente quel
color
giallo evidenziatore.
Al
suono del fischietto la partita ebbe inizio e
riuscimmo a giocare decentemente per dieci minuti. Ma, improvvisamente,
la mia
squadra ha iniziato a perdere. Io ero uno dei pochi che sapeva giocare
a
pallavolo come Dio comanda e la mia squadra era costituita quasi
interamente da
ragazzine urlanti che, anziché prendere la palla, la
guardavano volare e si
spostavano con facce spaventate per paura di essere colpite. O
mangiate.
Chi le capisce è bravo.
Sta
di fatto che a questo punto eravamo indietro di
sei punti contro l’altra squadra e questo mi dava parecchio
fastidio. Detestavo
perdere. Non mi interessava se era solo un allenamento e se stavo
giocando
contro la mia stessa classe, ma detestavo comunque perdere.
Perciò la rabbia e la frustrazione avevano preso ad
assalirmi di brutto e avevo
constato che, se non avessi preso io in mano la situazione, qui si
sarebbe
messa male. Peccato che la palla non mi arrivava mai e, quando provavo
a
recuperare, ormai era troppo tardi e il pallone cadeva a terra.
Toccò
all’altra squadra battere, per l’ennesima
volta. Kiki fece proprio una bella battuta, d’altronde anche
lei faceva parte
di quei pochi che sapevano giocare a pallavolo (che, guarda caso, erano
finiti
tutti proprio nella sua squadra, uff) e la palla volò dritta
verso il nostro
campo.
Non appena superò la rete, la compagna che mi stava davanti
gridò: “Mia!” e si
slanciò a colpirla. Ma io, stanco di starmene lì
impalato a guardare la mia
squadra perdere, ero già partito per recuperarla, nello
stesso esatto momento
della ragazza.
Mi sarei potuto fermare, certo, ma l’adrenalina e la
stanchezza di vedere la
palla cadere continuamente nel nostro campo mi avevano afferrato e,
perciò,
senza neanche fare troppo caso a quello che stavo facendo, feci un
salto
spingendo via la mia compagna e riuscii a colpire la palla e a mandarla
al di
là della rete.
Dall’altra
parte nessuno la prese, anche se
avrebbero potuto. L’insegnante, invece, aveva suonato il
fischietto e, soltanto
allora, mi resi conto di quello che avevo fatto: dietro di me, la
compagna che
voleva colpire la palla, sedeva per terra con sguardo dolorante e si
teneva tra
le mani un ginocchio sanguinante. Io sgranai gli occhi, mentre quelli
dei miei
compagni si puntavano su di me lanciandomi occhiate malevole.
Giuro
che non l’avevo fatto apposta, sapevo di
averla colpita un po’ col braccio ma non credevo
così forte da averla fatta
cadere.
“Stai
bene?” le chiese l’insegnante avvicinandosi
col suo passo sicuro e sculettante.
Francy,
la ragazza a terra, annuì semplicemente, con
sguardo vacuo, non saprei dire se era perché le faceva male
il ginocchio o
perché si era persa ad ammirare l’insegnante.
“D’accordo,
ragazzi!” esclamò di nuovo il prof,
questa volta parlando a tutti. “La lezione è
finita. Potete andare a
cambiarvi”.
Oh,
questa sì che era una bella notizia! Non mi ero
neanche reso conto che l’ora era già passata.
I
miei compagni, stanchi e fiacchi, cominciarono a dirigersi
verso gli spogliatoi e io feci per seguirli.
Ma
un dito indice del professore puntato contro di
me mi fece fermare.
“Tu
no! Sei in punizione! Metterai in ordine tutti i
palloni del magazzino dopo averli contati. E domani chiederai scusa
alla tua
compagna”.
Io
rimasi boccheggiante e spalancai gli occhi.
Cosa? Solo perché per sbaglio, e sottolineo per sbaglio,
avevo spinto una mia
compagna? Ma non era giusto! Questa si chiamava dittatura, era
un’ingiustizia
vera e propria! Capirei se l’avessi fatto apposta, ma
insomma… ero anche
dispiaciuto. Non ero di certo un bullo e non facevo male alla gente di
proposito.
Ok, magari io potevo anche fermarmi ed evitare di fare tutto quel
macello, ma
diamine!, la mia squadra stava perdendo.
E poi lui chi cazzo si credeva di essere per mettere me in punizione,
impedendomi così di tornare a casa per il pranzo, al mio
agognato divano e al
mio piatto di lasagne? Era solo uno stupidissimo supplente.
“Ma…
ma io…”. Feci per protestare, ma
l’insegnante
mi zittì con uno sguardo raggelante. Ok, era giovane ma
sapeva come
terrorizzare o affascinare gli studenti.
“Niente
ma. La competitività va bene fino ad un
certo punto, ma bisogna anche saper perdere”. Mi
rabbonì lui.
E
così, non potendo fare altro, mi diressi al
magazzino adiacente alla palestra e osservai con sguardo sconsolato
tutto il
disordine che c’era, cercando di non inalare troppa puzza che
proveniva dagli
oggetti lì dentro che ormai dovevano star prendendo la muffa
a forza di stare
lì senza essere usati. Infatti erano pochi gli attrezzi e
gli oggetti della
palestra che usavamo.
Il
supplente mi portò un foglio di carta e una penna
per appuntare tutto ciò che contavo, intanto che io lo
maledivo in tutte le
lingue che conoscevo.
Lo odiavo, sì, lo odiavo. Se prima mi stava indifferente
adesso lo odiavo e
niente e nessuno avrebbe potuto farmi cambiare idea. Non importava se
era un
bravo insegnante e se aveva un bel faccino, io lo odiavo.
Di
malavoglia iniziai a contare i palloni da basket,
molto, molto lentamente. Ma se continuavo di quel passo a casa ci sarei
tornato
quella sera.
Però non avevo proprio nessunissima voglia di contare e
mettere in ordine tutto
quel macello. Ma insomma, perché la gente non è
in grado di riporre le cose
come si deve quando finisce di utilizzarle?
E poi io non ero in grado di riordinare nemmeno la mia stanza,
figuriamoci i
palloni e gli attrezzi della palestra.
Voltai
il capo verso la palestra e vidi che
l’insegnante stronzo era ancora seduto alla cattedra a
leggere dei fogli con
una penna in mano.
Rimasi un attimo a osservare il suo profilo e, d’improvviso,
mi resi conto che
non ricordavo il suo nome. Doveva essere qualcosa con la m.
Forse Matteo o Mattia. No, un attimo… Marco. Sì,
Marco! Sì
chiamava Marco.
Al cognome non ci pensavo proprio, figuriamoci se riuscivo a ricordare
quello.
Tornai
ai palloni, adesso era il turno di quelli da
pallamano. Ma, dopo poco, riportai di nuovo lo sguardo
sull’insegnante. C’era
come una specie di calamita che attirava il mio sguardo verso di lui.
Ok, lo ammetto: anche io, quando l’avevo visto la prima
volta, avevo pensato
che fosse proprio attraente e sexy. Ma poi, un po’
perché mi sono abitato a
vederlo e un po’ perché non stavo a guardarlo
così tanto in ogni suo dettaglio,
avevo concluso che in realtà non era poi sto
granché.
Ma
adesso che lo vedevo meglio dovevo ricredermi.
Così chino sulla scrivania, i muscoli delle braccia tesi, i
capelli scuri e
spettinati che leggermente gli ricadevano sulla fronte segnata da un
paio di
rughe di concentrazione, le gambe lunghe coperte da una tuta che gli
donava
parecchio incrociate sotto al tavolo. E poi aveva gli occhi azzurri e a
me
piacevano gli occhi azzurri.
La mia prima ragazza aveva gli occhi azzurri, era per questo che mi ero
innamorato di lei.
Ora,
vi chiederete: come mai un ragazzo fa commenti
di apprezzamento verso un altro essere di sesso maschile?
Be’, non c’è niente
di strano, sono bisex, anche se non amo molto queste etichette.
Devo dire di aver fatto più esperienze con le ragazze,
però, anche se una volta
avevo accompagnato la mia amica Kiki in un locale lgbt
ed è finito che quella sera, sia perché ero mezzo
ubriaco, sia
perché ero parecchio eccitato di mio, mi ero fatto fare un
pompino da un tipo
di cui neanche ricordo la faccia. E mi era piaciuto.
Ma in realtà, mi sono reso conto che mi piacciono anche i
maschi già parecchio
tempo prima.
E la cosa non mi aveva affatto sconvolto, come qualcuno potrebbe
pensare.
Ho una mentalità abbastanza aperta io. Ovviamente,
però, non lo vado a dire in
giro. Insomma, ho una reputazione da difendere.
Cioè, non è che mi importa molto di quello che
pensa la gente, però non vorrei
attirarmi troppi guai. E questo mondo è ancora troppo pieno
di bigotti omofobi.
All’improvviso,
l’insegnante tira un colpo di tosse
e si butta sullo schienale della sedia. Io volto il cado di scatto,
tanto che
per poco non mi stiro il collo e cerco di tornare alle mie palle.
Però sento parecchio caldo, come se qualcuno avesse alzato
di colpo il riscaldamento.
Credo di essere diventato pure rosso e sentivo una strana sensazione
addosso,
una specie di formicolio in tutto il corpo.
La rabbia e l’odio che provavo nei confronti del prof. era
scemata di colpo. Mi
sentivo il suo sguardo addosso, mentre brividi di caldo mi percorrevano
tutta
la schiena.
Ma
che mi prendeva?
Riprovai
a concentrarmi sulle palle. Sette palle,
otto palle, nove palle, dieci palle… palle, palle,
palle…
La mano mi scivolò sulle mie di palle.
Maledizione!
Tutti quegli ormoni non aiutavano di
certo.
Il
mio sguardo tornò di nuovo sull’insegnante e ora
mi sembrava ancora più sexy e attraente. Ma
com’è che lo notavo solo ora? Anzi,
perché lo stavo notando proprio ora?!!
Quello, però, di nuovo si muove e decide di alzarsi dalla
sedia, forse per
sgranchirsi le gambe.
Mi resi conto troppo tardi che si stava dirigendo verso di me e,
allora,
impallidii.
Feci
finta di star scrivendo qualcosa sul foglio,
mentre lui mi passava accanto e andava al fondo del magazzino. Si mise
a frugare
tra le racchette e io cercai di ritrovare un contegno.
Decisi
di alzarmi dal pavimento, forse un po’ di
movimento mi avrebbe aiutato a far calmare questi ormoni e
l’eccitazione, sì,
ormai dovevo ammettere che di quella si trattava, che mi premeva tra le
gambe.
Mi
chinai quasi a novanta gradi verso uno scatolone
per contare le palline da tennis, però, quando mi
raddrizzai, andai a sbattere
contro qualcosa dietro di me. Voltandomi, vidi che si trattava proprio
del
supplente e il mio cuore perse qualche battito.
“Non
sei neanche a metà. Dovresti sbrigarti se vuoi
tornare a casa presto”. Disse lui con voce roca. In
realtà non badai molto a
quello che mi avevo detto, quanto più al tono che aveva
usato: caldo, sensuale…
arrapante.
Oh
mio Dio! A lezione non usava mai quel tono. O
forse ero solo io che lo sentivo. E in quel momento mi resi conto anche
di
quanto fossimo vicini. La sua faccia era a dieci centimetri dalla mia
e… mi
teneva una mano sul fianco.
Perché mi teneva una mano sul fianco?
Io
però non riuscivo a spostare il mio sguardo dal
suo, i miei occhi stavano percorrendo tutto il suo corpo: le labbra
morbide e
gonfie, il pomo d’adamo prominente, i pettorali che si
intravedevano sotto la
maglia attillata. Avrei persino voluto poggiargli le mani sul sedere
per
sentire che consistenza avesse quella sua parte del corpo tanto
ammirata dalle
ragazze.
Solo
in un secondo momento, ma proprio vagamente, mi
chiesi perché diamine pure lui se ne stesse fisso immobile
come un baccalà a
fissarmi, mentre c’era un sacco di spazio nel quale poteva
passare. E non
accennava a togliere la mano dal mio fianco.
Cominciò
ad avvicinare il viso al mio, o forse io al
suo, non ricordo. Sta di fatto che, dopo neanche dieci secondi, eravamo
avvinghiati
l’uno all’altro, a baciarci appassionatamente, le
sue mani sotto la mia
maglietta a graffiarmi la schiena e le mie strette sulle sue natiche.
Le nostre lingue si riconcorrevano per trovarsi quasi immediatamente e
iniziare
un frenetico gioco in cui entrambi eravamo le parti dominanti.
Sembravamo due
amanti che non si vedevano da un sacco di tempo, o semplicemente due
amanti in
calore. Be’, in calore lo eravamo.
Non
mi rendevo conto proprio del tutto di quello che
stava succedendo, mi sembrava di vivere la scena di un film o di essere
in un
sogno. Però mi piaceva e non volevo pensare ad altro.
Eravamo soli noi due, in uno stretto magazzino pieno di oggetti anche
abbastanza doppio sensisti, sudati e accaldati. Non ci preoccupavamo
che
qualcuno potesse entrare e vederci. Dovevamo avere i cervelli del tutto
scollegati. Solo il corpo era attivo.
La scuola, dopotutto, doveva essere quasi vuota.
Ci
staccammo solo il tempo necessario per toglierci
le magliette e poi tornammo avvinghiati. Io gli salii a cavalcioni, le
gambe
attorno ai suoi fianchi e questa volta era lui a tenermi per il sedere.
Dopo
un po’ mi mise giù per abbassarmi i pantaloni e
glielo lasciai fare.
Solo oggi mi chiedo come non mi preoccupassi assolutamente di quello
che stava
per avvenire, come mai non avessi paura, né niente. Solo
adrenalina e tanta
eccitazione.
Mi
toccò il sesso già duro e rigido e poi mi
girò a
dargli le spalle. Io mi appoggiai al bordo dello scatolone e lui mi
avvolse i
fianchi con le braccia, prendendo a mordere e leccare la mia schiena.
Ero
completamente nudo davanti al mio insegnante di
educazione fisica.
Stavo per fare sesso col mio insegnante di educazione fisica ed era la
prima
volta che lo facevo con un altro maschio.
E non me ne preoccupavo.
Di
solito non sono un tipo che si preoccupa, non lo sono
mai stato. Ma avere almeno un po’ di paura sarebbe stato
logico. Magari ne
avevo, può darsi che adesso non ricordi. Ma
l’eccitazione sicuramente dominava
su tutto il resto.
Ad
un tratto, sentì qualcosa perforare la mia
apertura. Avrei voluto lanciare un urlo, o magari un ululato per quanto
dolore
provai, ma mi trattenni. Non volevo mica apparire debole. Sopportai
così per un
altro paio di spinte, mordendomi la lingua, ma poi arrivò il
piacere, forte,
invadente, passionale e doloroso.
Ma pur sempre piacere.
Lui
spingeva contro di me e io contro di lui. Non ci
eravamo messi d’accordo su chi avrebbe fatto
l’attivo ma mi andava bene così.
Io ansimavo e gemevo, cercando di non farmi sentire troppo. Non avrei
voluto
che qualche bidello accorresse preoccupato per i rumori strani che
sentiva.
Avevo il sudore che mi colava dalla fronte e le lacrime agli occhi che
il
dolore iniziale mi aveva procurato. Le palline da tennis dentro lo
scatolone
sul quale mi reggevo mi apparivano sfocate e non sembravano
più palline.
Io
e l’insegnante di educazione fisica in uno
sgabuzzino da soli pieno di oggetti equivoci
Due giovani maschi gay e attraenti pieni di ormoni in uno spazio
stretto e
angusto.
La
situazione era equivoca fin dall’inizio.
Altre
poche spinte ed entrambi raggiungemmo
l’orgasmo. Quanto ci avremmo messo a venire? Poco
più di cinque minuti?
I
nostri gemiti si calmarono. Sì, anche lui aveva
ansimato, lo sentii quando il mio battito cardiaco si era calmato un
po’.
Eravamo senza fiato, come se avessimo appena finito di correre una
maratona.
Una
volta recuperate le forze, mi voltai verso di
lui. Mi stava guardando in modo strano, ma non riuscivo a capire se si
rendeva
conto di quello che era appena successo.
Io ero minorenne e per di più un suo studente. Se qualcuno
lo avesse scoperto
le cose non sarebbero finite bene, non per lui.
Mi
venne in mente solo in quel momento. Mi venne in
mente tutto quello a cui prima non avevo pensato.
Ma come potevo affrontare la situazione? Non avevo nemmeno il coraggio
di
guardarlo in faccia.
Così
feci la cosa che mi pareva essere la più buona
e sensata in quel momento, la classica via d’uscita: mi
infilai in fretta i
pantaloni, presi al volo la maglietta e, senza nemmeno infilarmela,
uscii di corsa
dal magazzino e dalla palestra, completamente dimentico che non avevo
ancora
finito di contare le palle.
Ma
chi se ne importava. D’altronde, era iniziato
tutto per colpa di quelle dannate palle!!
Lo
devo ammettere,
però: era stata la scopata più bella che io abbia
mai fatto fino ad ora.
MILLY’S
SPACE
Ehehehe,
quando la perversione attacca è inutile cercare
di sconfiggerla ^^.
Questa
storia mi è venuta in mente proprio dopo l’ora di
educazione fisica, quando io e un’altra mia compagna avevamo
dovuto contare e
mettere in ordine tutti i palloni che c’erano nel magazzino
XD chiaramente,
però, non avevamo concluso come hanno fatto i due
protagonisti xD Quindi, non
fatevi strane idee u.u
Spero
vi piaccia, non voleva essere niente di pretenzioso
questa storia, solo un piccolo sfogo di una ragazza piena di ormoni
fissata con
lo yaoi. : )
Lasciatemi
qualche commento e venite a visitare la pagina
Facebook dedicata alle mie fanfic
http://www.facebook.com/MillysSpace
Un bacio e
buona serata,
Milly.