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Autore: aliasNLH    21/12/2012    0 recensioni
«Cosa ne sai se passa i giorni a sorridere e dirsi che tutto va bene, che ha commesso una sciocchezza, che non la ripeterà più, che può dire a chi le sta intorno e si preoccupa che ora possono stare tranquilli?» addolcì il tono chinandosi leggermente in avanti e inchiodando lo sguardo nel suo «E chi ti dice che la notte, quando chiude gli occhi e non ha più nulla a distrarla, ogni singolo dettaglio di quel giorno non le torna in mente prepotente, incapace di fermare il flusso di ricordi e smettere di provare dolore?»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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-Sfumature-

 

 

 

 

«Ti sto lasciando solo, come richiesto» stese le labbra malinconica, aggiustando la presa sugli infissi e dondolando leggermente, seguendo il ritmo dei suoi movimenti con le gambe «adesso potresti per favore girarti o andartene per un po’? Non hai risposto e se non ti spiace vorrei che tutto finisse prima che quelli del piano di sotto finiscano di pranzare».

 

Lui ammiccò un paio di volte, fissandola dondolarsi sul davanzale seguendo il ritmo imposto dal caldo vento estivo che le faceva frusciare l’abito attorno alle gambe, prima di dilatare lievemente le palpebre e riflettere seriamente – per la prima volta da quando la conversazione era iniziata – su quanto gli aveva detto. Per un attimo si chiese come potesse essere stato così sfortunato da essere capitato in una situazione del genere.

Gli aveva detto che si sarebbe… buttata – era diventato incredibilmente difficile pensarlo – da quella stessa finestra da lui aperta poche ore prima per arieggiare se non gli avesse dato sufficienti motivi – due – per non farlo. Più che una richiesta inaspettata si trattava di una situazione di pericolo non realmente accertato.

Aveva letto qualcosa del genere, qualche mattina prima, nel capitolo pratico riguardante quello che stava studiando proprio quel giorno, riguardo alle connessioni celebrarli e il sistema nervoso di risposta. Trattava una situazione da tutti i giorni: una donna sta camminando e sente una macchina arrivare alle sue spalle. Anche se si trova su un marciapiede e non in mezzo alla strada, l’istinto è quello di voltarsi a controllare che non sia una minaccia. Di fatto una parte del cervello – l’amigdala, la cui definizione tanto cercava di ricordare – invia l’avviso di possibile pericolo, mettendo in primo piano l’istinto di fuga, rendendo prioritario l’aumento di adrenalina in caso di sforzo fisico improvviso. È solo con l’intervento successivo del sistema cognitivo che la minaccia trova reale accoglimento o una smentita.

Quindi questo era quanto.

L’amigdala poteva anche avere il compito di suscitare le emozioni e metterle in corsia preferenziale, ma non era in grado di capire se il pericolo era reale o meno. Il compito di definire se la minaccia potesse essere considerata imminente o meno spettava al sistema cognitivo. E il suo, di sistema cognitivo, gli stava gridando di darsi una mossa e smettere di tentennare incapace di decidere.

E se invece si fosse trattato solo di uno scherzo ben orchestrato e i suoi amici – quelli che durante i periodi di sospensione dei corsi si divertivano a mettere in difficoltà lo sprovveduto di turno – Simone e Francesco tanto per dirne due, si trovassero nascosti dietro uno degli scaffali a filmare la scena, pronti a saltare fuori e prenderlo in giro?

In un caso del genere doveva essere la sua reputazione, la priorità.

Aggrottò la fronte per la quantità di pensieri accavallati l’uno sull’altro.

Era uno scherzo, non poteva essere altrimenti, decise respirando profondamente e rilasciando l’aria tutta in una volta, a mostrare l’assoluta certezza nella sua decisione. Vai a farti un giro, le avrebbe detto con sufficienza, io non ho tempo da perdere con una come te. Come poteva pensare, quella ragazzina petulante e dalla mente contorta, avrebbe trovato comprensione o un orecchio disposto ad ascoltare i suoi vaneggiamenti?

Smettila di darmi fastidio, ecco cosa bastava dirle per mandarla via.

«Non provare a farlo! Sono stato chiaro?» alzò la voce nell’esprimere quanto pensato fino a quel momento incrociando le braccia al petto e fissandola duramente, come a sottolineare la sua fermezza. Poi ammutolì.

Eh sì, gliele aveva proprio cantate.

Evidentemente la sua amigdala trovava che la sua stessa sopravvivenza non fosse che una mera quisquilia in confronto alla tragedia che stava per consumarsi davanti ai suoi occhi. La possibilità che potesse essere tutto un inganno, evidentemente, non era stata presa in considerazione del suo cervello e, di conseguenza, il suo sistema cognitivo aveva reagito di conseguenza. Tradito dal suo stesso corpo, rilassò le spalle, che vergogna.

Sospirò ancora. L’ansia aveva prevalso, niente sarebbe stato più come prima.

«E perché?» incurvò un sottile sopracciglio biondo in risposta.

«Hai promesso» si affrettò a ribattere lui allungando repentinamente un braccio nella sua direzione, la mano lievemente aperta, dicendo la prima cosa che gli passava per la testa «non con me presente! Sono un tipo impressionabile».

«Tranquillo, ti lascerò il tempo di andare a chiuderti in bagno».

«In bagno?»

«Esatto, così puoi far finta di non avermi mai nemmeno visto» annuì seriamente un paio di volte, come stesse seriamente prendendo in considerazione l’idea di mettere in pratica quanto detto «poi tranquillo, mentre cado ti do una voce, così sai quando tornare».

Lui aprì e chiuse la bocca una o due volte – non avrebbe saputo dirlo – sempre più sconcertato, sempre meno sé stesso, mentre la fissava con gli occhi spalancati, chiedendosi probabilmente se non fosse nuovamente affetto da allucinazioni uditive.

«Prometto anche che se sopravvivo non dirò mai a nessuno di averti visto».

«Tu sei fuori di testa» riuscì ad articolare con una certa difficoltà.

«Non sono pazza. Non lo sono» gli sorrise apertamente facendogli pensare tutto il contrario.

Certo, chi mai avrebbe ritenuto sana di mente una persona che al primo incontro chiede una cosa del genere?

Doveva pensare velocemente a cosa dire. Una ragazza sconosciuta, due ragioni per vivere, velocemente. Doveva pensare a qualcosa. Con una certa fretta. Gli aveva dato proprio una bella gatta da pelare.

«Non sei un po’ troppo tranquilla per una che sta per…» cercò di prendere tempo interrompendosi ancora sulla stessa parola, incapace di continuare. Buttarsi, perché era diventato improvvisamente così difficile dirlo? Buttarsi. Alla ricerca di qualcosa, in un’avventura. Da una finestra.

Chissà perché quell’accostamento di parole suonava tanto amaro. Non era certo la prima volta che sentiva quella frase e in un paio di occasioni l’aveva usata anche lui – per scherzo o esagerazione – definendo con cruda chiarezza un’immagine già distruttiva di suo.

«Troppo tranquilla?» ripeté lei inclinando lievemente la testa «Perché? Cosa dovrei fare secondo te?»

«Gridare istericamente» disse di getto elencando quelli che, secondo la maggior parte dei film da lui visti, rappresentavano i principali sintomi richiesti «piangere, disperarsi e raccontare tutti i motivi per cui si sta facendo... quello che si sta facendo. Piangere».

«L’hai detto due volte» gli fece notare pacatamente, intervenendo nel monologo agitato «piangere, intendo».

«Perché dovrebbe essere così!»

«Cosa ne sai tu?» gli chiese dopo un attimo, durante il quale era rimasta a contemplarlo gesticolare e infervorarsi senza tuttavia muovere un passo nella sua direzione «Ne hai viste molte di persone che volevano gettarsi da una finestra?»

No, anche detto da lei suonava acre e violento. Si chiese come mai prima non avesse mai pensato quanto una semplice frase come quella sarebbe diventata tanto detestabile da ascoltare e pronunciare

«Sì, cioè…no» quasi si morse la lingua per la stupidaggine che stava dicendo «voglio dire, non dal vivo» esitò ancora, realizzando quanto fuori luogo fosse la sua risposta ma incapace di fermare il fiume di parole a cui aveva dato inizio «solo nei film. Quando ci sono tutti che vogliono fermare la persona che… insomma, che vogliono fermarla e lei grida loro di non avvicinarsi, altrimenti si sarebbe buttata sul serio».

«Quelli che lo fanno non sono veramente motivati o convinti» ribatté lei con più fervore e trasporto avesse avuto fino a quel momento «pensano di volere la loro morte, si prendono i giorni per decidere se farlo o meno e poi, all’ultimo non ne hanno il coraggio» mulinò improvvisamente una mano in aria, facendolo nuovamente sobbalzare per paura potesse perdere l’equilibrio.

«Perché dire a qualcuno che sta cercando di salvarti che, se si avvicina, si butta di sotto?» continuò imperterrita «uno si butta e basta se vuole farlo, no? Senza troppi se o ma».

«Quindi tu… mi ha chiesto di darti dei motivi perché… ?»

«Eri lì e non sapevo cosa fare con uno spettatore imprevisto» ribatté seguendo una logica tutta sua «mi è sfuggito, non che volessi chiedertelo veramente. Non ti avevo calcolato» assottigliò gli occhi di modo da dargli la sensazione di essere fulminato «non sono come quelli che stanno sul punto di farlo e poi non sanno se continuare o meno».

«I tuoi… le tue motivazioni allora-» tentò nuovamente di chiedere, in difficoltà e con un rivolo di sudore gelato – se lo sentiva scorrere lungo tutta la schiena – che non portava alcun beneficio alla calura, troppo freddo per essere ben accetto.

«Loro avranno le loro, io ho le mie, non ti è sufficientemente chiaro?»

«Ma tu perché vuoi farlo?» deglutì a vuoto, gola e bocca troppo secche perché potesse portargli sollievo «Perché vuoi…» ancora non riusciva a dirlo. Buttarti. Deglutendo ancora inutilmente ne studiò la figura, soffermandosi sulle braccia sottili e la carnagione pallida, chiedendosi se il vero motivo per cui volesse morire in modo tanto improvviso non fosse per sottrarsi ad un altro tipo di morte, magari più lunga e sofferta, come una malattia.

Possibile che la sua motivazione fosse legata alla paura di dover finire la sua vita in un letto d’ospedale, circondata da medici e troppo debole o debilitata per fare altro che respirare e attendere la morte, un giorno dopo l’altro.

«Perché buttarmi da una finestra?» ripeté nuovamente facendolo sobbalzare, come provasse piacere nel continuare a ripetere quella parola. Come volesse vedere la reazione di lui o convincersi di quello di cui stava parlando «perché è il metodo più semplice e veloce che ho trovato».

«Il… metodo più semplice?» si era già arrivati a quello? Una mera scelta di tipologia?

«Se cadi da un’altezza considerevole non c’è modo di sopravvivere, finirebbe subito senza troppo dolore e sofferenza» socchiuse gli occhi, improvvisamente lucidi «nessuno che si operi più a riportarti indietro, nessuno che potrà mai sentirsi in colpa per non essere riuscito a salvarti e, soprattutto, sai che con te finiranno anche tutti i tuoi problemi».

La vide respirare profondamente, come a calmarsi e riprendere il controllo della maschera pacata indossata fin dall’inizio della conversazione. Quando riaprì gli occhi il trasporto di poco prima sembrava sparito.

«Non avendo a disposizione un’auto per intossicarmi di carbonio né volendo che mia madre mi trovi in casa in una pozza di sangue – che avrebbe potuto essere ancora fresco e di conseguenza non sarebbe servito a niente – ho dovuto pensare a delle alternative» guardò di lato, sfuggendo  al totale sconcerto negli occhi dell’altro. Il ragazzo sembrava non essere in grado di continuare la conversazione, fisicamente e mentalmente.

«Non mi piaceva l’idea di finire sotto un treno – pensa ai disagi – quindi ora sono qui» continuò imperterrita «è l’unico posto che conosco e a cui ho accesso ed è adatto».

Come può, si chiese, essere adatta una biblioteca a qualcosa del genere?

«Ma perché?» tornò ad alzare la voce lui scuotendosi dal torpore che lo aveva colto, muovendo un altro passo e arrestandosi immediatamente nel vederla irrigidirsi «quello che voglio sapere non è perché hai scelto una finestra piuttosto che altro! Voglio il perché! Cosa ti spinge a farlo?»

La risata che seguì quelle parole poteva somigliare ad un latrato, una risata breve e secca che a lui sembrò più disperata di tutte le frasi e le espressioni calme sfoggiate fino a quel momento. Un cinismo che stonava con l’aspetto delicato e le labbra morbide che l’avevano emessa.

«Motivazioni?» rise ancora «Tu vuoi sapere il perché?» rise più forte, tanto che lui sperò raggiungesse il piano inferiore e insospettisse le bibliotecarie tanto da farle salire a redarguire l’ospite molesto «Non sono importanti i motivi per cui lo faccio, quello che conta è l’opposto. Perché non dovrei farlo?» gli domandò con tono di sfida «perché dovrei vivere? Cosa in questo mondo potrebbe spingermi a non rinunciare ad esso?»

Lui bloccò il continuo intrecciarsi delle dita – che aveva iniziato inconsciamente quando la situazione sembrava essere precipitata – troppo sconcertato da quanto aveva sentito per fare altro se non continuare a fissarla senza spiccicare parola.

«Non mi interessa più niente, non c’è nulla che mi piaccia o mi entusiasmi. È stato quando me ne sono resa conto che ho iniziato a prendere in considerazione l’idea di suicidarmi» l’aveva detto, chiaramente e senza esitazione, come stesse recitando la lista della spesa, senza tremiti o sentimenti «non mi è nemmeno servito valutare i pro e i contro, ho deciso e basta. Nessun sentimento contrastante o altro. Semplicemente non sentivo più voglia di vivere» stirò le labbra, ancora in quel sorriso falso «non riuscivo ad essere più nemmeno delusa da nulla».

Fece un respiro profondo chiudendo un attimo gli occhi, come ad attendere che lui immagazzinasse quanto detto.

«Venivo qui abbastanza spesso, quando andavo alle medie, e quindi so più o meno le abitudini di quelli che frequentano questo posto. Sarebbe stato più facile senza di te» fece un breve pausa durante la quale staccò le mani dal davanzale per intrecciarle in grembo e stringersi nelle spalle, portandolo a fare un istintivo passo in avanti, temendo il peggio.

Andrea soppesò quel gesto da sotto le ciglia e continuò come non si fosse mai mosso, forse ritenendolo ancora troppo lontano perché potesse fare affettivamente qualcosa. In fondo, cinque passi possono essere lunghi chilometri in certe situazioni.

«In breve non ho sufficienti motivi per fermarmi, così quando ti ho visto qui ho pensato che potesse essere un segno, o qualcosa del genere. Se non fossi stata in grado di trovare da sola motivi sufficienti avrei potuto chiedere a te» ridacchiò «in fondo la tua presenza non è da considerare solo una seccatura imprevista, non trovi?»

La vide inclinare la testa e scrutarlo come a capire se avesse altro da dire. Hai finito?, gli stava chiedendo silenziosamente, se non hai altro da dirmi e non riesci a trovare delle motivazioni valide, posso andare?

No, maledizione, lui non aveva affatto finito pensò con urgenza, venata da una sottile irritazione. Non poteva aver finito. Aveva altro da chiederle, non poteva certo liquidarlo così.

«E non hai pensato, che so… di farlo da casa tua?» si rendeva pienamente conto dell’assurdità e del rischio delle continue domande e insinuazioni che il suo cervello sovraeccitato continuava a sfornare, ma doveva assolutamente continuare a farla parlare. E se discutere di fiori e piante sarebbe stato se non insensibile almeno fuori luogo, sapeva che riguardo alla sua decisione, se non altro, gli avrebbe risposto.

Era consapevole che, fosse veramente riuscito a dissuaderla dal suo intento, avrebbe potuto scavalcare il balcone dell’appartamento in cui viveva e farla finita senza più alcuna voce contraria, ma sperava nell’arrivo di qualcuno – magari la bibliotecaria che veniva a controllare non si stesse fumando una canna tra i suoi preziosissimi libri – che si facesse carico del problema. E magari gli dicesse come sentirsi dopo un’esperienza del genere.

«Casa mia è al secondo piano» fece perdere lo sguardo sulla stanza, senza guardarlo, con una nota diversa nella voce. Sempre pacata, sempre apparentemente calma, ma venata da un lieve tremolio e una sfumatura di fondo che lui fece una certa fatica a riconoscere. Furia, rabbia o tristezza.

«È alto» tentò di prolungare il discorso, pregando come mai aveva fatto che qualcuna delle donne al piano di sotto venisse a controllare cosa mai stesse combinando lo studente irritabile e dipendente dal fumo passivo. E trovasse Andrea sufficientemente in pericolo da meritarsi tutta la sua attenzione, sollevandolo dalla gravosa responsabilità che, senza rendersene conto, si era addossato nel rimanere e lasciare che ogni parola pronunciata lei avesse il peso della verità.

«Alto ma non abbastanza» ribatté abbozzando un sorriso con l’angolo delle labbra.

«Hai idea di quanti siano sei metri? È tanto» la paura delle conseguenze delle sue affermazioni stava iniziando a scemare man mano che continuava a parlare. Se lei ha tanta voglia di morire, chi sono io per fermarla?, si chiese all’improvviso sentendo l’ansia scendere, lasciandolo più stanco e frustrato di prima. Se non ha voglia di vivere perché stava cercando di fermarla?

«Ho sentito di una ragazza, più giovane di me, che si è buttata dalla finestra all’inizio dell’estate» Andrea era tornata a guardare il nulla e dondolarsi con grazia sul davanzale, come non si rendesse conto di essere sul bilico, o forse capendolo anche fin troppo bene «era al terzo piano ed è caduta come un peso morto a terra, in giardino, sfondando un cespuglio. È stato un volo di dieci metri eppure ne è uscita non solo viva, ma persino incolume. Qualche graffio, del dolore alla schiena e al ginocchio, ma nessuna frattura o danno permanente» concluse con una secca scrollata di spalle «capisci? Non si è fatta niente nonostante l’altezza. È stata soccorsa subito e non è successo niente. Non voglio finire così!»

Lui la osservò parlare per tutto il tempo senza dare segno di voler ribattere a quanto detto, in piedi a poca distanza da lei e le braccia lungo i fianchi. La squadrava con gli occhi socchiusi e i denti serrati, un nervoso tale che le mani tremavano impercettibilmente per via della forza con cui le teneva serrate. Pugni che trattenevano un nuovo sentimento.

«Dicono che è come volare, sentirsi liberi e provare quanto non si è riusciti a provare nella vita di tutti i giorni. Dicono che è bellissimo. Come il cigno che canta alla morte» sembrava malinconica, se non sognante «vivere non è altro che una preparazione alla morte. Quando non ci si sente più di vivere significa che è ora di morire e allora perché non provare a volare prima di passare oltre? In fondo una volta che smetti di cadere è tutto finito, senza sentire niente, senza più preoccupazioni, senza doversi giustificare per il proprio aspetto».

Provò ad immaginarsela dopo la caduta, dopo il volo che sembrava tanto desiderosa di fare, immobile a terra, ferma con il viso contratto in un lieve sorriso – come quello che stava sfoggiando in quel momento, tirato, falso e immobile – per l’eternità.

Valeva così poco per lei la vita? La considerava sul serio solo un attimo di passaggio, un’esistenza senza valore se non nel momento in cui le si pone fine?

Irrigidì la mascella nel pensarla tanto indifferente, scostante e superficiale.

Senza rendersi conto di averlo fatto fino a quando non sentì il prurito al palmo e il penetrante rimbombo della stanza, batté con forza una mano sul tavolo. Per bloccare il flusso continuo di domande, per farla smettere di sputare sentenze come avesse veramente capito tutto dalla vita. Per sé stesso, che aveva paura di riconoscersi in quelle affermazioni.

«Non si è fatta niente?»

 

...

NLH

 

  
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