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Autore: Opalix    25/05/2007    11 recensioni
“Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora in verità sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute. Ma credo che saranno i cristiani a narrare l’ultima storia…” Marion Zimmer Bradley – “Le nebbie di Avalon”.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
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CAPITOLO 6: IN LOVING MEMORY

Un’intera giornata trascorse in festeggiamenti, piani di vittoria ed euforici sogni di gloria. La distruzione di un Horcrux aveva il potere di dare speranza a tutti, nessuno escluso. Pur provando una felicità intensa per ciò che tutta la squadra stava riuscendo a realizzare agli ordini di Harry, che ormai più nessuno considerava solo un ragazzino, me ne stavo a guardare, nel sorriso la gioia che avrei voluto condividere, ma nella mente soltanto il pensiero di chi avrebbe gridato, strillato, sorriso e brindato a quell’occasione… se soltanto avesse potuto. Il pensiero di Ron, al sicuro nella sua stanza protetta da ogni cosa, ma solo, addormentato… perso, per sempre forse, mi stringeva il cuore in una morsa gelida, insopportabile: non riuscivo a stare lontana da lui più di un paio di ore, poi dovevo tornare là, guardarlo, toccarlo, assicurarmi che ci fosse ancora, che fosse vivo… che quella speranza non fosse perduta per sempre.
Una volta trovai Ginny, con lui.
Mi nascosi e rimasi ad osservare.
Non l’avevo vista per tutta la giornata, pensavo si fosse rintanata in infermeria, a rimestare qualche pozione o leggere pagine su pagine che ormai conosceva a memoria, nella vana speranza che un dettaglio essenziale le fosse sfuggito: un dettaglio che avrebbe potuto risvegliare Ron. Con la mano gli stava sistemando i capelli sulla fronte e gli raccontava probabilmente della distruzione di Nagini, con quella voce sommessa che si usa per raccontare le favole ai bambini. Non riuscivo a cogliere che qualche parola. Un attimo dopo la sentii sospirare e la frase che seguì risuonò chiaramente nel silenzio.
“Vorrei che tu potessi vederlo, e sentire il profumo di quei fiori. È un angolo dimenticato da tutti, ma sembra che la magia di Isanhild non l’abbia mai lasciato… come se lei avesse continuato a vivere là dentro per secoli.”
E così, ladra di confidenze che non erano rivolte a me, arrivai a sapere che Ginny aveva aperto il giardino di Isanhild.
Ciò che non sapevo era che il giardino era divenuto il rifugio per qualcuno che, probabilmente, io stessa avrei ucciso a vista come un cane malato di rabbia. Qualcuno che però aveva ancora una storia da raccontare.

“Long ago, when man was young and the dragon already old, the wisest of our race took pity on man. He gathered together all the dragons, making them vow to watch over man, always. And at the moment of his death, the night became alive with those stars, the constellation Draco. And thus was born the Dragons' Heaven. But when we die, not all dragons are admitted to this shining place. No, we have to earn it. And if we don't, our spirit disappears as if we never were. And that's why I shared my life force with a dying boy - so I would reunite man and dragon, and ensure my place among my ancient brothers of the sky. But... my sacrifice became my sin.”
From “Dragonheart” (film, 1996)

Tra le fronde degli alberi lampeggiavano gli ultimi raggi rossastri del sole, prima del tramonto, tingendo le foglie lucide di bagliori argentei e violacei sullo sfondo verde scuro, quasi nero. Ginny osservavo lo spettacolo, intenta, gli occhi persi in quei riflessi di sangue e luce: al di là del muro coperto di foglie poteva percepire la presenza di lui, lui che la stava aspettando… così vicino eppure distante anni luce, separato non da quel muro, ma da una vita di pregiudizi, e disprezzo, e indifferenza. Da una vita di distanze rigorosamente tenute, se possibile allungate.
Avrebbe potuto pronunciare il suo nome, anche solo sottovoce, sicura che lui l’avrebbe sentita.
Non osava.
Il cielo era di un blu cobalto, macchiato di viola all’estremo Ovest e screziato di nuvole di un rosso violento. Sotto gli occhi di Ginny le campanule iniziarono ad aprirsi mostrando la loro segreta bellezza al cielo che rapidamente imbruniva. Qualcosa nell’aria, qualcosa di magico percepibile soltanto con una parte primitiva e sconosciuta della sua anima, sembrava vibrare e pulsare come se il giardino stesso avesse un cuore, il cui battito si propagava nel mondo, come le onde circolari generate da un sasso lanciato nell’acqua. Un cuore che batteva, ogni notte con più intensità, da quando lei era riuscita a penetrare all’interno.
Ginny corse verso l’entrata del giardino e rivolse il consueto, infantile, cenno di saluto ai due severi gargoyle, nerissimi e lucenti sullo sfondo verde scuro delle chiome degli alberi. La mano corse alla tasca dove giaceva il coltellino a serramanico, preparandosi a pagare il dazio di sangue richiesto per entrare; ma nel momento stesso in cui avvicinava al dito la punta affilata del coltello, la cortina di fiori si spalancò lentamente, da sola, con un mormorio compiaciuto. La ragazza trattenne bruscamente il fiato, poi i suoi occhi si posarono sulla figura pallida di Malfoy in piedi di fronte a lei, appena al di là della soglia fiorita. Nella mano destra stringeva un rasoio dalla lama macchiata di sangue, mentre dalla mano sinistra stretta a pugno, colavano inesorabili gocce scarlatte – il taglio sul palmo, preciso e doloroso, involontario simbolo di un voto solenne. (*)
“Credo che apprezzino il sangue di chiunque, non soltanto il tuo” mormorò Draco.
Ginny mosse un primo, incerto, passo verso di lui, e poi un secondo, quello necessario per varcare completamente la soglia ed entrare nel giardino. La cortina di fiori si richiuse alle sue spalle con un fruscio melodioso.
“Due è poco per dire chiunque” rispose, con voce sommessa e tranquilla.
La corta barba incolta era scomparsa dal viso di Draco, rivelando i suoi lineamenti ancora fini di ragazzino. I gelidi occhi chiari riflettevano la poca luce della sera in singolari bagliori argentei. Con un unico taglio netto del rasoio si era anche accorciato i capelli, eliminando quasi completamente l’arrogante somiglianza col padre… Ciocche bionde, lucide e pulite, ricadevano ora morbide ai lati del viso, sfiorandogli le orecchie.
Le fate presero a ronzare in quell’esatto momento, interrompendo l’imbarazzante silenzio che si era creato. Volavano sugli archi carichi di fiori, veloci fiammelle di mille diversi colori, dipingendo traiettorie ricurve e ingarbugliate, per poi fermarsi a mezz’aria, ognuna immobile, come in una formazione definita da tempo. Nel giro di qualche secondo una parola di luce prese forma nell’aria, proprio al di sopra del primo degli archi che definivano il sentiero: failte.
Benvenuta.

Ginny chinò il capo, grata ed emozionata. Il giardino stesso, attraverso i suoi abitanti, le stava riconoscendo il privilegio di entrare in quel luogo magico: non doveva più sentirsi un’intrusa. “Go raibh maith agat. (**)” mormorò in uno stentato gaelico.
Le fate esplosero in un ronzio felice e si dispersero dando vita a un curioso e multicolore fuoco d’artificio.

“Nell’aria aleggiava il suono di un’arpa. La luce obliqua inondava la terra di oro e di silenzio. Senza sapere perché, Morgana pensò: sto tornando a casa. Eppure non aveva mai visto quel luogo fatato.”
Marion Zimmer Bradley
“Le nebbie di Avalon”

“Ma bene… anche la lingua delle fate sai parlare,” biascicò la voce freddamente ironica di Malfoy alle sue spalle. Ginny si voltò per guardarlo in faccia.
“Era gaelico,” spiegò, “la padrona di questo giardino era irlandese di nascita. Non mi sorprende che il giardino stesso parli questa lingua.”
“E tu conosci il gaelico… ma che cultura, Weasley” ghignò Malfoy, con una punta della vecchio sarcasmo che fece accigliare Ginny.
“Si da il caso che mia madre sia irlandese” disse, voltandogli le spalle e avviandosi verso il gazebo.
Quando scostò le liane di gelsomino per entrare, Draco era alle sue spalle, silenzioso come un gatto. Ginny aggrottò la fronte: quel suo muoversi così, senza produrre alcun suono, avrebbe iniziato a darle sui nervi col tempo.
“Come stai?” gli chiese.
Per tutta risposta Draco mosse la spalla: il braccio teso descrisse un ampio arco davanti a lui ma si bloccò in posizione quasi verticale.
“Un po’ meglio” concesse, ma nei suoi occhi si leggeva una stizza per non essere già completamente guarito, che fece quasi sorridere Ginny.
“Fammi vedere.”
Draco si sedette e si tolse la maglia con un po’ di fatica. Mentre Ginny iniziava a svolgere le bende, lui si schiarì la voce nel modo tipico di qualcuno che cerca qualcosa da dire ma non è più abituato a far conversazione. Merlino solo sapeva da quanto tempo non chiacchierava con anima viva.
“Hai… hai detto che questo era il giardino di un’irlandese?”
“Isanhild. È chiamato il Giardino dei Fiori Notturni.”
“E…”
“Vuoi che ti racconti la storia?” lo interruppe Ginny, con una scintilla appena udibile di divertimento nella voce.
“C’è una storia?” ribattè il ragazzo.
“Come potrebbe un giardino che permette l’ingresso solo a chi è disposto a pagare un tributo di sangue non avere una storia, Malfoy?”

E così, mentre svolgeva e riavvolgeva lentamente le bende, Ginny raccontò a Draco ciò che sapeva e ciò che molti credevano della storia di Isanhild e Salazar e del giardino che nessuno era mai riuscito ad aprire. Parlando, spiava il viso calmo del ragazzo e la sua espressione attenta, chiedendosi chi poteva mai aver ucciso il ragazzino arrogante che solo pochi anni prima aveva odiato… o dove si nascondeva a quel tempo la gentilezza che notava ora.
Al termine della storia Draco annuì, in silenzio.
“Circolavano leggende sul Fondatore e una donna misteriosa, quando ero a Serpeverde. Era divertente riportarle per prendersi gioco delle altre Case…”, inaspettatamente il ragazzo sorrise, gli occhi fissi su qualche ricordo che solo lui poteva vedere, “alcune leggende dicevano che Godric Griffyndor avesse scacciato Salazar per gelosia di una donna: pensa, il puro di cuore per eccellenza che marcisce di invidia per la donna di un altro.”
“Gli usignoli cantano, le capre pascolano e gli umani inventano favole…” mormorò Ginny.
“E questa da dove esce?” chiese Draco con una breve risata.
Sentirlo ridere fu un piccolo shock per Ginny, che scosse la testa, imbarazzata e confusa.
“Un amico…” disse, distogliendo gli occhi e concentrandosi sul bendaggio ormai terminato. “Hai preso la pozione, vero?”
“Non trattarmi come uno dei bambini tuoi amici, Weasley” la gelò. Il sorriso era sparito completamente. In un attimo.
Ginny alzò le mani, e si allontanò da lui. Come faceva una persona ad essere così volubile? Un secondo prima stava ridendo… ridendo! Era bastata una parola, e già lui tornava a farle cadere addosso un gelido disprezzo.

“Tutto ciò che ricordo è che eri un prepotente viziato che mi bruciava i capelli, da bambina.”
From “Robin Hood – Principe dei Ladri” (film, 1991)

“Ok… io torno al castello, Malfoy. Nella borsa c’è da mangiare. Comunque non sei costretto a restare qui, puoi uscire, visto che il giardino si apre anche per te. Non sono nessuno per trattenerti qui.”
La sua voce era tornata piatta e atona, come lo era stata la prima notte e in quel momento, senza spiegazione alcuna, Draco sentì che non poteva sopportarlo.
“No, aspetta…”
Ginny era già sui gradini di pietra, e si voltò a guardarlo attraverso le foglie del gelsomino. Draco tese una mano, e la piega amara delle sue labbra rivelava quanto costasse al suo orgoglio implorarla di non scappare - o quanto crudelmente quell’orgoglio fosse stato piegato da tempo.
“Non puoi… restare?”
La ragazza restò immobile, intorpidita dalla sensazione che un incantesimo stesse agendo su di loro. “Posso restare.”
Fu un mormorio quasi inudibile, ma il gesto stranamente fiducioso con cui posò la propria mano su quella di Draco, era in grado di dire più di mille parole. Di nuovo, fare un passo per avvicinarsi a lui le costò la fatica necessaria a rompere mura ben più solide di quelle di pietra: diffidenza, paura, pregiudizio… imbarazzo. Sotto le dita sentì il metallo freddo che cingeva l’anulare della mano di Draco e, confusa, sgusciò via dalla sua stretta, grata all’oscurità che nascondeva il sangue che le era affluito al viso.
Si sedettero sull’altalena che, sospinta dal loro peso, cominciò a muoversi, cigolando. Alcuni fiori bianchi del gelsomino iniziavano a sbocciare e le liane cariche di boccioli profumati sfioravano i loro visi. Ginny raccolse le ginocchia al petto, circondandole con le braccia nude; al polso luccicava un braccialetto di fili intrecciati e piccolissimi pendenti di cristallo a forma di mezzaluna – un vecchio regalo di Hermione – i cui bagliori attiravano le minuscole fate curiose.
“Allora… il tuo Potter era ferito ieri sera?” chiese Draco, fissando lo sguardo su quel bracciale.
Le dita di Ginny si contrassero appena, per rilassarsi immediatamente nell’immobilità priva di sentimento che da tempo costituiva la sua maschera.
“No. E ti ho già detto che non è il mio Potter,” mormorò, “sta con Luna. Da più di un anno.”
Draco alzò un sopracciglio.
“Che io mi ricordi, si era sempre pensato che la ragazza di Potter fossi tu. Era scontato.”
Ginny voltò la testa e sorrise amaramente.
“Magari era troppo scontato.”
“Per te lo era?”
“Che importanza può avere ormai…”sospirò la ragazza, lo sguardo perso sui riccioli di luce dipinti nell’aria dal volo delle fate. Senza rendersene conto si ritrovò a parlare di qualcosa a cui non aveva nemmeno il coraggio di pensare da tanti mesi. “Quando i mangiamorte hanno attaccato il quartier generale hanno ucciso tanti di noi, anche… anche mio padre. E Ron è rimasto colpito da una maledizione, non si è più svegliato, è in… coma da quasi due anni. Harry si sentiva responsabile, ma io non ero in condizioni di stargli vicino. C’era la mia famiglia, o quel che restava della mia famiglia, che aveva bisogno di me. Luna c’è stata per lui, al momento giusto. Io…” si interruppe, per inghiottire il nodo alla gola che le stava bloccando il respiro, “forse io ed Harry saremmo rimasti insieme se non ci fosse stata questa guerra, ma così… è andata com’è andata. Ormai non posso più farci nulla.”
Ginny aveva terminato precipitosamente, ripiombando di botto in un silenzio angosciato. Non aveva mai raccontato a nessuno com’era andata tra lei ed Harry: non ce n’era mai stato bisogno perché tutti sapevano, c’erano, avevano visto. Non avrebbe mai creduto di essere in grado di riassumere in così poche parole tutto ciò che l’aveva portata ad essere la donna che era. Qualcosa in quella situazione – il giardino, Draco… o entrambi – le aveva reso semplice il… raccontare. E per una volta non c’erano state lacrime, accuse implicite o rimpianti.
Draco annuì in silenzio. Era strano come, con quel gesto, riuscisse a comunicare di aver realmente capito, di aver afferrato il senso, il dolore sottinteso in quel breve e frammentato racconto. Lo sguardo fisso davanti a se, giocherellava distrattamente con l’anello.
“Abbiamo vent’anni… le storie dovrebbero finire perché i sentimenti sono frivoli, non per colpa della guerra e della morte.”
C’era una tristezza così profonda in quelle parole, che Ginny non potè trattenersi e le parole le rotolarono fuori dalle labbra prima che potesse trattenerle.
“Sei… eri sposato?”
Le mani di Draco si irrigidirono, congelate a mezz’aria; lentamente abbassò lo sguardo sulla fede di metallo bianco, semplice e sottile.
“è morta” disse.
Ginny trattenne il respiro più rumorosamente di quanto volesse.
“Scusami. Non avrei dovuto chiedere” ammise, con gentilezza.
Draco alzò gli occhi su di lei e le rivolse uno strano sorriso, amaro ma rassicurante.
“Non preoccuparti. Siamo pari” le disse, “dopo quello che… è successo alla fine del sesto anno, sono scappato, mi sono nascosto qua e la per mesi. Il tradimento di Piton aveva attirato l’attenzione dei magiamorte e dell’Ordine, e tutti hanno finito semplicemente con lo scordarsi di me. Sono riuscito a contattare Pansy per dirle che ero vivo… e lei ha deciso di seguirmi . Non avrei voluto, ma se l’avessi lasciata qui suo padre ne avrebbe fatto una mangiamorte, con o senza il suo consenso. E Pansy non voleva, davvero.”
Ginny annuì. Ricordò la ragazzina arrogante dai lunghi capelli neri perfettamente acconciati, che l’aveva guardata con disprezzo dall’alto del suo status di figlia dell’alta società, con quel viso duro, e gli occhi truccati stretti in un’espressione di orgoglio. Una nuova immagine le balenava nella mente, un’immagine che non poteva appartenerle: Pansy Parkinson, vestita più semplicemente, i capelli spettinati al vento che incorniciavano e addolcivano i lineamenti altrimenti troppo marcati, enfatizzandone invece l’estrema eleganza e regolarità… il sole scintillava sul mare in lontananza, ai piedi della scogliera battuta dal vento, e un sorriso alieno socchiudeva le labbra della donna che Ginny non poteva assolutamente conoscere. Ancora una volta Ginny si sentì in balìa di qualcosa, qualcosa nel giardino in grado di influenzare la mente di chi entrava, forse un residuo della magia di Isanhild… forse… ma quel pensiero, quel ricordo, di certo non poteva appartenerle.
“A 17 anni, Pansy aveva ereditato dei terreni in Galles da sua madre, senza che suo padre ne fosse a conoscenza. Ci siamo nascosti in una casa sulla scogliera e ci siamo sposati,” continuò Draco, come parlando a se stesso, “legalmente. Se mi fosse successo qualcosa non volevo che lei si trovasse nelle mani della sua famiglia… avrebbe contattato l’Ordine, sarebbe venuta da voi.”
Echi di una rabbia a lungo repressa risuonavano nelle sue parole frettolose, nelle frasi smozzicate di chi non sa come fare a raccontare qualcosa che nemmeno in una vita si potrebbe comprendere. Ginny non avrebbe saputo dire se desiderava ascoltare il resto, ma sembrava che tanto dolore nel cuore di Draco smaniasse di essere lasciato libero di uscire, che la ragazza non potè fare altro che restare immobile e zitta, in attesa. Cercò di immaginare cosa avesse voluto dire per i due fuggitivi, sapere almeno di essere insieme, di poter prendersi cura l’uno dell’altra… era più di quanto fosse concesso a Ron ed Hermione. Era il motivo per cui Harry stava con Luna: per avere qualcuno.
“Ci hanno trovati sei mesi fa. C’era anche suo padre. Era sconvolto, del fatto che ci fossimo sposati e che lei avesse mollato tutto per… per me. Erano venuti per portarmi via, da Voldemort, per farmi giustiziare, mi avevano già immobilizzato… ero spacciato. Ma quando ha visto sua figlia e l’anello, Parkinson ha… dato di matto. Voleva portarsela via, far annullare il matrimonio e costringerla a fare quello che voleva, e hanno iniziato a urlare e combattere. Pansy gli ha detto che avrebbe preferito morire piuttosto che tornare a casa da lui, allora lui ha riso e le ha detto che l’avrebbe accontentata. Ma lei non gliene ha lasciato il tempo.”

Lo sguardo angosciato e implorante che balenava in quegli occhi scuri, eppure, allo stesso tempo la fierezza che aveva ancora in quel mento sollevato, nella postura delle spalle, spavalda, da nobildonna orgogliosa… fino alla fine. Lo aveva guardato negli occhi, in quell’istante lunghissimo, nell’attesa che il padre le si avvicinasse troppo furioso per intuire cosa stava per fare. Le labbra di lei avevano mormorato qualcosa, senza emettere alcun suono… “ti amo”, “perdonami”, “addio”… forse una, forse tutte queste cose insieme. La verità sarebbe morta con lei. E prima che chiunque potesse raggiungerla o fermarla, Pansy si era lanciata nel vuoto dalla finestra alle proprie spalle. La finestra della torretta a picco sulla scogliera, sul mare agitato e crudele che, decine di metri sotto di loro, si infrangeva sulle rocce. (***)
L’ululato del vento si era confuso con l’urlo disumano di Draco e poi, per fortuna, i ricordi si facevano confusi.

Ginny vide l’angoscia negli occhi del ragazzo, mentre lui riviveva quei ricordi, ormai incurante di chi ci fosse ad ascoltarlo. Il tocco della sua mano su quella di lui – istinto che portava a cercare il contatto, a offrire conforto che le parole non erano in grado di esprimere - sorprese entrambi. Lo sgarbato “non compatirmi” , che Ginny si aspettava, non arrivò. Prima che potesse rendersene conto una domanda le rotolò fuori dalle labbra, una domanda che sarebbe suonata stupida agli orecchi di chiunque, dovunque… ma non a loro, non in quel giardino.
“La amavi?”
Una domanda terribile proprio perché terribilmente semplice.
I lineamenti di Draco non tradirono sconvolgimento o rabbia, erano solo remoti, come a vagliare le innumerevoli risposte che nei mesi di vagabondaggi solitari aveva elaborato, una dopo l’altra, per cercare quella che più si avvicinasse alla crudele realtà.
“Odiavo la mia solitudine,” bisbigliò alla fine. “Lei la spazzava via.”

Ginny distese le gambe, osservando un fiore bianco di gelsomino che le era caduto sulla gonna - una piccolissima stellina bianca dalle punte mozzate, come ad impedirle di brillare. Draco si era alzato in piedi e stava fissando, senza vederla, la cortina carica di boccioli che li separava dal mondo.
“Come sei scappato?” gli chiese.
Il ragazzo scosse le spalle.
“Non ricordo esattamente. Credo che fossero sconvolti dal suicidio di Pansy, devo essermi liberato in qualche modo. In un certo senso è stata lei a darmi l’opportunità di scappare.”
“credi che l’abbia fatto per quello?”
“Non lo so.” Draco si girò a guardarla, e questa volta la luce nei suoi occhi era dura, vendicativa, intensa. “Spero di no. Ma la pagheranno comunque.”
Toccata dalla rabbia di cui quelle tre parole erano intrise , fu Ginny ad alzarsi ed avvicinarsi a lui.
“è questo che sei venuto a cercare? La vendetta?”
Draco la gelò con uno sguardo obliquo.
“No. Quella la avrò comunque, alla fine” disse. “Non so perché sono venuto qui. Non posso vivere tra i babbani, non ne sono capace. Volevo… tornare a casa, suppongo. Non avevo altra scelta, per cercare di restare vivo. Ma entrare ad Hogwarts è un’impresa più complicata di quanto sembri, la Foresta proibita mi è sembrato il male minore. Non avevo calcolato i centauri.”
In uno dei suoi straordinariamente repentini cambi di espressione, Draco aveva sfoderato un ghigno accattivante. Ginny scosse la testa.
“Sei stato fortunato. Ti avrebbero fatto a pezzi” lo ammonì, perdendo un po’ della sua malinconica immobilità: le labbra si incurvarono in una parvenza di sorriso, mentre gli occhi lo scrutavano ancora un po’ preoccupati. “Cos’hai intenzione di dire agli altri?” bisbigliò.
“Non so nemmeno questo” sospirò lui, con aria assente, “immagino che mi verrà in mente qualcosa. Questo luogo aiuta a pensare… rimani un altro po’.”
La rossa chinò il capo, a corto di parole.
“Per favore” aggiunse Draco, educatamente.
“All’alba dovrò andarmene” lo avvertì Ginny.
“All’alba non ci sarà più vita in questo luogo…”

“I remember it was long ago
But when I think of her I feel it grow.
Something begs me to come home again,
Something I can hardly stand.”
“Anywhere” from “Avantasia – The Metal Opera, part II” (2002)

Come la notte prima, Draco l’aveva accompagnata all’uscita ed era rimasto a fissarla al di là di quella soglia invisibile, finchè le grandi foglie cuoriformi non si erano intromesse, separando la loro esistenza per tutta la durata delle ore di luce.
Ginny respirò a pieni polmoni nella luce rosata dell’alba, che era in grado di trasformare il pendio della collina e il castello stesso in un paesaggio da fiaba. Alle sue spalle, un’altra fiaba, una favola oscura e misteriosa, stava volgendo al suo finale per cedere il passo ai luminosi racconti del giorno: le campanule scarlatte si chiusero lentamente, in un brusio che conteneva la stessa stanchezza con cui gli occhi di Ginny, cerchiati dalla veglia, avrebbero affrontato l’intera giornata. E aspettato la notte, di nuovo.
Abbassò lo sguardo sul bracciale di rami di gelsomino che aveva intrecciato da qualche parte, quella notte, mentre colmava le lacune di Draco su ciò che era successo negli ultimi due anni, mentre lui era lontano. Da qualche parte, quella notte … quella notte in cui si era trovata a ridere, e a trattenere le lacrime; a raccontare, e ad ascoltare a sua volta, il respiro rotto dall’emozione. Quella notte in cui aveva bevuto alla fonte del giardino un’acqua che aveva il sapore dolce e ferroso delle sorgenti di montagna. Quella notte in cui aveva avvertito su di se tutta la magia del luogo di quello strano legame nascente, in cui si era trovata ad incantarsi davanti al bagliore argenteo che l’oscurità riusciva a donare agli occhi di Draco Malfoy.
Dagli occhi di Ginny traboccarono involontarie lacrime amare, mentre sollevava il viso al cielo fin troppo sereno.
“Sta funzionando, Dèi, siete contenti adesso?!” mormorò, con rabbia, “e che ne sarà di me dopo?”
Soltanto una coltre di afa innaturale le rispose dal cielo. Non un soffio di brezza le agitava i capelli. Con un presagio di tempesta nella mente inquieta, Ginny si incamminò verso il castello.

“Eppure, anche se il cielo era azzurro e senza nubi, da lontano giungeva il brontolio del tuono e la stessa aria pareva tendersi nell’anticipazione della tempesta.”
Marion Zimmer Bradley
“La Signora delle Tempeste”

**************

(*) Riferimento al film “Robin Hood, il principe dei ladri” (quello con Kevin Costner, per intenderci), nella scena in cui lui giura vendetta sulla tomba del padre tagliandosi il palmo della mano e stringendola a pugno per far uscire il sangue. Quanto di più melodrammatico il cinema degli anni novanta possa offrire.
(**) Praticamente un poema per dire soltanto: “grazie”. Non sono nemmeno sicura di averlo scritto bene. Failte invece vuol dire “benvenuti”. Il gaelico è la lingua tradizionale irlandese. L’intera scena mi è stata ispirata da una frase tratta dalla “Signora di Avalon” (MZB): “…i Faerie sono spiriti che parlano per conto di tutto ciò che in natura non ha voce propria…”
(***) Riferimento al suicidio di Milady de Winter dalla scogliera, nel film “I Tre Moschettieri” del 1993.

Come al solito vi ringrazio tutte e vi mando un bacio enorme! Mi sono accorta che l'interesse è un po' calato, rispetto ai primi capitoli... se la storia sta diventando lenta o ci sono delle cose che non vi piacciono, fatemelo sapere!
Saty: come sempre sei la più veloce e la più approfondita! (And the winner is…) Sai perfettamente quanto mi facciano piacere le tue recensioni… ti ho già risposto ampiamente, ti mando un bacione!!!!!
Thaiassa: grazie!!!!
seven: molto interessante la tua analisi dei personaggi, sono curiosa di sapere che effetto ti ha fatto Draco dopo questa confessione… sempre fantastico riconoscere adepte della Setta di Domna Marion in giro per il mondo!
Magical_Illusion: se mai scriverai questi spunt fammelo sapere, sarò felice di leggere! Baci e grazie!
Seiryu: lo spero veramente! E spero di coinvolgerti sempre più! Grazie, smack!
_LeL_: grazie! Alla prossima!!!
Fenrir: le recensioni di chi non aprrezza il genere di storia ma riesce lo stesso a trovare qualcosa di bello in essa sono tra le più preziose! Spero che col tempo continui a piacerti! Grazie!
Harianne: credo che il Difensore e il Figlio dei Cento Re se ne staranno sul Tor dove hanno lasciato le penne, il continuo della storia sarà molto pi frivolo, sebbene forse ci saranno richiami al mito arturiano che ti piaceranno (il Pendragon farà capolino in qualche modo…) Anche se non hai tempo di recensire, mi fa piacere sapere che leggi! Un bacio! (PS: hai poi letto Trapped? Mi farebbe piacere ricevere un’impressione anche solo di due parole se trovi un minuto, quella storia è un po’ la mia prediletta…) Grazie mille!

In fondo lascio un bacio specialissimo per una beta d’eccezione, che sta facendo un lavoro meraviglioso: se questa storia va avanti ed è corretta lo si deve in grandissima parte a lei! Ti voglio bene, chiya!

   
 
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