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Autore: Noth    17/11/2012    14 recensioni
Sette audiocassette contenenti le tredici ragioni per le quali Blaine Anderson si è suicidato. E queste cassette stanno facendo il giro delle tredici persone colpevoli di aver distrutto la vita di Blaine. Quando arrivano a Kurt, però, lui non sa cosa aspettarsi e non capisce cosa possa c'entrare. Eppure è in una di quelle cassette, e prima o poi verrà il suo turno. Ascoltandole, Kurt comincerà un viaggio che lo porterà ad una nuova consapevolezza, ad una scoperta di emozioni e sentimenti che aveva dato per scontate e che, invece, non avrebbe dovuto.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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13 Reasons Why
Cassetta B Lato 3







Mi misi a camminare sul bordo della strada, talmente poco illuminata che rischiavo di essere investito ogni due per tre. Non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea che avrei dovuto accorgermene e di occasioni per farlo ne avevo avute. Perché ero stato così cieco? Finii alla stazione dei treni, che stava a pochi passi, ed entrai, sedendomi sui bordi dei binari ad osservare la notte e l’abbandono di quella ferrovia ormai quasi dimenticata da Dio. I piccioni camminavano tra le mattonelle con quell’andatura sbilenca e mi chiesi come potessero non morire di freddo. Tenevo la testa bassa e le mani sulle ginocchia, un largo senso di vuoto che dilagava nel petto. Dovevo cambiare cassetta, mettere la seconda e darmi una mossa. Dovevo ascoltare tutto quella notte, ormai il sonno sembrava un qualcosa di lontano anni luce. Premetti il pulsante d’apertura e, tirando su col naso, me la misi in tasca, tirai fuori la cassetta numero 2 e la inserii dal lato A.

Toccava a te, Finn. Come potevi essere in questa cassetta? Non mi risultava nemmeno che conoscessi Blaine, ed eri il mio fratellastro, ti conoscevo bene. Sapevo che a volte potevi sembrare un ingenuo ed eri decisamente lunatico ma… mi rifiutavo di credere che tu fossi una delle 13 ragioni.

Come me, d’altra parte.

Play.

Aspettavo di arrivare a te. Ho aspettato e ti ho lasciato addirittura per terzo, Finn, perché so che ti sei pentito e mi hai chiesto scusa, ma le tue parole hanno aperto comunque la finestra che mi serviva per accorgermi che, volendo, potevo buttarmi di sotto. Sei l’unico che si è lasciato avvicinare dopo l’”l’affare Sam”. Mi hai prestato i tuoi appunti e dato una pacca sulla spalla. Mi invitasti a casa tua, così, dal nulla. Fu una settimana durante la quale mi attaccai a te più del necessario. Nella mia solitudine non avevo altro e venivo attratto da te come una calamita. Non capivo perché fossi così gentile. Poi scoprii che eri stato assente per una forte mononucleosi e non avevi sentito nulla e ancora non eri stato informato delle chiacchiere di corridoio. Finchè nessuno fece caso alla tua ignorante gentilezza nei miei confronti eri l’unico a mostrare un po’ di compassione per la mia condizione. Non capivi nemmeno perché tutti tendessero a maltrattarmi e tenermi lontano.

Tipico di Finn non accorgersi di nulla e comportarsi da bonaccione con un ragazzo infinitamente più basso di lui e in evidente difficoltà.
Era semplicemente fatto così.

Finchè non ti venne la balzana idea di chiedere ai tuoi compagni perché, e loro risposero. Non conosco le loro parole esatte ma non è una fortuna perché le tue fecero più male. Non so perché mi fidai di te, Finn, forse per via della solitudine e del tuo sorriso sincero. E sì, lo era, ma altrettanto sincere furono le tue parole il giorno dopo.

No, non poteva essere. Ora capivo l’ansia di Finn quegli ultimi giorni. A lui erano già arrivate le cassette ed aveva probabilmente utilizzato – non si sa come ci fosse riuscito – i miei marchingegni mentre io ero troppo occupato coi corsi pomeridiani per la preparazione al college. Ecco perché non mi aveva più parlato ed era sempre fuori. Ed io che pensavo fosse a causa di Rachel.

Qualcuno ti aveva spiegato cosa avevo detto di essere, e non so se non te lo aspettassi o se il tuo odio, per quei secondi infiniti, fu davvero così tanto. Ricordo che mi avvicinai a te, alla fine di una lezione dove non mi avevi mai parlato né chiesto come stavo come, oramai, eri solito fare, e mi ricordo che ti scansasti come se ci avesse attraversato una scossa elettrica, come se fossi infetto, credo che questo non lo dimenticherò mai. Dovetti alzare la testa per guardarti negli occhi ma tu non volevi vedermi.

Pause.

Dio, mi stavo piantando le unghie nella testa e tremavo, cercando di trattenere le lacrime che mi vibravano negli occhi. Finn, Cristo, cosa avevi fatto? Probabilmente tutto ciò era successo durante la lezione di educazione fisica. Mi dissero, poi, che avevi sbroccato ma non ti avevo mai chiesto perché, né mi ero informato a riguardo. Immaginai che se non me lo avevi spiegato, non valesse la pena parlarne. Non eravamo ancora fratellastri, ma amici sì.

Meglio per te, se avessi saputo cosa avevi fatto ti avrei aspettato a casa per tirarti un pugno in faccia. Dovevo sbollire, dovevo smettere di tremare ma fu proprio per questo che premetti il tasto play per errore.

Play.

“Ho fatto qualcosa di male?” domandai, il suono della mia voce ti scosse di brividi. Oh, vedo ancora la scena come se l’avessi davanti ai miei occhi.
“Non saprei da dove cominciare.” Dicesti, e allontanai di scatto la mano tesa che era rimasta in stallo tra noi due.
Ti guardai sospettoso, avevo intuito, era arrivato il momento che sapevo di aver scansato per grazia divina. Il mio sguardo amaro fu la goccia che ti fece traboccare.
“Non mi avevi detto di essere gay!”
La tua voce grossa mi fece quasi arretrare.
“Non mi avevi detto di essere etero.” Replicai, non intenzionato a subire ancora sempre le stesse ingiurie. Mi pareva di parlare allo specchio. Attorno a noi si stava radunando una folla sempre più fitta.
“Perché quello era normale! Ovvio!” sbottasti, ed ebbi voglia di piangere. Non c’era nessuno di davvero diverso dagli altri, neanche tu. Ero così ferito che non era possibile fingere che non mi stessi dicendo davvero quelle idiozie.
“Bè, allora scusami, sono Blaine Anderson e sono omosessuale, contento?” sbottai, arrendendomi perché oramai non c’era più nulla da fare, qualsiasi cosa avessi detto sarebbe risultata sbagliata. Anche tu assumesti un’aria ferita, come la mia, eppure non smettesti di urlare.
“Se me lo avessi detto… non so… mi sarei comportato diversamente.” sbottasti, confuso, e strinsi i denti per non scoppiare in un singhiozzare infantile. Ma avevo quattordici anni, Finn Hudson, e quelle parole per me erano un intero mondo che crollava, con tanto di allegati pugni allo stomaco che avrebbero lasciato per sempre delle cicatrici dentro di me. Un po’ come tutti voi, ho delle cicatrici che portano tutti i vostri nomi.

Mi presi la radice del naso per calmarmi. Era come se tutte quelle parole fossero state gridate in faccia a me, e non potevo credere che a dire delle cose del genere fosse stato il mio fratellastro, che stimavo, al quale volevo bene. Finn, perché? Blaine soffriva già abbastanza, sei stato imperdonabile. È imperdonabile. Mi piantai le unghie nei palmi ma non alleviò la delusione.
Blaine, potevi venire da me. Avrei potuto salvarti.
Un attimo, aspetta, tu sei venuto, in effetti. Ma…

Non ci siamo più parlati fino alle superiori, dove non so cosa sia cambiato ma hai iniziato a cercarmi, a tentare di parlarmi. Ed i avrei voluto poterti perdonare, Finn, davvero, ma mi sentivo irrimediabilmente rotto.

So io perché alle superiori cambiò. Mio padre gli fece un discorso piuttosto serio a riguardo, dopo che andammo a vivere assieme per unire le famiglie. Finn era, infatti, impazzito un giorno e si era messo ad urlarmi contro. Un momento che tendevo a rimuovere per abitudine ma, ora, mi era impossibile non pensarci. Vorrei solo che Burt gli avesse parlato prima, forse le cose sarebbero andare diversamente per Blaine. Quanto odiavo ciò che tutto ciò che gli era accaduto fosse il risultato dell’incontro di svariate orrende casualità.

Un giorno mi bloccasti fuori da scuola. Te lo concedo, non credevo saresti arrivato a tanto. Mi trascinasti nel cortile dopo il tuo allenamento di football ed i miei corsi pomeridiani di matematica. Che coincidenza che finissimo alla stessa ora. Cercai di farmi piccolo, piccolo e di schiacciarmi sul muro, non volevo guardarti negli occhi.
“Mi dispiace.” Dicesti, e basta. Era la fiera dei mi dispiace. Non facevi che ripetere altro, ma non riuscivo a sciogliere il nodo che avevo in gola per risponderti.
“Sono stato uno stupido, Blaine, ti chiedo di fare finta che quel giorno non sia mai accaduto.”
E la facevi così semplice. Ma le parole, soprattutto quelle così cattive, non ti lasciano mai andare, ti risuonano nella testa in eterno. Io non riesco a rimuovere quel giorno dalla mia mente. Mi si para davanti agli occhi di continuo.
“Non posso, Finn.” Ti risposi, cercando di andare via perché stavo per sentirmi male. Stavo per vomitare.
“Sono sincero, credo di non aver mai detto nulla di più stupido.” Mi bloccasti ancora, uno sguardo di supplica e mi sentii in colpa per non essere in grado di perdonarti. Se ci fossi riuscito avremmo potuto tornare amici e non sarei più stato solo, ma il catrame che se ne stava annidato dentro di me, intento a crescere e soffocarmi, me lo impediva.
Superai quell’enorme barriera, che non mi lasciava spiaccicare più di due parole, per darti almeno una spiegazione. Ma poi, te la dovevo?
“Finn non posso. Non… Tu hai semplicemente espresso il pensiero comune, ed io mi fidavo di te ma l’idea di starti accanto ora mi rimanda a quel momento di continuo, come un flash come una tortura continua e io… non posso farlo. Mi dispiace che tu abbia detto quelle cose, eri l’unica persona della quale potevo fidarmi, perché non sapevi, ma una volta saputo hai reagito esattamente come le altre. Non riesco a… dimenticarlo. Non ci riesco perché, se almeno tutti gli altri le cose me le dicevano alle spalle e potevo solo immaginarle… tu hai dato la prova finale di ciò che pensavano, che ancora pensano e che non sono sicuro tu non pensi più.”
“Io non…”
“Ogni volta che le sentirò immaginerò che usciranno dalla tua bocca. Mi dispiace, non so come dirti che mi dispiace ma non riesco a portare me stesso a perdonare e dimenticare tutto. Non ce la faccio, e ti chiedo, per favore, di starmi lontano d’ora in avanti.” Spiegai, e mi sembrò di parlare più di quanto non avessi mai fatto in tutta la mia vita.
Era stato faticoso ed orrendo tirare fuori quelle parole, ed ancora più orrenda era l’espressione che avevi in volto.
Scappai via ed andai a casa, chiudendomi la porta principale alle spalle, scappando al piano superiore ed entrando nello sgabuzzino per urlare. Non hai idea di quanto ho urlato, quel giorno, Finn. Alla fine, quando ormai sentivo le corde vocali più come dei filamenti di cemento che di carne, sono sceso a tavola ed ho parlato del più e del meno coi miei genitori. Ma il mostro dentro di me si stava nutrendo, Finn, oh se si nutriva ed aspettava ogni momento buono per fare in modo che l’odio e la solitudine non mancassero mai per cibarsene.

Mi lasciai sfuggire un singhiozzo.

È un susseguirsi di delusioni e attacchi esterni ed interni.
C’è chi ha iniziato il lavoro e c’è chi l’ha finito.
Per questo ora sono qui.
Tina Chang, a te la prossima mossa.
Fine cassetta 2 lato A.

Mi alzai dal binario e mi misi a correre, imboccai stradine a caso, con il naso congelato ed il fiato che mi bruciava in gola per il freddo. Il cemento aveva uno strato sottile di ghiaccio scivoloso sopra, ma non me ne ero accorto, così continuavo a correre, finchè la scarpa non cedette sotto al peso del mio corpo, facendomi cadere a terra sbattendo il petto contro il marciapiede di una via decisamente poco frequentata. Il colpo mi mozzò il respiro ma il mio pensiero corse subito alle cassette. Non dovevano essersi rovinate.
Fortunatamente, dato lo spessore del cappotto che indossavo ed il fatto che fossi caduto di pancia, nulla di ciò che avevo nelle tasche laterali aveva veramente colpito terra. Non trovavo però la forza di alzarmi. Con che coraggio avrei guardato ancora Finn negli occhi? Si era pentito, e lo sapevo bene, ma quelle parole erano uscite dalla sua bocca, e quella bocca aveva ferito Blaine.
Chissà se mi sarebbe importato altrettanto se non avessi avuto una cotta per quel maledetto ragazzo da più tempo di quanto riuscissi a ricordare.

Perché? Perché lui?

Perché lui, Finn?

Mi raggomitolai, tossendo e, ad ogni colpo, mi dolevano da morire le costole. Se ero ridotto così solo dopo tre storie non osavo immaginare alla fine.

Avrei potuto salvarti, Blaine, avrei potuto portarti via.

Non mi hai lasciato.






























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Spazio Autrice:
Avendo finito relativamente presto l'IELTS sono riuscita ad aggiornare,
spero che vi sia piaciuta. Spero davvero che sia okay.
Insomma, non è facile gestire tutte queste cose negative anche per personaggi che si apprezzano.

Ora me ne vado, spero di aggiornare presto.

Noth
   
 
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