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Autore: QueenOfWater    02/11/2012    7 recensioni
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Ho cercato di immaginare la vita dopo Mockingjay. Vi chiedo di recensire anche perchè è la primissima FanFiction che scrivo quindi mi piacerebbe migliorare anche grazie al vostro contributo.
Dal testo:
"Faccio per andarmene, quando arrivata sulla soglia della porta sussurro un “Grazie” che faccio fatica a sentire io stessa. E mi sorprendo quando Peeta risponde con un “Non c’è di che”.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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My Space:
Lo so mi odierete e vi do ragione!
Non ho giustifiazioni. Soo mesi che non scrivo... mesi che non pubblico. Il fatto è che con l'inizio della scuoloa tutto è diventato dannatamente più complicato; compiti, interrogazioni e ancora compiti. Sto dando di matto anche perchè pare che la mia vita sociale sia praticamente inesistente xD
(Fate l'amore, non andate al Liceo Classico!!)
Comunque sia, giusto per accertarvi che sono viva, vi pubblico questa mezza shifezzel... ehm voleva dire, pubblico il nuovo capitolo. Cortissimo come al solito. Inconsistente come al solito.
So che sto allungando il brodo ma abbiate fiducia in me >.<
Fatemi sapere se non vi piace più la storia, se la trovate noiosa e provvederò con la mia definitiva eliminazione xD
Detto questo vi lascio alla lettura e... neinte; a presto ( si spera) c:

 



CAPITOLO 12

Ci mettiamo seduti uno accanto all’altro e Peeta  mi prende la mano.
-Scusa- sussurra subito dopo.
In cielo compaiono poco a poco dei puntini luminosi.
-Mi racconti come ti sei innamorato di me?- domando, studiando attentamente le sue mani.
Peeta si gira dubbioso verso di me: -Ero convinto che te ne avessi già parlato-.
-Lo so ma lo faresti comunque?- replico.
Ho bisogno di sentirglielo dire ancora una volta. Sessanta secondi. Sessanta secondi è il tempo che impiega Peeta prima di aprire bocca.
-E’ successo il primo giorno di scuola. Tu eri appena fuori al cancello e io non riuscivo a non guardarti. Quel giorno venne a prendermi mio padre. Mi si avvicino e mi chiese “Pensi che potrebbe piacerti?”. Annuii e iniziai a descrivergli il colore dei tuoi capelli, quello dei tuoi occhi, il tuo sorriso. Continuavo a descrivergli ogni cosa di te, e lui ascoltava senza interrompermi nonostante fosti proprio davanti ai nostri occhi. Però la tua voce non poteva conoscerla. La stessa che mi aveva fatto capire di essere spacciato. Quando ebbi finito mi chiese cos’era, tra tutte queste cose, che mi piaceva di più.
Non te ne rendevi conto. Ecco cosa mi piaceva di te- confessa Peeta, mentre noto che le sue guance iniziano a colorarsi leggermente di rosso. –Tu non ne hai proprio idea. Dell’effetto che puoi fare.-
Mi volto a guardare il tramonto. Il mare è calmo ed è tinto dello stesso colore del cielo. Arancione. Il colore preferito di Peeta.
Mi sono sempre chiesta com’è essere felici.
E’ strano ma sembra che nella mia vita non lo sia mai stata.
Quando mi trovavo nei boschi ero lontana dalla polvere nera che usciva dalle miniere, lontana dai ragazzini che scavavano nei sacchi dell’immondizia dei negozi alla ricerca di qualcosa da mangiare, lontana dalla realtà che ero costretta a vedere e a vivere ogni giorno.
Non ero felice; ero libera.
Con Gale mi sentivo bene e protetta e capita.
Io avevo lui e lui aveva me. Sopravvivevamo alla morte dei nostri padri. Vivevamo per dare un futuro alle nostre famiglie. Lo facevamo perché dovevamo, di certo non per vendere conigli e scoiattoli ai pacificatori che abitavano al distretto.
Il fatto che ci trovassimo entrambi in questa situazione era stato un puro caso. Come se il destino ci avesse fatto incontrare affinché trovassimo quel minimo di normalità che ci era stato negato.
Non ero felice; ero me stessa.
Con Prim… con Prim tutto diventava follemente più difficile. Ero terrorizzata dall’idea che potesse succederle qualcosa. Un sesto senso.
Non la perdevo d’occhio un solo secondo. Perfino ora, di tanto in tanto, mi capita di guardarla; una foto. Ecco cosa è rimasto della mia sorellina: Prim a tre mesi che dorme tra le mie braccia.
Era una bambina bellissima già da allora. Ciuffetti di capelli biondo cenere le spuntavano dalla testa, pelle bianca e delicata le faceva da cornice a due grandi occhi azzurri. E poi quelle fossette ai lati della bocca minuscola che facevano sorridere chiunque.
Più passa il tempo e più mi convinco che Prim non era destinata a questo mondo; un’anima tanto pura non poteva vivere su un mondo cibato di carne e sangue.
Le dita di Peeta si intrecciano lentamente alle mie.
Forse la vera felicità non esiste o forse esiste, ma sottoforma di mille facce.
Libertà, amicizia, vita, amore. Ecco la felicità.
Il giallo di un dente di leone. Ecco la felicità.
La nascita di un bambino. Ecco la felicità.
-Grazie- dico stringendo forte la mano di Peeta. –Grazie per avermi amata ancor prima che ti conoscessi-
Grazie. Un misero “grazie” è tutto quello che riesco a dire. Non sono capace di aggiungere una sola parola. Piango, piango e non riesco a fermarmi. Piango perchè non lo merito, piango perchè, proprio come disse Haymitch, potrei vivere ancora cento viete e ancora non lo meriterei. Piango finchè non vengo interrotta dalle sue labbra sulle mie.
Afferro il suo braccio. -Sei sicuro?-
Lo fisso negli occhi. Non voglio fargli del male. Non voglio fargliene mai più.
Come risposta arriva un'altro bacio, più forte ed intenso di quello di prima.
Tutti hanno bisogno di essere salvati. Io ho bisogno di essere salvata. E solo Peeta può farlo.

  
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