IL
SERPENTE E L'UCCELLINO.
Le
gambe gli cedevano mentre tentava di salire le scale.
La
testa gli doleva, il naso aveva ripreso a sanguinare e con la
manica della camicia già sporca tentava di fermare
l’emorragia.
Aveva
pochi metri da percorrere prima di potersi riposare, prima di
gettarsi a letto e cercare di dimenticare quella giornata.
Perché
aveva mentito?
Perché,
forse, si aspettava qualcosa di più della vita che gli si
prospettava sotto Voldemort, perché voleva vivere
normalmente, o voleva vivere
e basta.
Perché
aveva protetto Potter e i suoi amichetti?
Perché
era un vigliacco, un vigliacco calcolatore.
Perché
aveva chiuso gli occhi mentre sua zia torturava la Granger?
Perché
le ricordava tremendamente Wren e quel suo braccialetto che
tintinnava costantemente al polso.
E
perché la ragazza continuava a tenerlo nonostante lei e
Draco
avessero litigato?
Al
momento non gli era dato saperlo.
Spinse
la porta con quel briciolo di forza che gli rimaneva per
avvicinarsi a tastoni al letto, ma lo trovò già
occupato.
-Neville.-
Non
voleva parlarle, non in quel momento, con la voce incrinata dal
dolore e dalla stanchezza, la bocca impastata dal sangue e dalla
vergogna.
-Neville.-
Non
si infilò neppure sotto le coperte, si sdraiò
così, vestito e
sporco.
-Neville
ti ho sentito urlare.-
“Hai
sentito Wren? Anche i Mangiamorte piangono. Anche io sono una
povera vittima come te in questo gioco che mi ha rapito. E ho
trascinato qui
anche te, come ha fatto mio padre con mia madre, ma lei ha capito.
Capirai tu?
Sarò
davvero così egoista da tenerti qua con me?
Sono
davvero una così orribile bestia?”
-Lumos.-
pronunciò Draco e la sua bacchetta si illuminò
tenuamente
per illuminare i piedi della ragazza a pochi centimetri dal suo viso.
-Porti
ancora i calzini spaiati Wren, anche la prima volta che ci
siamo visti li avevi.- sussurrò.
-Neville
non ho capito… posso dormire qui con te stasera?-
-Sì.-
E
la luce si chiuse come si chiusero i loro occhi.
Ci
si aspetta, di norma, che dopo un aprile grigio che il maggio
sia più roseo che mai, ma quell’anno non si
prospettava così.
Certo
la speranza è l’ultima a morire.
Di
certo però, la morte, riempì i primi di maggio
come poco altro
aveva fatto nel mondo magico.
L’amore
sboccerà o appassirà come una rosa a cui
è negata l’acqua?
“Vorrei
poter rinnegare tutto quello che ho fatto nella mia vita
fino ad adesso, Narcissa, lo vorrei solo per poter essere amato.
Tra
queste mura avvizzisci tu quanto sono avvizziti i nostri cuori
stanchi.
Vorrei
poterti lasciare andare, ma non ho il coraggio, sono debole
e lo sai, perché senza di te sono il nulla più
vuoto.
Vorrei
poterti riscaldare con tutto l’amore con cui ti amo, ma
sentiresti solo il gelo che può darti il mostro che sono.
Non
sono degno di te, della tua pazienza e della tua bellezza che
nonostante gli anni che avanzano rimane la stessa se non migliora.
Sei
la luce che tira avanti le mie giornate Narcissa, se ti
lasciassi andare andrei alla deriva brancolando nel buio, e io ho paura.
Paura
perché sono io il buio amore mio, ho paura di me stesso,
della mia follia che trascina giù anche te, sempre
più in fondo, finché non ci
manca l’aria e siamo costretti a lasciarci andare per poter
respirare, per
riprendere fiato, ma tu sei leggera, come un petalo, e ritorni a galla,
mentre
io sprofondo nel mio squilibrio.”
Un’altra
lettera, come tutte le altre, accartocciata e nascosta nel
cassetto della scrivania e lei, da ladra scaltra, l’aveva
rubata come faceva
tutte le volte.
Non
meritava un uomo così, ne era certa.
Ormai,
di quella che un tempo era Narcissa Black, era rimasta una
Malfoy stanca, costretta a vivere tra le parole di un marito che la
cullavano
come su una barriera di sicurezze fragili e irrequiete, le parole di un
marito
che non riusciva ad amare nonostante tutto.
“Chi
è più un mostro tra noi due Lucius?”
La
mattina del due maggio 1998, per Draco Malfoy era soltanto un
altro giorno all’inferno, non poteva sapere quello che da
lì a poche ore
sarebbe capitato.
Da
bravo carceriere portò la colazione alla sua piccola
prigioniera,
era il momento della giornata che preferiva.
Wren
che si sporcava le labbra con il succo di zucca, che cercava
le uova nel piatto perché la pancetta le piaceva tenerla per
ultima, e il
sorriso che le spuntava quando trovava anche una striscia di cioccolato
vicino
alle posate.
Quella
mattina ne aveva messe due, come se sospettasse che per
affrontare la giornata le sarebbe servita una doppia reazione di
carburante, e
si era stupito molto quando la ragazza gli aveva offerto la seconda.
Poi
era successo tutto all’improvviso: il marchio sulla pelle
aveva
iniziato a bruciare, sempre più forte, tanto da mozzargli il
fiato.
Corse
al piano di sotto cercando di non inciampare nei suoi stessi
piedi per la fretta, ad attenderlo seduto nel suo salotto neppure fosse
il
padrone il Signore Oscuro lo attendeva trepidante.
-Devi
andare ad Hogwarts Draco, necessito della tua presenza
là, ho un brutto presentimento stamani.-
Non
c’era tempo da perdere.
Neppure
un minuto.
-Che
stai facendo Neville?-
-Faccio
la tua valigia Wren.-
-E
per quale motivo?-
-Ti
riporto a casa.-
Neppure
il tempo di lasciarla sospirare di sollievo o malinconia,
che, presa per un braccio, la portò fino alla porta del
maniero approfittando
dell’assenza degli altri Mangiamorte.
-Tieniti
forte.- le sussurrò e si smaterializzarono nella
nebbia insolita di quel mattino.
La
libertà, se a così lungo desiderata,
può portare ad un attimo di
smarrimento.
Non
solo perché non ci si aspetta una così grande
sorpresa, ma
anche perché la realtà può essere
più cruda di quel che ci si aspetta.
All’uccellino
al quale si apre la gabbia rimane quel briciolo di
incertezza prima di volare e Wren si sentiva proprio così.
Perché
la libertà è un tuffo al cuore in tutti i sensi,
e quel
cuore oppresso, sconvolto dagli avvenimenti, si sentiva liberato da
tutte le
catene pronto per respirare di nuovo.
Ma
a quell’aria che tornava a respirare mancava qualcosa,
qualcosa
di importante, era l’ossigeno che alimentava le sue giornate
che scarseggiava,
che non le permetteva di godere di quel momento.
Non
pensava che Neville le potesse fare quell’effetto.
Era
come se potesse vederlo davvero, lontano da tutto quel buio che
la sovrastava in continuazione.
Era
come se la corazza ruvida al tatto che si era creato si
sciogliesse davanti a lei per liberare Draco, non Neville il
Mangiamorte, ma
solo Draco.
Le
venne spontaneo ammettere un -Ti amo- davanti al
portone di casa sua, quella a Diagon Alley, lontana dai gelsomini di
casa
Malfoy e dalle ripercussioni delle catene della prigionia.
Lì
dove era libera di tornare a vivere capì che vivere senza di
lui
sarebbe stato una privazione immensa per entrambi.
Lì
lui la baciò per la prima volta, di nuovo, e non fu un bacio
maldestro, ma uno di quelli che si aspettano da tempo, di quelli
agognati fino
all’ultimo secondo, ma si accorse che c’era
qualcosa di sbagliato in quel
momento che sembrava perfetto.
-Non
è vero che mi ami, ami Neville, e io sono
Draco.-
-So
che sei Draco.-
-Tornerò
allora, te lo prometto.-
-So
anche questo.-
Suo
figlio era nelle mani del lupo e lui ce l’aveva condotto
senza
aprire bocca.
Oltre
che un pessimo marito era anche un pessimo padre, non c’era
che dire.
Narcissa
consumava la suola delle scarpe senza smettere di
passeggiare davanti alla scrivania e lui faceva finta di controllare
dei
documenti della massima importanza mentre osservava sua moglie e i suoi
vagabondaggi per la stanza.
Suo
figlio era partito da poco, ma lei era già preoccupata e a
nulla erano valsi i suoi tentativi di calmarla.
-Se
fosse successo qualcosa il Signore Oscuro ci avrebbe
chiamati.- le diceva, ma lei non gli dava ascolto.
Ad
un tratto un grido cupo si levò dai sotterranei del maniero.
Non
c’erano prigionieri, Potter gli aveva portati tutti via.
Proveniva
da qualcosa di più profondo, di più viscerale
della cosa,
era come se le fondamenta avessero preso voce di donna e avessero
iniziato ad
implorare per un male che le stava attaccando.
-La
stanza azzurra.- sussurrò Narcissa e prima che l'altro dei
due potesse ribattere si catapultò nella stanza.
Lì,
tra i ritratti di famiglia, quello di Elaine, la donna che aveva
lanciato la maledizione
sui Malfoy, tremava schiumante di rabbia, mentre gli altri si
scostavano fino
alle cornici per
nascondersi da
quell’orrore.
Qualcosa
si ruppe e non si capì se per prime furono le catene del
cuore di Narcissa o l’incantesimo lanciato sulla famiglia,
fatto sta che la
donna scoppiò a ridere e si gettò tra le braccia
del marito.
Lucius
la strinse a sé come non aveva mai fatto per poi baciarle
dolcemente la fronte e le labbra.
Non
serviva che Narcissa gli dicesse di amarlo, era già tutto
scritto lì.
NdA:
Che dire adesso…
Potrei
prolungarmi in ringraziamenti a chi mi ha sempre sostenuto
nonostante i miei momenti di grande blocco che mi hanno portato a
scrivere
capitolo orridi, chi mi ha convinto ad andare avanti nonostante volessi
solo
buttare tutto via, ma alla fine credo che basti un solo GRAZIE A TUTTI
a
cornice del quadro.
Un
bacione alla prossima.
Se
vi interessa questo è il mio profilo facebook: Cranium Marie
Lestrange