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Autore: Nocturnia    12/11/2012    0 recensioni
Ci sono storie che affondano le loro radici nelle viscere dell'umanità.
Ci sono alcune storie - quelle brutte, quelle dal sapore tragico della profezia - che dipingono il proprio svolgimento con i colori della guerra e del sangue.[...]L'ho vissuta e infine compresa, abbracciandola. E nel suo abbraccio ho trovato una risposta.
Una fine e un inizio.
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nel segno del sangue'
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Disclaimer: Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. L’intreccio qui descritto e i personaggi rappresentati sono copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



Recordatio



Mi scaraventò al suolo infuriata, contraendo, affamate, quelle mani che erano brave solo ad ammazzare e a colpire.
"Io... io non potevo saperlo, Addakra... io..."
Vergogna. Colpa. Rimorso.
Ecco le uniche cose che provavo, le uniche che riuscivo a comunicare tramite il mio viso arrossato e le lacrime incipienti.
"TACI!" aveva sibilato spietata "Taci, Dyen."
E nei suoi occhi, condannati da una pupilla verticale di rettile, vi era uno strano miscuglio di emozioni.
Rabbia, odio, dolore.
Una malinconia struggente e provocatoria, che sfidava gli altri a denigrarla, ad additarla, a compatirla.
Raccolsi la mia coperta e mi ci avvolsi, frastornata dall'immensità che rappresentava quella notizia.
Il Ritornato che avevamo combattuto e contro cui avevamo perso era Zanor, un vecchio cacciatore di demoni.
E Addakra non mi era mai sembrata vuota come in quel momento, persa.
Distrutta.
La sentii armeggiare con la sacca e lasciarsi andare con un tonfo sordo sul pagliericcio, il respiro una serie di scatti brevi e irritati.
"È morto senza che io facessi niente. È morto per colpa mia."
Un sasso scagliato su una superficie immota, una sola frase sussurrata, che però aveva la stessa potenza di un tuono.
Mi girai verso di lei, vedendola piegata su se stessa, i capelli bruni che le coprivano il viso, su cui le fiamme dipingevano figure irreali.
Tacqui alcuni minuti, lasciando che fosse lei a continuare, nascondendosi il volto tra le mani guantate.
"È questo che volevi sapere, Dyen? Che ho anche io delle debolezze? Che quello che ti dissi mesi fa era la verità?" rialzò lo sguardo su di me, trafiggendomi, tra le ciglia tracimare, impietosa, una lacrima. " Avevo vent'anni, VENT'ANNI, quando i cultisti assaltarono la mia città, vicina ad Albir. Zanor mi prese come si prende un cucciolo di lupo: per allevarlo, crescerlo, farne il tuo degno erede a capo del branco.
Non era un signore, ma un mercenario al soldo del condottiero più pericoloso: la vendetta.
Ho imparato da lui tutto quello che mi serviva per sopravvivere e anche di più.
È morto per difendere me, ME." sillabò gemendo "E io non ho potuto fare altro che seppellirlo sotto quelle nevi che sono state la sua tomba."
Una smorfia asimmetrica le adornò le labbra, un sibilo di serpente tra i denti serrati:
"Eppure, eccolo lì. Un Ritornato. La prima volta che me lo trovai davanti, fui costretta a scappare. La seconda, fu solo un penoso dialogo a fare da cornice alla mia codardia. La terza..." si interruppe un attimo "beh, la terza hai visto come è andata a finire."
"I Ritornati sono umani a cui viene inoculata la scintilla dei demoni." recitai rigida "Non sappiamo ancora quanto rimanga in loro della vecchia vita, Addakra. Forse, potremmo..."
"No." Addakra emise un suono stridulo, raggelante "Non so come, né quando, ma devono averlo disseppellito e contaminato, è l'unica spiegazione. A quei tempi, il nome di Zanor Ves'eny era molto famoso tra le schiere demoniache e non. Sfregio, curiosità, esigenza di potere e dominio. Così mi fu detto. Ma so che il suo corpo è stato restituito a una vita che non avrebbe mai voluto. E so quanto sia pericoloso in quella forma."
"Era una leggenda, anche tanti anni dopo la sua scomparsa...ne parlavano sempre persino nella locanda di Silverkin. " replicai quieta, nell'aria l'odore un po' stantio del legno e della birra che era solito bere mio padre con gli amici "Come mi ha insegnato tu, i demoni sono sempre in caccia. Non importa di chi o cosa. Basta che, alla fine, ne entrino in possesso. Mi dispiace, Addakra, seriamente."
Addakra annuì, espirando rumorosamente, e capii che considerava chiuso l'argomento.
"È una storia con cui il destino si è già divertito abbastanza a giocare, Dyen, e io non ho più voglia di parlarne. Sai quello che c'era da sapere, sai perché ho esitato.
Domani attaccheremo nuovamente Slaught, ripulendola, e non esiterò, questa volta."
"Ma..." obiettai sorpresa "come..."
Alzò una mano, facendomi segno di stare zitta.
"Non ti preoccupare del come, Dyen." replicò in tono morbido " A quello ci penso io."
"Ma..."
"Niente ma, bronnen." disse liquidandomi con un gesto spazientito della testa " Io uccido demoni. Uccido ciò che significano e ciò che portano. Li guardo negli occhi e spengo il loro riflesso nel ghiaccio della mia lama. Ed è proprio quello che farò, domani. Riposati, mi servi vigile e attenta." si sollevò dal giaciglio e mi dispensò una pacca sulla spalla, lanciandomi la piccola brocca d'acqua "faccio io il primo turno di guardia."
Era la superficialità della codardia, ma non volevo sapere le sue reali intenzioni.
Egoista com'ero, volevo solo dormire e credere ancora.
Credere che quello che avevo letto nei suoi occhi non fosse l'ardore del martire.
Credere che tutto sarebbe andato bene.
Credere che avrei visto un'altra alba, ancora.
Che c'era una speranza per Zanor, per Addakra, per tutti noi.
Fu con questi sciocchi pensieri che la fissai inoltrarsi nel fitto sottobosco, in quella che era una routine di perlustrazione comprovata.
L'ultima.

Rovinò al suolo non appena i rovi la nascosero dalla vista di Dyen.
Aprì la bocca in un urlo muto, un lamento straziante la prima cosa che ne fuoriuscì, seguito da una serie irrefrenabile di singhiozzi.
Con la fronte poggiata sul terriccio e le braccia avvolte intorno alla vita, Addakra sembrava solo il pallido involucro dell'orgogliosa guerriera di pochi istanti prima.
Piangeva, scie di sale che altro non erano che l'allegoria di un futuro spezzato, ambizioni perdute, speranze seccate e un amore che non aveva mai smesso d'esistere.
Quella bronnen le aveva inflitto un colpo mortale come neppure immaginava, inchiodandola davanti ai suoi errori, davanti alla sua incapacità di superare le cose.
Di vivere.
Addakra non voleva vivere, questo era un crudo dato di fatto.
Addakra si muoveva per inerzia, fortunata d'essere nata - essere diventata - forte tra esseri insignificanti, furba tra stupidi di talento e veloce dove gli altri erano troppo lenti per cogliere un pericolo.
Ma a lei non fregava proprio un bel niente degli altri.
Non più.

La morte non è la peggiore sorte che possa capitare a un uomo: in un mondo come Matarisvan, straziato e corrotto, avvolto dal conflitto tra angeli e demoni per il controllo dei phazani, è forse il male minore.
Addakra lo pensava seriamente mentre camminava al fianco di Zanor, le loro impronte effimeri spettri sulla neve fresca.
Erano ormai in marcia da alcune ore quando giunse la cinica lama che deviò il corso della sua storia.
Poteva ancora ricordare il calore della schiena di Zanor, i muscoli fibrosi tesi sotto l'armatura leggera, lo sguardo artico fisso sul punto da cui si incuneavano i nemici.
Il sorriso di superiorità con cui accolsero gli accoliti oscuri e i loro gregari durò solo pochi istanti, giusto il tempo che ci misero nell'accorgersi che erano circondati.
Moloch aveva emesso una condanna a morte.
E il cappio penzolava proprio davanti a loro, sempre più vicino.
Il sapore amaro della consapevolezza si intromise nel suo palato, facendole incollare la lingua e digrignare i denti.
"Non credo che abbiamo molte possibilità..." mormorò Zanor emettendo un risolino teso "ma dobbiamo comunque combattere, no?"
Addakra annuì, incapace di dire altro, cercando tra le pieghe del suo essere anche sola una libbra dell'odio e della disciplina che l'avevano aiutata fino a quel momento.
Niente.
Tutto iniziava e finiva nel volto di Zanor, nei suoi capelli corvini, nella sua imprevedibilità di assassino e bestia.
E capì di essere condannata.
"Lyumaya moyar..." le sussurrò nelle orecchie "ti copro io."
I rakashi dondolavano incerti, nella tipica andatura delle loro razza, mentre i cultisti storcevano le loro deformi bocche nella parodia di un sorriso.
I saprofagi si accalcavano intorno alla pianura, annusando l'aria e pregustando già il macabro banchetto d'ossa e carne di cacciatore.
Addakra sospirò, troppo tenacemente attaccata alla vita per rinunciarvi così facilmente.
"Perfetto." replicò incolore "Prima i cultisti, poi gli uomini - capra."
Scattarono in completo sincrono, estraendo le doppie balestre e scoccando a ripetizione, fin quasi sentire il fuoco risalire lungo gli avambracci.
La neve si tinse del rosso del sangue dei demoni, al cielo grigio le urla di entrambi.
Poi, successe quello che cambiò la storia per l'ennesima volta: nella direzione peggiore.

Addakra si accovacciò sul mantello sdrucito, il ricordo di quell'attimo una mano gelida che estraeva a forza i resti di una vita mai goduta appieno.
Smise di respirare, serrando forte le palpebre, quasi volerlo cancellare.
Ma non si può cancellare l'orrore.

L'ascia bipenne del rakashi la colpì al fianco, falciandola.
Addakra scivolò al suolo, ritrovandosi soverchiata dalla massiccia figura caprina.
Uno zoccolo le spezzò il polso destro, l'altro le fratturò qualche costola.
Sputando un grumo di sangue, si inarcò contro il nemico, assestandogli un calcio a basso ventre.
Il rakashi arretrò di qualche centimetro, sufficiente per trapassarlo con il gladio corto.
Si fissò il polso inutilizzabile e, furibonda, cercò di recuperare la balestra con l'altra mano.
Strisciante, non si avvide del cultista che, etereo, le era giunto alle spalle, una sfera verdastra nei palmi putrefatti e piagati dalla corruzione.
Fu l'agghiacciante rumore della carne lacerata che la fece voltare di scatto, la realtà frammentarsi in tanti spezzoni sconnessi.

Si era detta che non poteva essere Zanor quello che le cadeva addosso, la testa divelta del cultista un dettaglio trascurabile al confronto dello squarcio che, come un fiore osceno, gli apriva l'addome.
Si era rassicurata del fatto che non ci fossero più demoni nei dintorni, che dovevano aver vinto.
Ma era stato un momento flebile e rapido quanto il frullare d'ali di un tenero uccellino.
Che le aveva strappato il cuore come il più feroce dei rapaci.

"Zanor..." lo chiamò implorante, stringendo una mano tra le sue, così piccole al confronto "Zanor..." singhiozzò patetica, chinandosi su di lui.
Era riuscito a levarsi il cappuccio, alzando il capo verso di lei.
Aveva gli occhi azzurri straziati dal dolore, dalla certezza di una morte sofferta e agonica.
Addakra lo strinse tra le braccia, il sangue di lui macchiarle il collo, le dita, il corpetto.
Lo sentì tremare, quasi una convulsione, gli ultimi spasmi di una puttana dalla faccia ossuta che voleva portarselo via.
Lo strinse più forte, maledicendosi per la sua incompetenza, desiderando anche un solo modo per strapparsi l'anima e morire con lui.
"Addakra..." lo sentì gracchiare, quasi imperioso, fino alla fine.
Zanor trovò il suo viso nell'ultima carezza, le dita fredde percorrere lo zigomo sinistro, raccogliendo stille di sale.
Le si avvicinò, cercando le sue labbra, morbide ed esangui, in un bacio feroce ed esigente, dove il sangue diventava l'espressione di una morte che non finiva nell'orgasmo di una notte.
"Non è così grave..." aveva gracchiato Addakra, nella stupida convinzione degli illusi.
Era il suo sangue quello che le lordava le mani.
Erano le sue viscere quelle che sentiva contro le gambe.
Era una voragine di membra e rimorso quella che tentava di tamponare con il mantello.
Era solo il triste tentativo di negare la realtà, perché quella realtà ti aveva già ucciso decine di volte.
Zanor aveva steso le labbra in un sorriso autentico, il primo, invero, da quando l'aveva incontrato.
Le era poi scivolato addosso, il suo ultimo respiro più debole del precedente, gli occhi vuoti, privi di espressione.
Con un gemito straziante, la vita di entrambi si era spenta nell'incavo della spalla di Addakra, il cui cuore era avvampato per l'ultima volta, consumando tutto e diventando un grido inconsolabile.

Quella mattina, coperta da una neve oltraggiosamente candida, Addakra aveva seppellito la sua umanità, giurando su di un vessillo d'ossa e finta giustizia.
Combatteva per estinguere una sete più antica, non per il bene degli altri.
Uccideva demoni per sfogare il proprio insano istinto, il dolore un'altra forma di esistenza.
Parlava poco e solo per offendere, denigrare gli altri.
Si svegliava la notte con una tremenda sensazione di assenza, mitigata solo dal ricordo.
Le sue braccia prepotenti, il viso dai tratti maschili, a momenti persino profani, la grana di una pelle intagliata nella guerra e nella violenza.
Ed era quando rimembrava come ormai tutto questo fosse solo polvere che si alzava sulle gambe tremanti, indossava il sudario della guerriera e scappava tra i cirri nerastri della notte, uccidendo per non gridare la propria desolazione.
Se è vero che la sofferenza tempra, rendendo più forti, lei avrebbe dovuto essere una torre inespugnabile.
Guardò il cielo, fasci rosati intravedersi tra le nubi che, dense, si raccoglievano intorno alla piana.
Allora perché si sentiva un fragile coagulo di errori e carne rossastra?


Note dell'autrice.
Rakashi: demone ispirato alla classica mitologia del dio capra, ovvero questo
Lyumaya moyar: è la storpiatura di Lyubimaya moya, che in russo significa 'mia amata'.
Ho immaginato che un cacciatore come Zanor, proveniente dalla terra del Nord, dovesse parlare una lingua dura e aspra, almeno al suono, come quella russa, per cui ho "distrutto" la naturale struttura per inserirla in un contesto che non le appartiene e renderla quindi idonea.


   
 
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