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Autore: aliasNLH    21/11/2012    0 recensioni
«Cosa ne sai se passa i giorni a sorridere e dirsi che tutto va bene, che ha commesso una sciocchezza, che non la ripeterà più, che può dire a chi le sta intorno e si preoccupa che ora possono stare tranquilli?» addolcì il tono chinandosi leggermente in avanti e inchiodando lo sguardo nel suo «E chi ti dice che la notte, quando chiude gli occhi e non ha più nulla a distrarla, ogni singolo dettaglio di quel giorno non le torna in mente prepotente, incapace di fermare il flusso di ricordi e smettere di provare dolore?»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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-Sfumature-
 
 
 
 
 
Perché a volte basta solo chiedere per ottenere
(un aiuto, un sorriso, una carezza).
***
 
    “L'amigdala, o corpo amigdaloideo, è una parte del cervello che gestisce le emozioni ed in particolar modo la paura”.
    Il ragazzo seduto in biblioteca, circondato da decine di volumi, enciclopedie e quaderni di appunti ricoperti da una fitta scrittura imputabile al giovane stesso, mormorava a voce bassa la definizione, facendo scorrere velocemente gli occhi sulla pagina. Quella di studiare alla biblioteca pubblica era diventata un’abitudine sin da quando le vacanze estive erano iniziate, perché difficilmente sarebbe stato disturbato da studenti desiderosi di passare la mattinata a fare i compiti.
    Voltando pagina si portò distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, a confondersi con i già numerosi ciuffi castano scuro trattenuti da una molletta trovata per caso in borsa, evidentemente appartenente alla sorella considerata l’improbabile sfumatura rosa acceso. Ma andava bene lo stesso se l’alternativa era passare le ore, altrimenti di studio, a litigare con i propri capelli, il caldo e il sudore, irritandosi più di quanto non fosse già.
    “A livello anatomico scientifico viene definita anche come un gruppo di strutture interconnesse, di sostanza grigia facente parte del sistema limbico, posto sopra il tronco cerebrale, nella regione rostromediale del lobo temporale, al di sotto del giro uncinato (uncus) e anteriormente alla formazione dell'ippocampo” si stropicciò gli occhi stancamente, trovando difficile concentrarsi sulla definizione che avrebbe dovuto imparare a memoria, che rileggeva ininterrottamente da venti minuti, per cui non provava il minimo interesse Ha una struttura ovoidale (in latino amygdala significa mandorla) situata nel punto più basso della parete superiore del corno inferiore di ogni ventricolo laterale. È in continuità con il putamen, dietro alla coda del nucleo caudato”.
    A volte si sentiva di studiare solo per non sentirsi un perdente, sebbene non ne avesse un reale motivo. Era stato uno studente modello per tutto il periodo delle medie e del liceo, diplomato con ottimi voti e ora abbastanza ben avviato al terzo anno della Facoltà di Medicina. Quasi nessun problema con la giustizia, se si sorvolava sul fermo per ubriachezza a quindici anni fuori da una discoteca, ora astemio, in salute e con la testa relativamente a posto. Annoiato. Come un puntolino poco più scuro in un’intera valle di grigio opaco, spento nella fioca luce della sera, aveva letto una volta, trovando questo paragone incomprensibile e incredibilmente calzante insieme.
    “Si ritiene che l'amigdala sia coinvolta nel sistemi di comparazione degli stimoli ricevuti con le esperienze passate, nell'elaborazione delle esperienze olfattive e nel comportamento sessuale. Oltretutto rappresenta un centro di integrazione di processi neurologici superiori come le emozioni, ed è coinvolta anche nei sistemi della memoria emozionale”.
    Se, una volta tornato a casa, avesse trovato Anna ancora davanti alla televisione e le tazze della colazione nel lavello, con tanto di sciacquatura di piatti stagnante dall’odore disgustoso, le avrebbe gridato dietro – continuò a divagare prestando sempre meno attenzione al testo.
    Sua sorella, che teoricamente sarebbe dovuta rimanere in casa per fare i compiti, passava la mattina a dormire e vedere sit-com smielate, facendo rumore e commentando senza tregua tanto da averlo costretto ad andare a studiare altrove. Con tutta sincerità, raramente aveva incontrato persone irritanti quanto lei.
    Fortunatamente per lui, il giorno successivo si era organizzata con delle amiche e sarebbe rimasta tutta la mattina ad un Acquapark.
    “È ritenuta il centro di integrazione di processi neurologici superiori come le emozioni, coinvolta anche nei sistemi della memoria emozionale” riprese forzandosi di continuare nonostante la frustrazione crescente “Mentre l’ippocampo "rimembra" i fatti, l’amigdala ne giudica la valenza emozionale. L'amigdala quindi fornisce a ogni stimolo il livello giusto di attenzione, lo arricchisce di emozioni e, infine, ne avvia l'immagazzinamento sotto forma di ricordo”.
    Il suo desiderio, al momento, era quello di finire il capitolo di neuroscienza, tornare a casa, accendere il ventilatore e non pensare più a niente. Starsene in pace senza alcuna seccatura almeno fino al giorno successivo, quando avrebbe sentito la voce stridula della madre chiamarlo per costringerlo ad alzarsi e aiutarla a sistemare la casa prima che andasse al lavoro.
    Insofferente, poggiò pesantemente la testa su una mano e cercò di reprimere il crescente desiderio di staccare il cartello “Vietato fumare” dalla parete e accendersi una sigaretta. Cosa che avrebbe fatto se una delle bibliotecarie – quella che lo squadrava sospettosa tutti i giorni – non avesse notato il pacchetto di Marlboro spuntare da una delle tasche del suo zaino e sbucasse dalle scale per controllarlo.
    “L’amigdala è dunque l'archivio della nostra memoria emozionale, per ciò analizza l’esperienza corrente, con quanto già accaduto nel passato” concluse la pagina con uno sbuffo, cerchiando l’ultima definizione con un evidenziatore e allargando lo sguardo sugli appunti presi a lezione, confrontando i due testi. Si sentiva la testa bollire e la pazienza venire meno.
    Non ne poteva più. Tutta la sua vita sembrava reggersi sulla noia e le scocciature che puntualmente apparivano a rovinargli la giornata. Sua madre che aveva sempre qualcosa da dire e le sue ansie pressanti, sua sorella su cui avrebbe volentieri sorvolato, un padre più assente che altro, sempre in giro per lavoro; degli amici che sentiva e poi per una settimana si dimenticava della loro esistenza. Gli esami che si avvicinavano e un caldo insopportabile che non aiutavano certo a metterlo di buon umore. Il tutto condito con una bibliotecaria petulante e il ronzio inutile del condizionatore, difettoso da anni, che invece di rinfrescare l’ambiente sembrava scaldarlo ulteriormente.
    Sospirò pesantemente per l’ennesima volta – troppe per essere contate – chiedendosi se non fosse il caso di uscire a fumarsi qualcosa prima di rivedere il capitolo che era riuscito finalmente a concludere.
    «Ehi» lo chiamò una voce femminile, esitante, distraendolo dalla lettura «mi senti?»
    «Scusa?» chiese di rimando, cercando di non far trasparire il fastidio scatenato dall’essere stato disturbato, alzando lo sguardo dal volume di anatomia. Dall’altra parte del tavolo cui era seduto, c’era una ragazza.
    Aggrottando le sopracciglia ne studiò il viso ovale e i larghi occhi grigio chiaro – simili ai suoi, si trovò a pensare durante l’intero esame della figura di lei – seminascosti dai lisci capelli biondi, tagliati regolari alle spalle, e dalla frangia che le copriva le sopracciglia. Non sembrava essere molto alta e indossava un leggero vestito bianco dai bordi neri, che le arrivava fino alle ginocchia.
    Tornando al viso – senza averla riconosciuta come una delle persone viste in biblioteca durante il periodo in cui era stato lì – vide le sue labbra stirarsi in un leve sorriso che lo mise inspiegabilmente a disagio.
    «È la seconda volta che ti chiamo, la prima eri troppo concentrato» lo informò facendo un passo indietro e fissandolo dritto negli occhi, probabilmente a disagio per l’esame a cui la stava sottoponendo, oppure semplicemente perché il riflesso degli occhiali di lui non le permetteva di vederlo chiaramente in viso «stavo quasi per farla finita».
    «Che?» arricciò il naso di rimando, lasciando cadere le spalle e mostrando più fastidio di prima. Cosa diavolo voleva da lui?
    «È che ti ho visto ancora qui» spiegò lei inclinando il capo «di solito vai via prima  di pranzo e per mezzogiorno il piano è vuoto» fece un pausa «non mi aspettavo di trovarci ancora qualcuno».
    Lui la guardò confuso, come non avesse capito quello che gli era stato detto. Confuso e sempre più irritato da quella presenza imprevista.
    «Generalmente arrivi per le otto e mezza, le nove quando ti presenti con la faccia arrabbiata» riprese a parlare lei, ripercorrendo un filo mentale che il ragazzo ignorava di aver creato un giorno dopo l’altro «ti siedi ad uno dei tavoli del secondo piano e non ti stacchi dai libri fino alle undici almeno. Poi ti alzi e te ne vai per ritornare la mattina successiva. Raramente salgo al secondo piano, ma so che ci sei perché Livia, la responsabile al bancone, quella più giovane, sale spesso a controllarti» alzò le spalle lievemente «visto che oggi ha smesso prima del solito ho pensato te ne fossi già andato…»
    «Ma che fai? Mi spii?» alzò la voce confuso se non vagamente spaventato, senza effettivamente capire cosa volesse. Sospettoso, perché sembrava veramente conoscere bene le sue abitudini mentre lui non l’aveva mai notata prima.
    «No» si affrettò a negare lei candidamente, come non le fosse mai venuto in mente che qualcuno avrebbe potuto pensare qualcosa del genere del suo comportamento «certo che no».
    «Allora come fai a sapere che vengo qui, a che ora e le mie abitudini?» indagò sospettoso.
    «Come ho già detto vengo spesso qui e un giorno dopo l’altro certe scene diventano parte del quotidiano. Sarei una persona incredibilmente distratta se non avessi notato nulla dopo mesi di routine quotidiana» la ragazza continuava a parlare, a voce bassa e calma, ma nella quale sembrava esserci come una sfumatura ambigua, qualcosa di strano. Che non andava bene e gli metteva i brividi.
    «Si può sapere cosa vuoi?» la interruppe nuovamente, molto più diretto rispetto a poco prima, sempre più insofferente nei suoi confronti e a disagio ogni secondo che passava.
    La vide prendere un respiro profondo e lanciare un’occhiata circolare tutt’intorno, soffermandosi sulla porta che dava sulle scale e sui banchi vuoti dall’altra parte della sala, prima di tornare a lui.
    «Va bene» esalò tutto d’un fiato, smettendo di intrecciare le dita tra loro e facendo ricadere le braccia lungo i fianchi. L’ansia percepita nel comportamento di lei sostituita da una fermezza che lo mise maggiormente a disagio, nonostante non sapesse dirne esattamente il motivo «dammi una- no, almeno due ragioni per le quali io non debba buttarmi da quella finestra, adesso».
    «…»
    «…»
    Aveva capito male, non c’erano dubbi. Doveva aver chiaramente capito male, fischi per fiaschi, Roma per toma, cozze per- aveva capito male, malissimo. Non c’erano altre spiegazioni. Sua nonna gli aveva detto che studiare troppo e farsi troppe fisime mentali lo avrebbe fatto ammalare, ma non credeva potesse succedere sul serio. Possibile che il troppo impegno portasse, come effetto collaterale, oltre che una fame da lupi, tutta una serie di allucinazioni uditive di dubbia provenienza? Perché non le aveva dato retta quando ancora era in tempo?
    E perché ora doveva pensare che concedersi un minimo di sana immaginazione potesse essere considerato sintomo di una qualche malattia? Magari quella ragazza gli stava chiedendo di poter chiudere la finestra perché sentiva freddo. Con trentacinque gradi all’ombra e in pieno agosto.
    «Tu vuoi che io faccia… cosa!?» esalò stridulo.
    «Ti ho chiesto di darmi-»
    «Lo so cosa hai chiesto» sbottò infastidito, interrompendola. Non era sua intenzione mostrarsi petulante, ma gli era sfuggito. La richiesta era talmente assurda che per un attimo era venuto meno anche il tono irato.
    «Allora rispondimi» controbatté con ovvietà, mostrando una calma e una sicurezza che tutto dicevano tranne che una richiesta del genere potesse essere provenuta da lei.
    Era una domanda? Doveva rispondere? E cosa avrebbe potuto dire?
    «Se è uno scherzo io-» s’interrupe incapace di proseguire, mordendosi un labbro nella foga di esprimere quanto gli stava passando in testa «senti, io non ho niente contro le ragazze che cercano di abbordare in biblioteca con tecniche strane o simili – anche io una volta ho fermato una che mi piaceva chiedendole se per caso non ci fossimo già visti da qualche parte – ma usare una scusa come questa» scosse la testa con disapprovazione «rischi che scappino a gambe levate» sottolineò il suo ragionamento con lo svolazzare di una penna in aria «sempre che non decidano di prenderti sul serio e portarti gentilmente alla finestra perché tu possa concludere il tuo intento» rise seccamente.
    Lei lo fissò per una manciata di secondi prima di sospirare affranta.
    «Non ho certo chiesto a te perché rappresenti il mio ideale di ragazzo» sollevò il mento socchiudendo gli occhi e studiando la figura del giovane, dalle scarpe di tela ai pantaloncini neri, fino alla punta dei capelli scuri «preferisco i biondi».
    «Preferisci i biondi» ripeté lentamente, come a sincerarsi di aver capito bene quanto gli era stato detto «e io ho un debole per le more, invece. Vai a tingerti e poi, magari, possiamo riparlarne».
    «Non era previsto ci fosse qualcuno a quest’ora» ripeté ancora «tu di solito vai via prima. Pensavo di essere da sola».
    Sbuffò in risposta. Per quanto ancora avrebbe insistito a riguardo?
    «Non vedo il problema» le disse comunque, interrompendo il contatto visivo e tornando a sfogliare il libro – che aveva abbandonato quando era arrivata – nella speranza che si stancasse e se ne andasse da sola «se hai qualcosa da fare fallo pure, basta che non mi coinvolgi. Grazie».
    “In un certo senso, abbiamo due cervelli, due menti - e due diversi tipi di intelligenza: quella razionale e quella emotiva” lesse la prima frase che gli capitò sotto gli occhi, a mostrarle che sì, adesso era concentrato su qualcosa di veramente importante e no, non sarebbe più rimasto ad ascoltare i suoi vaneggiamenti “Il nostro modo di comportarci nella vita è determinato da entrambe: non dipende solo dal QI (quoziente dell’intelligenza), ma anche dall’intelligenza emotiva. La complementarietà del sistema limbico e della neocorteccia, dell’amigdala e dei lobi prefrontali (destro e sinistro), significa che ciascuno di essi è solitamente una componente essenziale a pieno diritto della vita mentale
    «Quindi» la sentì dire lentamente, nuovamente attirato dalle sue parole nonostante il fermo proposito di ignorarla «se io ora ti dicessi che sto per andare alla finestra e farlo… me lo lasceresti fare senza provare a fermarmi?»
    «Non mi piace impicciarmi dei fatti degli altri. Semplicemente non mi interessa. Sei libera di fare tutto quello che ti pare, purché tu non lo faccia in mia presenza, sono un tipo impressionabile» continuò a reggerle il gioco, momentaneamente indeciso se indossare le cuffie per evitare di sentirla ancora parlare con quella vocetta petulante o fare i bagagli e andarsene.
    «Puoi andare in bagno nell’attesa, così potresti dire che non mi hai nemmeno vista» suggerì allargando gli occhi e accennando alla porta al di là del corridoio che, come diceva il cartello multicolore attaccato su di essa, era l’anticamera per le due toilette, quella maschile e quella femminile.
    “Tra questi si distingue la psicologia cognitiva che studia le funzioni più complesse della mente
umana” riprese esasperato “ad esempio come si elaborano le percezioni per produrre giudizi, decisioni, soluzioni di problemi oppure come i pensieri vengono rappresentati nella nostra mente, codificati, immagazzinati e poi recuperati-”
    «Senti» alzò gli occhi al cielo incapace di trattenersi oltre, stanco e irritato dalla sua presenza, desideroso solamente che quel seccante imprevisto biondo dalle battute esagerate e fuori luogo svanisse nel nulla, così come gli era apparsa davanti poco prima «te l’ho già detto: il gioco è bello quando dura poco, ma io detesto giocare, specie oggi, soprattutto ora e tanto meno con te» abbassò la testa sui fogli nella speranza che scomparisse veramente «ora se non ti dispiace vorrei stare da solo, grazie».
    «Anche io lo vorrei» rispose scuotendo la testa e smuovendo dolcemente i capelli sul suo viso, sfiorando le spalle con lentezza «come vorrei portare a termine quanto mi sono prefissata, ma ci sei tu che non faciliti molto».
    «Ma si può sapere chi sei?» sibilò alterato.
    «Mi chiamo Andrea» rispose dopo parecchi secondi di silenzio, sfregandosi un palmo sull’altro avambraccio, ignorando il momento di stupore del ragazzo, probabilmente imputandolo al fatto che non si sarebbe mai aspettato potesse rispondergli sul serio.
    «Bene, Andrea» sillabò il nome lentamente, come ad imprimerselo indelebilmente nella memoria «quello che vorrei sapere è se, con questo tuo simpatico teatrino e desiderio di darmi più fastidio di quanto io riesca a sopportarne al momento, tu ti renda conto di cosa…» lasciò la frase in sospeso nel tornare a guardarla, il fiato mozzato in gola e le parole che avrebbero dovuto seguire ferme da qualche parte tra le corde vocali e l’ugola «cosa diavolo stai facendo?» completò mentre sul finire della domanda il tono di voce saliva di qualche ottava, strozzandosi sulle ultime sillabe.
    Quella ragazza, quell’Andrea – come aveva detto di chiamarsi – era indietreggiata di qualche passo, arrivando a toccare con la schiena il davanzale della finestra, aperta per far passare un filo d’aria nell’altrimenti caldo torrido del secondo piano.
    Lo guardò per un momento prima di darsi una spinta all’indietro con le braccia e sollevarsi da terra.
    «Cosa ti sembra che stia facendo?» domandò retorica, senza tuttavia mostrare segni di sarcasmo o impazienza nella voce così come nelle espressioni.
    «Ti stai sedendo sul davanzale?» azzardò lui esitante, sentendosi la gola secca e un improvviso rivolo di sudore sulle tempie «Perché magari trovi che le sedie della biblioteca sono troppo morbide o scomode?»
    «Ti sto lasciando solo, come richiesto» stese le labbra malinconica, aggiustando la presa sugli infissi e dondolando leggermente, seguendo il ritmo dei suoi movimenti con le gambe «adesso potresti per favore girarti o andartene per un po’? Non hai risposto e se non ti spiace vorrei che tutto finisse prima che quelli del piano di sotto finiscano di pranzare».
 
 
Bene, non dirò molto a commento, se non che, ciò che ha dato origine a questo racconto, è un fatto accaduto veramente (ma non vi dirò quale, niente sconti mi spiace).
Ho deciso di scrivere e postare questo per una persona molto vicina a me e che si riconoscerà subito leggendola.
L’ho scritta come lei, un po’ ironica, un po’ malinconica e molto lunatica..
 
Un bacio e grazie per averla letta.
 
 
NLH


  
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