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Autore: Lady_V_F    30/10/2012    2 recensioni
Anno 1857: l'Inghilterra prospera sotto la regina Vittoria, mentre il Giappone si prepara per lo scontro tra il quattordicesimo Shogun Tokugawa e l'imperatore Meiji.
A Kyoto ogni notte si sporca di sangue, mentre la crisi di valori distrugge i samurai. La tensione nel popolo è elevata, a causa delle fazioni pro e contro il commercio con l'estero.
Sarà proprio grazie al commercio che Viola, giovane inglese, si imbarcherà verso il Giappone, dove incontrerà Takeichi Matsumoto, giovane ronin della Shinsengumi, il corpo speciale il cui compito è difendere lo Shogun.
I due affronteranno numerosi ostacoli, come il pregiudizio e la guerra, in un mondo che si sta lentamente sgretolando.
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Noi siamo Lady_V_F, due scrittrici di EFP (VictorianPuppet e Filakes) che hanno scelto di scrivere insieme una storia che riunisse le nostre passioni.
Speriamo di cuore che la storia vi possa piacere!
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Capitolo I:
“My London – La mia Londra”


  L'alba rifletteva pigra i suoi colori rosa perla nelle tranquille acque del fiume Tamigi, che spandevano la sua luce e illuminavano il mondo tutto attorno. Si prospettava uno dei rari giorni di sole per Londra, e gli abitanti che iniziavano la loro vita la mattina presto erano riconfortati da questa bella novità.
Ancora qualche minuto e i marinai avrebbero iniziato a lavorare, così mi dovetti affrettare ad abbandonare il mio rifugio notturno costituito da una pila di botti sgangherate disposte a semicerchio. Se mi avessero trovata lì avrei passato non pochi guai. Non sarebbe stato il primo arresto per vagabondaggio a cui avevo assistito nella zona portuale, ma non avevo la minima voglia di farmi sbattere in una sudicia cella poco confortevole.
Mi stiracchiai pigramente e, alzandomi, cercai di mettere un po' in ordine i miei poveri vestiti. Una ripulita veloce alla giacchetta marrone ed eccomi pronta per la giornata. Mi sistemai bene il berretto sui corti capelli biondo platino e iniziai a incamminarmi lungo il molo.
La voce dei gabbiani, unita al rumore assordante delle navi in partenza e all'infrangersi delle onde del fiume contro la banchina, accompagnarono per un po' i miei passi, finche non mi decisi a deviare in una vietta laterale affiancata da due file di orribili palazzi popolari. L'oscurità avvolse la mia figura esile, e più in fretta che potei cercai di lasciarmi alle spalle quel vicolo maleodorante e tetro. Anche se ormai ero abituata a quei posti, non potevo fare a meno di esserne sempre disgustata. Per quello, nelle ore meno affollate del giorno, preferivo stare lungo le sponde del Tamigi o, meglio ancora, gironzolare ai margini dei larghi viali e nelle vie signorili, posti che la gente della mia condizione poteva permettersi di guardare solo da una certa distanza. Ero una stracciona, dopotutto; a qualche gentiluomo con la puzza sotto il naso non sarebbe costato nulla denunciarmi a Scotland Yard come ladruncola. E non avrebbe avuto tutti i torti.
La via malfamata finiva dopo una cinquantina di metri, e così svoltai sulla sinistra in un passaggio più ampio, dove mi concessi di respirare a pieni polmoni. In mezzo alla strada alcuni bambini sporchi e vestiti di stracci stavano giocando con qualcosa su cui non volli indagare.
- Hey, Charlie!- mi salutò uno di loro, alzando su di me gli occhi castani e riconoscendomi. Faceva parte anche lui della cricca di Vincent, anche se non doveva avere più di sette anni.
- Il mio nome è Charles!- lo rimproverai incrociando le braccia. Superai il loro gruppo e proseguii per la mia strada, gli occhi azzurro-lilla rivolti al cielo. Quel giorno non dovevo "lavorare", ma sarei andata ugualmente a trovare Vincent.
Charles non era il mio vero nome. In realtà mi chiamavo Viola, ma già da tre anni ormai nascondevo la mia femminilità sotto abiti e aspetto di ragazzo. Avevo scelto quel nome, Charles, perché mi sembrava un nome da persone importanti, con un certo rilievo sociale, e nel profondo del mio cuore mi ero augurata di arrivare lì, un giorno o l'altro.
   Ero sempre vissuta nella povertà, ma finché c'erano i miei genitori le cose andavano abbastanza bene. Abitavo con mamma e papà in un modesto locale in una viuzza dell'East End, ma nonostante le varie difficoltà tiravamo avanti con il sorriso, tutti insieme; perlomeno, i miei genitori non mi avevano mai fatto pesare la condizione difficile in cui ci trovavamo. Eravamo molto uniti: i miei genitori si amavano e amavano me, e la domenica pomeriggio, l'unico giorno in cui mio padre non faceva turni lavorativi di sedici ore, andavamo a fare lunghe passeggiate sul lungo viale che costeggiava il Tamigi, fermandoci per lunghi momenti a rimirare il Westminster Palace, la sede del parlamento ancora in fase di completamento.
Eravamo poveri, sì, ma eravamo una famiglia onesta e rispettabile.
  Poi, una notte, mio padre non tornò a casa.
Mia madre rimase ad attenderlo per una settimana seduta al tavolino, senza dormire né mangiare, ma lui non arrivò mai. Scoprii solo tempo dopo, quando ormai la mia nuova vita era cominciata, che si era impiccato a causa dei debiti che non poteva più pagare alla banca, e di cui io e mia madre non eravamo a conoscenza.
Da quel momento rimasero in casa solo due donne, e nonostante avessi solo otto anni compresi che la vita non sarebbe più stata la stessa per noi.
Mia madre si impegnò con tutte le sue forze per cercare un lavoro che ci potesse mantenere entrambe, ma senza successo. Quei pochi soldi che riusciva a guadagnare li usava per me, e inoltre non si riprese mai completamente dalla scomparsa di mio padre. Ogni giorno peggiorava.
E così, una mattina di settembre mi svegliai nel letto che condividevamo, e trovai il suo corpo freddo e immobile ormai incapace di risvegliarsi. Anche mia madre mi aveva abbandonata.
  Ricordo ancora il terrore di quei momenti. A chi mi sarei potuta rivolgere? Non conoscevo nessun parente, i miei genitori non avevano amici stretti, io ero rimasta sola al mondo. Tutto ciò che potei fare fu correre da Mrs Bridge, la vedova arcigna che viveva accanto a noi, e raccontarle la mia terrificante scoperta. Vidi i becchini portare via il corpo stremato della mia povera madre, e non potei fare nulla. Avrei solo desiderato raggiungerla.
Mrs Bridge, inizialmente, mi prese a vivere con lei, ma i maltrattamenti subiti e la scarsa alimentazione mi convinsero che avrei potuto cavarmela meglio da sola. Per qualche tempo tornai a casa mia, ma vederla così vuota mi faceva stare anche peggio, e fu così che iniziai a vagabondare.
Sopravvivevo a stento grazie all'elemosina che i pochi passanti misericordiosi mi facevano davanti alla chiesetta popolare, affrontando il freddo con solo una coperta che ricopriva il mio vestitino sbiadito e dormendo dove capitava, nei sottoscala delle vie, sotto i ponti, o fra i monumenti funebri quando andavo a trovare il cumulo di terra che era la tomba di mia madre.
Nessuno faceva troppo caso a una bambina cenciosa pelle e ossa, un fantasma che si nascondeva nella luce del giorno e che si sentiva sicura solo nelle tenebre.
   Ma, una notte, fui costretta ad inaugurare la mia nuova vita.
Gironzolavo senza meta nonostante l'ora tarda, dal momento che non avevo trovato un posto convincente dove passare la notte, finché la mia attenzione non fu attirata da urla femminili, tanto terrificanti da farmi congelare il sangue nelle vene; provenivano da poco lontano.
Mi avvicinai cautamente con la protezione delle tenebre, terrorizzata ma curiosa al tempo stesso.
E mi trovai davanti ad una scena orribile.
C'era una giovane e bella donna, vestita con abiti appariscenti e scollati che urlava, mentre un uomo tutto vestito di nero, davanti a lei, stava cercando di attirarla a sé contro il suo volere. Ad un tratto l'uomo estrasse un pugnale dal panciotto e colpì la ragazza al ventre, ripetutamente, mentre fiumi di sangue tingevano la notte di scarlatto. La scena era così violenta che dovetti mordermi le mani per non urlare disperata. Volevo fuggire, ma ero come paralizzata.
Alla fine l'uomo lasciò andare il corpo della donna, che cadde a terra come una bambola di pezza e se ne andò. Solo dopo alcuni minuti riuscii a fuggire, traumatizzata da quello che avevo appena visto.
E fu allora che compresi.
In quel mondo spietato e crudele non c'era posto per una ragazza come me, povera, senza casa e senza famiglia. Se avessi continuato con quella vita, prima o poi, volente o nolente, sarei finita come quella prostituta.
No, non avevo futuro se avessi continuato a vivere come donna.
Per quella notte non dormii, ma non appena spuntò l'alba mi recai da uno straccivendolo che conoscevo e acquistai berretto, giacca, una camicetta e un paio di calzoni con gli ultimi soldi che mi erano rimasti. Poi corsi ad una fabbrica in rovina dove avevo giocato da piccola, mi procurai un vetro rotto e tagliai con violenza i miei boccoli biondi finché non mi rimase una corta zazzera spettinata.
Avevo nove anni ed ero diventata Charles.
Quell'aspetto mi faceva sentire più sicura di me, così iniziai a girare per strada più tranquilla, senza bisogno di nascondere ogni mio passo nell'ombra, forte della nuova figura che ero diventata. Così conciata non ci misi molto a farmi notare da una banda di ragazzini che avevo già adocchiato da tempo ma che non mi avevano mai considerata.
   Tom, il più grande di loro, mi avvicinò e mi riempì di domande. Scoprì che ero un povero orfano fuggito da un ospizio che stava cercando un lavoretto per guadagnarsi da vivere. E così mi condusse da Vincent.
Vincent non era sicuramente uno dei grandi capi della criminalità londinese, ma mi fece fin da subito un grande effetto. Aveva ventitré anni, occhi verdi, capelli biondo grano scalati lunghi fino alle spalle, e vestiva in modo abbastanza ricercato; nonostante i suoi abiti non erano certo quelli di un gran signore li ho sempre visti in ordine e puliti, impeccabili.
Trattava i ragazzini ai suoi ordini gentilmente, anche se con fermezza, non maltrattava nessuno e tutti avevano sempre abbastanza da mangiare. In cambio i ragazzi facevano piccoli furti di fazzoletti di seta e gioielleria che i ricchi sbadati si portavano appresso senza badarci troppo, e consegnavano questi piccoli tesori al loro protettore. Il giovane ne teneva una parte per sé, e una parte doveva darla ai suoi superiori; ma così viveva in modo abbastanza agiato.
Vincent si affezionò subito al ragazzino schivo appena arrivato, e così si instaurò fra noi un bellissimo rapporto. Lui fu l'unico a cui, qualche tempo dopo, confessai il mio segreto, e lui se lo tenne stretto, riservandomi però qualche dono o qualche favore particolare.
A dodici anni ero così il suo braccio destro, abile ladruncola e astuta ingannatrice, e nonostante la maggior parte delle volte preferissi dormire ancora in qualche rifugio improvvisato, non erano i beni di prima necessità a mancarmi. Inoltre la mia corporatura esile e poco sviluppata mi avrebbero tenuta al sicuro ancora per un po'.
Charles Watson era uno dei nomi più conosciuti nel mondo della criminalità minorile.
Dieci minuti dopo ero arrivata davanti al palazzo dove c'era il covo di Vincent. Era una costruzione enorme e inquietante, a sei piani, colorata di grigio scuro dai fumi della zona industriale poco distante; anche se ormai ero abituata alla sua vista, mi capitava ancora di rabbrividire, ogni tanto, al pensiero di entrarci.
Bussai tre volte delicatamente e quattro con più forza, secondo il codice segreto, e attesi, finché un moccioso, Peter, non venne ad aprirmi.
- Charles...- mi salutò con la vocina tremante. Sembrava malaticcio ed era tanto magro che i vestiti gli cadevano goffamente lasciando intravedere le spalle pelle e ossa; probabilmente faceva parte di quelli che non sarebbero durati ancora a lungo.
-  Il capo è in casa?-
Il bambino annuì nascondendosi dietro la porta per lasciarmi passare.
Entrai nel buio atrio della palazzina e attesi, finché il pesante uscio di legno non si fu richiuso alle mie spalle. Peter mi porse un candelabro, ma lo rifiutai e iniziai a salire le scale correndo.


***
SPAZIO AURTRICI!
Con questo capitolo si entra nella storia, speriamo di cuore che vi possa piacere e ci piacerebbe anche sapere cosa ne pensate. :)
Il capitolo l'ha scritto VictorianPuppet, il prossimo sarà di Filakes, speriamo davvero che andrete avanti a seguirci e di non deludervi!
Un abbraccio,
Lady_V_F

  
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