Chiedo
scusa per il salto temporale di un paio di mesi, problemi di lavoro e
d'ispirazione ( soprattutto questi ultimi ). Capitolo corto, ma voglio
continuare a pubblicare senza far passare troppo tempo o rischio di
fermarmi di nuovo. Sperando sempre che sia di vostro gradimento,
buona lettura.
Mel Kaine
Ps. 3 novembre: auguri iceriel carissima!
The Heart of Everything
21 - / To keep you near
/
“Questa sera ti parlerò delle creature che abitano le foreste del mondo
magico…”
Il piccolo Harry ascoltava affascinato. Certo che l’uomo-Sevreus sapeva
davvero un sacco di cose, ma questo Harry lo sapeva già perché il
Maestro-Sevreus era il migliore maestro del mondo. In poco tempo Harry
aveva imparato a scrivere le lettere diritte e a leggere le parole più
semplici. L’uomo-Sevreus gli spiegava tutto chiaramente, senza tante
frasi strane e usava sempre parole che Harry poteva capire.
L’altro giorno gli aveva fatto leggere il nome sui vasetti del cibo e
poi lo aveva fatto scegliere fra vitello e tacchino.
Harry aveva preferito il tacchino perché, anche se aveva un nome buffo,
era davvero molto buono.
Ah, e poi il Maestro gli aveva fatto scrivere qualche parola e gli
aveva promesso che presto gli avrebbe fatto scrivere le loro regole.
Ad Harry piacevano tanto le regole dell’uomo-Sevreus, erano regole
buone che parlavano di cibo, regali, compiti e del dormire con il
Maestro-Sevreus.
Sapeva bene che non avrebbe potuto dormire con il Maestro per sempre,
ma lo sperava, ecco, questo oltre ogni cosa Harry aveva imparato di
nuovo: a sperare.
E se anche poi quelle cose non fossero successe il Maestro-Sevreus lo
avrebbe aiutato ed insieme ce l’avrebbero fatta.
S’addormentò contento nel suo lato di letto, mentre ancora il Maestro
parlava di tutti quegli animali fantastici.
Severus percepì immediatamente il cambio di respiro nel bambino-Potter
che indicava il suo ingresso nel mondo dei sogni. Parlò ancora un po’ a
vuoto, per non rischiare di svegliarlo col silenzio, poi si stese al
buio dalla propria parte.
Finalmente gli incubi erano cessati.
Non che l’attuale situazione fosse una soluzione permanente, Severus lo
sapeva bene e ancor meglio lo sapeva il bambino.
Harry era molto intelligente, di un’intelligenza empatica che solo con
la vicinanza era possibile apprezzare, il problema era che Harry non
permetteva ancora a nessuno di avvicinarsi a lui. Avevano fatto dei
progressi enormi insieme. Ma c’era ancora molto da fare e forse il
tempo a loro disposizione era ormai scaduto. L’indomani avrebbe
partecipato ad una riunione con Albus e Minerva sul futuro del bambino.
Tsk, prima Dumbledore gli scavava la fossa poi formava un comizio per
tentare di tiralo fuori…
Aveva rinunciato molto tempo fa a capire perché quel vecchio mago
amasse così tanto cospirare in ogni istante della vita.
Certo era che Albus aveva sempre un motivo, magari oscuro ed
incomprensibile ai più, ma sempre un perché. Non che questo lo
spingesse a tentare di giustificarsi davanti agli altri rivelandolo,
no, Albus Dumbledore lavorava da solo, così come il Signore Oscuro.
Potevano entrambi avvalersi di altri, le loro adorate, inutili pedine,
quelle che si contendevano aspramente, ma alla fine ciò di cui si stava
parlando era solo una lotta per il potere giunta ad un’impasse.
Severus era consapevole della sua posizione e del suo ipotetico valore
agli occhi di entrambi e sinceramente non poteva che darsene tutte le
colpe, nel momento in cui gli sarebbe stato chiesto egli avrebbe fatto
ciò che doveva e da anni immaginava che non gli sarebbe piaciuto
affatto.
Non avrebbe avuto scelta, anche se gli sarebbe piaciuto averla adesso
che un’altra vita era legata alla sua.
Forse era questo.
Forse Albus aveva favorito lo scontro fra lui e Sirius per allontanare
il bambino dalla vita di servitù che attendeva Severus senza doversene
assumere la colpa. Forse Albus si era accorto di star perdendo il suo
miglior alfiere, oh sì, Snape lo poteva dire a voce alta e senza falsa
modestia. Quando il Signore Oscuro sarebbe risorto chi sarebbe stato
mandato al suo cospetto come spia? Non certo il licantropo dal cuore
gentile, né un qualsiasi onesto e caritatevole Auror né tantomeno quel
cane pulcioso che abbaiava contro tutto e tutti. Sarebbero morti
all’istante. Il Signore Oscuro leggeva i cuori con uno sguardo e
nessuno di loro poteva minimamente sperare di ingannarlo. Severus
invece sarebbe riuscito, sarebbe riuscito perché il suo cuore era nero
ed i suoi motivi oscuri, così come piaceva a Lord Voldemort. Ma sarebbe
riuscito soltanto se niente l’avesse cambiato, nessun sentimento,
nessuna speranza, nessuna gioia. Il bambino rappresentava un punto
debole per lui e quindi anche per Albus. Nel suo studiato piano di fare
di loro delle armi non c’era posto per i cambiamenti d’animo.
Forse era per questo, forse no.
Certo era che il tempo a loro disposizione stava davvero finendo e
Severus detestava non avere nessun controllo sulla cosa.
Alla riunione di Albus, la riunione per il futuro di Harry Potter,
c’erano fin troppe persone per i gusti di Snape.
La prima cosa che Severus aveva imparato da ragazzo al cospetto di Lord
Voldemort era che un segreto si poteva conservare solo se a conoscerlo
erano due persone e se la seconda veniva uccisa subito.
Severus si fece avanti per chiarire questo punto, attirando
l’attenzione del Preside con un discreto schiarirsi di voce.
Albus si volse, sorridendo radioso. Si accomiatò da Madam Pomfrey e si
fece vicino a Snape esclamando:
“Pensavo avessi portato il giovane Harry con te, ragazzo mio”.
“Infatti, Albus, cerca meglio vicino alle mie gambe”.
L’anziano mago abbassò lo sguardo e venne salutato da un vispo paio di
occhioni verde scuro.
Il piccolo Potter se ne stava lì, aggrappato alle gambe lunghe e nere
del Professore di Pozioni, come uno scarabeo alla corteccia di un
albero.
Albus sorrise, ancor più raggiante.
“Oh, oh, il giovane Harry sembra aver sviluppato un visibile
attaccamento a te, Severus”.
“Sì, mi trovo, ahimé, nella condizione di dover convenire col tuo
pensiero… una volta tanto…”
Il Preside prese a ridere divertito, ma Snape squadrava la studio di
Dumbledore con espressione contrariata.
Madam McGonagall e Madam Pomfrey erano certamente attese, ma Madam
Hooch, Madam Sprout, Arthur Weasley, Alastor Moody e, soprattutto,
Remus Lupin?
Il dannato lupo mannaro se ne stava in disparte, appoggiato alla
mensola del focolare con apparente rilassatezza, ma Severus leggeva
nella sua posa un disperato bisogno di muoversi, andarsene.
E ne aveva tutte le ragioni.
Non si spiegava la sua presenza e detestava l’idea di lasciarlo
interagire con Harry.
Era stato abbastanza difficile spiegare al bambino cosa sarebbero
andati a fare nello studio del ‘nonnino’, quello era il termine
abominevole che Harry soleva usare, il bambino era ancora completamente
diffidente di tutte le cose che potevano capitargli fuori dalle stanze
di Severus e, nella visione personale del Maestro di Pozioni, faceva
più che bene.
Eppure, nonostante la recalcitrante paura del bimbo, Severus era stato
irremovibile.
Il bambino aveva il sacrosanto diritto di sapere cosa veniva detto di
lui e cosa lo aspettava, Snape conosceva bene Albus, se lo avesse
lasciato fare quello sarebbe stato solo l’inizio di ciò che avrebbe
atteso Harry negli anni a seguire. Riunioni segrete in cui veniva
discusso della sua vita e della sua morte, l’oscurità più completa su
cosa sarebbe stato chiamato a fare, l’assoluta non-scelta in ogni
momento di quello che sarebbe dovuto essere il suo periodo più felice e
spensierato.
No.
Snape non lo avrebbe permesso, non a queste condizioni.
Harry Potter, il suo bambino-Potter, non sarebbe diventato un altro
martire inconsapevole, un’altra ingenua, e magari persino grata,
vittima.
Severus lo avrebbe reso partecipe del suo destino, fin da quell’età e
sempre.
Naturalmente Albus non ne era stato contento, ma alla fine aveva dovuto
cedere.
Adesso, con tutta quella gente che, era superfluo dire, non doveva
essere lì, non sembrava più un’idea eccellente e mentre Snape pensava a
come congedarsi velocemente da quella sgradita compagnia prima che il
dannato lupo potesse allungare le sue zampe su Harry la prima minaccia
arrivò inaspettatamente da Arthur Weasley.
“Oh, il piccolo Harry. Ma come siamo grandi, giovanotto! Vieni a
conoscere lo Zio Arthur”.
Anche senza guardarlo Severus lo sentì, le manine che si stringevano
alla sua gamba, artigliando la stoffa dei suoi vestiti, il cuoricino
che si faceva veloce ed irrequieto come quello di un uccellino in
gabbia, gli occhi atterriti, il respiro che aumentava freneticamente
fino ai livelli del panico. Lo immaginava nella sua testa, lo sapeva
bene, come sapeva che nessun altro lo avrebbe capito.
Solo Snape poteva comprendere fino a che punto presentarsi ad Harry con
la parola ‘Zio’ fosse la peggiore delle idee più stupide mai avute dai
tempi di Merlino.
Immediatamente si frappose fra il bambino ed il non richiesto slancio
d’affetto che Weasley stava compiendo per prendere il braccio il
piccolo Harry.
Dannazione, il lupo lo stava guardando…
“Il giovane Potter non è esuberante né sprovveduto come gli altri
bambini, Arthur, ritengo sia più appropriato presentarsi senza l’uso di
termini impropri e… da una certa distanza”.
Il capofamiglia dei Weasley rimase interdetto, colto a metà di un gesto
che era solito fare con tutti i bambini, soprattutto con i suoi
numerosi figli, senza capire perché quella circostanza fosse diversa.
Immediatamente Severus ne approfittò per chiarire di fronte ai presenti
come dovessero essere svolte le normali relazioni colloquiali con il
bambino-Potter.
“Quest’uomo è Arthur Weasley, lavora al Ministero della Magia e conosce
da tempo tutti noi. Harry…”
E non aggiunse altro.
Il bambino-Potter sapeva cosa fare.
Snape glielo aveva insegnato.
Senza distaccarsi molto il piccolo Harry si affacciò meglio da dietro
le gambe dell’uomo-Sevreus e si sforzò di guardare in viso quel signore
dai capelli rosso fuoco.
Aveva timore, ma l’uomo-Sevreus lo aveva protetto, aveva fermato quel
signore che lo voleva toccare.
Adesso che l’uomo-Sevreus era fra loro ed era chiaro che l’uomo coi
capelli rossi non fosse un altro zio che Harry assolutamente non voleva
conoscere era chiaro che doveva presentarsi, perché il Maestro-Sevreus
gli aveva insegnato le buone maniere ed Harry era stato bravo ad
impararle e nessuno gli diceva più che non le poteva imparare perché
era un piccolo cane bastardo…
Accortosi del tempo che passava guardò in viso l’uomo e fece un piccolo
cenno della testa.
“Harry Potter, signore. Molto piacere, signore”.
Snape approvò con uno sguardo il primo tentativo sociale del bambino e
quindi si allontanò con lui sotto lo sguardo di tutti in cerca di un
angolo dal quale lasciare lo studio al più presto.
Remus Lupin si stava lentamente convincendo di non aver mai avuto
ragione su qualcosa come in quel presente momento.
In attesa di dire quello per il quale era venuto ogni tanto lanciava
uno sguardo a Snape ed uno al bambino, ora la piccola mano del figlio
di Lily e James stringeva la presa, ora quella di Snape scivolava
inconsapevole sulla sua piccola spalla come a rassicuralo –
che sciocchezza, impossibile, si disse, uno Snape ‘rassicurante’ non
sarebbe mai esistito – adesso si chinava a parlargli e gli
diceva qualcosa nell’orecchio, il bambino annuiva, gli occhi pieni di
fiducia e… adorazione? Cosa gli aveva fatto Snape? Come lo aveva
stregato? Perché il bambino era lì? Perché Snape aveva fermato Arthur?
Qualcosa era sbagliato, qualcosa era stato tenuto nascosto…
Mentre pensava a questo la riunione ebbe inizio e tutti i suoi pensieri
si concentrarono sul presente discorso di Albus. A casa, con la calma
della sera, avrebbe riflettuto su ciò che aveva visto.
Dumbledore stava spiegando a coloro fra i presenti che non ne erano al
corrente quando e come Harry Potter era arrivato fra loro.
Naturalmente le oscene, abominevoli crudeltà perpetrate dalla famiglia
del bambino vennero nuovamente censurate a beneficio di una storia
ancor più vaga di quella rifilata al cane pulcioso e al suo compagno
mannaro. Snape si trattenne a stento dall’interrompere quella ridicola
premessa con un sonoro ‘Tsk’.
Il bambino-Potter era ancora agitato, Severus lo sentiva
sussultare ogni volta che il suo nome veniva pronunciato da qualcuno.
Non sapeva cos’altro dirgli, né come calmarlo in altro modo se non con
le mani sulle spalle o sulla testolina arruffata.
Cominciava a pensare seriamente che non fosse stata per niente una
buona idea, ma ancora non desiderava tornare indietro e tenere il
bambino all’oscuro di tutto.
Lo sguardo di Lupin gli scivolava addosso, lo sentiva. Cercò di
distrarsi ascoltando le assurde melensità del Preside, ma inutilmente.
I presenti, dopo la talmente poco credibile versione di Dumbledore – ma
che assolutamente doveva esserlo perché rivelata da Dumbledore stesso
– stavano discutendo sulla scelta di Hogwarts come
nascondiglio, come se quello fosse un punto ancora da chiarire.
Che inutile perdita di tempo!
Proprio mentre si rammaricava di essere lì per l’ennesima volta
qualcuno, non voleva neppure sapere chi, osò affermare che forse
avrebbero dovuto presentare il bambino in società, per ravvivare la
ripresa emotiva del Mondo Magico adesso che Voi-sapete-chi era
certamente scomparso.
“Ma certo, come abbiamo potuto non pensarci prima, Preside – li
interruppe Severus, con evidente disprezzo e pesante sarcasmo –
presentiamolo al suo pubblico adorante già a quest’età e aspettiamo, in
un modo o nell’altro sarà divertente, non per Potter, naturalmente…”
“Severus, era solo un suggerimento, insieme a tutti gli altri. Se tu
volessi contribuire esponendo il tuo pensiero…” lo invitò gentilmente
Arthur Weasley.
“Se proprio mi è richiesto nessun posto è sicuro per Potter…”
“Questo non ci aiuta, Severus”.
“ ‘Questo’ non deve aiutare voi, deve aiutare il bambino. Mi è stato
chiesto un pensiero ed io l’ho riferito in base alle esperienze avute
in questo lasso di tempo. Se pensate che i pericoli siano solo fuori da
Hogwarts non avete una visione completa né sensata di quello che sta
succedendo né di quello che succederà. Nell’interesse di ciò che mi è
stato affidato è necessario mostrare ogni tipo di cautela”.
“Severus ha senz’altro ragione, i tempi bui sono stati procrastinati,
ma non sono finiti. Hogwarts per sua stessa natura è un luogo aperto ad
accogliere persone, non importa la loro età, di qualsiasi estrazione
sociale, genere, origini e, ahimé convinzioni morali”.
Mentre il Preside riportava quindi brevemente lo spiacevole episodio
con il signor Sorier Snape si concesse un breve momento di riflessione.
Benché non richiesta né gradita la presenza di tutti i Capi delle Case
era chiara. In previsione di tenere il bambino ad Hogwarts ognuno di
loro andava informato in modo da poter più agevolmente camuffare la
presenza del piccolo Potter qualora qualcuno dovesse vedere o udire
qualcosa. Anche la partecipazione di Weasley non rappresentava un
enigma. Arthur Weasley era un uomo discreto che sapeva bene quando
parlare e quando farsi da parte. Nonostante il suo innecessario
buonismo e la sua propensione a riprodursi più di quanto fosse
consigliabile, era uno dei migliori membri dell’Ordine della Fenice ed
avrebbe informato soltanto chi doveva dietro comando diretto di Albus.
Inoltre lavorando al Ministero della Magia poteva facilmente venire a
conoscenza di qualsiasi pericolosa fuga di notizie o azione di disturbo
che il Ministro o i fedeli seguaci del Signore Oscuro nascosti fra i
suoi collaboratori potevano tentare di attuare, almeno negli uffici.
Fuori, sul campo, ci avrebbe pensato Moody. Col suo occhio di vetro e
la sua innata sfiducia verso il prossimo avrebbe tenuto le orecchie ben
aperte e la bocca ben chiusa con tutti gli altri Auror ed avrebbe
potuto riferire circostanze sospette o dispiegamenti di forze
ingiustificati.
Il fatto che fosse possibile trovare un motivo valido alla presenza di
tutti, tranne quella del maledetto lupo ovviamente, ebbe il potere di
contrariare Snape ancor di più.
Erano comunque troppi e le cose non sarebbero andate bene, questo Snape
aveva imparato dall’esperienza e questo si aspettava.
Sperava solo di riuscire a prevedere la falla e di arginarla prima di
mettere il bambino, il suo bambino, in pericolo.
Avrebbe protetto Harry, avrebbe protetto quella povera creatura che in
soli sei anni aveva conosciuto orrori che la metà dei presenti, alla
loro ben più che adulta età, non sarebbe riuscita neppure ad immaginare.
Inconsapevolmente lo strinse a sé, contro la propria gamba e fu proprio
allora che Harry, sussurrando, fece la sua richiesta.
Il piccolo Harry sapeva bene perché erano nello studio del nonnino, il
Maestro Sevreus si era preso del tempo per spiegare ad Harry cosa
sarebbero andati a fare. Il Maestro aveva sempre del tempo per spiegare
le cose ad Harry e quella era una cosa che Harry sinceramente adorava.
Ma nonostante le parole del Maestro ad Harry non piaceva tutta quella
gente. Riconosceva la signora della stanza con i letti tutti bianchi
che lo aveva visitato e sussultò quando vide l’uomo con l’occhio strano
che roteava. Per un attimo ebbe il terrore che fosse lì per portarlo
via, così come aveva fatto a casa dei Dursley, ma per fortuna l’uomo
non lo guardava neppure e poi lì c’era l’uomo-Sevreus e l’uomo-Sevreus
non avrebbe permesso a nessuno di portarlo via. Si rilassò di
pochissimo e rimase aggrappato alla gamba del Maestro mentre lui
parlava con il nonnino e poi quello strano signore dai capelli rossi
che aveva detto di essere suo zio si era avvicinato, ma ancora una
volta l’uomo-Sevreus lo aveva salvato e gli aveva spiegato la verità.
Adesso, dall’angolo in cui si trovava, in piedi accanto alla poltrona
del Maestro, guardava la stanza, tentando di non ascoltare quegli
strani discorsi, ma quando veniva detto il suo nome non poteva fare a
meno di agitarsi. Era come dai Dursley, quando venivano i parenti di
Zio Vernon e lui non doveva farsi vedere né sentire. Quelle poche volte
che era successo le voci si erano fatte basse e quegli sconosciuti
avevano continuato a ripetere il suo nome fra loro dicendo cose brutte
su di lui e sulla sua famiglia scomparsa. Ad Harry non piacevano gli
sconosciuti e nemmeno i discorsi in cui si diceva il suo nome. Ma
l’uomo-Sevreus aveva detto che sarebbe stato così, che avrebbero
parlato di lui per decidere insieme del suo futuro perché Harry era
ancora troppo piccolo per decidere da solo. Harry lo sapeva e non
voleva decidere da solo, non voleva stare solo. Voleva rimanere con
l’uomo-Sevreus ancora e ancora. Harry si era immaginato già da solo che
la stanza del nonnino fosse stramba quanto lui, ma per quante cose ci
fossero da guardare non riusciva a non ascoltare il suo nome che veniva
ripetuto. Quella sensazione strana, soffocante e brutta che lo aveva
preso quando erano entrati in quella stanza piena di gente che Harry
non conosceva stava crescendo nel suo petto. Il piccolo Harry la
sentiva farsi più grande ad ogni ‘thump’ del suo cuore e cresceva
sempre più mentre quelle persone parlavano e si guardavano seriamente e
lo guardavano come se Harry non dovesse a vederle.
Sembravano sempre più alte e lo intimorivano con le loro parole
incomprensibili ed i loro occhi. Le mani e le frasi buone del Maestro
non riuscivano più a calmarlo, Harry si sentiva come sull’orlo di un
buco nero e presto sarebbe caduto, quelle voci di quelle persone lo
avrebbero spinto giù, lo sentiva. Lui voleva solo salvarsi e ritrovare
qualcosa di conosciuto e sicuro dove appoggiarsi, voleva stare in
braccio all’uomo-Sevreus, come facevano nelle loro stanze, le stanze
del piccolo Harry e del suo maestro. Ma non sapeva affatto se chiederlo
o meno. Ricordava bene che il suo Maestro Sevreus aveva detto di
chiedere, che chiedere era sempre giusto, che lui poteva dire di sì o
di no, ma che non lo avrebbe mai picchiato per questo ed Harry gli
credeva e poi c’erano le altre persone, neppure Zio Vernon lo aveva mai
picchiato davanti alle altre persone quindi era sicuro di questo, ma
ancora non trovava il coraggio perché pensava che se il Maestro Sevreus
avesse detto no Harry sarebbe stato spinto per davvero in quel buco
nero e non voleva far fare questa cosa brutta al suo Maestro.
Improvvisamente il braccio dell’uomo-Sevreus lo circondò e lo strinse
contro la sua gamba, in un piccolo, lungo abbraccio che gli fece
sentire così tanto calore da convincerlo.
Se quello era il premio il piccolo Harry avrebbe rischiato di sentirsi
dire di no e così glielo chiese, sussurrando, perché sapeva che ai
grandi non piacevano i bambini rumorosi che li interrompevano per
chiedere cose come quelle ad alta voce.
Severus guardò negli occhi il bambino-Potter.
Il suo mormorio era stato talmente basso che il giovane Maestro di
Pozioni dovette elaborare l’informazione ed integrarla usando le
proprie capacità d’interpretazione.
Il bambino voleva salire sulle sue ginocchia e restare lì.
Assolutamente no, fu il primo pensiero che attraversò la mente di Snape.
C’era troppa gente, il lupo mannaro li guardava continuamente di
sfuggita – tsk, credeva davvero che Severus non se ne fosse accorto?
Povero stolto! – Albus avrebbe sorriso odiosamente e ben
presto la sua reputazione di terrore dei piccoli ignorantelli con i
quali aveva a che fare sarebbe stata sostituita da quella di un nero
Babbo Natale dal naso lungo ed il cuore tenero.
Assolutamente improponibile!
Palesemente inaccettabile!
Eppure Harry lo guardava.
I suoi occhi avevano colto il rifiuto nel silenzio protratto di Snape?
La rassegnazione nel suo sguardo sarebbe presto diventata evidente ed
avrebbe pesato fra di loro nei giorni a venire, rallentando o
addirittura interrompendo i loro progressi. Severus sapeva che il
bambino si trovava a disagio, enormemente a disagio.
Tutti quegli sconosciuti, tutti quei discorsi con il suo nome ogni tre
parole.
Lo sapeva, anche se non aveva potuto evitarlo questo non voleva certo
dire che lo approvasse.
Ma era un male necessario.
Tenerlo lì in piedi come un piccolo soldatino invece non lo era, non
era necessario.
Era necessario solo all’orgoglio di Snape.
Quel maledetto orgoglio che così tante volte, contro tutta la sua
imponente logica lo aveva trascinato a fondo, seppellendolo tra azioni
avventate e giudizi sbagliati. Spesso, ancora, l’esperienza non lo
serviva bene quanto doveva e quell’emotività avvelenata, puntigliosa,
lo corrompeva. Corrompeva la sua mente acuta e adesso rischiava di
corrompere l’unica cosa pura che Snape aveva avuto l’insperata fortuna
di trovare lungo il suo cammino desolato.
‘Come puoi vergognarti di lui? Come puoi vergognarti del vostro
affetto? Sei come tuo padre, dannatamente uguale a chi disprezzavi di
più. Lo perderai per sempre, come se non lo avessi mai meritato, così
come non meritavi Lily, due volte lo stesso crimine, nessuno ti
assolverà più, né in questa vita né in un’altra. Per una volta,
qualcosa da tenere con te, da proteggere veramente. Non lo perdere, non
lo perdere’.
Lo sollevò senza farsi notare troppo e rimase immobile.
“Certo che puoi, Harry” disse semplicemente e quando lo sguardo
sorpreso di Lupin scivolò apertamente su di loro Snape sopportò
stoicamente lo sgretolarsi di una parte della sua, in fin dei conti
inutile, corazza.
Per il suo piccolo Harry.
E per nessun altro.
Continua…
Madam Sprout: Madama Sprite, insegnante di Erbologia e
direttrice della casa Tassorosso
Madam Hooch: Madama Bumb, insegnante di volo e di Quidditch. In questo storia, per motivi di trama, direttrice di Corvonero.
Nei
libri il direttore della casa di Corvonero è Filius Vitious ( Filius
Flitwick in originale ) per motivi di trama ho fatto sì che lo fosse
Madam Hooch, spero perdonerete questo piccolo cambio.
Nota
grammaticale: per mia decisione personale in
questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono
mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per
rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché
non approvo la dilagante malattia del
‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi
è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini
italiani corrispondenti. Grazie mille.