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Autore: AlyDebby    02/07/2004    4 recensioni
La storia di una ragazza agli inizi del 1400 che scopre di avere poteri da strega
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Durante la tremenda “caccia alle streghe” diffusa in tutto il mondo conosciuto avvenne qualcosa d’incredibile, qualcosa che mai non fu riportato dalla storia o ricordato dai popoli. Ciò che, di questa storia, rimane ai giorni nostri sono solo racconti, quasi interamente inventati, quindi non so dirvi nemmeno dove essa si svolse, mentre invece la data è rimasta invariata e precisa.

Tutto ciò che voglio e che finalmente, dopo tanti anni, venga riportata alla luce.

Sperando che sia di vostro gradimento vi scriverò la vera storia di una strega e dei suoi sentimenti, di un villaggio e della sua mentalità ristretta e di un’altra grande lotta tra il bene e il male. Ma fate attenzione perché è molto semplice che questi due sentimenti si possano mescolare.

 

 

 

 

13 Novembre 1396.

Ormai era notte fonda e in quel piccolo villaggio, mai riportato sulle cartine, tutti stavano già dormendo, anche perché lì era considerato molto sconveniente restare alzati anche solo più di due ore dopo il tramonto se non per validi motivi. Ma nel buio risplendeva ancora una luce totalmente invisibile al paese.

Proveniva da una casa situata fuori dalla città e perfettamente nascosta dai primi alberi di un bosco. Era da sempre sconsigliato avvicinarsi e nessuno avrebbe mai sospettato ci fosse una casa.

Nonostante non fosse molto in profondità riusciva a mimetizzarsi con ciò che le stava attorno e nella notte, se la guardavi da vicino, sembrava confondersi in quella buia natura grazie ai suoi colori tetri e oscuri. Il tetto, un pò malandato, era di un colore viola spento mentre le mura erano di un azzurro chiarissimo quasi bianco che però riusciva a dare anch’esso un’idea d’oscurità; accanto alla casa c’era un vecchio pozzo in mattoni coperto con delle travi di legno per impedire che nella notte ci cadano dentro delle foglie o dei rametti. Il giardinetto che la circondava era pieno d’erbacce e sembrava non essere mai stato coltivato ed il sentiero che portava ad essa era malconcio e quasi del tutto inagibile.

All’interno due donne piuttosto anziane discutevano sul da farsi.

- Dobbiamo sbrigarci, Samira, se qualcuno del paese scorgesse la luce arriverebbero tutti qui.

- Calmati, nessuno è sveglio a quest’ora; e anche se fosse non potrebbe certo vederci da laggiù. Possiamo stare tranquille Luise.

L’interno della casa era senz’altro migliore rispetto all’esterno ma dimostrava ugualmente i suoi molti anni. Era corredato da un arredamento semplice e vagamente antiquato, la fioca luce delle tre candele accese dava alla stanza sia calore che, in un certo senso, freddezza.

Luise si avviò alla credenza e, dopo aver aperto uno sportello sopra la sua testa, ne prese fuori varie ampolle e qualche vasetto con delle spezie.

-C’è poco da stare tranquilli!- prese una manciata di sale e si diresse verso il centro della stanza dove si trovava un grande calderone –Gli abitanti già sospettano di noi, basta una piccola distrazione per farci finire sul rogo.- così dicendo lanciò di forza il sale nel calderone da cui cominciò a fuoriuscire del fumo. Samira rabbrividì al pensiero di quella terribile condanna. Sgranò gli occhi e si portò una mano alla gola come se si vedesse già avvolta dalle fiamme, senza via d’uscita, mentre il fumo, denso e pesante, le impediva di respirare. Quando si riprese da quella scioccante visione balbetto parole senza senso finché non riuscì a dire una frase compiuta.

- Forse...................dovremmo andarcene da qui. Se fuggissimo domani, al calar del sole, non ci noterebbero.-

- Non dire sciocchezze! Dovunque andassimo sarebbe lo stesso. E poi ormai siamo vecchie e abbiamo bisogno di un erede al quale tramandare i nostri incantesimi e le nostre pozioni.- Samira fece per interromperla ma lei, accorgendosene, concluse il discorso.

- E, se sarà abbastanza potente, potrà garantirci la salvezza. Ora però sbrighiamoci è quasi mezzanotte.

Le due si scambiarono un sorriso e, dopo aver dato distrattamente un’occhiata alla finestra, si avvicinarono al calderone e, quando furono abbastanza vicine, strinsero le mani sopra ad esso. Ormai mancava pochissimo alla mezzanotte.

Dopo essersi concentrate per qualche istante pronunciarono insieme una sorta di filastrocca:

 

- Oh Nume che su ogni luogo regni sovrano

   conduci qui la luce dal tuo mondo lontano

   nasca ora colei che porterà a noi il suo grande Potere

   e assolverà, della strega, ogni più recondito dovere.

 

Le due ripeterono per svariate volte la formula chiudendo gli occhi e stringendosi più forte le mani; le tenui fiamme delle tre candele che illuminavano la stanza iniziarono a tremare finche, a mezzanotte precisa, il vento si alzò talmente forte da spalancare le finestre sbattendole ai lati del muro. Luise si avvicinò alla finestra e sentì uno strano suono trasportato dall’aria, oltre ai fruscii delle foglie, il suono dolce e acuto dei pianti e delle grida di un neonato. Aprì la porta e avanzò di qualche passo fino a raggiungere il pozzo mentre Samira si stava avvicinando.

- Proviene dal sentiero, deve essere vicino!

Si misero a correre finche non giunsero su di un vecchio sentiero, ormai poco agibile, non utilizzato da anni.

- E qui sotto!- ribatte nuovamente Luise indicando un precipizio in mattoni, non molto profondo, sul lato destro della strada; che la faceva somigliare, in quel punto, ad un ponte.

- Sbrigati, passiamo da qui.

Trovarono nelle vicinanze del muro una minuscola stradina in discesa da cui era possibile, facendo attenzione, scendere senza scivolare.

Arrivate sul fondo del precipizio trovarono un fagottino, composto da stracci e pezzi di coperte, che gridava con più fiato di quanto ne poteva avere una creaturina di quelle dimensioni.

Samira lo sollevò, lo prese tra le braccia e dolcemente lo cullo affinché si calmasse.

Non appena fini di piangere Luise lo tolse dalle braccia dell’altra prendendolo nelle sue e spostò qualche straccio per scoprirne il volto.

La bimba la fisso per qualche istante con i suoi occhi viola poi sorrise. Nel vedere quella scena anche la sua dura espressione mutò in un sorriso. Samira le si avvicinò.

- Credi sia lei?- lo sguardo di Luise tornò alla sua solita severità.

- Ne sono certa.

- Ma sembra solo una bambina indifesa!

Luise fece qualche passo in avanti cullando la piccola.

- Si. Per ora, ma presto crescerà e diventerà forte- osservando il volto della bambina le chiese – Non è vero?

Accarezzò con due dita un pezzo di coperta dove scoprì una lettera scritta in oro: la R.

 

 

 

Autunno 1414

- Reyc! Reyc dove sei?

Luise era davanti al pozzo gridando con tutto il fiato che aveva e cercando di intravedere qualcosa fra gli alberi. Avanzò di qualche passo aggrappandosi al muricciolo che avevano da poco eretto intorno alla casa.

- Reyc! Quella ragazza non ha un minimo di rispetto! Reyc!

Nel frattempo, sotto il sentiero, una ragazza se ne stava rannicchiata per terra con la schiena contro lo stesso muro di, quasi, diciott’anni fa. Aveva gli occhi chiusi, il volto proteso verso l’alto e un lieve sorriso. Aveva sentito la voce che la chiamava ma per nulla al mondo si sarebbe alzata da li; voleva rimanere ancora un pò per poter respirare, insieme all’aria, l’essenza stessa di quel luogo.

Era una cosa che faceva da molto tempo, nonostante sua nonna fosse contraria, lei non capiva cosa ci potesse essere di pericoloso in quel posto così meraviglioso, specialmente tra l’autunno e l’inverno quando si colorava di colori freddi, spenti contornati di sfumature calde.

Portava i capelli, lunghi e castani molto chiari forse un pò verso un lieve rossiccio, sempre sciolti e spettinati pronti a nasconderle completamente il viso ad ogni folata di vento, aveva una semplice camicia bianca, un pò larga e vagamente scollata, e una gonna leggera tra il rosa ed il beige con disegnata qua e la qualche linea color verde chiaro che, partendo da sottile, si allargava assomigliando ad una foglia, davanti ad essa un grembiule corto con una tasca sulla destra; ed infine una mantellina che arrivava poco oltre le spalle.

Luise la vide e continuando a chiamarla scese a fatica giù dal dirupo.

- Quante volte te l’ho detto di non venire in questo posto? Se qualcuno del villaggio ti avesse visto lo sai cosa ti aspetterebbe vero?

La ragazza non si scompose minimamente; continuò a starsene immobile con gli occhi chiusi come se non la sentisse.

- E non fare finta di non sentirmi. Lo so che hai percepito la mia presenza da prima che arrivassi.

Reyc aprì gli occhi e con fare indifferente cominciò ad osservarla con quelle in perscrutabili sfere violetto, poi le richiuse come se niente fosse.

- Non ricordavo di averti insegnato ad essere così maleducata.   

  Comunque.......come ti avevo detto: se proprio vuoi venire qui almeno copriti il volto- così dicendo le sollevò sulla testa il cappuccio della mantella. La ragazza si sollevò e si sistemò un pò la gonna mentre Luise riprese a parlare.

- Potresti passare un pò più tempo in città e comportarti come gli altri, così

   nessuno sospetterebbe di te.

- Mi dispiace ma non posso farci niente nonna. Io non sono come gli altri e

   non riesco a fingere di esserlo.

- Quindi preferisci stare qui a non far niente?

- Si- Reyc avanzò di qualche passo posando delicatamente la mano sul tronco di un albero- Potrei passare delle ore qui, per percepire le sfumature d’ogni singolo colore, la vita d’ogni singola foglia. E poi.... non so....... questo posto, in questa stagione.......... è unico, è......... è magico!

L’espressione di Luise si rabbuiò di colpo, ma le bastò un attimo per tornare normale e riprendere il discorso.

- Bè è meglio tornare a casa adesso. Tua zia ci starà aspettando.

Luise e Samira avevano allevato Reyc come una figlia, anzi per l’esattezza come una nipote, diventando rispettivamente sua nonna e sua zia, e lei gli aveva sempre dimostrato il giusto affetto nonostante il suo carattere ribelle l’avesse portata spesso alla disobbedienza. Alle volte correva fuori dalla casa senza permesso solo per inseguire qualche animale oppure usciva all’alba per veder sbocciare un fiore. Nonostante si arrabbiassero ormai conoscevano bene Reyc, era sempre stata una ragazza ribelle e solitaria fin da quando avevano iniziato ad insegnarle la magia, quattordici anni prima.

Spesso Samira sentiva la mancanza della piccola Reyc, una bambina di soli quattro anni, un pò pallida ma dal dolce sorriso, che correva da lei per farsi raccontare la sua favola preferita. La storia di una strega potentissima che proteggeva il mondo dai mostri, si guadagnava la stima di tutti e alla fine s’innamorava di un principe.

Ma da quando le raccontarono la verità la bambina non volle più sentire favole, sentendo delle torture inflitte alle streghe e di come dovevano nascondere la loro natura Reyc capì che una strega non avrebbe mai avuto il rispetto della gente, ne avrebbe mai trovato il grande amore.

Quando ebbero finito di pranzare le due chiesero a Reyc di svolgere una commissione per loro in città e le dissero di tornare entro il tramonto.

Reyc afferrò un cesto e lo infilò fino a metà braccio, poi si allontanò con il suo solito passo svelto che le permise di raggiungere in fretta il villaggio.

Era un insieme di case grigiognole dai tetti rosso spento, come quelle illustrate nei libri di favole, circondate da viuzze ed una piazza centrale attorniata da negozi d’ogni tipo: dai mercati dove potevi acquistare il cibo, alle botteghe più complesse dove la gente si faceva fare i vestiti o i mobili. Le case erano di media grandezza, abitate da gente di condizioni modeste, le ville dei nobili o degli arricchiti si trovavano fuori città e non si facevano vedere quasi mai da quelle parti. In genere per gli acquisti o i reclami mandavano dei servitori. La gente passeggiava tranquilla, si scambiava saluti o pettegolezzi, non avvenivano quasi mai delle liti. A vederli sembravano delle persone gentili e comprensive, ma spesso l’apparenza inganna.

Non le piaceva stare li, detestava quel paese e i suoi abitanti che ricambiavano questo suo odio rafforzandolo, perciò prese alla svelta la frutta e la verdura che doveva acquistare e, sempre tra gli sguardi diffidenti dei paesani, accelerò ulteriormente il passo per tornare in dietro.

Mentre stava ancora attraversando la cittadina quattro ragazzi più o meno della sua età, che stavano parlando tra loro, la videro.

- Guardate un pò! Ma quella non è la strega?- disse uno di loro in tono derisorio e parlando a voce alta per farsi sentire da lei.

- Si, è proprio lei. Quella fattucchiera che ogni tanto appare dal nulla e, così lasciò scalfire da quelle parole ormai era abituata agli insulti che le gettava com’è venuta, sparisce.

- Nessuno ha mai visto la sua casa, c’è chi dice che venga direttamente dall’inferno.

Reyc non si la gente e alle voci che correvano sul suo conto perciò non prestò attenzione ai suoi persecutori. I ragazzi, un pò delusi dall’atteggiamento indifferente della giovane, le si avvicinarono ridendo e le chiesero.

- Salve, sei tu la strega? Oh scusa, forse strega è un pò generico; preferisci megera,  

  fattucchiera, figlia del diavolo........ dimmi pure quale ti sembra più appropriato.

Reyc non gli rispose e tentò di passargli oltre ma due dei suoi compagni le si pararono davanti bloccandole la strada. Il capo, quello che prima l’aveva derisa, le si avvicinò nuovamente.

- Che c’è? Hai forse perso la lingua? O ti comporti come quello che sei, un animale

  senz’anima!

A quelle parole fu pervasa da una rabbia incontrollabile e allontanò da sé il ragazzo con una spinta scomposta. Gli altri due di fronte a lei istintivamente indietreggiarono di un passo temendo le reazioni della ragazza. Ma il capo non si fece intimidire per così poco.

- Sai ti converrebbe comportarti bene. Se uno dei miei cani morisse potresti prendere il suo

  posto!

Il quarto di loro, che si trovava ancora alle sue spalle, le diede una spinta che la fece finire a terra rovesciando un pò di frutta.

- Ops! Ti sei fatta male?

Non ne poteva più, avrebbe voluto reagire, avrebbe voluto alzarsi e gridare una formula che avrebbe trasformato tutti e quattro in qualcosa di viscido, anche se in quel momento non riusciva a pensare a niente che fosse più viscido di loro stessi.

Poteva far diventare quel ragazzo un cane visto che gli piacevano tanto, se non fosse che sarebbe stato un’offesa per l’intera specie.

Avrebbe tanto voluto fare qualcosa, ma non poteva: aveva giurato che non avrebbe mai utilizzato una delle sue formule in pubblico e poi sapeva la condanna che ne sarebbe derivata.

Contenne dentro di se la sua rabbia e rimise la frutta nel cesto senza rispondergli.

- Se fatto tardi dobbiamo andare. Ma non temere la prossima volta giocheremo ancota un

  pò insieme!

I ragazzi si allontanarono continuando a ridere tra loro.

Reyc finì di raccogliere la frutta e se ne andò tranquillamente, con il solito passo veloce ma senza tradire la minima fretta dai suoi atteggiamenti. La gente la stava guardando, certo con aria indifferente ma la stavano comunque guardando, e il suo orgoglio le impediva di mettersi a piangere davanti a quelle persone così crudeli ed egoiste.

Appena fu fuori dal villaggio si mise a correre, ma non in direzione della sua casa bensì verso il fitto del bosco.

Raggiunse una caverna, piccola e poco profonda, quasi più somigliante ad un grande buco, una volta entrata si sedette con le spalle alla parete e, posata la testa sulle gambe, iniziò a singhiozzare. Strinse le braccia attorno alla testa, coprendosi del tutto il viso.

Pensò a quella maledetta specie degli esseri umani, a quanto fossero incapaci di capire i sentimenti altrui e di quanto fossero spaventati da ciò che era minimamente diverso da loro.

Un rumore la desto dai suoi pensieri, sollevò la testa e vide numerosi pipistrelli appesi al soffitto e svegliati dal frastuono da lei provocato.

- Scusate non volevo svegliarvi.- disse dolcemente tendendo una mano in avanti, un pipistrello più piccolo si posò su essa, tentò di rimanere eretto ma scivolò nuovamente a testa in giù appeso con le zampette al suo dito. Gli sorrise ma un istante dopo torno di nuovo seria.

- Mi hanno cacciato un altra volta. Forse pensano che non senta nulla e non mi importi di come mi trattano...... o forse sanno ciò che provo e diventano ogni giorno più crudeli apposta per vedermi piangere. Ma non vi preoccupate, io non ho intenzione di cedere. Non piangerò mai davanti ad uno di loro, e nemmeno davanti alla nonna o alla zia.

Spesso mi danno dell’animale o della bestia, ma se gli esseri umani fossero più simili agli animali ci sarebbe più rispetto in questo mondo. La nonna mi dice di passare più tempo al villaggio con gli altri, ma nessuno lì m’accetterà mai per quella che sono. E se per avere la loro stima devo fingere di essere un’altra persona allora preferisco restare da sola. E poi lo so, siete voi i miei amici non quelle bestie senza cuore.

Parlare con voi mi ha fatto bene; adesso però sarà meglio che vada, mi staranno aspettando e non voglio che siano in pensiero per me.- detto questo riappoggiò il pipistrello dov’era prima ed uscì dalla caverna raccogliendo il cesto.

    

In quello stesso momento, nella casetta nascosta, Luise camminava avanti e in dietro per la cucina con un fare misto tra rabbia e desolazione. Era visibilmente agitata; e senza accorgersene prendeva dei vasetti da uno scaffale della credenza e li metteva in un altro per poi prenderne ancora e ripetere l’operazione.

- Sono preoccupata.

- E perché mai? Non è ancora il tramonto.

A quel punto la donna perse la pazienza e rispose in malo modo all’altra.

- Non è per quello.- dopo essersi calmata si riconcentrò sul problema – Alcuni giorni fa

  Reyc mi ha raccontato un sogno molto strano.

- Un sogno?

- Si. In quel sogno aveva visto noi due con in mano un bambino avvolto di stracci.

- E cosa significa?- chiese Samira, non capendo dove volesse arrivare, ne quale fosse il

  problema.

- Su uno di quegli stracci- riprese- c’era la lettera R tessuta in oro.

- Ma non è possibile vuoi forse dire che....

- Si. Reyc ha sognato la sua nascita.

- Quindi ha il potere di vedere nel passato. È molto raro che una strega abbia un simile

  dono.

- Purtroppo questo complica ulteriormente le cose...

 

In quell’istante Reyc, che si trovava ancora sulla via del ritorno, fu colta da un improvviso capogiro. La vista le si annebbiò d’un tratto e le forze le vennero a mancare lasciandola cadere a terra.

Nella mente le si formarono delle immagini. Era una casa, la sua casa. Prima la vide esternamente e poi all’interno.

Lì c’erano sua nonna e sua zia che parlavano. Sembravano preoccupate, ma cosa stavano dicendo?

Benché stessero parlando con un tono normale, nella sua mente percepiva le voci come dei mormorii all’inizio, poi cominciarono a farsi sempre più forti finche tre frasi le rimbombarono nella testa:

 

- Se capisse la verità diventerebbe molto pericolosa.

- Non credi che potrebbe capire?

- No, non capirebbe e la sua furia si scatenerebbe su di noi.

 

L’ultima frase era talmente alta che le fece riprendere i sensi. Riuscì a mettersi seduta, mentre tutto attorno a lei girava.

Quando poté vedere il paesaggio nitidamente pensò a ciò che le era accaduto, ma non riuscì a trovare una spiegazione logica. Forse aveva solo sognato? No, lei era certa di no. sentiva che ci doveva essere qualcos’altro.

Alzò gli occhi e vide la casa in lontananza. Si alzò afferrando il cestino e corse in quella direzione più velocemente che poteva. Doveva arrivare presto, di sicuro sua nonna avrebbe saputo dirle cos’era successo.

 

Allo stesso tempo in casa la discussione andava avanti, ma Luise era giunta ormai ad una conclusione.

- Possiamo solo continuare a non dirle nulla e sperare che non riesca a capire l’entità dei

  suoi sogni.... Almeno per un pò.

Reyc irruppe nella stanza spalancando la porta. Aveva una faccia sconcertata e respirava a fatica.

- Nonna. Nonna devo parlarti è importante!

- Che cosa ti è successo?- chiese notando i suoi vestiti sporchi di terra.

- Adesso non ho tempo di spiegartelo. Ascolta.- la interruppe la ragazza mentre cercava di

riprendere fiato.- Mentre stavo tornando a casa ho sentito uno strano capogiro e....e sono

  caduta a terra. Poi, non lo so, mi sembrava di essere sotto ipnosi; non vedevo nulla di ciò 

  che era intorno a me....Poi....ho visto voi due! Mi sembrava un sogno e... eppure ero

  sveglia, ne sono sicura.

Luise distoglieva lo sguardo con aria quasi annoiata finche un particolare della storia la incuriosì.

- Aspetta un momento. Ci hai viste? E cosa facevamo?

Reyc sbatte la palpebre cercando di ricordare il più possibile della visione.

- Stavate parlando. Tu le hai detto: “se sapesse la verità diventerebbe pericolosa”, la zia ti

  ha chiesto, mi sembra, se potrebbe capire ma tu le hai risposto di no ed hai aggiunto che la

  sua furia si scatenerebbe su di noi.

Luise era visibilmente turbata nonostante tentasse di mantenere la calma.

- Hai sentito di che stavamo parlando?

- No.

- Non preoccuparti è una cosa normale.- riprese la donna dopo un pò- Significa solamente

  che sei stanca. Questa sera vedremo di far durare la lezione il meno possibile. E domani

  vedi di riposarti un pò invece di alzarti all’alba per una delle tue solite sciocchezze.- detto questo si allontanò da loro in silenzio e salì le scale che portavano al piano di sopra.

Samira si avvicinò a Reyc, le posò dolcemente le mani sulle spalle come a volerla rassicurare e le disse:

- Ma si, vedrai che tutto si sistemerà bambina mia, sta tranquilla.

Reyc però non ne era molto convinta. Stava per accadere qualcosa, ne era certa, quel sogno e quella visione non potevano essere solamente un caso.

La ragazza entrò nella sua stanza e cominciò a prepararsi per quella sera. Le “lezioni” di cui parlava sua nonna erano delle prove di magia. Quando era piccola le avevano insegnato a riconoscere le erbe, a preparare filtri ed a inventare formule per far accadere ciò che le dicevano. Ogni sera, due ore dopo il tramonto, la portavano nel bosco e li la aiutavano ad esercitarsi.

 

 

 

Il bosco a quell’ora era incredibilmente silenzioso. Ma si poteva sempre udire il canto dei grilli, i passi degli animali notturni e più in la nascosta fra gli alberi una civetta che da sempre li  accompagnava.

Tutt’intorno c’era soltanto il buio, fatta eccezione per il piccolo focolare che illuminava i loro volti. Non potevano correre il rischio di accendere un vero fuoco. Se ti allontanavi anche solo di pochi passi saresti rimasto totalmente al buio e da solo.

Ma per le streghe è diverso che per la gente comune; Reyc lo sapeva da sempre, ed era certa funzionasse così anche per le sue parenti. Lei non aveva mai temuto il buio anzi era sempre stata attratta dai misteri nascosti nelle ombre, ed una frase la spingeva a fissarle: dietro ad ogni ombra si nasconde una luce.

Non sapeva dove l’avesse sentita, era nella sua mente e ciò bastava.

La voce di sua nonna la risvegliò dai suoi pensieri.

- Stai migliorando ogni giorno che passa, ma ora non è il momento di distrarsi. Prova a 

  rimpicciolire quel sasso.

La giovane chiuse gli occhi, sfiorò il sasso con la punta delle dita e ripete:

- Se fino ad oggi questa grandezza hai mantenuto

  ora con un gesto le tue forme io muto

  e più piccolo di quanto tu sia al naturale

  con le mie semplici parole dovrai diventare.

Detto questo il sasso rimpicciolì.

Luise lo prese in mano e lo esaminò; poi alzò gli occhi su Reyc, che pareva ansiosa, e le annunciò:

- Bè sembra tutto a posto.

La ragazza poté tirare, finalmente, un sospiro di sollievo accennando anche un lieve sorriso di soddisfazione.

Nel frattempo Samira disse a bassa voce.

- Direi che per oggi ha fatto già abbastanza, ricordati che si deve riposare.

- Si hai ragione,. Possiamo tornare a casa.

 

Quella notte Reyc non riusciva a prendere sonno; ne approfitto per leggere. Tutti ignoravano che lei sapesse leggere, nemmeno lei capiva come c’era riuscita perché nessuno glie l’aveva mai insegnato. Quando era piccola aveva trovato un libro sotto il suo letto, corse a raccontarlo ma non le credettero, pensarono si fosse inventata tutto come al suo solito, lei decise di non mostrarglielo ed iniziò a leggerlo, un pò sorpresa di saperlo fare. Non continuò per molto, preferiva riflettere su ciò che era successo e continuò a pensare fino a tardi quando non poté più tenere gli occhi aperti.

 

Tutt’intorno c’erano moltissimi alberi tanto fitti da non vedere altro, anche se l’autunno li aveva rinsecchiti e privati delle loro belle foglie che ora si trovavano, rosse e gialle, sul terreno. I rami erano vagamente coperti dalla nebbia.

Lei avanzava mettendo le mani avanti ed urtando qualche albero, ma nonostante questo sapeva di dover proseguire; si sentiva bene, non provava nemmeno il freddo.

Tutto sembrava stregato, quasi fuori dal tempo.

In questo incantevole panorama si sentiva rimbombare, decisa, la voce di una donna molto giovane, quasi una ragazzina.

- Fai attenzione Reyc. Tu hai un grande potere, ma se non impari a

  dominarlo saranno gli altri ad usarlo contro di te. Ricordati queste

  parole: l’amore potrà essere una grande forza per te, ma anche una

  grande debolezza.

L’immagine che aveva davanti mutò di scatto nella sagoma sfocata di un ragazzo di cui però riuscì ad intravedere solo gli occhi, dei bellissimi occhi d’un colore fra il blu e l’azzurro; degli occhi così intensi, così profondi, che, lei sapeva, non avrebbe mai dimenticato.

 

 

 

 

Il sole era appena sorto, portando con se i suoi dolci colori e i silenziosi rumori prodotti dagli animali che allontanavano i ricordi della notte. Soltanto il cielo era uno spettacolo da lasciare senza fiato, ma era raro che qualcuno si fermasse ad ammirarlo; a quell’ora la gente o dormiva o già lavorava.

Nonostante le avessero detto di riposarsi Reyc non aveva resistito, era uscita di casa e si era seduta sul muretto per ammirarlo.

Il vento soffiava un pò; seguendo un ordine preciso, quello della mano di Reyc che ondeggiava nell’aria. Dove essa andava il venticcello la seguiva spostando in quella direzione le numerose foglie sul terreno.

Lei socchiudeva gli occhi, lasciandosi avvolgere dall’aria, un pò fredda, del mattino.

Stava ripensando al sogno; ma, a differenza delle altre volte, non era preoccupata da quale fosse il suo significato. Dentro di se rivedeva ancora quegli occhi, intensi e magnetici, che le facevano battere il cuore ma che, allo stesso tempo, le procuravano una grande sensazione di pace.

Il vento continuava a soffiare leggero.

Si sentiva sciocca a pensarci, infondo era soltanto un sogno e poi non era da lei comportarsi in quel modo.

Eppure sentiva che un giorno avrebbe incontrato colui a cui appartenevano, o almeno lo sperava.

Momentaneamente aveva dimenticato le parole della ragazza. O forse voleva soltanto, per un pò, perdersi nelle sue fantasie dimenticando tutto apparte quella sensazione, che in quel momento le permetteva, senza accorgersene, di far dondolare i rami degli alberi.

 

Quello stesso pomeriggio dovette sottostare alla prova, per lei, più terrificante. Doveva tornare nel villaggio.

Al solo pensiero sentiva un misto di ribrezzo, rabbia e desolazione. È strano come un luogo “normale” possa diventare, per chi non si comporta come gli altri, il peggior girone dell’inferno.

Nonostante tutto non poteva rifiutarsi. Sua nonna e sua zia non potevano, doveva andarci lei.

Prese la sua solita cesta e si diresse fuori di casa, promettendo a se stessa di camminare veloce e di non fermarsi più del necessario.

Ogni sua speranza si dimostrò vana, poiché loro erano li, ad aspettarla dietro l’angolo di un negozio. Gli stessi ragazzi del giorno precedente.

Tentare di oltrepassarli sarebbe stato inutile quindi decide di aspettare che passassero loro.

- Però. Questo villaggio è proprio piccolo. Capita spesso la piacevole coincidenza di

  incontrarsi.

Disse ironicamente il capo con il suo solito sorriso di superiorità. Ovviamente stava mentendo. Non era certo una coincidenza che si trovassero davanti a lei.

Uno di loro provò a sferrarle un pugno nello stomaco, ma lei riuscì ad evitarlo. Il capo seccato da questo inconveniente le chiese:

- Hai forse intenzione di reagire?

Quelle parole la riportarono alla realtà.

Tutti li la credevano una strega, era viva solo per la mancanza di prove. A lei non era concesso neppure difendersi, o ne sarebbe andata di mezzo anche la sua famiglia.

Approfittando della sua distrazione i ragazzi la spinsero nuovamente per terra, le lanciarono qualche sassolino trovato per la strada e continuarono a prenderla in giro ridendo rumorosamente alla loro ignoranza.

 

Nel frattempo, dall’altro lato della strada, una ragazza ed un ragazzo, che passeggiavano mentre lei osservava i negozi, videro ciò che stava accadendo.

Lei disse:

- Ma che stanno facendo? Sono impazziti?

- Non lo so, ma dubito sia un’usanza del posto.

- C’è una ragazza lì in mezzo. Non possiamo starcene qui a guardare, dobbiamo aiutarla!

- Hai ragione, però aspetta un momento- ma la ragazza stava già avanzando nella loro direzione- Judith, potrebbe essere pericoloso aspetta!

Intanto Reyc non ne poteva più. Assillata dagli insulti e dalle grida aveva completamente scordato le torture, il rogo, tutto quanto.

Nella sua mente gli echi delle risate iniziavano a spegnersi finché, come le era successo il giorno precedente, riuscì a sentire soltanto il battito del suo cuore che andava sempre più veloce sembrando quasi impazzito. Un intenso calore le partì da dentro raggiungendo gli occhi. Gli altri non potevano vederlo, perché la ragazza aveva il capo chino a terra, ma i suoi occhi stavano passando dal loro solito color violetto ad un accecante rosso fuoco. In quel momento le sarebbe bastato sollevare la testa per incenerirli.

Stava quasi per farlo quando una voce la bloccò e la fece tornare in se.

- Fermatevi! Volete lasciarla stare.

- Non impicciarti, se non vuoi fare la sua fine, il che sarebbe un peccato.- le disse senza neanche guardarla.

Il ragazzo, che era rimasto in dietro, si avvicinò velocemente e lo girò verso di loro strattonandolo per la spalla e dicendogli:

- Non ti azzardare neanche!- dopo averli visti il capo dei quattro rimase scioccato. Si vedeva da com’erano vestiti che dovevano essere abbastanza ricchi da fargliela pagare per quello che aveva detto.

- Non intendevo.......... noi stavamo solo- si voltò a guardare i suoi compagni ma loro stavano già scappando via- io ecco..... mi dispiace, perdonatemi.- detto questo corse via anche lui.

Reyc era rimasta a terra incredibilmente sorpresa; nessuno prima di allora l’aveva mai aiutata.

- Non penso che daranno ancora fastidio.

Disse il ragazzo, parlando più a se stesso, mentre guardava la direzione da dov’erano scappati gli altri.

La ragazza attirò, senza farsi notare, la sua attenzione e gli sussurrò:

- Aiutala ad alzarsi, no?

Si chinò e le porse la mano. Reyc sollevò la testa e non credette a ciò che vedeva: gli occhi di quel ragazzo erano gli stessi del sogno, ne era sicura; talmente profondi e unici com’erano sentiva di non volersene più staccare.

Anche lui si sorprese non poco nel vedere il suo volto. Era bellissima con uno sguardo tanto dolce quanto misterioso, come se dietro ad esso fosse celato un altro mondo. Sembrava quasi irreale, quasi una visione, ma allo stesso tempo era più reale della maggior parte della gente che aveva incontrato.

Destata da quel meraviglioso sogno ad occhi aperti, Reyc si alzò senza l’aiuto del giovane; lui rimase un pò seccato da quest’atteggiamento ma non lo diede a vedere.

Judith le si avvicinò con fare deciso, le porse la mano e si presentò.

- Io mi chiamo Judith e lui è Lawin il mio......- voltò leggermente la testa verso di lui; entrambi parevano nervosi, poi lei si corresse con un pò di imbarazzo- un mio amico.

La ragazza rimase ad aspettare con un dolce sorriso sulle labbra. Pensandoci, a quell’epoca, era piuttosto insolito per una donna voler stringere la mano, ma chi conosceva Judith non si sarebbe certo stupito.

Era sempre stata una ragazza determinata e sicura delle sue azioni ed, allo stesso tempo, dolce, femminile e sempre di buon umore. A vederla sembrava fragile e un pò snob, come molte altre. Aveva dei lunghi riccioli biondi e gli occhi verdi e portava sempre abiti molto costosi. Quel giorno per una semplice passeggiata in paese aveva indossato un vestito in due colori: sopra era di un color crema con dei pizzi chiari attaccati con ricami neri, così continuava fino all’altezza del ginocchio più o meno dove si apriva rivelando la seconda gonna in rosso scuro, anch’essa incorniciata da un pò di pizzi.

 Nonostante le apparenze era molto intelligente e generosa con un coraggio superiore a molti uomini.

Reyc però non aveva intenzione di presentarsi o di restare in loro compagnia, certo erano stati gentili, ma la sua natura diffidente le diceva di andarsene.

- Vi ringrazio per ciò che avete fatto. Ora scusatemi, ma devo andare.

Judith era rimasta delusa quanto affascinata da quella risposta, scortese ed educata allo stesso tempo, dove la gratitudine delle parole e tradita dall’amarezza del tono.

Lawin invece non ci pensò molto, quella frase indicava soltanto che l’impressione che aveva avuto su di lei era esatta; era solo una ragazza maleducata e arrogante convinta, con i suoi silenzi, di dimostrarsi superiore.

- Visto che è stata così gentile verso di te potresti almeno presentarti. O forse non sei migliore di quei ragazzi?

Judith tentò di fermarlo ma fu preceduta.

- Mi chiamo Reyc. Soddisfatti?- detto questo fece per allontanarsi ma fu bloccata da Judith.

- Aspetta! Noi non volevamo offenderti. Io, ecco, volevo solo fare la tua conoscenza. Abito

   appena fuori dal villaggio e, ogni tanto, vengo qui a fare spese o a passeggiare ma non ti

   avevo mai vista. Voglio solamente conversare un pò con te, se poi ti dovessi annoiare

   puoi andartene senza dire niente a nessuno, non te ne faremo una colpa! Allora, questa

   strada non mi piace particolarmente quindi mentre parliamo cammineremo verso casa

   mia; lì c’è un sentiero immerso nel verde che è molto più bello e tranquillo e nessuno ci

   disturberà. Bene possiamo andare!

Questa volta nemmeno Reyc riuscì a rispondere. Quella ragazza era riuscita a dettare legge su tutti senza scomporsi minimamente. Non lo volle ammettere ma ammirava la sua spontaneità sebbene la trovasse un pò invadente.

Parlarono per ore, avvolte camminando ma per lo più fermandosi sui prati confinanti con la strada. Anzi, Judith parlava: raccontava di se, spiegava qualcosa sul conto di Lawin, diceva le sue impressioni sul posto in cui si fermavano e faceva moltissime domande a Reyc; che rispondeva con semplicità nonostante cominciasse a sentirsi a suo agio con lei.

Camminando passò il tempo, e quando arrivarono davanti alla casa di Judith era ormai tardi.

- Incredibile, è già il tramonto! Forse sarebbe meglio se ti fermassi qui per questa notte.

- Mi dispiace, non posso. Mi stanno aspettando a casa e credo che siano già in pensiero.

- Certamente, scusa. Hai ragione non bisogna far stare in pensiero i propri famigliari. Ma

   visto che si sta facendo buio Lawin ti accompagnerà.

- Cosa? Ma io non posso......- ma la ragazza, determinata, non gli lasciò il tempo di reagire.

- Vuoi veramente lasciare una ragazza indifesa camminare da sola in questi luoghi di notte?

- Bè no! ma....

- Allora e deciso: ti accompagnerà lui!

Questa volta fu Reyc ad intervenire.

- Non è necessario, conosco la strada.

- Non preoccuparti e poi mi sentirei più tranquilla così.

Alla fine fu costretta ad accettare. In fondo non aveva niente contro quel ragazzo ma sapeva di non essergli simpatica, e contraccambiava. Doveva evitare di guardarlo negli occhi, perché per essi provava qualcosa, e questo, ripensando alle sue parole di quel pomeriggio, non le risultò molto difficile.

Camminarono lungo il sentiero con passo veloce e senza fermarsi. Continuarono a fissare ciascuno il lato opposto a dove si trovava l’altro senza parlarsi. Reyc stringeva fra le mani il cestino, ancora pieno, che aveva con se; Lawin invece le portava talvolta dietro la schiena, talvolta nelle tasche.

I due proseguirono in silenzio finché lui le chiese, senza nemmeno guardarla:

- In quale parte del villaggio abiti?

- Non abito al villaggio. Vivo con mia nonna e sua sorella in una casa appena fuori dal bosco.

Si accorse troppo tardi di ciò che aveva detto. Sapeva che non avrebbe dovuto ma le parole le erano scivolate di bocca. Fortunatamente lui non sembrava essersene accorto, annui fissando avanti. In seguito aggiunse.

- Non devo ispirarti molta fiducia immagino. È molto che te ne stai in silenzio.

- Non mi fido di chi non conosco e penso di non essere l’unica qui. Avresti potuto rifiutare.

Lui rispose seriamente, come se in parte condividesse le sue parole.

- No, non potevo! Me l’ha chiesto Judith.

Reyc provò a cambiare argomento, capendo, dal tono della risposta, che quello avrebbe aggravato la loro già difficile vicinanza forzata.

- Tu non sei di queste parti vero?

- Come l’hai capito?

- Dai tuoi modi- e dal fatto che non si fosse sorpreso nel sentire dove abitava, ma questo, ovviamente, non lo disse.

- In effetti no. Attualmente vivo nella casa di Judith.

Reyc non rispose, l’aveva già capito dall’inizio ma questa notizia la fece star male ugualmente. Anche se non capiva perché.

- Cioè. Sono ospite di suo padre. Noi lavoriamo insieme.

- Allora è così che vi siete conosciuti?

- Già. Ci siamo incontrati quando era venuta con lui nella mia città.

Non aggiunse altro a quella frase. Non capiva il motivo ma non voleva raccontarle altro sul loro incontro.

Una sera era stato invitato da un ballo; a lui non erano mai piaciute le feste e la confusione ma nel corso della serata avrebbe potuto discutere con dei colleghi venuti da fuori città quindi accettò.

Mentre stava parlando la vide avvicinarsi. Era così bella con un elegante vestito rosso, con decorazioni a fiori sul busto e su parte della gonna e circondato da cuciture in oro, ed i capelli pettinati a boccoli, che le ricadevano intorno al viso senza però mai coprirlo. Venne a salutare suo padre ed a ringraziarlo, per averle permesso di accompagnarlo e di visitare quella bella città.

Il bel sorriso le illuminava gli occhi color smeraldo. Se lo ricordava come fosse successo ieri. In un primo momento sembrava non averlo neanche notato ma, quando già si stava allontanando, si voltò verso di lui e gli sorrise facendo un cenno con la testa. Inutile dire che questo gli fece perdere il filo del discorso.

Più avanti ebbero l’occasione di presentarsi e di parlare; così si accorse che non era soltanto incantevole ma anche intelligente, spiritosa, dolce e decisa. Riusciva a parlare di argomenti interessanti e un pò difficili che lei rendeva leggeri con il sorriso e un pò di ironia.

Se ne innamorò immediatamente e, quando fu invitato da suo padre per affari, trovò il coraggio di dirglielo. Ed ora erano fidanzati.

Lui era sempre stato sicuro del suo amore ma, qualcosa in quella misteriosa ed irritante ragazza, lo faceva dubitare, non gli permetteva di parlarne.

Di certo non era più bella di Judith ma aveva qualcosa che la rendeva unica ed affascinante come nessuna. Forse era quell’alone di mistero che la circondava oppure la profondità del suo sguardo o quei suoi modi quasi distaccati. Era come se lei fosse allo stesso tempo luce ed ombra.

La guardò per un istante e sentì la stessa cosa che aveva provato la prima volta che l’aveva vista. La forte sensazione che lei non fosse umana ma che allo stesso tempo fosse l’unica persona reale al mondo.

Se qualcuno glielo avesse chiesto di sicuro avrebbe negato tutto, ma era in parte attratto da lei.

Reyc si voltò e gli chiese.

- Perché non ti fidi di me?

- Non lo so forse per i tuoi modi. Tu sei diversa.

- Ed è un male essere diversi?- non sapeva perché gli aveva fatto quelle domande, di cui già conosceva le risposte, aveva semplicemente agito d’impulso. Forse era solo una scusa, perché non aveva resistito alla tentazione di guardarlo. Lawin ci pensò un momento poi rispose:

- No! ma alle volte fa paura ciò che non si conosce.- detto questo le sorrise dolcemente.

Lei non lo aveva mai visto sorridere. Senti una stretta al cuore. Lo vedeva. Vedeva i suoi capelli scuri confondersi nell’oscurità mentre il suo viso rimaneva nitido. Per un attimo gli sembro una delle sue visioni, come se stesse sognando. Ricambiò il gesto. Per la prima volta nella sua vita sorrise ad una persona che non conosceva.

Nemmeno lui l’aveva mai vista sorridere, e si sorprese non poco di quanto la trovò bella in quel momento.

Lui si scostò leggermente e le disse per cambiare argomento.

- Sarà meglio andare. Si sta facendo tardi e la tua casa e ancora distante.

- Conosco una via più veloce. Se non hai paura di entrare nel bosco.

La seguì senza fiatare. Gli alberi erano molto spessi ed, in certi punti, si riusciva a stento a passare fra i rami. Per chi non conosceva quei luoghi sarebbe stato facile perdersi, ma lei proseguiva sicura.

Si fermarono davanti ad una pozza d’acqua, che somigliava ad un piccolo lago.  Forse, una volta, era un torrente che ora si stava pian piano prosciugando negli anni.

Lawin si piegò e sfiorò la superficie dell’acqua con la mano formando naturalmente le increspature a forma di cerchio.

Reyc si avvicinò a lui sicura di ciò che voleva fare e gli disse:

- Guarda!

Sentiva un energia scenderle fino alla mano, ma non era il calore intriso di rabbia di quel pomeriggio e nemmeno la sensazione di tranquillità che aveva provato all’alba quando per gioco faceva volare le foglie secche.

Chiuse gli occhi e protese le dita verso quello specchio luminoso e, senza toccarlo, produsse un piccolo vuoto da cui partirono le stesse piegature.

- È incredibile! Ma come hai fatto?

Riaprì gli occhi senza rispondere. Sapeva che lui non avrebbe potuto dirlo a nessuno, ma non poteva ugualmente fargli scoprire dove abitava.

Lo guardò e con molta calma gli disse:

- Casa mia e qui vicino, posso andare avanti da sola adesso. Puoi tornare in dietro.

Lui annui e senza dire una parola si allontanò. Era stupito di ciò che aveva visto ma sentiva, dentro, una voce che gli diceva di non avere paura e di non raccontarlo. Non avrebbe voluto lasciare Reyc, ma quelle parole, come un incantesimo, l’avevano spinto ad allontanarsi.

Reyc lo vide scomparire fra gli alberi e proseguì la sua strada.

Come previsto Luise e Samira erano molto preoccupate. Luise dopo averla sgridata le disse di andare a dormire perché quella notte, a causa del suo ritardo, sarebbero rimaste in casa.

  
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