We’re just two lost souls swimming in
a
fish bowl.
Ci
vuole testa per certe cose.
Finnick
lo sapeva bene, e per quanto potesse sembrare un ragazzo
ironico , un poco superficiale e pieno di se, era convinto di essere
una
persona parecchio razionale e intelligente per i suoi diciannove anni.
E
non solo perché aveva scelto la salvezza delle persone che
amava
e di perdere se stesso in una dannazione imperitura e marcia, ma
perché non
avrebbe esitato a farlo altre cento volte.
Aveva
sempre avuto la possibilità di scegliere e il tempo per
calcolare ogni pro e ogni contro di tutto quello che gli era stato
proposto e
aveva sempre valutato.
Ma
non tutti avevano avuto la sua fortuna/sfortuna, quello che una
volta era stato il suo eroe, il modello da seguire, così
giovane, bello e
vigoroso era diventato l’ombra ubriaca di quello che era
stato.
Non
era ancora nato lui quando Haymitch Abernathy aveva vinto
l’Edizione della memoria nel cinquantesimo anno dalla rivolta
dei distretti, ma
aveva visto almeno per i primi anni della sua vita grandiosi repliche
televisive degli Hunger Games di quell’anno.
Aveva
perso tutto quell’uomo: la famiglia, la ragazza e tutto
perché aveva intuito il funzionamento del campo di forza
intorno all’Arena,
solo perché il destino o la fortuna gli avevano stretto la
mano in quel momento,
ma la Capitale non voleva lui come vincitore, non doveva finire
così per loro.
Il
primo ricordo di Finnick da Vincitore dopo la cerimonia di
premiazione era indissolubilmente a quell’uomo.
Aveva
un
bisogno impellente e la vescica sembrava scoppiare e dopo aver ricevuto
le
congratulazione da tutti i mentori degli altri distretti si era avviato
verso
l’ascensore per raggiungere le sue stanze, ma un braccio
robusto aveva fermato
la chiusura della porta meccanica e il mentore del 12 era entrato con
lui
premendo tutti i tasti della console.
-Tu-
aveva detto semplicemente indicandolo con l’indice grassoccio
–sai quello che
ti aspetta?-
Intendeva
i soldi, la fama e la gloria? Glielo avevano ripetuto tutti migliaia di
volte e
non si fece cogliere impreparato.
-Certo
signore.- rispose con un sorriso.
L’uomo
si girò dall’altra parte facendo passare una mano
tra i capelli.
-Povero
sciocco.-
-Come
signore?-
Haymitch
scattò verso di lui e con una forza che il ragazzo credeva
non avesse lo
costrinse con le spalle contro la parete dell’ascensore.
-“Certo
signore”- lo scimmiottò –tu non sai
nulla, nulla!- gli urlò a qualche
centimetro dal viso.
-Perderai
tutto come ho perso tutto io.-
Sapeva
di disperazione Haymitch, di alcool e ancora di disperazione.
Finnick
sapeva di lavanda e urina, si era spaventato e se l’era fatta
sotto come un
bambino.
L’ascensore
si era fermato e il senza voce che attendeva nell’atrio del
12 piano fece
cadere la bottiglia che aveva in mano per la sorpresa e il rumore fece
allontanare il mentore dal ragazzo.
-Pulisci
per favore.- gli disse e lo sorpassò per andare verso le sue
stanze.
Pianse
Finnick quella sera, e neppure Mags riuscì a calmarlo.
Adesso
era lì, nella sua stessa sala, a guardare i suoi tributi
cadere inesorabilmente tra un goccio di whisky e un altro, cercando un
modo per
anestetizzare tutto, per addormentare la ragione.
Se
all’inizio gli faceva rabbia e disgusto, ora gli faceva solo
una
gran pena.
Perché
lo capiva.
Anche
lui da lì a poco avrebbe perso tutto.
Il
bosco era fitto in quella parte dell’Arena e non riusciva a
vedere molto.
Si
teneva il più lontano possibile dal corso d’acqua
per non
incappare in qualcuno giunto per dissetarsi, ma aveva la gola secca e
la mente
un po’ annebbiata dalla sete.
Per
il cibo era riuscita ad arrangiarsi per i primi giorni con i
pesci trovati al di là dalla diga a monte, ma poi le
frequenti scosse del
terreno l’avevano fatta desistere dal rimanere in quel luogo,
successivamente
aveva provato a cacciare e a cercare dei frutti commestibili e non se
la cavava
poi così male e aveva ancora un po’ di cibo nello
zaino, ma l’acqua era ciò che
le mancava al momento.
La
paura si fece pian piano più lieve e la testa le disse che
non
c’era altra soluzione che avvicinarsi al letto del torrente.
Faceva
fatica a districarsi tra gli alberi e i rovi lei che era
nata e cresciuta sulla spiaggia immensa e tra le onde di un mare
sconfinato, ma
ai graffi degli arbusti sulla carne ci si abitua, al terrore che dietro
un
qualsiasi contro ci sia qualcuno pronto a toglierti la vita in un
secondo
proprio no.
Sentiva
lo scorrere del fiume a poca distanza e un tiepido sorriso
le illuminò il volto, come la sera precedente quando aveva
preso una decisione
che le avrebbe potuto cambiare la vita.
Erano
rimasti in pochi ormai, lei, solo tre dei cinque favoriti
iniziali, la ragazza bella del cinque, quello del tre, e i due fratelli
dell’otto, e in più si era fatto vivo un altro
concorrente: la sua voglia di
vivere, che fino a quel momento era rimasta acquattata in un angolo tra
il
cuore e la coscienza, ma che in quel momento ruggiva come una fiera.
Si
sarebbe difesa, non si sarebbe lasciata andare tanto facilmente.
Il
ruscello gorgheggiava a nemmeno venti metri da lei, ma decise di
rimanere ancora un poco nascosta tra le fronde.
Qualcuno
fu più veloce di lei e si avvicinò ansante alla
riva del
torrente con in mano una buffa scatoletta dalla quale
srotolò un lungo filo
metallico.
“Tenta
di pescare con la corrente” pensò con una smorfia
Annie, se
non fossero stati nemici gliel’avrebbe insegnato lei come si
pesca, altro che
elettricità!
Anche
se avesse funzionato, il fiume se li sarebbe portati via
prima che quel ragazzo tanto impacciato fosse riuscito ad afferrarli.
Sembrava
innocuo quel filo di rame, tanto da non rappresentare un
pericolo neppure per i pesci del fiume, quei morsetti troppo
inoffensivi e
quella scatola troppo piccola, ma vide un primo pesce venire a galla
per essere
preso velocemente, un secondo, un terzo e un quarto e intanto in lei la
sete
cresceva con la nostalgia di casa, di sua madre, di suo fratello e
l’odore del
pesce arrostito poco dopo aumentò
la
malinconia.
Si
sistemò su un albero spiluccando quel che restava della
coscia
di un uccello che aveva catturato il giorno prima guardando le gambe
secche del
ragazzo intento a spegnere il fuoco, ma oramai era troppo tardi e il
fumo aveva
attirato l’attenzione di qualcuno che si faceva largo nel
bosco dietro di lei.
Voleva
urlargli di scappare, di correre perché stavano arrivando,
ma si sarebbe compromessa, avrebbe rivelato la sua posizione.
Prese
un frutto tondo e secco che pendeva da un ramo vicino a lei e
lo tirò diretto alla schiena del ragazzo che si
voltò di soprassalto per vedere
cosa stava succedendo.
La
notò che dall’albero gli faceva segno di fuggire,
ma venne
atterrato da un corpo forte e pesante.
-Bel
colpo!- gridò qualcuno non molto distante.
Gold
e Wood passarono sotto il suo ramo e lei si fece piccolissima,
il più minuscolo possibile per non essere notata e le
andò bene.
-Il
rachitico del 3, pensavo una preda un po’ più
consistente
Marcus!- fece il primo.
-Siamo
rimasti in otto, adesso ognuno è una grossa preda, persino
braccia secche.-
Wood
rise di gusto mentre tra le fronde Annie rimaneva basita
dell’atteggiamento del compagno di distretto… era
cambiato davvero così tanto
Marcus?
-E
così ti sei procurato da vivere con questo arnese
è?- il biondo
dell’1 si rigirò la scatoletta tra le mani
–Che ne dici se proviamo ad usarlo
su di te?-
Il
ragazzo si dimenò, ma non riuscì a sottrarsi alla
presa.
Si
lasciò sfuggire un gemito di dolore quando Marcus strinse di
più
le braccia intorno alle sue spalle, alzò lo sguardo per
incontrare il suo: un
pesce in una rete che cerca di liberarsi, gli occhi della preda davanti
al
cacciatore, l’istinto di sopravvivenza che grida, graffia e
ti costringe ad
andare contro ogni morale, ogni etica, l’ultima spiaggia
nelle pupille troppo
dilatate.
-È
là!- gridò indicandola e facendola scoprire,
neppure fosse lei
il fine ultimo della caccia, la selvaggina per cui il predatore
lascerebbe
andare ogni altra.
Marcus
allentò la presa su di lui per la sorpresa e il tributo
tentò di scappare, ma venne buttato a terra da un calcio di
Gold che al contrario
degli altri due era rimasto vigile nei suoi confronti.
-Pensateci
voi a lui, mi occupo io di lei.- urlò Wood che si era
lanciato all’inseguimento di Annie, la quale dopo un primo
attimo di esitazione
si era gettata giù dal suo ramo per scappare.
Le
ultime cose che sentì furono le parole di quelli rimasti
sulla
riva del fiume:
-Perché
non ci divertiamo anche noi con il tuo giocattolino?- e poi
le urla del ragazzo rese ovattate dal bosco, dalla lontananza e dalla
paura.
Correva
a perdifiato da molto a giudicare dal fiatone e dalle gambe
che iniziavano a dolerle.
Nuotava
più o meno da quando l’avevano messa al mondo e
aveva una
resistenza che un taglialegna come Wood si poteva solo sognare e per
questo non
capiva come non riuscisse a seminarlo.
Sentiva
il suo fiato sul collo, l’avrebbe raggiunta e
l’avrebbe
fatta fuori.
Il
terreno si fece più ripido e scosceso, non aveva il coraggio
di
voltarsi per constatare il reale distacco tra lei e il suo inseguitore,
ma era
convinta che non fosse così ampio da potersi permettere di
rallentare.
Cosa
stava facendo sua madre? Allontanava suo fratello dalla
televisione alla quale era incollato da dieci giorni o piangeva insieme
a suo
padre?
E
per chi tifava la gente? Per Wood sicuramente, il sadico, quello
matto, l’assassino.
Chi
avrebbe scommesso contro la sua vittoria? Solo un pazzo, un
ingenuo.
Si
trovò fuori dal bosco, che si faceva troppo fitto e
impraticabile, per seguire il corso del fiume che aveva ritrovato, ma
era secco
e più largo rispetto a quello precedente, doveva essere un
altro torrente.
-Ti
prendo pesciolino.- una voce non troppo lontana da lei la
spinse a obbligare i suoi muscoli a uno sforzo ulteriore.
Prima
o poi sarebbero giunti ad un confronto frontale se lui non
avesse desistito, e visto che la seconda ipotesi era davvero poco
probabile,
prese in mano il coltello che aveva assicurato alla cintura prima di
lasciare
tutto sull’albero, ma non smise di correre neppure per un
secondo.
Cosa
avrebbe potuto una così piccola arma contro
l’accetta affilata
dell’avversario?
La
salita lasciò il posto all’ampia diga che Annie
aveva trovato
qualche giorno prima.
“Perfetto”
pensò riflettendo su quello che aveva sotto i piedi.
Si
voltò per vedere quanto Wood fosse distante e
constatò di avere
un vantaggio discreto che le avrebbe permesso di spogliarsi e di
nascondere
velocemente i vestiti in un anfratto delle rocce.
Si
tuffò e per lei fu come tornare in vita di nuovo dopo tutto
quel
tempo.
Non
importava che l’acqua fosse gelida tanto da mozzarle il
respiro
o che sotto di lei potesse celarsi un qualche ibrido creato dagli
Strateghi,
l’importante era che poteva nuotare e questo le avrebbe dato
una marcia in più.
-Torna
qui puttana!- Wood non era nemmeno entrato.
-Perché
non vieni tu qui?-
Era
una spavalderia che non aveva mai avuto, la coscienza di non
essere morta o in procinto di esserlo, la voglia di non essere
più fragile.
Nemmeno
il contatto con i vestiti asciutti riuscì a darle sollievo
dai brividi che le percorrevano il corpo.
Doveva
andarsene di lì al più presto, se fossero tornati
tutti e
tre non l’avrebbe scampata.
Aveva
perso l’orientamento a causa di quella corsa e non sapeva
come fare per tornare all’albero dove aveva lasciato tutta la
sua roba.
L’unica
cosa buona era che la sete non la tormentava più, al suo
posto però era arrivata la fame e la consapevolezza di non
poter neppure
prendere qualche pesce perché non avrebbe potuto cucinarli
lì senza fuoco.
Ormai
era sera e l’arrivo del buio non l’avrebbe di certo
aiutata e
scaldata.
Avvertì
un suono metallico e argentino vicino a lei e sobbalzò
portando l’arma vicino al viso per difendersi, ma la
riabbassò quando vide il
paracadute tra i rametti di un cespuglio di more.
Dentro
tre panini caldi e quattro fiammiferi e un biglietto:
“Continua così. F”
Accese
un fuocherello infischiandosene del fumo e del pericolo di
farsi trovare, asciugò la pelle e i capelli, raccolse le
more dal rovo e ne
mangiò a volontà insieme a tutti e tre i panini:
non avendo dove metterli
sarebbe stato sciocco sprecarli.
Il
mattino dopo la svegliò il cigolare ritmico di corda e due
colpi
secchi di cannone.
Portò
le mani agli occhi per costringersi a non guardare, ma
l’immagine si era stampata già indelebile nella
sua testa.
Da
due rami di un albero vicino a quello che aveva scelto per la notte
penzolavano i corpi inermi dei due biondi fratelli del distretto 8, i
colli
stretti nei morsi delle corde e i volti rilassati in quella che forse
era
un’espressione di tacito sollievo.
Erano
magri e le braccia scarne ciondolavano al ritmo del vento che
imperversò d’un tratto nell’Arena.
La
terra si sollevò e le entrò nella bocca e per un
poco non riuscì
a respirare.
Un
Hovercraft stava calando le sue braccia meccaniche per
agguantare i due tributi morti anche se lei era nei paraggi: i suicidi
non
erano ammessi dal gioco, troppo scandalo, poco audience e tanti
problemi in
più.
Annie
corse via.
Se
non ce l’avevano fatta loro a resistere probabilmente non ce
l’avrebbe fatta neppure lei.
Erano
rimasti in quattro oramai poiché, il giorno precedente,
aveva
trovato la ragazza del 5 morta al fiume che era diventato vermiglio a
causa del
sangue della ragazza.
Non
aveva rivisto in lei quella bellezza che l’aveva colpita al
centro di addestramento: i bei capelli biondi erano imbrattati di terra
e
sporchi, il fisico tonico ridotto ad uno scheletro, la bella bocca
carnosa
contratta in un’espressione di angoscia.
Adesso
toccava a lei, uno contro tre perché non si erano ancora
divisi loro, la cercavano insieme come cani una volpe, tranne che lei
di una
volpe non aveva niente se non la paura.
Volevano
concludere tutti, Capitol City e gli altri tributi.
Ora
toccava a lei decidere se la sua vita valeva la pena di essere
vissuta.
Se
aveva ancora qualcosa per cui lottare e uscire dall’inferno.
Ma
dall’inferno non ci si esce mai, neppure da Vincitori.
Finnick
era racchiuso in un girone profondo di lussuria, invidia,
inganni e gelosia, e le diceva sempre che lei era il suo angelo venuto
a
tirarlo fuori.
Ma
chi avrebbe tirato fuori lei?
A
quanti diavoli avrebbe dovuto vendere l’anima?
A
nessuno probabilmente se non fosse uscita viva di lì.
Forse
Marcus avrebbe vinto e avrebbe portato un po’ di soldi al
distretto.
Forse
alla vista di tutto quel ben di dio suo fratello avrebbe
smesso di piangere.
Forse
avrebbe trovato anche lui un angelo.
La
fame la richiamava dai suoi pensieri come uno spettro che non
lascia dormire.
Tutta
la frutta dell’Arena era maturata e marcita nel giro di poche
ore e di animali non se ne vedeva traccia.
Tutto
si sarebbe concluso in quel pomeriggio.
Una
corda le si strinse contro le caviglie in un istante, il tempo
di rimanere sbigottita e si ritrovò a penzolare a testa in
giù come un salame.
-L’abbiamo
presa!- gridò qualcuno che riconobbe come Gold.
Poco
dopo cadde rovinosamente facendosi male alla schiena e alla
testa.
-Portiamola
alla cornucopia, voglio che tutti vedano nel modo
migliore!-
Un
grugnito di rabbia uscì dalla sua bocca prima che un calcio
di
Wood la zittisse.
-Non
dovevi farmi arrabbiare pesciolino.- le sussurrò
avvicinandosi
a terra per poi prendere quello che restava della corda per trascinarla
come un
animale fuori dal bosco.
Neppure
il vento sembrava voler turbare un momento così idilliaco,
anche il Presidente Snow voleva godersi la sua vittoria e sembrava aver
ordinato a tutto di tacere.
Annie
era rassegnata, Wood talmente contento da concedersi di
saltellare allegramente compromettendo la sua immagine di duro, ma non
quella
di matto.
Le
aveva liberato le gambe, perché voleva vederla divincolarsi
e
soccombere, ma lei era rimasta impassibile.
-Fai
alla svelta.- Marcus intimò il ragazzo del 7.
“Spero
che vinca tu Marcus, perché se non ci fossimo trovati in
questo posto saresti stato un ottimo amico, perché so di
starti simpatica e di
farti pena, perché sapevi che Finnick era venuto a dormire
con me e non hai
fatto la spia, perché sai che morirò e questo un
po’ ti dispiace.”
-Mi
ha preso in giro questa lurida! Merita di pagarla!-
-Fai
quello che credi basta che sia un lavoro veloce.-
-Tanto
prima o poi avrei dovuto farlo.- mugugnò Wood tra le labbra
e con un movimento veloce tranciò di netto la testa di
Marcus.
Ci
vuole testa per certe cose e Marcus aveva appena perso la sua.
E
con la sua se ne era andata anche quella di Annie.
La
ragazza iniziò ad urlare e dimenarsi come un ossessa.
Qualcosa
si ruppe dentro di lei.
Qualcosa
si ruppe dentro l’Arena.
Un
attimo ancora di silenzio e poi tutto il fragore crudele
dell’acqua impetuosa che scorre.
NdA:
non ho
mai scritto un capitolo così lungo in questa Fanfiction, ma
è il penultimo e
necessitava di qualche parola in più.
Un
enorme grazie a chi mi continua a seguire nonostante i miei
ritardi.
Visto
che questa mia storia si avvia alla conclusione ho deciso che
probabilmente scriverò un’altra Finnick/Annie
molto diversa da questa, ma amo
questa coppia e non ne posso fare a meno, e anche un’altra su
una coppia un po’
più particolare che però inizia ad interessarmi.
A
presto ghiandaie!
cranium