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Autore: JackoSaint    15/11/2012    3 recensioni
"Il Corriere di Camelot, lo chiamerò. Tant’è vero che dame e cavalieri saranno ben lieti di veder scritto il loro nome. A mo’ di pomposo corteo seguiranno pettegolezzi, dicerie, delicate prese in giro. Perché ammettiamolo, qui il potere porta il colore del rosso dei mantelli, del grigio delle spade e delle accese tinte delle vesti delle nobili signore; e non è mai esistito un potere di cui non ci si possa burlare, sottilmente e senza cattiveria."
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Principe Artù, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La sinfonia dei Pendragon - parte 1




LA SINFONIA DEI PENDRAGON – PARTE 1

 

Quando si trattava di sguinzagliare il cagnolino più fedele, Artù non sbagliava mai. Affidare un’indagine così esilarante e bizzarra alla serietà di Leon era forse l’unica opzione e probabilmente anche il precedente re avrebbe scelto lui; e se c’era da seguire l’esempio paterno, il giovane sovrano di Camelot era in prima fila.

«Elyan» Leon gli batté la mano sulla spalla e lo invitò a seguirlo per gli ampi corridoi del palazzo. Gli altri cavalieri, tra una stretta di mano e l’altra, si erano già congedati. «Mi servirà il tuo aiuto. Sarà difficile stanare il colpevole.»

«I colpevoli» lo corresse l’altro con un sorriso gentile. «Non credo sia opera di un solo individuo. Ci sono troppe copie in circolazione.»

Leon annuì. Sembrava che la sua naturale compostezza non potesse venire turbata da nulla, nemmeno dalla sconcertante serietà con cui stavano trattando l’argomento. «Chiunque sia stato sarà portato immediatamente al cospetto del re.»

«Leon?»

«Sì?»

«Pensi che il re sia veramente infastidito da questa faccenda?»

Per un momento Leon parve indeciso, tanto che gli rifilò un’occhiata sospettosa. «Non darmi motivo di pensare che la cosa ti diverta. Galvano è già abbastanza.»

«Non intendevo questo» fu la risposta di Elyan. Rise leggermente, forse per il riferimento fatto all’altro cavaliere. «Troveremo chi è stato e faremo dormire notti tranquille al nostro re. Nessuno di noi vuole che la sua reputazione venga rovinata.»

«Qualcuno qui a Camelot non la pensa così.» Si fermò nel frullio del mantello rosso acceso. «Stasera incontriamoci nel piazzale. Assicurati che Mordred venga con te. Incominceremo subito.»

 

 

 

Incominceremo subito.

Aveva fatto bene a dirlo, perché nemmeno Sir Leon poteva immaginare quale epopea sarebbe incominciata da lì a poco. Quella sera Elyan e Mordred si limitarono a seguire le sue direttive. Lo stimato capo delle guardie non perdonava ritardi o assenze ingiustificate, motivo per cui i due si fecero trovare nel piazzale con largo anticipo.

Avevano così tappezzato le taverne più chiacchierate di Camelot e tra un’informazione e l’altra erano riusciti a costruire un quadro abbastanza chiaro della faccenda: stando a quanto i cittadini avevano rilasciato, praticamente tutti avevano letto e sghignazzato alle “sottili” prese in giro del Corriere.

«Questo» Mordred fece scivolare una copia del Corriere sotto allo sguardo dell’ennesimo oste, il quale si limitò ad una svelta alzata di spalle. «Ne sapete qualcosa?»

«Non mi sorprende che lo abbiate letto anche voi. Divertente, non trovate?» Gli assestò una potente pacca sulla spalla stendendo un ripugnante sorriso privo di denti; il sorriso di chi non è molto abituato ad alzare il gomito.  «Manca umorismo a corte, eh?»

Anche Leon e Elyan raggiunsero il bancone, seguiti da mille occhi accesi dall’alcol.

«Molesto. Inopportuno» commentò apatico Sir Leon, scivolando al fianco di Mordred. L’oste perse improvvisamente di baldanza. «Mi pare, signore, che voi apprezziate la satira gratuita rivolta al nostro re.»

«Non... proprio.» Lo sguardo dell’uomo ciondolò prima a destra e poi a sinistra, senza trovare una spiaggia a cui ancorarsi. «Non ne so nulla.»

«Nessuno sa nulla, che strano. Eppure tutti hanno letto, tutti hanno liberamente commentato.»

«Sono sicuro» si riallacciò l’oste, ora con più fermezza, «che non vi è cattiveria nel Corriere. È, diciamo, uno sfizio che qualcuno di buon cuore ha voluto condividere col resto del popolo.»

L’oste avrebbe preferito trovarsi da tutt’altra parte con tutt’altra compagnia. Mordred se ne stava zitto, proprio come un falco: i suoi occhi chiari balzavano dall’uomo al Corriere senza il benché minimo indizio di sentimento. Leon, invece, saldo nell’espressione, non aveva ancora mutato quel suo pungente tono accusatorio. L’unico che ispirava simpatia era Elyan, che si decise a prendere parola: «Non è stata una scelta molto meditata, allora. Il nostro re non ha apprezzato, così come i suoi cavalieri.»

«Credo che vi siano affari molto più importanti, signori. Il Corriere non potrà mai nuocere a nessuno e, come sta scritto, “non è mai esistito un potere di cui non ci si possa burlare, sottilmente e senza cattiveria”.» L’oste regalò a tutti e tre un bel sorriso bonario e con un gesto svagato della mano fece per congedarli. «Non è poi così grave, suvvia. E se proprio volete qualche indizio in più, come e perché chiedete a noi sempliciotti? Qui non tutti sanno scrivere, figuriamoci esprimere così chiaramente tutta questa satira gratuita!» Gettò un ultimo sguardo ai cavalieri, soffermandosi sull’occhiata ora illuminata di Leon, poi se ne tornò ai propri affari.

«L’istruzione» scappò subito a Elyan.

Mordred prese il Corriere e incominciò a sviscerarne le parole con quei suoi occhietti brillanti. «Il Corriere ha una buona grafia. Non sembra il prodotto di un semplice paesano.»

Leon li abbracciò con un solo sguardo, tacitamente, la bocca di poco schiusa. Annuì. «Un uomo istruito è un uomo ricco. Potrebbe far parte della corte.»

 

Pochi giorni ancora e un altro numero del Corriere avrebbe concretizzato il loro più profondo timore.

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“Un due tre

Incomincia il ballo dei re!

Ch’incomincia bene finisce bene, si suol dire. Eppure a me non pare cosa esatta, se s’incomincia a parlare di quella mangusta che ci ritroviamo come re. Anzi, non andiamo ad offendere questo nobile e meraviglioso animale!

Di nobile e meraviglioso Artù non ha proprio nulla, intendiamoci. Proprio qualche riga sopra stavo per intonarvi un fantastico inno, una celebrazione alla dinastia regnante di Camelot. Che se la meritino o meno, non sta a me deciderlo. Ritenetelo pure un giocoso alternarsi di parole senza nessuna ambizione personale.

Una filastrocca mi è stata cantata da un amico.

 

Un due tre

Incomincia il ballo dei re!

Se di Uther non avete ricordo

Forse è meglio, fidatevi che non mordo.

Egli nascondeva la sua vera natura

E quel pancino ben sazio, addirittura.

Si serviva di abiti ingombranti,

volutamente pesanti,

ma il sopraggiungere della vecchiaia

era lì sul suo volto, una venuta per niente gaia.

Occhi incavati come profondi burroni,

ci mancavano solo un paio di baffoni.

Orribile al solo pensiero,

inoltre non aveva nulla di battagliero!

 

Mentirei se dicessi di ricordare altro di tale filastrocca, posso solo affermare che quanto affermato non si discosta troppo dalla realtà. A nessun re farebbe piacere essere ricordato in questo modo, ma contro la parola del popolo si può fare ben poco: sarebbe come convincere il figlioletto Artù ad ammettere la sua incapacità, magari ignudo nella piazza principale della nostra amata cittadella; cosa che sfortunatamente accade solo nelle più intime fantasie di noi sudditi.
Se ciò dovesse davvero succedere, signori, s’incomincerebbe a capire che i gioielli regali si trovano solo nei portagioie di corte e non dove ci aspetteremmo di trovarli.

Ma questa è una storia di cui non so molto, per fortuna. Parlo solo per sentito dire, non voglio screditare fino a tal punto il nostro sovrano! Spogliare un re della sua mascolinità è cosa troppo abominevole, troppo malvagia.  

A proposito, miei amati lettori, ho disperso il poemetto sul nostro Artù! Pensavo di poterlo accostare a quello del padre, tanto per presentarvi un completo paragone – e una completa panoramica sulle tanti doti mancanti, non solo fisiche.

Non vi farò attendere a lungo.  

Regaliamo un sorriso a Camelot, è giusto ciò che manca per allietare il nostro viver quotidiano—  E detto da me, che nel vivere a corte non trovo diletto, è un aforisma senza difetto!”

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Urlo di Munch. Questo è l’unico esempio che noi contemporanei potremmo accostare al grido disumano che echeggiò dalla sala del trono, fece sbiancare le statue marmoree e i colorati arazzi, convinse i piccioni a migrare sotto altre tettoie.

Il risveglio a palazzo non era mai stato così raccapricciante.

«Che cos’è?» strepitò Artù, le tempie pulsanti più del solito. «Leon, che cos’è?»

«Credo sia il secondo numero del Cor-»

«L’hai letto? Dico, l’hai letto

Pure i capelli del fascinoso cavaliere parevano irrigiditi, lì sul capo dove solitamente davano vita a graziosi riccioli. «No, sire. Non sono riuscito a concludere la lettura.»

«È davvero...!»

«Esagerato.»

«Offensivo! I-io...»

«La mia coscienza non mi ha permesso di proseguire oltre la filastrocca.»

«Qui, ultima riga!» Artù inchiodò il Corriere sulla Tavola Rotonda coprendo, vuoi per caso vuoi per volere personale, i paragrafi sopra. «Si cita la corte! È qui a palazzo, ne sono sicuro!»

«Meglio non balzare a conclusioni troppo-»

«Affrettate? Forse non hai capito, Leon. Io voglio ardere vivo il colpevole. Sarò io stesso ad appiccare il fuoco.»

Il cavaliere pensò bene di non ribattere. Il rossore del volto di Artù risaltava più del colore del mantello e gli occhi erano iniettati di una spaventosa furia omicida. Meglio rimanere zitti.

«Va’ a chiamare Gaius. Ho bisogno di parlargli.»

«Avete un piano, sire?»

Artù non gli rispose. Gli tolse il Corriere da sotto gli occhi e si sedette con la velocità di uno schizofrenico. «Muoviti.»

Leon, seppur spiazzato da quella schiettezza inaspettata, accennò un lieve inchino del capo e marciò fuori dalla sala, pronto a eseguire l’ordine.


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Sono in ritardo, lo so xD Ci farete l'abitudine :'3
Grazie per aver letto, a presto!

   
 
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