Il
manto erboso della foresta
era incredibilmente morbido e si stava lentamente ricoprendo di
goccioline di
rugiada. Il cielo era quasi del tutto coperto dalle chiome delle
sequoie, ma
qua e là si intravedevano le stelle, luminose e brillanti
molto più di quelle
della Terra.
Marco e Dalon erano distesi
in posizione supina, con il fiato corto, i muscoli delle braccia
indolenzite e
i capelli appiccicati alla fronte a causa del sudore. Gli altri si
erano
addormentati mentre ancora combattevano e si allenavano, essendosi
proposti
come primi per il turno di guardia. Alla fine si erano distesi per
terra,
stanchi morti e alla ricerca di un po’ di frescura, accaldati
per le fatiche
appena compiute.
<< Che cosa ti manca di
più della Terra, Dalon? Lo so che sono passate solo due
settimane ma sento già
una gran nostalgia di casa, anche se questa esperienza è
veramente
eccezionale >>, gli chiese Marco a un certo punto.
Dalon avrebbe voluto
rispondergli che ciò che più gli mancava era la
sua famiglia, ma non voleva
rattristare Marco con quei discorsi.
<< Penso che la cosa
che mi manca di più sia il mio letto. Ho la schiena a pezzi,
perfino uno dei
pagliericci che c’erano alla Torre mi andrebbe bene. Tu,
invece? >>.
<< Per elencarle tutte
dovremmo stare svegli fino a domani mattina, ma penso che al primo
posto ci sia
la mia PlayStation 3, ho lasciato in sospeso un paio di giochi
>>, gli
rispose. Dalon scoppiò a ridere, il più piano
possibile per non svegliare gli
altri, per la sua risposta e anche l’amico si unì
a lui. Lo scrosciare del torrentello
dietro di loro era veramente rilassante.
<< A proposito, è
successo qualcosa con Lea? E’ da quando siamo partiti dalla
Torre che vi
comportate in modo strano…non che siate mai stati due tipi
molto a posto, ma
arrossire in quel modo ogni volta che vi guardate è
veramente troppo >>.
Dalon rimase di sasso per la domanda, incerto se raccontare
all’amico del bacio
oppure no. Alla fine decise di essere onesto almeno con lui e dopo aver
controllato che nessuno potesse sentire, gli raccontò di
ciò che era accaduto
la prima notte in cui erano arrivati alla Torre. La reazione di Marco
fu
sorpresa, proprio come si era aspettato.
<< Sei un grande, così
si fa! Cioè, in realtà sono il suo fratellastro,
quindi dovrei difendere il suo
onore e minacciarti di morte se ci riprovi, ma son troppo contento per
voi
due…ora si spiegano molte cose… >>,
commentò, ironico come sempre.
<
<< Ma dai!! Lo dicevo
io che non eravate normali. I ragazzi di oggi si mettono insieme e si
mollano
ogni due per tre, dopo aver fatto di tutto, e voi dopo un semplice
bacio e un
sacco tempo che vi conoscete non siete già più in
grado di rivolgervi la
parola. Mah, siete un caso disperato >>.
<< Non siamo un caso
disperato!!! Se le cose stanno così allora vuol dire che ci
piacciamo
veramente…anzi, che ci amiamo!!! >>. Appena si
rese conto di quello che
aveva detto, il suo viso assunse un rossore preoccupante e si
sentì sprofondare
in un baratro di vergogna. Non faceva di quei discorsi tutti i giorni
ed era il
tipo ad imbarazzarsi facilmente con certi argomenti che lo riguardavano
da così
vicino. Marco scoppiò a ridere per la sua reazione e si
pentì di avergli voluto
raccontare tutta quella storia.
<< Se andate avanti
così arriverete casti e puri ai quarant’anni.
Lascia fare a me, ci parlo io con
Lea e vedi come la convinco >>, lo provocò.
<< Non
t’azzardare… >>,
incominciò Dalon, mettendosi a sedere, ma si
fermò non
appena vide che Marco stava ridendo come un matto. Alla fine si
lasciò cadere
di nuovo sul soffice tappeto d’erba e sospirò
profondamente.
<< Non bastava il
viaggio avventuroso, ci voleva pure questa situazione
complicata >>,
sbuffò esasperato.
<< Ma sì, Dalon, hai
vissuto per 15 anni una vita monotona e ora ti lamenti?
>>. Dalon non
rispose alla provocazione, ma per un attimo tornò a pensare
che forse quella
vita non era stata poi tanto male.
Il
giorno seguente si svegliarono
che il sole era ormai alto nel cielo. Dopo essersi rinfrescati al
ruscello si
rimisero in viaggio attraverso la Foresta, che come avevano
già osservato era
piena di sorprese. I cinque ragazzi erano sicuri che non avrebbero mai
trovato
un posto del genere sulla Terra, neanche se l’avessero
cercato per anni e anni.
Marciare nella Foresta non era per niente faticoso rispetto al marciare
nei
Vulcani di Ghiaccio, anzi era una piacevole passeggiata che gli
permetteva di
scoprire e osservare piante e animali unici. Scoiattoli dal pelo
dorato, cervi
dal manto d’argento, uccelli con quattro ali, funghi grandi
come un uomo, rovi
con spine lunghe un metro, fiori che avrebbero potuto tranquillamente
inghiottirli interi…la biodiversità proliferava
senza limiti. Si chiesero se
anche la Terra, prima che arrivasse l’uomo a inquinare, fosse
così bella e
rigogliosa.
A metà pomeriggio scoprirono
che nel cilindro di pelle che conteneva la mappa di William era stato
arrotolato anche un piccolo foglio di pergamena in cui il Professore
aveva
illustrato con grande cura alcune piante che si sarebbero potute
rivelare utili
sia come nutrimento sia per scopi curativi. Così mentre
camminavano stavano
ancora più attenti alle piante che incontravano e se
trovavano quelle scritte da
William le raccoglievano e le mettevano nelle bisacce che portavano con
loro.
L’unico che non si univa alla ricerca era Dalon.
La notte era passata
tranquilla, eppure Dalon era stato accompagnato costantemente da uno
strano
senso di inquietudine. Aveva pensato che la causa potesse essere la
discussione
che aveva avuto con Marco la sera precedente, ma era sicuro che si
trattasse di
qualcos’altro, un presentimento oscuro che qualcosa di
spiacevole sarebbe
accaduto e lui non avrebbe avuto nessuna possibilità di
impedirlo. Così era
rimasto tutta la notte sveglio e durante la marcia non si era distratto
neanche
un attimo, scrutando con attenzione ogni cosa intorno a lui, in cerca
di una
qualsiasi avvisaglia di pericolo imminente, senza però alcun
risultato. Gli altri
sembravano essersi accorti del suo stato d’animo, ma
evitò di condividere le
sue inquietudini, per non farli stare in pensiero più del
dovuto.
Quando calò la notte si
accamparono in uno spiazzo tra le sequoie, abbastanza in piano e
sgombro dalle
enormi radice degli alberi. Accesero un fuocherello come avevano fatto
la sera
precedente, ma questa volta come
cena
mangiarono le erbe e i funghi che avevano raccolto durante la giornata,
risparmiando a Dalon l’ingrato compito di cacciare con il
Leiban. Il discendente
di Laminos comunque si premurò di scandagliare con
l’energia latente la zona
nel raggio di una ventina di metri, alla ricerca di possibili nemici.
Neanche
quando fu certo che non ci fosse niente di pericoloso riuscì
a calmarsi.
La cena fu piuttosto misera,
ma nessuno si lamentò troppo della cosa. Il sapore di quelle
piante che William
gli aveva consigliato era sopportabile, anche se ovviamente avrebbero
preferito
di gran lunga uno di quei sostanziosi pasti che erano soliti cucinare a
casa
Anderson.
<< Dalon stai bene? Ti
vedo cadaverico >>, gli chiese Elena ad un certo punto.
Il ragazzo la
guardò scombussolato, ma annuì e cercò
di smettere di dare tutto quel peso a
una semplice sensazione.
<< Eh… sai, ha passato
la notte insonne a riflettere… >>,
cominciò Marco. Dalon stava per
interromperlo e controbattere, quando avvertì un rumore
grave provenire dal
profondo della Foresta e balzò in piedi preoccupato. Gli altri lo guardarono
turbati, come se non
avessero sentito niente.
<< Veramente non
l’avete sentito? >>, domandò, i nervi
tesi come le corde di un violino.
Elena e Marco lo fissarono preoccupati. Ignorò i loro
sguardi e si guardò
intorno alla ricerca del pericolo.
L’attacco giunse troppo
all’improvviso perché lo potesse vedere o deviare.
Un globo nero circondato da
saette sfrecciò dietro di lui, lo colpì di
striscio alla spalla, facendogli
lanciare un urlo di dolore e si diresse verso la testa di Lea. La
ragazza
riuscì a salvarsi solo grazie alla prontezza di riflessi di
Vincent, che la
spinse di lato. La sfera sfrecciò ancora per alcuni metri e
si andò a
schiantare contro una sequoia, dando vita a un rombo tremendo che
perforò il
silenzio notturno della Foresta.
Dalon strinse la spalla
dolorante e fece confluire la sua energia latente in essa, facendo
richiudere
la ferita come gli aveva spiegato Elena durante il viaggio nei Vulcani
di
Ghiaccio. Terminata in fretta l’operazione si mise in spalla
contro spalla con
gli altri quattro, tenendo gli occhi ben aperti in cerca del nemico,
che non si
fece attendere a lungo. Ringhi acuti si levarono dal perimetro
dell’accampamento e decine di creature dal corpo allungato e
muscoloso
sbucarono da dietro le sequoie, che le avevano protette alla loro vista
fino a
quel momento. Avevano la pelle nera sottile, tesa sopra i muscoli
tonici e ben
delineati, con una rada peluria argentata. Il volto era lungo e
affilato, costituito
da tre occhi piccoli e neri come
la pece e una larga bocca irta di zanne lunghe e affilate, con un paio
di
orecchie grandi e
ben tese verso l’alto.
Al posto del naso avevano due semplici cavità nere e
profonde. Erano molto
diversi dai Divoratori di Sogni che conoscevano, ma erano avvolti dalla
stessa
aura di malvagità e odio.
<< Maledizione.. >>,
sussurrò Dalon. Dovevano aspettarsi che prima o poi un
attacco sarebbe arrivato
e ora che si trovavano nella foresta le probabilità erano
ovviamente aumentate.
Avevano però già discusso nei Vulcani di Ghiaccio
su come reagire ad
un’imboscata nemica, quindi si preparano a seguire la
strategia difensiva elaborata
da Elena, il cui spirito tattico e guerriero aveva superato tutte le
previsioni
di Dalon.
Stretti in cerchio iniziarono
a riversare una pioggia di saette di leiban sui nemici, che le
evitarono
agilmente e risposero con altrettante sfere nere. Questa volta i
ragazzi si
tennero per mano e crearono un’enorme barriera che li
protesse da ogni colpo.
Poi, mentre Marco e Lea sostenevano la barriera, Dalon, Vincent ed
Elena
ricominciarono l’attacco. I loro colpi comunque continuavano
a non andare a
segno, anzi alcuni sembrano attraversare le creature senza ferirle.
<< E’ inutile
continuare così, i nostri colpi sono del tutto inutili!
>>, urlò Dalon,
per superare il frastuono dei colpi nemici sulla loro barriera. Mentre
parlava,
Vincent ruppe il cerchio e si gettò sul nemico
più vicino, con una lancia di
energia latente stretta nel pugno sinistro. Con una ferocia inaudita,
infilzò
la lancia nel cranio del Divoratore più vicino, ma
l’arma gli passò attraverso
come se la creatura fosse intangibile, senza arrecargli alcun danno. La
bestia,
dal canto suo, ringhiò infastidita e si lanciò
contro Vincent pronto a
sbranarlo, fermata solo da una debole barriera che il ragazzo aveva
innalzato
intorno a se. A quel punto anche Dalon ruppe il cerchio e si
gettò in direzione
di Vincent per proteggerlo dall’assalto dalle creature, che
avevano focalizzato
i loro attacchi tutti sul ragazzo rimasto da solo. Avendo capito
l’inutilità
dell’energia latente contro le creature, Dalon
sfoderò la spada e menò
alcuni fendenti, scoprendo con piacere
che la lama era in grado di ucciderle e ferirle. Con la vecchia arma
tranciò di
netto la testa di un primo avversario e poi con un rapido affondo si
sbarazzò
anche di un altro nemico che stava tentando di azzannargli le gambe.
Intanto anche gli altri
quattro recuperano le vecchie armi e limitandosi a proteggersi con un
debole
scudo si gettarono contro l’orda nemica. Vibravano colpi alla
bel e meglio e
riuscivano a uccidere o ferire gravemente anche tre nemici per volta,
ma l’orda
avversaria sembrava infinita e per ogni bestia che sconfiggevano altre
tre
prendevano il suo posto. Non erano abituati a combattere con spade e
pugnali e
la fatica cresceva di secondo in secondo, rendendo le membra sempre
più pesanti
e i riflessi sempre meno pronti.
La prima vera ferita seria
giunse inaspettata. Dalon sentì un dolore lancinante
diffondersi in tutto al
corpo a partire dalla caviglia e mozzargli il respiro in gola.
Tranciò di netto
la testa del Divoratore che lo aveva azzannato, ma trattenne a stento
un gemito
di paura quando vide il sangue sgorgare a fiotti dalla ferita. La vista
di
tutto quel sangue, il SUO sangue, lo turbò non poco, ma
cercò di tornare a
occuparsi di respingere i nemici. La ferita, tuttavia, rappresentava un
handicap non indifferente ed a stento riusciva a rimanere in piedi, in
un
equilibrio precario, con il peso spostato tutto sulla gamba sana. Anche
i
muscoli delle braccia cominciavano a risentire seriamente dello sforzo
provocato dal menare fendenti e gli bastò
un’occhiata fugace per vedere che
anche gli altri erano provati dalla stanchezza. Bisognava concludere in
fretta
lo scontro se volevano sopravvivere,
ma
con l’energia latente del tutto inutile non riusciva a
formulare alcun piano
sensato.
La seconda ferita fu quella
decisiva. Una bestia giunse a pochi centimetri dal suo petto, ma prima
che
potesse tranciarle la testa, questa eruttò una densa sfera
nera, concentrato di
tutte le sue ultime energie. L’attacco non lo
trapassò da parte a parte solo
grazie al suo scudo energetico, ma la deflagrazione del colpo lo
sbalzò di
diversi metri, scagliandolo dritto contro una delle sequoie.
L’impatto fu
tremendo; gli si annebbiò la vista e la poca aria rimasta
nei polmoni gli
sfuggì in un istante. Il dolore era incommensurabile, ma era
ancora maggiore
nel centro del petto, dove il colpo lo aveva ustionato e migliaia di
piccole
ferite sanguinanti si stavano aprendo. Osservò il campo di
battaglia per
un’ultima volta, incapace di fare alcun che. Vide Marco con
la testa
sanguinante cercare di proteggere Lea, mentre Vincent ed Elena avevano
unito le
forze in un assalto disperato. Era
quindi giunta la fine ineluttabile che aveva presagito fin da quando
erano
sulla terra e ormai non avrebbe potuto fare nient’altro per
evitarla.
Le ultime forze lo abbandonarono
e il mondo fu inghiottito dalle tenebre.