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Autore: AriiiC_    14/11/2012    11 recensioni
Finnick Odair aveva quattordici anni, un bel visetto e tanta paura.
Voleva solo tornare nel suo Distretto Quattro sano e salvo.
Non uccidere.
Finnick avrebbe voluto solo un altro giorno per giocare con Tess nella grande villa sul mare degli Odair. Avrebbe speso un po' del tempo per un'ultima nuotata o una notte sulla spiaggia. Avrebbe costruito una rete e portato a casa la cena come faceva di solito. Avrebbe solo voluto che uno di quegli armadi in prima fila gridasse "Mi offro volontario!", come ogni anno. Ma nessuno lo fece, e Finnick rimase in piedi su quel palco, calcolando quante probabilità avesse di tornare.
Poi, Finnick pianse.
Perchè Finnick era solo un bambino che aveva paura.
[Dal secondo capitolo]
Finnick non aveva scampo, non più.
Finnick aveva voglia di scappare, di correre.
Finnick aveva voglia di urlare al mondo che tutto ciò era ingiusto.
Finnick li voleva condannare.
Finnick voleva essere a casa; voleva morire per tornare vicino al mare in una cassa di legno sporca.
Ma Finnick non si mosse: semplicemente, tacque.
Assaporò ogni respiro preparandosi a quella che sarebbe potuta diventare la fine.
E che gli Hunger Games abbiano inizio, caro Finnick Odair.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter one:
A journey to death.





  La notte era passata insonne, in preda agli incubi che sembravano non voler dare alcun segno di resa al ragazzo, che taceva e subiva. Come ogni condannato, non  aveva chiuso occhio la sera prima dell'esecuzione. Alcuni camminano, altri urlano, altri piangono o restano in silenzio, riflettendo sui propri sbagli. L'unico sbaglio che Finnick Odair aveva fatto, però, era stato quello di attaccarsi troppo alla vita calma e tranquilla che aveva vissuto. Era troppo innamorato della sorella, aveva la voglia di farla pagare ai genitori che gli ronzava nel cervello come una cimice. Dovevano odiarlo, anche solo la metà di quanto li odiava lui. Quando la luce del sole di Capitol City aveva bussato timida alla sua finestra, il quattordicenne del Distretto Quattro avrebbe voluto essere già in paradiso, per non dover sopportare la tortura della fine lenta che gli sarebbe spettata. Ai più giovani, capitava sempre. E lui era stato estratto solo alla terza mietitura. Si alzò dal letto nell'elaboratissima stanza a cui non aveva fatto caso in quella settimana. E non lo fece. Invece, andò a spostare la tendina chiara e guardò il cielo. Per la prima volta si fermava ad osservarlo. Non era come quello di casa. Contemplava la bellezza del creato senza esitazioni: aveva pensieri ben peggiori per la testa. Non sapendo come scacciarli, s'era perso in quell'azzurro macchiato da fumo e nuvole. L'alba non era rosata: tendeva al grigio e al rosso. Chi sa se qualcuno aveva mai spiegato a quei Capitolini che programmano ogni cosa, che il colore di un cielo di mattina non è quello, ma un altro. Finnick rise da solo per la stupidità in cui la loro capitale annegava. Rise anche perchè erano governati da idioti, ma nessuno se ne rendeva conto.
 Si mise rapido una tuta nera, anonima. Sabrin fece irruzione nella sua stanza senza bussare. Oltre che stupidi, gli abitanti  di Capitol City erano anche maledettamente maleducati. - Oh, Finnick caro. - disse con quella voce che non si poteva ascoltare per più di un paio di secondi di seguito. - Un ragazzo attraente come te non dovrebbe indossare niente di così banale. Ma ti prometto che la divisa per l'arena sarà molto più... accattivante, diciamo. - parlava come se quella fosse l'unica priorità del tributo. Suonava più come una presa in giro, più tipo: - Caro Finnick, dato che potresti crepare nelle prossime tre ore, ci tengo al fatto che tu venga scannato con indosso qualcosa di decente. -
 Le rise in faccia, senza neanche pensare troppo a quello che diceva.
 Non aveva fame, e non vide il perchè dovesse fare colazione. La sua compagna, stava divorando tutto ciò che di commestibile c'era in tavola. Si chiamava Alliyah, aveva diciassette anni ed era un vero e proprio mostro: mascella squadrata, capelli biondo unto lunghi fino alle spalle, tirati all'indietro da un codino. Attaccatura decisamente troppo alta per una ragazza. Corpo enorme, robusto, praticamente privo di seno. Occhi piccoli, azzurri, contornati da sopracciglia folte da morire. Agghiacciante.
 - Adesso fai lo splendido e non mangi? - ringhiò con quella sua voce più simile a quella di un cavernicolo. - Non sai cosa troverai nell'arena: potresti non mangiare per giorni. - effettivamente, aveva tutte le ragioni del mondo per dire ciò. - Fossi in te, ci penserei bene: potrebbe essere il tuo ultimo pasto. - ripensandoci, suonava molto come una minaccia. Tra loro non era mai scorso buon sangue. Forse voleva togliere il suo compagno di distretto giovane e dal bel visetto di mezzo il prima possibile.
 Motivo in più per sgranocchiare qualcosa: già le possibilità che la uccidesse erano minime. A stomaco vuoto si riducevano pericolosamente vicino allo zero.
 E Finnick magiò, controvoglia, certo, ma mangiò. Il latte caldo gli ustionava la gola mentre scendeva, ricordandogli che la sua vita non era stata del tutto inutile e che la sua morte non avrebbe fatto male a nessuno. Tranne che a Tess. Il pensiero della sorellina in lacrime bussò di nuovo alla porta della sua mente. Ma Finnick decise di non aprire, di non lasciarsi andare alla depressione che quei ricordi gli avrebbero causato. L'assassina seduta accanto non aspettava altro. E lui non voleva accontentarla.
 Il rumore che fece sussultare tutti veniva dal balcone, dove un hovercraft bianco come la neve aveva fatto la sua comparsa, sventolando  una scaletta pronta ad accogliere i tributi. Mags non s'aspettava che sarebbero stati così bruschi nel prelevare i ragazzi, ma non potè fare altro che lasciarli salire sull'elicottero. Ed è ora che Finnick se ne accorse: Alliyah abbracciava il mentore in un abbraccio amorevole e sincero. Lui aveva la sua stessa corporatura, la stessa attaccatura alta, lo stesso sguardo capace di farti gelare il sangue nelle vene. Si chiamava Caden, e aveva vinto appena due anni prima. I suoi pensieri si fecero rapidi, fino a che la testa non iniziò a fargli male: Alliyah nel villagio dei vincitori da poco tempo, i loro sguardi a confronto, il modo in cui Caden uccideva le vittime e in cui la ragazza aveva squartato i manichini in addestramento. E' difficile vincere contro una che è il doppio di te, soprattutto se il suo mentore è suo fratello.
 Ragionare divenne difficile, fino a che non diventò impossibile. Finn era davanti ad una morte certa, lunga e agoniosa. Le gambe tremavano, e servirono due pacificatori per metterlo a sedere nelle fredde sedute di metallo istallate nei muri dell'areoplano. I finestrini oscurati non permettevano più di vedere il cielo che aveva portato conforto al giovane fino a poco prima. La rabbia stava prendendo il sopravvento, così come la tristezza e lo sconforto. Ma non urlò. Neppure quando i due favoriti dell'uno gli si siederono uno a destra e uno a sinistra. Lei si chiamava qualcosa come Kae o Kaelea. Non era molto grossa, avrà avuto sì e no una quindicina di anni, forse anche sedici. Capelli bianchi legati in due codini non troppo lunghi e occhi di un azzurro che si avvicinava molto al colore della chioma. - E' colpa dell'albinismo. - spiegava in uno dei pranzi insieme. - E' perchè mi manca non so quale proteina. - Ma l'aveva vista tirare con l'arco e sapeva che era una di quelle da temere, nonostante l'apparente semplicità: centrava sempre il bersaglio, anche da una parte all'altra del Centro. Aveva 10 alle sessioni private. Niente in confronto a Junior, il suo compagno, che aveva preso addirittura 11. Aveva dei normalissimi capelli lunghi, un po' ricciolini e rosso carota. Il suo viso era quello di un bambino, tranquillo e familiare. 
Gli occhi scuri e profondi, come un oceano di segreti. E di segreti, il suo corpo assolutamente nella norma, era pieno: sapeva creare veleni anche con una mela, facendola ammuffire in modo che l'alcool creato ti deteriorasse il sangue; in più, lanciava gli stiletti. Proprio così: gli stiletti, arma da taglio per eccezione, quasi impossibili da tirare senza perdere la mano. Sapeva le tecniche del corpo a corpo: spaccare il collo di un ragazzo gli sarebbe riuscito in un batter d'occhio. Era un agnellino, che nascondeva un lupo capace di ucciderti in un milione diverso di modi. Davanti a lui, era seduta la ragazzina del Distretto Sei: capelli scuri, occhi verde smeraldo. Viso delicato. Aveva solo dodici anni. Se Finnick pensava che sarebbe dovuta morire perchè lui vincesse, ogni voglia di rivedere Tess lo abbandonava. Aveva preso 3 alle sessioni private, cosa abbastanza comune per le giovani che vengono da posti periferici. Il suo nome non lo ricordava, ma il suo sguardo era un qualcosa di indimenticabile.
 Uno stratega alto e di colore passava con una siringa in mano, bucando le braccia di ognuno. Finnick odiava gli aghi, quindi ciò non lo rendeva entusiasta. - Dai, Odair, non fare la mammoletta! In fondo, è solo il rivelatore. Non sentirai nulla. - gli sussurrò amichevolmente Junior, prima di contorcere il viso in una smorfia di dolore. Finnick avrebbe voluto allontanare il braccio, ma lui fece prima: in un attimo venne bucato, e la stessa espressione dell'alleato gli si dipinse in viso. Cazzo, se faceva male. Era come sentirsi  impiantare un sasso di cinquanta grammi in vena. Ma non uscì sangue. Il brusio che s'era creato aveva lasciato il posto ad un silenzio agghiacciante, freddo quasi quanto il ferro. Gli sguardi divennero mortali: anche solo guardare la persona sbagliata poteva fare la differenza. Ma non per lui. Lui era un favorito, avrebbe dovuto andare in cerca di vittime da mietere il prima possibile. Invece, non si sa perchè, rimase con la testa bassa, a fissarsi i piedi. I suoi compagni stavano già sicuramente puntando alla bambina sedutagli davanti. E lui lr rivolse un altro sguardo: aveva qualcosa di familiare, una luce in fondo agli occhi sconsolati. 

 - Mamma... - il bambino di sei anni taceva, e aspettava.
 La donna non poteva rispondere, immersa nelle lacrime. Era successo di nuovo: gli occhi neri, il labbro spaccato, l'anima in pezzi. Questa volta era perchè s'era arrabbiata per il gioco d'azzardo: non poteva continuare a scommettere, o i pochi soldi che portavano a casa sarebbero finiti anche prima. Non era più il vincitore di cui s'era innamorata, quello che aveva vinto i giochi solo per tornare da lei. Ora che i ricordi lo martoriavano, era diventato un mostro. Si sfogava con lei, cercando di scordare i ragazzini che era stato costretto ad ammazzare. Ma non bastava, non bastava mai. Ci voleva sempre più alcool, sempre una distrazione nuova per non affogare nello sconforto.
 - Finnick. Amore, vieni qui... - le sue braccia insanguinate avevano un calore disumano. Un calore che nessuno avrebbe mai sentito a parte lui e Tess. Perchè era sua madre, quel calore. E' il calore di chi riesce ad andare avanti con solo un motivo per sorridere ancora e non smettere. Lacrime salate come il mare, tristi come la pioggia. Occhi verdi come le alghe inondati da un acqua che Finnick voleva fermare.* Ma non poteva far niente contro l'ombra dell'uomo cattivo con cui erano costretti a vivere. Alle volte aveva voglia di ammazzarlo. Ma lo avrebbero ucciso, e non poteva abbandonarle. Così puliva il rosso dal volto della madre, e si stringeva alla sorellina.
 L'unico bagliore di luce rimastogli.



 - Tributi. Siete pregati di scendere. - una voce computerizzata lo riportava alla realtà. Si alzava piano, stando attento ad ogni singolo passo. Non voleva cadere. Non ora.
 Così ci riuscì: camminò osservando dove metteva i piedi. Scese dalla scaletta e andò nel corridoio che si trovava davanti. C'era una sola porta per lui: quella con scritto 'District four; male'. Chi sa chi avrebbe trovato lì. Alzò la maniglia senza osservare chi avesse intorno, e si isolò in quella stanzetta, prima di notare una chioma di un verde troppo innaturale per appartenere a qualcuno che non fosse lei.
 - Eccomi, Finnick caro. Come promesso, questa sarà la tua tuta per l'arena. - e gli parò davanti una calzamaglia blu scura, che copriva anche collo e mani. Tra queste ultime era istallata una stoffa plastificata di color verde acido, quasi vomito. Aveva anche dei segni intorno alle spalle, simili alle spalline di una canottiera, dello stesso colore di quelle pinne che aveva ai piedi e alle mani. Non era del tutto scomoda, se non fosse che non si poteva tenere biancheria intima sotto, e lui si dovette cambiare di fronte a quella pervertita che non aspettava altro. Vide le sue guance arrossire, ma non se ne curò e si vestì più in fretta possibile. Poi, si sedette sulla poltrona di stoffa blu, e iniziò a girarsi i pollici. Gli sarebbe piaciuto avere Mags davanti, anzi che Sabrin. Si ricordò non molto in fretta del pezzetto di corda che aveva nella tasca degli altri vestiti. Così si alzò e, semplicemente, lo prese. Iniziò ad annodarlo come faceva sua madre, sotto lo sguardo vigile della donna. Aveva creato due o tre volte un cappio per ammazzarsi il dito. Gli sarebbe piaciuto poter fare la stessa fine. Ma non poteva, e iniziò a fantasticare sull'arena: sperava in parecchia acqua, e data la divisa era probabile che ci fosse. Magari un mare, sarebbe stato splendido, per lui che era abituato a vivere in quell'habitat che era il suo naturale.
 - Venti secondi. Tributi in cabina. -
 La cabina che dicevano, era in realtà un tubo. Era il tubo, quello che ti portava nell'arena.
 Il ragazzo si sforzò di non tremare, anche se era quasi impossibile.
 Stranamente, la capitolina se ne accorse, e lo abbracciò. Non era solito ricambiare, ma lo fece, stringendosi a lei.
 - Vinci, Finnick caro. So che puoi farlo. - gli baciò la fronte piano. - Tutti noi lo sappiamo. -
 - Dieci secondi. Tributi in cabina. -

 Il ragazzo si allontanò a malincuore, senza che i ricordi prendessero il sopravvento.
 Come entrambi i suoi piedi furono sulla piastra di metallo mobile, il vetro insonorizzato che fa la differenza tra vita e morte lo avvolse.
Provò a tirare un pugno, ma si fece solo male alla mano.
Non aveva scampo, non più.

 Finnick aveva voglia di scappare, di correre.
 Finnick aveva voglia di urlare al mondo che tutto ciò era ingiusto.
 Finnick li voleva condannare.
 Finnick voleva essere a casa; voleva morire per tornare vicino al mare in una cassa di legno sporca.
 Ma Finnick non si mosse: semplicemente, tacque.
 Assaporò ogni respiro preparandosi a quella che sarebbe potuta diventare la fine.
 E che gli Hunger Games abbiano inizio, caro Finnick Odair.












* Lacrime salate... ...
un acqua che Finnick voleva fermare. = mia citazione dalla OS 'Il primo mentore sull'hovercraft.'





 My (little) space:
Alloraaaa :3
 Dato lo sciopero collettivo a scuola, sono riuscita a finire il capitolo :3
 Inizio a ringraziare MOLTO calorosamente le quattro persone che hanno recensito, e le due che mi hanno messo tra i preferiti. Davvero, mi fate piangere il cuore (':
 Questo capitolo è un'altra anticipazione dell'arena. Ci tenevo a metterlo perchè penso che non ci sia niente di più spaventoso del "tubo". Cioè, è anche peggio dell'arena stessa, a mio parere!
 Aspetto le vostre impressioni (:
 Hope you don't mind ;)
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥
  
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