Storie originali > Horror
Segui la storia  |       
Autore: truemcqueen    03/11/2012    1 recensioni
C’era una sola sensazione che mi faceva più paura delle altre. Il silenzio.
Mi metteva il panico nel petto, completamente persa in quella solitudine non sono mai stata capace di rimanere sola, ho sempre avuto bisogno di presenze e quelle che mi circondavano erano quasi indefinibili. Più morte che vive, forse.
In qualsiasi caso il discorso medio non andava oltre qualche grugnito, al mio cuore in gola e al rumore dei miei piedi che correvano veloci sull'asfalto. Dovevo rimanere sempre all’erta. Ne andava della mia esistenza consapevole, semplicemente una questione molto importante.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A









Non è mai stato facile












C’erano parecchie persone accalcate accanto alla porta, nella speranza di riuscire a carpire un qualche discorso succulento tra me e Victor, ma non avrebbero avuto certo bisogno di attaccare un bicchiere alla porta per origliare meglio. Aveva alzato la voce più che a sufficienza per farsi sentire da tutti nel raggio di duecento metri, soprattutto con il silenzio che regnava al di fuori dell’Ufficio.
Non ero più entrata lì da circa sei mesi, evitavo proprio il corridoio e mi facevo recapitare qualsiasi comando dovunque fossi, ma non facevo mai rapporto. Victor lo sapeva. Non aveva mai insistito troppo nell’impormelo.
 
Non guardai nessuno dei presenti fuori dalla porta, scansai chiunque non avesse avuto la brillante idea di lasciarmi semplicemente passare. Camminavo imperterrita senza nemmeno sapere dove andare. Le lacrime erano un velo indolore, in confronto a tutto quello che mi si agitava nel petto.
Il primo posto in cui abbiamo instaurato un vero accordo. Il ricordo del primo luogo in cui sono stata affidata a lei per non morire prima del tempo. Non piace stare lì seduti mentre percepisci in ogni fibra della stanza, la presenza di qualcuno che per te è stato molto più di un punto di riferimento.
Perché lui non soffre come me? Com’è possibile? Avevano un legame diverso, più profondo, ancora più doloroso. Dovrebbe capirmi e non schiaffarmelo in faccia alla prima occasione.
 
Sentivo di non essere mai stata così frustrata dalle situazioni, dagli stati d’animo, dalle sensazioni, dai problemi, dalle relazioni con tutti gli altri, con il mondo esterno.
Le relazioni fanno male, di qualsiasi tipo esse siano. Ti trafiggono anche con il bene, solo che non sempre si è capaci di curarsi. Sì, perché farsi curare da altri, è stupido, si dovrebbe instaurare un’altra relazione e anche quella farebbe male.
Per curare un taglio profondo dentro il cuore ci vuole qualcuno che sia così importante da curare quella ferita che fa veramente male, ma te ne creerà un’altra questa persona stessa e allora staresti di nuovo al punto di partenza o d’intermezzo, perché forse alla partenza siamo perfetti. Non siamo ancora formati o traviati dal resto, da quello che ci circonda. Per questo motivo bisogna farcela da soli, è l’unico modo. Ciò che ci curiamo da soli è un nostro passato per sempre, ma appunto rimarrà passato e non ci farà più male. Ne saremo consapevoli e avremo trovato un modo per esser felici e spensierati. Io voglio essere spensierata. Peccato che non sia compreso nel pacchetto.
Non è mai stato facile, ma nessuno aveva detto che lo sarebbe stato.
 
Riuscivo ancora a sentire il rumore dell’aria che si spostava nelle mie orecchie, mentre aprivo la porta dell’infermeriae mi ritrovavo nel luogo più accogliente nel raggio di chilometri, probabilmente.
Sentivo di avere due tinozze piene d’acqua al posto degli occhi e alla vista della Dottoressa, cercai immediatamente di rovesciarle lontano da me, asciugandomi freneticamente gli occhi e voltandomi di spalle.
Non volevo che mi appartenessero davanti ad altri.
Lei sembrò capire il mio stato d’animo ancora prima che prendessi io una qualche decisione, non alzò nemmeno lo sguardo continuando a controllare la scorta dei medicinali.
Sdraiati su quel lettino Stella e non muoverti, sto cercando... sii interruppe rovistando nello scaffale, tra flaconi e scatolette di medicinali dai nomi indecifrabili.
Raggiunsi il lettino e mi ci sedetti sopra fissando il pavimento di gomma nera, che non aveva nulla a che fare con le piastrelle chiare e linde di un qualsiasi ospedale prima di questa catastrofe colossale.
Trovato! Ultima dose di antidolorifico... ci pensò un po’ su... essenziale in questi casi, non credi?
Alzò i suoi dolci occhi marroni nei miei e il suo viso paffuto contornato da ciuffi di capelli biondi ribelli, si distese in un sorriso altrettanto amichevole, senza nemmeno infliggermi uno sguardo inquisitore, incuriosito o che si volesse insinuare nella mia mente.
Solo, divertente.
Sabrina Gaboardi era un dottore eccellente, una vera colata d’oro per noi poveri sopravvissuti. Svolgeva il suo lavoro con estrema maestria e gentilezza innate, un sangue freddo che molti dei cercatori nemmeno riuscivano ad assimilare dopo mesi e mesi di uscite fuori porta. Riusciva a essere divertente e seria allo stesso tempo, era una vera donna adulta piena di responsabilità che sapeva non prendersi troppo sul serio. Un modello magnifico. Avrà avuto anche i suoi difetti, ma riusciva a tenerseli ben stretti per non mostrarli a nessuno.
Distolsi gli occhi dai suoi e dissi nel mondo più convincente che riuscissi a trovare: Se è l’ultimo flacone, può anche non usarlo per me, ho solo qualche taglietto, niente di così importante...
Abbassò il flacone che teneva a mezz’aria davanti alla mia faccia e mi guardò con fare comprensivo: Certo... stai pur tranquilla che non lo userò per te Stella. Non ne ho mai avuto l’intenzione! Aveva assunto una finta indignazione, che mi strappò un sorriso forzato, ma abbastanza sincero... fa parte del suo lavoro o passione... chissà cos’è per lei...
Voltandomi poi le spalle per recuperare il necessario a medicarmi bussarono alla porta. La Dottoressa si voltò verso di me come se sapessi chi fosse e mentre alzavo le spalle chiese: Chi richiede il mio aiuto?
La maniglia si piegò e una voce incerta e preoccupata rispose: Dottoressa Gaboardi, sono Jack... io volevo... mi affrettai ad agitare le mani e a spalancare gli occhi verso la Dottoressa che prontamente rispose - Non entrare, per favore! Sono occupata con una paziente che non vuole stare tranquilla…
Non poteva che riferirsi a me e al fatto che agitandomi tanto, ora rischiavo di svenire dal dolore alla ferita che non smetteva di pulsare come una dannata.
Davvero Dottoressa starò buono in un angolo. Nemmeno si accorgerà della mia presenza, né lei né la sua paziente. Entrò con passo felpato senza alzare subito lo sguardo, ma visibilmente nervoso in volto. Alzai gli occhi al cielo. Di coccio proprio.
La Dottoressa si spostò subito verso di lui e afferrandolo per un braccio lo spinse fuori dalla porta: Mi dispiace Jack, ma rimarrai fuori. Mi è stato esplicitamente chiesto... eccola che mi mette nei guai! E siccome generalmente rispetto il volere altrui, rimarrai fuori... si sporse verso l’esterno, chiudendo leggermente la porta e probabilmente gli sussurrò qualcosa che non riuscii a sentire.
Rilassai visibilmente i muscoli quando la porta si fu definitivamente chiusa e senza un'altra parola la Dottoressa Gaboardi si avvicinò a me con un grosso sorriso stampato sulle labbra e facendomi stendere sul lettino iniziò a medicarmi.
Non lascerà, sicuramente, in sospeso nessunissimo discorso. Perché ha sempre così bisogno di parlare, di chiarire, di mettere al proprio posto ogni singolo tassello? Sbuffai...
 
 
Il tempo richiesto per il mio medicamento fu alquanto ristretto, infatti, dopo circa una decina o forse quindicina di minuti in perfetto silenzio, interrotto solo dal lavoro della Dottoressa sulle mie ferite, mi lasciò alzare dal lettino cautamente e mi consegnò una t-shirt pulita da mettermi per non andare in giro mezza nuda per i corridoi. Le sorrisi gentilmente e senza troppi vezzi mi diressi non verso la porta principale, ma a una secondaria che portava in un corridoio parallelo a quello dal quale ero entrata e che sbucava sullo stesso dell’altro. Cercavo di evitare Jack, era palese, ma non avevo voglia id discutere con nessuno.
Vai dritto nella tua stanza, per favore... non sei proprio in forma e se hai bisogno di me, sai dove trovarmi, d’accordo? Mi chiese con un fare decisamente materno. Le sorrisi nuovamente per rassicurarla e sussurrai un ringraziamento mente mi avviavo verso la porta.
Puoi uscire da tutte le porte secondarie che vuoi Stella, ma non cambierà mai nulla... tornerai sempre sulla stessa strada, lo sai. Tu vedi benissimo quello che c’è, quello che probabilmente prova, perché anche tu ci speri, anche tu lo vuoi... ma non credi di meritarlo, non sai come comportarti e hai paura di essere presa in giro. Le cose stanno così Stella. Mi aveva sorpreso con quella rivelazione sui suoi pensieri. Sussultai e spalancai gli occhi, ma non volli mostrare di esser turbata dalle sue parole. Non mi voltai. Non mi mostrai, non sarei stata capace di controllarmi.
Aveva ragione e sapeva di averne, ma la sua consapevolezza derivava da idee errate... non era esattamente come credeva lei, ma aveva detto quelle parole come se nessuno potesse contraddirla, per quanto suonassero ovvie... ed io non avevo nessuna intenzione di ribattere, per ovvie ragioni a chi riesca a intendere.
Però, non volevo mi riguardasse.
Non volevo sentirne parlare.
Non volevo occuparmi o preoccuparmi di nessuno,
men che meno dei sentimenti altrui.
Non volevo e lo volevo maledettamente allo stesso tempo.
Idee sempre molto chiare!
 
Una grossa benda bianca mi girava alla vita, senza stringermi troppo e la maglia pulita offertami dalla Dottoressa mi stava solo un po’ grande. Sarei andata nella mia stanza e poi avrei fatto un salto da Omar per sentire quali sarebbero state le mie nuove mansioni da reclusa.
Un passo affrettato alle mie spalle mi fece però pensare immediatamente che avrei perso prima un bel po’ di tempo. Avrei riconosciuto molto facilmente il suo passo cadenzato e quasi annoiato.
Non ti ho visto uscire dalla... iniziò.
Sono uscita da un’altra porta. Dissi freddamente continuando a dargli le spalle e stringendo la maglia sporca nella mano sinistra.
Quale altra... è proprio in vena di fare domande idiote a quanto pare?
Di cosa hai bisogno? Chiesi bruscamente senza lasciarlo finire.
Silenzio. S’istallò un silenzio pieno zeppo di tensione.
Mi decisi a voltarmi verso di lui e lo vidi lì impalato nel mezzo del corridoio, con una mano in tasca e l’altra a stringere un flacone di antidolorifici dell’infermeria.
Ecco che cosa gli ha dato quando l’ha mandato fuori, giusto per farmeli prendere a forza.
Sembrava offeso, arrabbiato, deluso, sconcertato e probabilmente altre mille sensazioni. Alzai gli occhi al cielo facendo un passo verso di lui.
Non mi servono. Cercai di spiegare nel modo più gentile che riuscissi a utilizzare, ma non servì a molto il mio impegno, suonava come un insulto.
Non è vero, sei solo testarda. Sembrava che gli fosse costato caro pronuncialo, quasi non volesse dirlo. Rimasi sorpresa. Sospirai e mi protesi per prendere il flacone, ma lui me lo piantò davanti senza dire una parola ed evitando accuratamente di guardarmi in faccia. Lo presi e pronunciai: Gra... ma si era già voltato e si allontanava ..zie. Svoltò l’angolo e scomparve.
Se ne andò com’era arrivato. Improvvisamente e velocemente lasciandomi un bel po’ di vuoto, ma anche di sollievo. Non volevo parlare con lui, perché ero molto arrabbiata per il suo comportamento e onestamente non era proprio una buona giornata. Mi aveva ‘tradita’ spifferando tutto a Victor e non lasciandomi nemmeno un po’ di margine per sistemare le cose da me. No. Aveva spiattellato tutto con semplicità e questo non riuscivo a mandarlo giù come fosse nulla. D’altra parte però, si era preoccupato di rimanere negli accordi e di venirmi a prendere come concordato. Sicuramente sarebbe stato molto più che complicato tornare indietro, recuperare la bicicletta e farmi un bel viaggetto di diciotto chilometri circa con una ferita al fianco e non-morti come sfondo. Una vera tragedia, no?
L’avrei perdonato, non c’era dubbio, ma anch’io ora avrei dovuto farmi perdonare. Esser fredda nei suoi confronti non poteva che essere una cattiva idea. In pratica rappresentava il mio protetto ed io continuavo a comportarmi da immatura, ignorandolo e mostrandomi scontrosa. Così non poteva andare, ma non avevo deciso io di mettere qualcuno sotto il mio interesse, mi era stato imposto senza troppe cerimonie: ti prendi un protetto o ti saranno assegnati compiti più importanti. Qualunque fanatico avrebbe smaniato per una proposta del genere, accettando immediatamente la seconda scelta negando la prima.
La situazione era strana e difficile da comprendere anche per me. Ciò che avevo sempre desiderato, ora mi ripugnava e tutto sembrava confuso. Veramente confuso. In quel momento avrei voluto tutt’altro che morte, armi, strategie, attacchi, corse a perdifiato, ferite, lotte, addestramenti, protetti, pattuglie etc. quella era la mia vita da oramai due anni, cosa potrei mai fare per cambiarla? Segue una via che non rientra nelle mie possibilità di cambiamento! E non mi ero nemmeno accorta di quanto fossi cambiata. Avevo perso quasi tutto della vecchia me. Una lampadina rotta. Agitandola avrei potuto sentire i contatti muoversi. Rotti. Morti.
Qualcosa si era sfracellato, letteralmente faceva la muffa e viveva sanissimo dentro di me.
Lo sentivo pesante e insostenibile, così insopportabile. Non era solo una sensazione. Era tutto reale come mai mi era parso, così occupata ad affogarlo dentro di me, sempre più un fondo.
Lo nascosi
Lo nascosi
Lo nascosi
Lo nascosi
E quando proprio non vorresti ritorni qualcuno o qualcosa lo stappa dal suo nascondiglio, mettendolo in bella mostra alla luce del sole. Ed io mi sentivo cadere, in tutto quell’accecante presentimento che mai più sarei vissuta, mai più avrei visto il giorno in cui tutto sarebbe stato più semplice.
Volevo cadere. Ne avevo bisogno. E caddi.
Caddi realmente,
sul pavimento freddo, anonimo, grigio... in un corridoio illuminato da un sole dopo la tempesta.
Io ero la Stella, lui il Sole. Non saremmo mai riusciti a metterci d’accordo, eravamo troppo diversi. Stesso mondo. Stesso universo, ma differenti nel concetto.
Fu il mio ultimo pensiero delirante di uno svenimento improvviso. Persa in un oblio bianco e luminoso. Che non mi avrebbe lasciata in pace, mai. Cercavo di proteggermi dal senso di colpa ma nessuna parte di me sembrava in grado di farlo.
Almeno non in quell’esatto momento.
 



Dopo tantissimo tempo sono tornata con un nuovissimo capitolo :)
Non mi piace dare anticipazioni (che bugia enorme, lol) perchè adoro che si creino idee e poi che vengano travolte completamente, muahahah
No so, io amo questa storia, l'ho sempra amata.
Spero che a voi possa piacere ancora e ancora. Che siate disposti a seguirla anche se tutti sembra confuso e va sempre al rilento, ma l'idea è proprio quella!
Quindi l'ultima cosa che ho da chiedervi è RECENSITE FINO ALLO SFINIMENTO!
Ditemi tutto quello che pensate, non aspetto altro.

Al prossimo capitolo!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: truemcqueen