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Autore: Nocturnia    07/11/2012    0 recensioni
Ci sono storie che affondano le loro radici nelle viscere dell'umanità.
Ci sono alcune storie - quelle brutte, quelle dal sapore tragico della profezia - che dipingono il proprio svolgimento con i colori della guerra e del sangue.[...]L'ho vissuta e infine compresa, abbracciandola. E nel suo abbraccio ho trovato una risposta.
Una fine e un inizio.
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nel segno del sangue'
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Disclaimer: Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. L’intreccio qui descritto e i personaggi rappresentati sono copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


Abruptus


Come uscimmo da quell'inferno, ancora non lo so bene.
Dal fumo e dal rumore assordante che ne seguì, sono abbastanza certa che Addakra abbia lanciato una granata, stordendo i soldati e dissimulando la nostra ritirata.
Mi ero affiancata subito a lei dopo averle tolto di dosso il Ritornato, sparando quattro colpi in rapida sequenza ai demoni e gettandole il mantello sulle spalle.
Non mi aveva neppure ringraziato.
Per una donna come lei, un 'grazie' era l'ammissione del fallimento.
Per una donna come lei, il sentimento era un cancro putrescente al centro del petto.
Se non ti ammazzava prima lui, lo facevano i demoni.
Avresti detto fosse una pietra, una furia travestita da soldatino di cemento.
Ma quell'unica lacrima che vidi su quel viso mi colpì quanto un pugno, lasciandomi senza fiato. Quando aveva perso conoscenza, accasciandosi al suolo e battendo le ginocchia sulla roccia nuda, mi aveva rivolto uno sguardo che era stato una stilettata rovente nelle membra.
Era stato agonia, patimento.
Era solitudine, smarrimento, pentimento.
Era il nome che portava ancora sulle labbra, che ogni notte gridava ad un cielo privo di stelle.
Zanor.

Addakra mi fissava astiosa, tenendosi una mano premuta sul fianco, da cui trasudava un misto di sangue e pus.
Continuava a spalmarsi l'achillea millefolium sui bordi della ferita, osservandone, critica, i contorni slabbrati e l'aspetto violaceo, simile a una contusione.
Emise un debole gemito, impallidendo all'improvviso.
"Hai perso troppo sangue, Addakra..."mormorai ravvivando il fuoco "e probabilmente ti verrà la febbre. Non possiamo andare da nessuna parte con te in queste condizioni."
Un sputo al suolo fu l'unica risposta che ricevetti, coronata da un poco elegante dito medio.
"Lo so anche io, bamboccia. Combatto da più anni di te da saper riconoscere i danni e le conseguenze di un angone."
Scrollai le spalle, ignorando i suoi commenti sarcastici.
"Comunque sia, non possiamo proseguire." un lampo d'ira attraversò quegli occhi vermigli, un lieve contrarre della mascella l'unico indizio circa lo stato d'animo della cacciatrice. " A meno che tu non decida di dedicarmi un'ora del tuo preziosissimo tempo e raccontarmi tutto."
Inclinò il viso nella mia direzione, scostandosi una ciocca di capelli.
"Tutto cosa, Dyen?"
"Tutto." ribattei testarda "Come hai fatto a prenderti un angone nelle costole. Come sapevi che le truppe di Moloch erano accampate qui, a pochi chilometri da Eshpond. Chi era quel demonio con due falx grandi come la sua schiena, il Ritornato."
Vidi Addakra stendere le labbra piene in una riga sottile, amara, le mani accomodarsi in grembo, stringendo convulsamente la piccola ampolla in argilla.
"No."
"No?!" replicai buttando via il legnetto ed alzandomi in piedi "No cosa, Addakra? Sono mesi, MESI, che combatto, mangio, dormo al tuo fianco! Mi hai istruita, mi hai allenato per diventare quella che sono e ora? Mi neghi persino il motivo per cui abbiamo rischiato di crepare in quel buco merdoso di avamposto? NO NIENTE, ADDAKRA!" urlai avvicinandomi "non è contemplata tra le risposte!"
Avrei giurato di vederlo, quel rapido muoversi di braccia e muscoli.
Avrei giurato di essere stata veloce, ma la sua wakizashi era già piantata alla mia gola.
Tutto si era fermato, paralizzato nella forma di una lama azzimata nella notte e di un collo flesso all'indietro, le sue unghie incrostate di sangue che mi graffiavano la nuca.
"Non tollero simili atteggiamenti, Dyen. Potrei tagliarti la gola qui, adesso, ma avrei perso solo otto mesi di addestramento per niente. Eri e sei rimasta una piccola ragazzina spaventata, cui il solo istinto le ha permesso di sopravvivere. Ma ci sono molti modi di morire, Dyen. E offendermi è uno di questi. "
Lasciò i miei capelli all'improvviso, facendomi perdere il piede d'appoggio e mandandomi a sbattere contro un tronco vicino.
Rinfoderò la lama d'ebano, finendo di bendarsi il taglio in silenzio, solo il lontano frinire dei grilli a fare da cornice a un dialogo surreale.
"Chi era?"
"Allora non capisci proprio niente, eh?" aveva berciato al mio indirizzo, sedendosi al capo opposto del campo e avvolgendosi nella folta pelliccia di pardo "Sei sorda, per caso? Ho tirato una granata senza accorgermene nelle tue orecchie, Dyen?"
Raddrizzai la schiena, il bruciore dell'escoriazione provocata dal legno un brivido lungo le ossa.
"Chi era, Addakra? Chi era quel demonio? Chi era Zanor?"
"Non insistere." scandì tetra "Non spingerti dove non devi, bronnen."
Scossi il capo più volte, chiudendo a pugno la mano e portandomela sotto il mento, cercandole gli occhi con gli occhi.
"No Addakra. Fino ad adesso abbiamo fatto a modo tuo, in tutto. Hai ragione. Sono una bronnen, una sopravvissuta. E non possiedo la metà della tua abilità. Ma laggiù..." sibilai indicando un puntino lontano avvolto dal fumo " ho rischiato la mia vita, per la seconda volta, perché hai esitato. L'ho visto benissimo. Ora..." conclusi avvicinandomi al suo fianco "se non sapessi che sei un'arma, una lama temprata nell'odio e nella disciplina, penserei che hai una qualche forma di interesse e quindi, che hai un cuore, Addakra." incrociai le braccia al petto, arrogante "Mi sbaglio?"
Silenzio.
"Sbaglio, Addakra?"
Un sorriso pigro le aveva curvato le labbra mentre si toglieva il cappuccio e buttava altra sterpaglia nelle fiamme.
"Se sei così sicura, non vedo perché tu abbia bisogno di una mia risposta. Girati dall'altra parte e dormi, tenendoti stretta la tua idea."
"Chi era Zanor? Perché lo nomini sempre, la notte? Chi era, per te?"
Ancora nessuna reazione.
"Chi era?"
"No." era stato il suono che le era uscito tra i denti stretti, snudati come le zanne di una fiera
"Chi era?" una domanda che perdeva significato e si usurava nel ripeterla come un mantra.
Una domanda da cui dipendeva tutto il mio futuro, una domanda che non volevo abbandonare.
"Nessuno."
"Non ti credo."
"Credi a quello che vuoi, bronnen."
La scrutai ancora qualche istante, le fiamme dipingere strane volute su quegli zigomi pallidi e regali, fin troppo per una godeva nel vedere il sangue e non aveva certo paura di sporcarsi con il putridume della guerra.
"Benissimo." esclamai infine infastidita "Questo significa solo che domani, oppure la prossima notte o quella dopo ancora, sarò io personalmente a ficcargli nelle budella le sue due falci a quel demone dalla lunga coda. Magari, evitando di beccarmi un angone nel polmone."

Quello che successe dopo, non era previsto.
Avevo pensato che mi avrebbe regalato una delle sue risate basse e roche, intrise di quella malinconia che la rendevano una cacciatrice eccellente.
Mi ero immaginata una pacca sulla spalla e una risposta derisoria, anche un po' offensiva.
Ma non era preparata alle sue parole.
Non ero preparata al fardello che esse avrebbero portato con loro.
Mi aveva afferrato per la cinghia che mi attraversava il petto, alzandomi di qualche centimetro buono da terra, sebbene non fosse molto più alta di me.
In quelle iridi purpuree vi era una luce livorosa, un baluginio di cui ebbi paura.
Trattenni il fiato, la sua energia che mi colpiva come tanti pugni, frustate velenose e spire di serpente che stritolavano e stritolavano.
"No, tu non farai proprio niente, bronnen." latrò a pochi millimetri da me "Perché Zanor era il mio uomo. E tu, piccola ragazzina, non lo ucciderai di certo sbudellandolo."

E la terra si frantumò al peso di quelle parole, fondendosi con un cielo da cui pioveva fuoco.
Fuoco e speranze.

"Sei un audace insieme di errori e sprovveduto coraggio, Addakra."
Troppo piacere in quegli occhi glaciali, troppo oscena la vibrante risata che gli fuoriusciva dalle labbra.
"Suona quasi come un complimento." un sibilo: divertito, sarcastico.
Feroce.
"Guardami e dimmi cosa vedi." mani prepotenti e forti, violente.
Assassine.
"Una bestia." nessuna dolcezza su quel volto di donna e ferae, nessuna illusione "Un demone. Un uomo."
Una risata di vetro, che si frantuma nella nebbia e ne diventa parte.
"Un uomo..." nessuna pietà, nessuna compassione.
Addakra lo fissa immobile, il braccio intrappolato tra quelle dita vestite di nero.
"È come appari." replica senza stornare l'iride.
Zanor stira le labbra in un sorriso scettico e ferino, rifiutando un amore che sapeva essere solo l'ultimo patibolo.
La lunga coda scagliosa si arrotola nell'aere, scivolando, spudorata, sul viso di lei.
Addakra non si scosta, Addakra non ha paura.
La ferae è notte e sangue, sudore e un futuro disfatto.
"Non dovevi cercarmi. Non dovevi affrontarmi."
È la bocca di Addakra, questa volta, ad aprirsi in una risata sfrontata, i rostri di lui che le percorrono le membra, saggiandone la consistenza.
La debolezza.
"Sei solo un uomo, Zanor. Sei ciò che rimane del mio futuro. Sei la mia preda."
E' la pupilla di un morto quella che la fissa, cercandole gli occhi con gli occhi.
"Convincimi, Addakra."
Perplessità, smarrimento.
"Non mi piego ai tuoi colpi, demonio."
L'arroganza che oblia l'incertezza, toni da guerriera per dissimulare la vittima.
"L'hai già fatto..." labbra prevaricatrici quelle che si posano, ruvide, sulle sue.
Sanno di cenere e morte.
Sanno di notti insonni, ad aprire le cosce - il cuore - a uno spettro.
Di promesse sancite nel sangue e nel vischioso di una sfida a colpi di lama.
"Ti ucciderò, Addakra..." un mormorio che le spezza il respiro, il ringhio di un lupo.
Una luna sbiadita illumina due corpi abbandonati nel buio, lacerati.
"Non puoi." una pupilla uncinata gli scorre addosso, prima di scomparire tra il grigio della memoria e il bianco del nulla " L'hai già fatto."

Per quelli che paiono minuti, Zanor rimane immobile, rigido e dolente nei suoi pensieri.
Sulla sua bocca, il sapore della vita a cui è stato strappato, l'araldo della sconfitta.
Per lui, quella donna è un fantasma di tenebra e bruma, schegge di passato e gemiti intorno al fuoco.
Ha l'odore del cuoio e di una brama che può tacitare solo con l'insano orgasmo della lotta.
Frusta irato l'aria, liberando un verso gutturale, quasi il latrato di un lupo.
Quando comincia a nevicare, non saprebbe più dire se è ghiaccio o sale quello che gli scorre sulle guance.
E, in fondo, non vuole davvero saperlo.




Nota dell'autrice:

Achillea millefolium: è una pianta di cui si usano i fiori essiccati per le proprietà antispasmodiche (bagni rilassanti), astringenti, cicatrizzanti ed antinfiammatorie.
Wakizashi: è un'arma bianca giapponese, una piccola spada corta indossata dai samurai. Sempre a contatto con il corpo, veniva utilizzata durante la cerimonia del Seppuku.
Falx: dal latino, significa "falce", qui al plurale, ovvero "falci".
   
 
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