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Autore: Phoenixstein    17/11/2012    13 recensioni
Dopo quell’episodio, Derek si era chiesto infinite volte cos’avesse Stiles di tanto speciale. Giorno dopo giorno gli erano sovvenute una miriade di risposte, la notte le contava sulle dita e si addormentava cercando di rinnegarle… Partiva dalle caratteristiche fisiche come la chimica del suo odore e finiva alla sua incredibile forza di volontà, passando per altri mille punti che accarezzava con timore. Perché più andava avanti e più una parola si stampigliava a fuoco nell’intricato lavorìo dei suoi neuroni, una parola che era forse l’unica al mondo in grado di terrorizzare lui, l’Alpha di Beacon Hills. C’erano così tanta luce, così tanta vita e così tanta umanità nel coraggioso ma fragile Stiles… e destavano in lui un’ammirazione devota e silenziosa, nascosta, taciuta a chiunque e perfino a se stesso.
[Stiles/Derek]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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{Gli avvenimenti vanno a collocarsi subito dopo la 2x12}

 

You bring my heart to its knees

 

 

 

 

Il rumore vibrante del tergicristalli ridondava nelle orecchie di Stiles, amplificato dal silenzio dell’abitacolo, ma non abbastanza da coprire i suoi pensieri. Alle porte della sera la pioggia fitta sciacquava le strade di Beacon Hills, facendo scivolare la città in quello che era proprio un tempo da lupi.

C’era una cosa che Stiles non aveva ancora detto a nessuno.

D’altronde non ne era nemmeno sicuro, ma non poteva più ignorare quel fremito che lo avvolgeva quando Derek si trovava nei paraggi. Chissà, forse poteva essere una prerogativa da lupi mannari, un fascino che va al di là dell’umano e confonde le persone normali con le sue spire… Oppure, semplicemente, era qualcosa contro cui Stiles era chiamato a sbattere senza rimedio, perché glielo diceva il suo intero essere.

Qualsiasi cosa fosse quella, aveva aiutato Stiles a capire che la cotta per Lydia era stata quasi un puntiglio infantile e che era ora di voltare pagina, di crescere. Certo, la trovava sempre bellissima, e adorava il fatto di essere stato uno dei pochi a comprendere quel suo cipiglio altezzoso che usava per nascondere una natura brillante: Lydia Martin era probabilmente la ragazza più intelligente della scuola e senza dubbio una delle più affascinanti. Adesso Stiles si rendeva conto che in tutti quegli anni aveva inseguito con caparbietà un sogno che profumava di Chanel n°5 più per forza di inerzia che per altro. La sua testa aveva catalizzato Lydia come oggetto d’amore prima ancora di capire cosa l’amore realmente fosse.

E Lydia rimaneva comunque fantastica ma niente -niente- poteva competere con ciò che era Derek. All’inizio Stiles pensava di esserne soltanto intimorito, e forse era così, ma poi quel timore aveva lasciato campo a qualcosa di diverso. Derek agli occhi di chiunque poteva apparire l’infallibile Alpha, il lupo cattivo scontroso e senza veri affetti che non si fidava troppo di nessuno. Stiles vedeva oltre, e desiderava farlo sempre più a fondo: per lui era evidente che Derek avesse parecchi problemi, che una mano di dolore chissà per quale ragione schiacciasse perennemente il suo cuore. Dunque ovviamente non era accaduto solo che quella bellezza selvaggia intrappolata sotto una coltre di ghiaccio avesse inequivocabilmente turbato gli ormoni adolescenziali di Stiles… C’era molto altro. Voleva essergli vicino, affondare una mano nella sua anima ed esplorarne i limiti proibiti al resto del mondo… e poi solo dopo magari provare cosa si sentiva a dormire adagiati sul suo petto.

A primo impatto, ciò che vide gli parve frutto della propria immaginazione. Tuttavia calò il piede sul pedale del freno per far rallentare la jeep e, osservando meglio attraverso il parabrezza gocciolante, non ebbe dubbi: Derek. Correva sul ciglio della strada con le spalle ricurve, l’acqua che si abbatteva sulla nuca scoperta e colava lungo la giacca di pelle. Stiles l’aveva riconosciuto perfino da lontano, perfino senza vederne la faccia: la sua sagoma era impressa perennemente nella sua testa. Inchiodò accanto al marciapiede lampeggiando con gli anabbaglianti, e Derek si ritrovò costretto a fermarsi mentre il finestrino dalla parte del passeggero si abbassava. L’Alpha fece guizzare lo sguardo all’interno: quel ragazzo si era proteso tutto sull’altro sedile per farsi sentire al di sopra del ticchettare incessante della pioggia, ma dalla faccia non sembrava del tutto convinto di ciò che stava facendo. «Sali?»

Star lì a beccarsi l’acqua certo non l’avrebbe portato a nulla, quindi Derek convenne che accettare un passaggio fosse fattibile. Non appena fu entrato in macchina non rivolse all’altro neppure una parola, limitandosi ad osservare le proprie maniche da cui colavano rivoli di pioggia.

Stiles non si era aspettato qualcosa di molto diverso, perciò toccò a lui aprir bocca per primo. «È imprudente da parte tua andartene in giro a piedi.» disse, con un tono ironico che gli costò una brusca risposta.

«Idiota, credi che mi stessi divertendo a passeggiare sotto la pioggia?» soffiò l’altro, increspando le labbra. «Capita anche alle belle macchine di rompersi. Ho dovuto accostare mezzo miglio più indietro e, a dirla tutta, stavo correndo da un meccanico.» replicò secco Derek. Gli costava moltissimo chiamarlo “idiota”, eppure la parte atrofica del proprio cuore glielo ordinava. Poca confidenza a quel ragazzino petulante…

Stiles sbuffò dal naso, disarmato da quella solita intrattabilità. Notò che Derek non gli aveva ancora indirizzato un singolo sguardo, fosse anche minaccioso, e continuava invece a scrutarsi le maniche della giacca come se fossero la cosa più importante del mondo. Stiles avrebbe tanto voluto accarezzare la pelle scricchiolante e bagnata che avvolgeva quelle braccia… ma, diamine, doveva smetterla di pensarci, altrimenti si sarebbe smascherato seduta stante con un battito cardiaco difficilmente equivocabile. “Okay, siete per l’ennesima volta soli nella tua macchina. Non pensarci, Stiles, calmati. O cominceranno ad accelerare le pulsazioni e lui se ne accorgerà” pensò, tanto almeno il suo cervello Derek non poteva leggerlo. Al contempo, avvertì un impulso da buon samaritano che lo spinse a torcersi tutto per prendere qualcosa dal sedile posteriore. Afferrò un lembo con le dita e tirò svelto a sé la sua felpa rossa appallottolata.

«Mettiti questa. Coli acqua da tutte le parti.» disse, facendo finta che quella piccola offerta fosse una cosa da niente. In realtà sapeva benissimo che probabilmente Derek avrebbe declinato rispondendogli con qualcosa di poco carino. Ma, chissà per quale strano motivo, l’Alpha non squadrò la felpa come se fosse appena uscita dalla spazzatura, bensì la prese e se la mise addosso dopo aver buttato a casaccio la propria giacca sul retro. Stiles era sicuro di esserselo solo immaginato, ma Derek aveva gorgogliato qualcosa di molto simile a un “grazie”. Il lupo tentò di tirare su la zip, ma dopo aver constatato che si chiudeva a fatica attorno alla sua massa muscolare, si limitò a calarsi soltanto il cappuccio in testa.

«Bene, ora ti porto a casa.»

«Quale casa?» Derek si accigliò.

Stiles deglutì e mise in conto la probabile scottatura che sarebbe derivata dall’avvicinarsi così tanto al fuoco, prima di trovare il coraggio di parlare. «Mia. Ovvio.»

«Ah sì?» Stiles fu sollevato perché gli parve di vedere per un attimo sul viso altero di Derek una vaga espressione divertita «E come lo spiegheresti a tuo padre?»

«Posso nasconderti sotto un paio di coperte, ti porterei da mangiare in camera…» snocciolò l’idea con aria di sufficienza.

«Mi hai preso per un barboncino?» lo rimbeccò Derek, perplesso. Aveva contratto le labbra in un ghignetto che Stiles trovò stramaledettamente sexy. Maledizione. Maledizione! Il biancore di quei denti lo abbagliava, era qualcosa di totalmente fuori dall’umano.

Il ragazzo si strofinò il mento e sembrò vagliare a fondo le sue conoscenze. «Be’, in realtà, se consideriamo che il lupo appartiene alla famiglia dei Canidi…»

Lo sguardo gelido di Derek lo trapassò da parte a parte, micidiale e bellissimo come sempre, ogni traccia di sorriso scomparsa. Stiles sentì la gola asciutta, gli occhi che bruciavano, il cuore che accelerava burrascosamente. Sperò che Derek la scambiasse per paura. «Okay, stavo scherzando. È di turno stanotte.»

«Resta una pessima idea.» grugnì l’altro, l’odore della felpa che gli impregnava i polmoni senza che lui potesse opporvisi. Detestava non riuscire a controllare quello che aveva intorno, e succedeva spesso. «Portami dal meccanico, è lì che devo andare. Poi, mi porterai a casa mia.»

«Scusa, stavo solo cercando di aiutarti. Si vede che stare in quella casa tutta…» stava per dire “bruciata”, ma si trattenne bene dal farlo «…pericolante ti piace parecchio.»

«Be’, è casa mia.» rispose Derek, e Stiles sentì di dover leggere in profondità quella frase… Quella dimora era un legame, il simbolo di una famiglia distrutta. Lui aveva perso solo sua madre e il dolore si faceva vivo ogni giorno; non osava immaginare cosa potesse significare trovarsi nella situazione di Derek… «E non sono solo adesso.» aggiunse l’Alpha come per giustificarsi, forse resosi conto di aver rivelato una traccia di sentimentalismo.

Stiles prese a picchiettare con i polpastrelli sul volante. «In ogni caso non possiamo spingerci verso il bosco con questa pioggia. Non ci tengo a che la mia jeep rimanga impantanata.» disse, pragmatico.

«D’accordo, non perdiamo tempo. Vuoi portarmi dal meccanico sì o no?» esplose Derek, più feroce del dovuto. Era l’unica cosa che poteva fare quando perdeva il controllo del mondo: tirar fuori la rabbia, lasciare che le parole mutassero in ringhi autoritari. Perché aveva deciso di accettare quel passaggio? E perché quel dannato ragazzino tutto stava facendo tranne che mettere in moto?

«Hmf, sai… non lo so.» sbottò Stiles, nervoso, colpendo con violenza il volante. Non accettava di essere trattato in quel modo. E lo irritava il fatto che provasse qualcosa per Derek senza riuscire a creare un ponte solido fra di loro. Doveva essere una sfiga persistente la sua, dato che propendeva per gli amori impossibili. Ma, d’altronde, cosa aveva creduto? Che l’Alpha avesse mai potuto ricambiare? Cristo, avrebbe dovuto tenere i piedi per terra, una buona volta.

«Stiles.» Derek pronunciò il suo nome come se stesse per spingerlo giù da un burrone. «Io ti…»

«…ammazzo? …squarto? …ti appendo al cavo dell’alta tensione per le orecchie?» lo interruppe l’altro, stanco di quel giochetto «Si dà il caso che tu stia indossando la mia felpa rossa e questo ti rende assai meno… spaventoso. Nessuna di queste minacce attacca, Derek.» Stiles non sapeva da dove gli arrivasse quell’audacia scanzonata ma, d’altro canto, quella volta in cui l’Alpha aveva minacciato di squarciargli la gola con i denti -proprio in quella macchina- sembrava lontana secoli e non l’aveva preso poi davvero sul serio.

«Ma che diavolo vuoi?» crollò Derek, sapendo che quella domanda era più per se stesso che per Stiles. Si era arreso, lasciando defluire la rabbia e guardando il più piccolo con occhi diversi. In fondo non meritava quel trattamento così acre, era solo che lui stesso non riusciva a fare ordine nella sua maledetta testa e se la prendeva con lui. Era facile, così.

«Io non voglio nulla, stiamo solo avendo una piccola controversia dettata dalla tua perenne acidità.» puntualizzò Stiles. «Non mi va di litigare, non mi diverte. È solo che ogni tanto mi illudo che tu possa essere gentile…» ammise, girando la chiave d’accensione. Il motore della jeep fece il suo dovere, Derek invece restò in silenzio a fare a pugni con la propria interiorità.

 

Stiles preferì rimanere in macchina, dato che l’ultima volta che era entrato da un meccanico si era ritrovato testimone di qualcosa di agghiacciante. Prima di scendere, Derek si levò di dosso la felpa rossa di Stiles e la abbandonò sul sedile. Con due balzi veloci coprì la distanza dal marciapiede all’officina e vi rimase dentro per dieci minuti buoni.

In quegli attimi di contemplativa solitudine, lo sguardo di Stiles cadeva continuamente sulla felpa che Derek non aveva esitato a sfilarsi in tutta fretta. Gli faceva così schifo portare qualcosa di suo addosso, o farsi vedere in giro con roba da adolescente? Nessuna delle due opzioni era confortante, notò Stiles, e andavano entrambe a suo sfavore.

Lo scrosciare dell’acqua, intanto, non accennava ad assottigliarsi, e contribuiva oltretutto a infondergli un certo cattivo umore. Con la pioggia vedeva come amplificati tutti i suoi problemi, le sue incertezze… e soprattutto, ora che Derek era così vicino a lui, si sentiva un povero folle col cuore destinato ad un martirio atroce.

Come uno schianto nel bel mezzo dei suoi pensieri, la portiera della jeep si aprì e si richiuse. Insieme a Derek era rientrata anche una nuvola di quel suo profumo legnoso, agrumato, sbiadito dall’odore pungente dei temporali. Per quei pochi minuti di assenza quella fragranza gli era mancata da morire… Avrebbe voluto respirarla a fondo, ma non lo fece per ovvi motivi.

«Fai strada al carro attrezzi. Torniamo indietro, ti dico io dove fermarti.» disse Derek mentre infilava di nuovo le braccia nella felpa.

Stiles sbatté più volte le palpebre, visibilmente confuso da quello che vedeva. L’Alpha si era davvero rimesso quell’indumento di sua spontanea volontà? Mugolò un “ehm”. Voleva chiedere spiegazioni, ma come avrebbe potuto? Gli morirono in gola, incapaci di uscire.

«Per favore.» aggiunse Derek, le narici allargate in segno della fatica che stava facendo.

Stiles, se possibile, era ancora più confuso e, non sapendo cosa dire, alzò le mani e arricciò la faccia in un’espressione accomodante. «Certo!» Non poteva sapere che l’unico motivo per cui Derek pochi minuti prima si era liberato della felpa era perché non voleva che si inzuppasse del tutto. Ci stava bene, in realtà; era calda, morbida, asciutta e intrisa da cima a fondo dell’odore buono di Stiles: ammorbidente, biscotti, succo d’arancia e una lieve traccia di sudore che Derek avrebbe voluto esser capace di trattenere fra le dita. Non poteva esserci niente di meglio al mondo, niente di più salutare, niente di più bello.

 

Dopo una buona mezz’ora e la promessa che il lavoro sarebbe stato svolto il prima possibile, l’auto di Derek si ritrovò al sicuro fra le mura dell’officina. Restava solo un dilemma: dove andare. Stiles rimaneva irremovibile nella sua posizione: non si sarebbe spinto fino alla riserva.

Derek non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma nutriva un disagio crescente mano a mano che si avvicinavano a casa Stilinski. Era vero che una volta ci era andato di sua spontanea volontà, ma si era trattato di circostanze diverse… E portava stretto a sé il ricordo del momento in cui aveva trattenuto Stiles contro la porta -razza di irritante scricciolo che non era altro!-, quando quasi gli stava respirando addosso, poteva ammirare da vicino lo scintillìo allarmato dei suoi occhi nocciola e in un barlume di bestialità aveva creduto di stare per cedere alla malia di quelle labbra dischiuse, frementi, arrossate. Poi uno Stiles piuttosto sconvolto aveva fatto una battutina delle sue, i toni si erano smorzati e Derek, frastornato, l’aveva lasciato andare. Si era sentito come sballottato fra vuoto e materia… In una certa maniera aveva frizzato sulla sua pelle anche una sensazione di sconfitta, di essere stato schiantato a terra e lasciato lì inerme. Era una cosa che odiava moltissimo. Eppure Stiles non aveva fatto nulla di eclatante per ridurlo in quelle condizioni. Dopo quell’episodio, Derek si era chiesto infinite volte cos’avesse Stiles di tanto speciale. Giorno dopo giorno gli erano sovvenute una miriade di risposte, la notte le contava sulle dita e si addormentava cercando di rinnegarle… Partiva dalle caratteristiche fisiche come la chimica del suo odore e finiva alla sua incredibile forza di volontà, passando per altri mille punti che accarezzava con timore. Perché più andava avanti e più una parola si stampigliava a fuoco nell’intricato lavorìo dei suoi neuroni, una parola che era forse l’unica al mondo in grado di terrorizzare lui, l’Alpha di Beacon Hills. C’erano così tanta luce, così tanta vita e così tanta umanità nel coraggioso ma fragile Stiles… e destavano in lui un’ammirazione devota e silenziosa, nascosta, taciuta a chiunque e perfino a se stesso.

 

«Vieni. Puoi toglierti le scarpe se vuoi…» mormorò Stiles. La sua voce era ridotta a un filo, nonostante in casa fossero soli. O forse il motivo era proprio quello. Che bisogno c’era di urlare, quando potevano ascoltarsi senza problemi? Stiles cercò l’interruttore a tentoni, ma la mano di Derek scivolò timorosa sulla sua. «Non accendere.» disse l’Alpha, serrando per un folle istante la stretta sulle nocche dell’altro. Poi lasciò andare, veloce come se si fosse scottato. Stiles sentì il cuore saltargli in gola, le pulsazioni che galoppavano sconsideratamente e la voglia impellente di piangere e piangere e piangere.

La pioggia ticchettava sonnolenta alle finestre mentre Derek con le scarpe in mano saliva le scale guidato dall’altro. Giunti al pianerottolo del secondo piano un lampo fendette il cielo lamentoso, lo squarcio di luce piombò da una finestra aperta in una camera e li illuminò completamente per un breve attimo. L’Alpha assorbiva ogni particolare di quella casa: ne respirava a pieni polmoni l’odore, si aggrappava al corrimano, sfiorava la superficie fresca e candida del muro con i polpastrelli, gettava lo sguardo sui quadri alle pareti, faceva frusciare il passo sui tappeti… Tutto ciò per distrarsi da quello che aveva appena fatto al piano di sotto: aveva preso la mano a Stiles, hm, all’incirca. Non era riuscito a evitarlo. Il suo braccio si era mosso, l’ordine impartito dal cervello era stato esaudito senza tener conto delle conseguenze. Già, le conseguenze. Ormai Derek era in grado di annusare nell’aria la tensione sessuale che collegava lui e Stiles come una rete di fili elettrificati. Eppure ancora non aveva preso una decisione: non poteva, non doveva toccarlo più, era sbagliato, e non lo meritava; la sua volontà recalcitrante, però, affermava l’esatto opposto… Lo desiderava: era la dolce e graziosa Cappuccetto Rosso che portava il Lupo Cattivo nella propria casa, troppo allettante per poter resistere. Ma, fuori dalla metafora quasi cliché della fiaba, Stiles era semplicemente un sogno ad occhi aperti, un sogno che sentiva il bisogno di tastare sotto le mani per capire quanto reale potesse diventare. Purtroppo lasciarsi andare era arduo quando di mezzo ci si metteva qualcosa di forte; perché no, Stiles non significava solo una scopata. Sarebbe stato facile prenderselo per pura brama, una notte e via, o magari una botta ogni tanto. Ma Derek non voleva essere quel tipo di mostro. Stiles significava  l’amore, lo sapeva bene. E l’amore significava rischiare giocando una posta alta, ipotecare il cuore, dare qualche garanzia, significava calore, calore umano da sciogliere in endovena… Significava troppo e, proprio per questo, era convinto di non esserne all’altezza. Aveva il ghiaccio nel petto, lui, nessuno poteva assumersi l’incombenza di farsi strada lì dentro. La vita di Stiles era già stata scombussolata a sufficienza, intromettersi nel suo precario equilibrio per portare altro caos sarebbe stata una mossa assai egoista.

Abbandonarono le scarpe proprio sull’uscio prima di entrare nella camera. Stiles si diresse verso la piccola abat-jour sul comodino, la accese e proiettò il fascio in basso per fare un minimo di luce, soltanto quel che bastava per distinguere Derek dall’oscurità. L’Alpha intanto aveva appoggiato la felpa sul letto e attendeva istruzioni. C’era da ammetterlo: la situazione era un tantino imbarazzante. Nessuno dei due sapeva cosa fosse opportuno dire o fare, così Stiles si buttò sulle domande di cortesia: «Vuoi farti una doccia? Hai fame?»

Derek scosse due volte la testa. «Chiamo Peter.» La telefonata fu sbrigativa e, una volta conclusa, fra loro si adagiò di nuovo il silenzio. Si resero conto di essere un po’ ridicoli probabilmente quando ebbero passato cinque minuti buoni in piedi, uno che dava le spalle all’altro, senza emettere un suono. Al che Stiles, con le spalle indolenzite dalla tensione, decise di muovere qualche cauto passo in direzione del letto. Si sedette proprio di fronte a Derek, affondò le dita nel copriletto per il nervosismo che lo stava divorando e domandò: «Vuoi che spenga la luce?»

Le parole gli erano venute fuori come un conato di vomito. Credeva di aver ucciso tutto quanto. Credeva di essersi spinto talmente oltre da non poter reggere l’esito. Eppure non era riuscito proprio a resistere, Derek profumava come una promessa sensuale, lo vedeva immobile nella penombra a vagliare il territorio e non comprendeva cosa gli passasse per la mente. La domanda che gli aveva posto era talmente ovvia nel suo doppio senso che si aspettava di scorgere da un momento all’altro gli occhi di Derek balenare dal verde al rosso furente.

Ma non accadde. Derek, finalmente, si mosse. Un paio di falcate e l’abat-jour era spenta, altre due ed eccolo sul letto, spalla contro spalla con Stiles. E Derek lo sentiva tremare forte, col respiro spezzato da un pianto uggiolato, senza fiato.

«Stiles…» disse, strusciando i palmi delle mani lungo le cosce. Lo guardava e desiderava poter cancellare quello che stava accadendo. Non osava toccarlo. «Stiles, che ti prende?» Ma lo sapeva già, lo sapeva. Non era mai stato più a disagio di così in presenza di una persona. Voleva sentirsi dire che quell’attacco di panico era colpa sua, voleva che Stiles lo odiasse, voleva che gli tempestasse il petto di pugni -ora gliel’avrebbe permesso-, voleva che il più piccolo si sfogasse una volta per tutte…

«Io non ce la fa…faccio, Derek.» balbettò Stiles «P-perché non posso am-ama…» Ogni parola gli costava uno sforzo, ogni sforzo partiva dal cuore e fotteva il cervello.

«Stai calmo.» disse l’altro, sofferente come se gli avessero piantato un pugnale nello stomaco. Deglutì a vuoto, Derek, alzò le mani, non sapeva dove cazzo metterle per aiutarlo, per farlo smettere di tremare a quella maniera…! Si sentì impacciato, stupido, debole, poi… umano. Ed era da troppo tempo che non si sentiva tale. Tirò Stiles a sé, quel piccolo raggio di sole che rischiava di accartocciarsi su se stesso, lo cinse tutto con le braccia, gli regalò il caldo del suo petto, un bacio sulla testa rasata, un ordine sussurrato… «Non dire niente. Non dire niente, ti prego.» Derek percepiva il battito frenetico del cuore di Stiles contro il suo. Maledizione, era tutto sbagliato. Non poteva essergli davvero d’aiuto, era questa la dura verità.

E Stiles godette di quel contatto come una benedizione, come uno spiraglio di stabilità fugace da cui non voleva staccarsi. Si rilassò cullato dalle braccia tornite dell’Alpha, rasserenato da quei muscoli che a tratti guizzavano per l’emozione, perché Derek a quelle cose era disabituato… Presto il respiro tornò regolare, il tremore si piegò alla sensazione di completezza. «P-perché n-on posso dire niente? Io devo dirlo. Devo dirtelo, Derek…» insistette il ragazzo, tirando su con il naso.

E l’abbraccio svanì all’improvviso. Il tepore che aveva acquietato il corpo di Stiles mutò in un vuoto freddo, e la realtà faceva di nuovo terribilmente schifo.

«Sai qual è il problema, Stiles?» un ringhio basso, Derek era di nuovo in piedi. «Sono l’Alpha, dovrei restare in allerta per questo branco di cui non conosciamo le intenzioni, invece ho lasciato mio zio da solo, con il rischio che loro tornino lì a cercare chissà cosa. Siamo in potenziale pericolo, tutti quanti, e invece di prendermi le mie responsabilità ho preferito…» Si fermò. Le dita si serrarono a pugno, negli occhi guizzò una folgore scarlatta.

«Hai preferito… Cosa?» chiese il più piccolo, asciugandosi le lacrime sul dorso del polso. Voleva sapere.

Derek affilò lo sguardo, scrutandolo come se fosse un dannatissimo errore. Perché era così difficile farsi odiare da Stiles? «Ho preferito sprecare il mio tempo con un ragazzino! Quanti anni hai? Sedici? Diciassette? Io sono l’ultima persona che dovrebbe trovarsi qui con te!» ruggì.

Cadde ancora una volta il silenzio, il vento si intrufolò fra le fessure della tapparella e fischiò sinistro. Stiles scattò su dal letto. No, quella tattica non funzionava, ormai; Derek gli aveva dimostrato più verità di quanto volesse ammettere. Abbassò le palpebre, rompendo la distanza fra lui e l’Alpha con dei passi ciechi. «Derek…» mormorò, la voce incerta. Posò il palmo dove il cuore del più grande batteva con ferocia. «Cos’hai qui dentro?»

Derek si ritrasse, denudò le zanne. «Niente.» gridò «Non c’è niente. È questo il problema!», poi vide Stiles paralizzarsi completamente, e ricacciò subito la bestia da dove era venuta. Dal fondo della sua anima nera. Si lasciò sfuggire un sospiro carico di insoddisfazione, stanchezza, totale e vulnerabile umanità.

«Lo so che stai mentendo…» lo accusò il più piccolo, e Derek giurava di poter acciuffare tutto tranne che il risentimento in quel tono di voce «E non lo so perché sono capace di ricorrere ai tuoi trucchetti. Lo so e basta, adesso.»

Stiles cercava di incagliare i suoi occhi lucidi dritti in quelli dell’Alpha, ma Derek distoglieva lo sguardo per non doverlo affrontare… «Da quando in qua scappi davanti a qualcosa?» incalzò Stiles. Prese fiato, si morse a sangue le labbra. Doveva mantenere la calma. Basta attacchi di panico, doveva essere forte non debole. Forte, forte, forte. «Guardami, Derek.» Disse, risoluto, azzardandosi a prendergli il mento. La barba di due giorni solleticava la punta delle sue dita, desiderava baciarlo proprio lì e poi scendere al collo, scendere ovunque, scoprire pelle e muscoli e sudore e conche del corpo per tutta la notte… «Lo ammetto, devo essere chissà che razza di disturbato, se fra tutte le persone sulla faccia della Terra mi sono inn…»

Quella che voleva essere una battuta fu troncata da un altro ringhio lupesco. Gli occhi dell’Alpha arsero ancora una volta d’un rosso sanguigno e le zanne snudate fremevano di rabbia. Rabbia verso se stesso e nei confronti di Stiles che non faceva altro che metterlo alle strette. «Non dirlo. Non osare dirlo. Non sai di cosa parli, Stiles.» soffiò. “Sto cercando di proteggerti”, avrebbe voluto aggiungere, ma probabilmente era troppo codardo per farlo.

«Merda!» esclamò l’altro, facendo uno strano gesto inconsulto con le mani. Sembrava volesse volgerle al cielo… forse perché sapeva che quello che stava per fare richiedeva una qualche benedizione dall’alto? «Non so di cosa parlo, allora?» Si erse sulle punte e in uno scatto imprevedibile tirò a se il collo possente dell’Alpha. Le dita scapparono fra i capelli ancora umidi per la pioggia, mentre Stiles dava a Derek il primo vero bacio della sua vita. Quello cedette, poi serrò la bocca ponendo un freno al cozzare selvaggio delle loro labbra.

«Dannato…» farfugliò, cercando il termine più intimidatorio che potesse trovare, «…dannatissimo…» e le sue facoltà cerebrali vennero meno sotto gli occhi di Stiles. Quegli occhi che erano la quintessenza della dolcezza, che portavano dentro la brezza della primavera, il sole dell’estate, quegli occhi signori del pianto e della gioia… Lo stavano mettendo decisamente in ginocchio.

Lo baciò, Derek. Lo marchiò come suo su quelle labbra disegnate, affondò le dita nella sua schiena spogliandolo della stoffa leggera della maglietta.

Gli sussurrò “Ti farò del male” e si sentì rispondere “Non ci credo”…

 

 

 

 

 

 

Salve, qui è Phoenixstein che vi parla! Se siete arrivati fin qui vi ringrazio e vi mando un bacino.

Una delle fatiche di Ercole sarebbe stata per me senza dubbio meno impegnativa che scrivere questa fanfiction… Perché? Bè, è la mia prima Sterek e, come ho detto su altri schermi, questo mi causa ansia da prestazione.

Vorrei soltanto assicurarmi a questo punto di non aver navigato troppo nel mare del non-sense.

Sarò davvero grata a chiunque mi lascerà un commento, una critica, accetto anche un “I tuoi personaggi sono incoerenti, non hanno spessore” o altro a vostra scelta LOL

Ah, dimenticavo… :3 Questa è la canzone che mi ha ispirato A LOT OF STEREK FEELINGS. Spero lo faccia anche con voi.

 



Se vorrete passare dalla mia pagina, ne sarò molto contenta! ^.^
   
 
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