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Autore: thecarnival    24/11/2012    6 recensioni
MOMENTANEAMENTE SOSPESA CAUSA: ESAMI UNIVERSITARI.
Lei: ventisette anni, francese di nascita ma italiana d'adozione.
Lui: italiano, meglio dire, romano D.O.C.
Lei: vive in un piccolo appartamento in una zona tranquilla di Roma e si mantiene grazie ad un modesto lavoro che tuttavia sta iniziando ad odiare, perché è propria a causa di esso che ha visto infrangere le sue aspettative sul vero amore e sugli uomini: l'organizzatrice di matrimoni.
Lui: condivide casa con due sue amici e colleghi e, a differenza di lei, ama il suo lavoro, perché non solo guadagna soldi ma anche donne: è uno spogliarellista in un noto locale di Roma, il Ladies Night, ed è la principale attrazione del locale.
Entrambi pensano che l'amore sia inutile e passeggero, che la gente si stanchi di stare sempre con la stessa persona e che, prima o poi, si finirà per soffrire.
Le loro vite si intrecceranno per caso e il caso non li lascerà più allontanare.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Undress my heart.'
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Ai sogni infranti.
A mia sorella.



The (he)art of the streap VIDEO.





Dieci.




Una settimana, quattro chili, sei confezioni di fazzoletti dopo, ero finalmente guarita e potevo tornare a lavoro; in realtà avevo la tosse, quella brutta e grassa, ma almeno avevo smesso di starnutire, vomitare e avere sbalzi di temperatura. Non potevo rischiare, comunque, una ricaduta, perciò indossai degli abiti pesanti e, dopo aver messo sciarpa e cappello di lana, uscii dal mio appartamento: avevo disdetto l'appuntamento con il dottor Rossi perché avevo perso troppi giorni di lavoro e non potevo permettermi altre due ore di nullafacenza pensando a mio padre, la mia famiglia, il mio passato e al mio grosso problema con gli uomini.
Avevo miliardi di cose da fare, una tra quelle mandare un'altra email a mia sorella, dicendole quanto fosse stata stronza a non rispondermi: forse era morta in qualche disastro aereo o attentato americano, ma in quel caso avrei sentito i telegiornali parlarne, forse. Sull'autobus c'era molta più gente del previsto a causa del blocco del traffico e dovetti spiaccicarmi al finestrino tra un ventenne con dei fantastici occhi chiari e un vecchietto che non smetteva di fissarmi il sedere: se fosse stato più giovane gli avrei mollato una sberla. Ci impiegai circa un minuto per scendere, rischiando di perdere la coincidenza per arrivare in ufficio: odiavo i mezzi pubblici, tutta quella gente che toccava e spingeva, quel contatto fisico con degli estranei mi mandava fuori di testa, ma era l'unico modo per spostarmi, dato che la mia auto mi aveva abbandonata e non avevo i soldi per comprarne una nuova. 
Arrivai in ufficio già stanca, Mina e Giulia non c'erano ancora o forse erano già uscite per degli appuntamenti o sopralluoghi. Abbracciai la mia scrivania e mi lasciai cadere felice sulla sedia girevole di tessuto blu: mi era mancato tanto quel luogo così familiare e casalingo, la verità era che trascorrevo più tempo tra quelle quattro mura piuttosto che a casa quindi mi sentivo più a mio agio lì e, dopo quella settimana a letto o sul divano e a vomitare qualsiasi cosa, volevo stare il più lontana possibile dal mio appartamento.
- Ben tornata. - Carla aprì di scatto la porta, facendomi sussultare. – Ho tanto da proporti. - Rubò una sedia dall'angolo della stanza e si sedette accanto a me, con una strana espressione sul viso e il suo sorriso non prometteva niente di buono. In più indossava una foulard rosa: lei odiava quel colore, doveva esserci sotto qualcosa.
- Ciao anche a te, Carla, sto bene. Grazie per averlo chiesto.
Scherzai e lei mi guardò perplessa per qualche secondo, poi riprese a parlare. - Dunque, in questa settimana abbiamo avuto molto da fare e so che, nonostante la tua malattia...
- Febbre.- Non le piaceva essere interrotta, ma dovevo spiegarle o comunque ricordarle che non avevo avuto una malattia grave, solo una stupida febbre. - Non mi hanno ricoverato d'urgenza al Gemelli per un caso strano o incurabile: avevo una brutta influenza, tutto qui.
- Ciò non cambia che sei rimasta a casa e arrivi al mio discorso. - Con Carla era inutile parlare, girava la frittata a modo suo per avere ragione, perciò me ne stetti buona e zitta, annuendo di tanto in tanto, ad ascoltare i dettagli dei matrimoni di cui si stava occupando e – Degli addii al nubilato che organizzeremo.
- Interessante. - Lanciai un'occhiata all'orologio, sperando che qualche cliente suonasse il campanello, salvandomi dalla situazione: non riuscivo a stare del tutto attenta a causa della sua parlantina veloce e del vizio che aveva di inserire, ogni tre - quattro parole, la frase “perché voglio dire” o ancora “capisci che”. Perciò annuivo distratta e stufa di starla a sentire, fin quando non disse qualcosa che attirò la mia attenzione, completamente. 
- Come, scusa?
- E' una buona idea, vero? Sapevo saresti stata d'accordo. - Frugò nella sua Gucci in finta pelle di coccodrillo arancio per qualche secondo e tirò fuori qualcosa: sorrideva peggio di prima – Ho qui il biglietto da visita con il numero del locale, dovresti chiamare e...
- No, no no. Carla rallenta; mi sono distratta un attimo e ho capito male, puoi ripetere, per favore?
- Devi chiamare questo numero... - Lo disse con più calma, ma le feci capire che avevo ben compreso quella parte, avevo bisogno che mi ripetesse ciò che aveva detto prima ancora. - Ci metteremo in affari con il Ladies Night, quel locale che conosci bene; organizzeremo gli addii al nubilato delle nostre spose lì quindi ho bisogno che tu li chiami e parli con il proprietario per fissare un appuntamento. Dobbiamo stipulare questo accordo e non vedo l'ora.
Si alzò cinguettando e, sgambettando, tornò nel suo ufficio. Improvvisamente desiderai tornare a casa, avere la febbre ed essere disoccupata: non volevo chiamare quel tizio e cosa più ovvia, non volevo che la nostra agenzia matrimoniale si mettesse in affari con il Ladies Night, perché avrebbe significato trascorrere tanto, molto, troppo, tempo con Geremia cioè, Pietro.
Non era proprio possibile che stesse succedendo a me, tra tanti locali del genere che c'erano a Roma, perché proprio quello? 
- Ehi febbricitante: ben tornata. - Fissai lo sguardo su Mina, ma non mi mossi dalla mia posizione. - Stai di nuovo male? E' morto qualcuno? Ti hanno fatto una proposta di matrimonio? Dimmi cosa è successo perché hai una faccia che spaventa.
- Quella ce l'ha sempre. - Giulia fece il suo ingresso trionfale. - Buongiorno, belle donne. Oddio Emily, c'hai na faccia: t'è morto l'uccello?
- Diciamo che non le era mai nato.
Risero dandosi il cinque, non mi preoccupai neanche di dire qualcosa o di difendermi: ero ancora sconvolta dalla notizia di Carla; loro due se ne accorsero e preoccupate mi furono vicino. Come al solito Giulia si sedette sulla scrivania e Mina si appoggiò semplicemente, incrociando le braccia sotto al seno aspettando che iniziassi a parlare.
- Carla mi ha dato la peggior notizia della mia vita.
Mina scattò in avanti, spaventandomi – Ti ha licenziata? 
- Certo che no, ma che vai a pensare?
- Beh – Si intromise la rossa, Giulia era tornata al suo colore di capelli naturale, come quando l'avevo conosciuta e non me ne ero neanche accorta. - Hai detto “peggior notizia” e ci hai fatto prendere un colpo. Cosa può essere di così grave da farti impallidire e schockare in questo modo?
Sospirai poggiando la fronte sulla scrivania: l'avrei sbattuta volentieri più volte se fosse servito a qualcosa. Sbuffai irritata e ciondolai il capo verso le mie amiche, poi mi decisi a parlare – Ci metteremo in affari con il Ladies Night.
Alla mia frase seguirono alcuni secondi di silenzio: dal basso della mia postazione fissavo Mina che a sua volta lanciava strane occhiate a Giulia. Quando poi si decisero a parlare, mi rimisi seduta composta con la schiena poggiata alla sedia e le braccia incrociate: ero visibilmente scocciata.
- E' una cosa fighissima, perché questo teatrino?
Mina spinse l'altra con delicatezza, era una pacca amichevole – Ogni tanto mi sembri più scema di lei. E' per Mr. Panna no? Non vorrà vederlo, stare con lui, scambiarsi affettuosi sguardi d'amore e tutta quella roba lì a cui lei non crede.
Feci spallucce – Anche se in modo sgarbato e sbagliato, Mina ha detto la verità. Non voglio stare con quello, stare vicina a lui mi manda in...
- Estasi?
Pietrificai Giulia con lo sguardo – In paranoia! E devi smetterla di completare le mie frasi, perché lo fai in modo sbagliato.
Mina fece un cenno a Giulia e si sedette accanto a lei sulla scrivania. Quest'ultima poi mi obbligò a guardarla e ascoltarla con attenzione e ciò significava che stava per farmi uno dei suoi discorsi seri e ispirati; mi faceva paura quando diventava improvvisamente troppo seria e non avevo voglia di stare lì ed essere accusata di qualcosa che non avevo fatto o essere additata come quella senza cuore e senza sentimenti.
- Ems, ascoltami bene perché non ripeterò più quello che sto per dirti. - Sospirammo nello stesso momento e sorrisi, ma questo scomparì dalle mie labbra non appena incontrai il suo sguardo serio – Devi smettere di avere paura, devi imparare a fidarti degli altri perché, se continui a essere come sei, finirai con il rimanere sola. Butta giù quel muro che hai intorno al cuore e impara ad amare perché non è con l'amore che si soffre ma senza.
Provai a parlare ma le parole non vennero fuori, mi accorsi di avere un groppo in gola e le guance bagnate: stavo piangendo. Asciugai con un gesto veloce e arrabbiato le lacrime e mi sedetti composta.
- Emily.
Fu Mina a parlare, forse aveva capito che le parole di Giulia avevano fatto centro, che mi avevano colpita dritta al cuore e fatto male; la guardai negli occhi e non so cosa lesse nel mio sguardo, ma, dopo qualche secondo, insieme alla rossa, si alzò e in silenzio tornò alla sua scrivania, lasciandomi al mio lavoro. Cercavo di non pensare a nulla, solo al matrimonio di Giada e Ilaria: al catering da chiamare, al fioraio e alla nuove composizioni: il discorso di Giulia era tabù.

- Lo so che avevo detto ostriche per antipasto ma... - Mi massaggiai le tempie mettendo da parte il cordless, evitando di stare a sentire il responsabile del catering dall'altro capo del telefono che non smetteva di urlare e ripetermi quanto fossi maleducata a disdire e cambiare il menu dall'inizio alla fine. - Se per favore mi ascoltasse... - Parlare non aveva senso, quindi lo lasciai sfogare ancora un po' e poi, con voce ferma, lo interruppi e una volta per tutte e gli spiegai la situazione, mettendolo a tacere e dettandogli l'ipotetico nuovo menu: ci saremmo visti in settimana per assaggiarlo e, nel caso, confermarlo. 
Mi stirai la schiena per stendere i muscoli, era una cosa che mi rilassava fin da bambina, lo facevo anche appena sveglia come se, con quel gesto, si svegliasse tutto il mio corpo; Carla entrò proprio quando stavo scrocchiando le ossa del collo e del busto. 
- Novità? 
Sbarrai gli occhi: il Ladies Night! Lo avevo dimenticato. 
- Prima non ha risposto nessuno, quindi ho fatto altro e non ho ancora richiamato.
- Richiamali allora. - Si sedette come qualche ora prima, incrociando le gambe e tamburellando, paziente, le dita sul legno della scrivania; per fortuna mi aveva creduto o a quest'ora mi avrebbe urlato contro. - Emily, cosa aspetti, che il locale fallisca?
Non era una brutta idea – No, ovvio. E' che non capisco il bisogno di metterci in affari con loro.
- Stanno aprendo tante agenzie matrimoniali Ems, certo non offrono i migliori servizi come i nostri, ma sono economiche ed è a questo che la gente punta con la crisi di adesso, ma... - Avvicinò la sedia di qualche centimetro, i suoi occhi si fecero più intensi, tanto che potei vedere delle sfumature grigie in quelle distese verdi – Cosa desiderano le donne oltre al denaro, più di questo? - Ci pensai qualche secondo e prima che potessi rispondere lei continuò – Il sesso Emily, il sesso. - Scandì bene ogni lettera, come se, in quel modo, volesse rendermi chiaro un concetto. - E noi dobbiamo accontentarle, noi dobbiamo essere le migliori e daremo loro tutto ciò che vogliono: un matrimonio da favola e un addio al nubilato indimenticabile.
Carla mi faceva davvero molta paura; composi il numero sotto il suo sguardo attento, eccitato e non so cos'altro, non capivo perché non potesse essere lei stessa a chiamare ma chiederlo mi sarebbe costato un altro di quei discorsi strani sulle clienti e il loro essere ninfomani, perciò evitai e mi misi d'accordo con qualcuno al telefono: a volte mi sembrava d'essere una segretaria, non una wedding planner. 

- Andiamo a mangiare qualcosa fuori? - Mina ce lo propose mentre tutte e tre stavamo uscendo dall'ufficio dopo una lunga ed estenuante giornata di lavoro. - Finalmente domani la mia coppia si sposa e ho bisogno di una serata tra donne per rilassarmi.
- Io ci sto, oggi ho lavorato troppo e mi farebbe bene la vostra compagnia. - Giulia ci regalò uno dei suoi sorrisi e mi guardò in attesa di una risposta. Io ero indecisa: da un lato volevo andare con loro e lasciarmi quella brutta giornata alle spalle, dall'altro ero così stanca da voler solo mettermi a letto e dormire. - Dai Ems, sei stata tutta la settimana a casa e non esci mai con noi.
Sospirai facendo spallucce – D'accordo ma non facciamo troppo tardi, ho la testa che mi scoppia.
- Sì, nonnina.
Risi insieme a loro e andammo al locale più vicino, quello dove il barista ormai ci conosceva e ci faceva lo sconto sulle birre.




Uscire con quelle due matte era sempre una buona cosa perché mi mettevano di buon umore, perché erano le mie due migliori amiche e grazie a loro mettevo da parte ogni brutto pensiero divertendomi, perché con loro non dovevo nascondermi o erigere un muro, potevo essere un po' più me stessa senza soffrire.
Il sabato era il nostro giorno libero perciò potevo prendermela comoda e fare ciò che volevo, come finire il libro che avevo iniziato mesi e mesi prima e che non avevo mai il tempo di leggere, pulire e sistemare casa che stava diventando un immondezzaio e, sopratutto, prendermi cura di me stessa perché ero quasi peggio di un uomo.
Misi a scaldare la cera mentre, sulle note del nuovo singolo dei Negramaro, passavo l'aspirapolvere in cucina, salotto e nel piccolo corridoio; avevo finito di spolverare i mobili in camera da letto e RTL aveva appena trasmesso il giornale orario, quando mi ricordai della cera che per fortuna era quella con il rullo elettrico perciò non c'era il rischio di bruciarla o di appiccare un incendio in casa. 
Preparai l'occorrente e, armata di coraggio e buona volontà, iniziai a fare la ceretta prima alle gambe e poi alle cosce: per l'inguine avrei chiamato qualcuno o, al limite, mi sarei ubriacata per non sentire dolore; per fortuna c'era la musica a distrarmi e, di tanto in tanto, cantavo a voce alta. Era un ottimo rimedio e anestetico.
Avevo appena posato la striscia sul lato destro dell'inguine, quando il mio cellulare iniziò a squillare: andai in panico, non sapevo cosa fare prima, se strappare la striscia di colpo, abbassare il volume della tv o rispondere; presi un respiro per riflettere, risposi a telefono e con un gesto secco tolsi la striscia, mordendomi il labbro per non imprecare. Non avevo neanche controllato il mittente che se ne stava in silenzio in attesa di un cenno: eravamo zitti entrambi, non sapevo chi fosse più cretino tra i due.
- Pronto? - Dissi infine. - C'è nessuno?
- Oh, pensavo fosse caduta la linea.
- Ma chi parla?
- Il fantasma formaggino: tua sorella, chi vuoi che parli.
Ero sicura di avere un'espressione sorpresa, imbambolata, sconvolta e molto altro. - Elle? 
La senti sghignazzare –
Hai altre sorelle e non ne sono a conoscenza? Sì sono io, Lilly. Come stai?
Avrei voluto riattaccare, urlare un po' e poi richiamarla ma ero troppo contenta di sentire la sua voce dopo tutti quegli anni, – Io sto bene, tu come stai? Dove sei e che stai facendo? Perché non ti sei fatta sentire...
Rise di nuovo e mi si scaldò il cuore. La sua risata mi rilassò e mi fece sentire al sicuro come quando eravamo bambine. Rispose a tutte le mie domande e mi raccontò della sua nuova vita a New York, del suo fidanzato famoso, del suo lavoro impegnativo ma sempre bello ed emozionante, di come ogni tanto le mancasse la Francia , ma che, sopra ogni cosa, le mancavo io: la sua famiglia, la sua vera casa.

Parlare con lei, sentire la sua voce, i suoi gridolini e le sue risa, pur se distante mille miglia, mi aveva fatto tornare quella di un tempo: lei mi faceva sentire protetta, come se niente e nessuno potessero farmi del male.
- Ti sei innamorata di uno spogliarellista. - Me la immaginai piegata in due per le risate, con i lunghi capelli castano scuro a coprirle il viso.- Se lo sapesse la mamma ti ucciderebbe.
- Non mi sono innamorata, io quel tipo lo odio.
- Lilly, te l'ho detto miliardi di volte: “Dall’amore all’odio c'è solo un passo.” * Quindi è inutile che ti ostini a tenerti lontana dall'amore e a proteggerti da esso, tanto Amore è più forte di noi, perché, come dice Shakespeare “ciò che Amore vuole...” - Stette in silenzio per qualche secondo perché si aspettava che io terminassi la frase, poi parlò di nuovo - Continua la frase Emily!
- “Amore osa”- Feci come aveva detto o non mi avrebbe lasciata in pace. 
Eléonore era molto determinata, testarda e innamorata della vita, dell'amore: da piccola aveva tantissimi corteggiatori e un solo fidanzatino perché diceva che bisognava amare solo uno per volta e in modo assoluto, che lei era fatta così. Donava tutta se stessa e poi, se stava male, non lo dava a vedere, voltava pagina e ricominciava ad amare con più intensità, cercando la persona giusta, quella che avrebbe ricambiato il suo grande e folle affetto.
A volte la invidiavo per questo, perché aveva il coraggio di provare, perché aveva la forza di rialzarsi.
- E' tornato Simone. – Mi parve di vederla sorridere come quando, da piccole, i nostri genitori ci portavano al Luna Park e ci lasciavano libere. - Ti prometto di farmi sentire più spesso.
- Non fare promesse che non puoi mantenere Elle, lo so che sei impegnata, non ti preoccupare.
Sentii dei bisbigli e forse dei baci e roteai gli occhi: era sempre la stessa. 
- D'accordo ma tu, cara la mia sorellina, devi smettere di fare la dura e lasciarti andare: Amore è lì che ti aspetta ad ali spiegate per farti volare con lui. 
- Ma che cosa stai dicendo? - Se fosse stata con me le avrei tirato un cuscino in faccia
- E il tuo bel spogliarellista ti aspetta con la panna addosso per leccargliela via.
Scoppiai a ridere e non potei risponderle perché era caduta la linea, ma sentirla per quel breve istante mi aveva rinvigorita: ero pronta per affrontare il resto del sabato e per fare l'altro lato dell'inguine. 




Il lunedì, quando tornai a lavoro, ero emotivamente distrutta: avevo trascorso il fine settimana a leggere il libro e, arrivata alla fine, avevo pianto come mai in vita mia. Non riuscivo ancora a riprendermi dallo shock e dalla depressione, camminavo in ufficio come fossi un automa, pensando alla protagonista e al suo cuore rotto in mille pezzi. Giulia se ne accorse e mi chiese, da buon amica, se mi fosse successo qualcosa e, quando seppe la verità, mi scoppiò a ridere in faccia, confessandomi poi che anche lei aveva avuto più o meno quella reazione.
- Non vedo l'ora che esca al cinema. - Era l'ora di pranzo, tutte e tre eravamo in mensa a mangiare qualcosa; anche Mina aveva letto il libro, finendolo prima di tutte e trattenendosi dallo spoilerarlo e ora aveva bisogno di commentarlo con noi. - Ho letto su internet che il cast sarà stellare. 
Ingoiai la mia insalata. – Più che il cast è sempre un film di Nolan e sono curiosa di vederlo.
- Sei un po' fissata con lui. – Annuii a Giulia che intanto mangiava la sua carne – Ma devo darti ragione, i suoi film sono grandiosi.
- Spero solo che non sia complicato come Inception.
Mina si intromise, lei preferiva i libri ai film, diceva che al cinema, sul grande schermo, si perdeva l'originalità, la purezza e bellezza; leggendo ci si poteva immergere nelle situazioni e immaginare ogni cosa. Guardando il film, invece, era tutto servito e spiattellato così come voleva il regista.
- Inception non è complicato. - Le risposi, rubandole l'ultimo sorso di coca-cola. – Sei tu che non capisci i film.
Si finse offesa e mi fece una linguaccia che ci fece ridere: mi era mancato trascorrere del tempo con loro, ma la febbre, il matrimonio delle grandi amiche e gli altri impegni mi avevano tenuta troppo impegnata. Per fortuna stavo recuperando a poco a poco. 
Il divertimento durò poco, Carla mi chiamò sul cellulare, obbligandomi a tornare in ufficio prima del previsto. Dovevamo fare tantissime cose, parlare con il proprietario del Ladies Night e Dio sapeva cos'altro voleva da me quella donna. La trovai seduta di fronte alla mia scrivania, troppo occupata a scrivere qualcosa per accorgersi che ero entrata nella stanza. Poggiai una mano sulla sua spalla e lei si spaventò, intimandomi di non farlo mai più, che era bella ed elegante, ma aveva pur sempre una certa età e non poteva rischiare dei malori. 
- Cosa posso fare per te, Carla? - Ignorai i suoi discorsi e mi sedetti al mio posto, pensando al caffè che non avevo bevuto e ai cinque minuti di pausa pranzo che avevo saltato.
- Dunque, dobbiamo chiamare il signor Maurizio e decidere per il pranzo.
- E il signor Maurizio sarebbe?
- Il proprietario del locale, Emily. Chiama e vedi se è disponibile per domani.
- E se parlassi direttamente tu, insomma, è qualcosa di ufficiale tra proprietari e...
I suoi grandi occhi verdi si ridussero a due fessure: di solito faceva in quel modo quando stava pensando a qualcosa. - Hai ragione, fai il numero e poi me lo passi.
Per fortuna aveva deciso di fare a modo mio, non mi andava di essere la sua segretaria, stare lì a telefono con quel Maurizio che neanche conoscevo e prendere appuntamento per lei, avevo altro da fare ed era già tanto che facessi quel numero al posto suo.
- Ecco.
- Cosa fai? - Rifiutò la cornetta. - Devi essere sicura che risponda lui a telefono prima di passarmelo.
Quello era il colmo! Tentai di dirle qualcosa ma dall'altro lato una voce mi anticipò e mi affrettai a rispondere prima che riattaccassero o di fare la figura dell'idiota.
- Buongiorno, chiamo da parte dell'agenzia matrimoniale W&W ** di Carla Solari, parlo con Maurizio?
- No, Maurizio non è qui al momento, può dire a me se vuole.
Non sapevo che fare, ecco perché non volevo occuparmene. - Aspetti un momento. - Riferii a Carla quanto mi era stato detto e, ovviamente, mi rispose che non voleva parlare con quel ragazzo; mi trattenni dall'ucciderla. - Dunque il mio capo vorrebbe pranzare con il signor Maurizio domani, se è possibile.
- Io non so se è possibile, Maurizio è sempre in giro per Roma e non lo si becca mai.
- Non potrebbe chiamarlo o scriverlo in agenda?
Lo sentii sghignazzare facendomi innervosire ancora di più –
Non sono il suo segretario, richiami più tardi e se lo trova buon per lei.
-
 Senta – Respirai spazientita; avrei urlato anche contro quell'idiota che mi ero ritrovata come interlocutore, se fosse servito a risolvere la situazione. – E' un pranzo di lavoro, non di piacere, rientra negli interessi delle nostre attività. 
- D'accordo, cosa devo dirgli? 
Per fortuna anche i cretini erano in grado di usare il cervello ogni tanto. – Che l'agenzia matrimoniale ha chiamato e che aspettiamo una conferma per domani.
- Vedrò cosa posso fare. A presto, Madame. 
Carla mi guardava in attesa di una risposta che non tardai a darle, aggiungendo che non ero la sua segretaria e che la prossima volta avrebbe dovuto chiamare da sola perché io non volevo avere niente a che fare con quel locale, proprietari e dipendenti. 
- E non vuoi neanche accompagnarmi domani al pranzo?
- Perché dovrei? - Digitai un messaggio a Mina, dicendole di portarmi un caffè ristretto ,perché ne avevo bisogno. - Sembra quasi che tu abbia paura di entrare in contatto con quel mondo: non mangiano, stai tranquilla. 
- Io non ho paura, Emily, ti sto solo osservando e istruendo. - La mia curiosità la spinse a continuare – Prima o poi dovrò ritirarmi dal mondo del lavoro e lasciare questa agenzia nelle mani di qualcuno, non posso di certo farlo al primo che passa, perché la W&W è mia figlia, l'ho fatta nascere e l'ho cresciuta con le mie sole forze. Poi siete arrivate voi ragazze che mi avete aiutata e non immagini neanche quanto avevo bisogno di voi: siete fantastiche ma tu più di tutte.
- Davvero? 
- Non sai quanto Ems. Hai una dedizione e una capacità incredibile, riesci a mettere d'accordo tutti, a far combaciare gli appuntamenti e nessuno è mai deluso del tuo lavoro. Le spose sono sempre soddisfatte e tornano o chiamano per ringraziarti. Non so se questo dipenda dai tuoi anni di studio o dal tuo non credere nell'amore e nel matrimonio e, detto con sincerità, non mi interessa perché ti fa essere la migliore.
- Non so che dire... Carla, grazie. - Le sue parole mi avevano stupita, non credevo pensasse quelle cose di me.
- Ti ho chiesto di organizzare questo incontro non per farmi da segretaria ma per renderti partecipe, come se fossi tu a capo di questa baracca, perché vorrei lasciare a te le redini dell'agenzia un giorno. 
- UOU, cosa? Non pensi sia affrettato ed esagerato?
- Cos'è esagerato? - Le ragazze entrarono in quel momento – Tieni il caffè Em, lo volevi anche tu Carla?
- No tesoro, grazie. - Le sorrise, mentre si alzava dalla sedia e la rimetteva a posto. - Continueremo il discorso un'altra volta Emily e se hai notizie di Maurizio fammi sapere, mi trovi nel mio ufficio. 

E' successo qualcosa?
- Mi è sembrata più strana del normale.
Negai e bevvi il caffè in pace, ripensando però alle parole di Carla: mi reputava così brava e in gamba da volermi lasciare la sua agenzia, sua 
figlia, come l'aveva chiamata lei stessa. Per quanto mi sentissi onorata, non ero sicura di volere quel posto in futuro, in fondo anni prima avevo accettato quel lavoro solo come occupazione part-time fin quando non avrei capito cosa volevo fare davvero nella mia vita. Che poi non lo avessi ancora capito era un altro paio di maniche, ma certo non volevo ancora organizzare matrimoni alle coppie felici per sentirgli dire che aveva paura di essere tradite o altro.
Volevo trovare un altro lavoro che mi rendesse davvero contenta, volevo andare a letto stanca la sera, ma felice di esserlo perché avevo un lavoro che mi appagava, volevo svegliarmi al mattino e sorridere allo specchio perché ero soddisfatta e sapevo che tutto questo non l'avrei raggiunto continuando a organizzare matrimoni, ma, purtroppo, non avrei mai trovato altro. 


Carla mi aveva incastrato a quel pranzo di lavoro, perciò ero obbligata a vestirmi maniera adeguata per fare una figura decente agli occhi di Maurizio; mia madre mi aveva sempre insegnato che nei momenti importanti l'abbigliamento era molto decisivo e influenzava il giudizio degli altri, quindi decisi di abbandonare jeans e scarpe comode e optai per un completo un po' più elegante sul beige, giubbino e scarpe nere e, per un tocco di classe, la mia inseparabile Chanel che mi aveva spedito mia sorella da New York per Natale. Controllai d'aver preso tutto e uscii di casa più nervosa che mai: 
sapevo che Carla era in macchina ad aspettarmi, era passata a prendermi perché non voleva arrivare da sola, aveva paura che quell'uomo potesse farle qualcosa: “E' sempre qualcuno che ha aperto un locale del genere”, aveva detto quando mi aveva chiamata per dirmi che mi avrebbe dato un passaggio. Gliene ero molto grata perché in quel modo mi aveva risparmiato quasi mezz'ora di sbattimento sui mezzi pubblici, ma, in tutta sincerità, avrei preferito non andare e stare a casa a guardare una puntata di qualche telefilm.

Arrestò la sua C3 cabrio nel posteggio riservato ai clienti del ristorante e, dopo aver respirato più volte per darmi coraggio, scesi dall'auto cercando di elencare dei buoni motivi per non uccidere Carla.
- Buongiorno signore. - Quello doveva essere Maurizio, non ricordavo il suo viso, in fondo lo avevo visto una volta di sfuggita al locale. - Siete splendide, accomodatevi. 
Spostò la sedia del mio capo per farla sedere e, prima che potesse fare lo stesso con me, provai a sedermi: non volevo nessuna attenzione da parte di 
nessun uomo, ma, proprio quando stavo per spostare la sedia, qualcuno da dietro la avvicinò. Maurizio era ancora intento a parlare con Carla, mi voltai per vedere chi potesse essere stato e sbarrai occhi e bocca stupita.
- Eccoti qui Pietro, aspettavamo solo te. 
I suoi occhi non lasciarono i miei. - Scusate il ritardo. - Inclinò le labbra in un sorriso sbieco: non capivo perché non riuscissi a dire nulla, non era la prima volta che lo vedevo sorridere, eppure in quel momento era così diverso e io così stupida. - Lei deve essere Carla, è un piacere conoscerla. 
Le si avvicinò fingendo un baciamano e scossi la testa rassegnata: era il solito leccaculo. Quando si sedette accanto a me andai in panico.
- Aspetta, tu pranzi con noi?
- Certo. 
Sorrise di nuovo e, se prima ero imbambolata, in quel momento mi venne voglia di prenderlo a cazzotti. Era tornato quello di sempre: arrogante, impertinente, sgarbato e bello.
Mi morsi la lingua – E come mai?
- Pietro è un socio onorario, più o meno. Volevo averlo al mio fianco.
Fu Maurizio a interrompere quel breve dibattito, come se qualcuno lo avesse interpellato; mi salirono i nervi ancora di più, Lo sapevo che dovevo rimanere a casa quel giorno. Carla batté le mani estasiata spiegando che più o meno era la stessa situazione con me e io la fulminai con lo sguardo perché lei non doveva dare nessuna informazione su di me davanti a quell'energumeno tutto muscoli senza cervello, con quegli occhi tanto azzurri da fare concorrenza all'orizzonte del mare, con la barba sexy e incolta e le labbra da baciare.
Maledizione, cosa mi succedeva?
- Che ne dite se ordiniamo? - Ancora quel Maurizio a parlare. - Direi di cominciare con degli antipasti e un ottimo vino...
- Ma io. - Tentai di dire che non volevo gli antipasti e che era un gran maleducato a decidere per tutti, ma Carla mi pestò un piede e dovetti rimangiare le mie parole. - Sono d'accordissimo.
Il mio sorriso falso e di circostanza attirò l'attenzione di Ger-Pietro che trattenne una risata e, quando il cameriere portò la bottiglia di vino bianco che il gentile Maurizio aveva ordinato, alzò un bicchiere verso di me sorridendo ancora: complice, fastidioso e sfacciato.
Quel pranzo sarebbe stato più difficile del previsto.










*****


*Entro ballando e cantando sulle note di Some Nights*
Ieri ho visto Glee e sono ancora su di giri: MA CIAO BELLEZZE! Come state? Spero bene, dato che io sono raffreddata e ho un po' d'influenza (che palle) Come procede la vostra vita? Pff, io sono tornata da una brevissima vacanza e adesso sto studiando come una pazza perché il 4 ho un esame, stupida università.
Bene, bando alle ciance: SCUSATE IL RITARDO, ma tra lo studio, la vacanza e la pigrizia non ho avuto molto tempo per scrivere e devo anche dire che il capitolo non mi ispirava molto... Avete notato anche voi che è noioso, vero?
Non succede nulla di importante:
- Emily e il suo lavoro.
- Emily e sua sorella
- Emily e le sue amiche.
Che fine ha fatto Geremia/Pietro? Ohhh eccolo alla fine, che fa un'entrata “trionfale” da gentiluomo, MA VAH, NON FA PER TE CARO MIO! XD
Con questo capitolo volevo svelarvi qualche altro dettaglio della vita di Emily, i rapporti che ha con Mina e Giulia e soprattutto con sua sorella (che amo e adoro!)
Qualche appunto noioso:
*Frase originale:
Dall'amore all'odio non c'è che un passo di Giovanni Soriano, Maldetti. Pensieri in soluzione acida, 2007
** W&W : Ovviamente non esiste e ho immaginato che si dica “VU AND VU” che significa “White and Wedding”
Il libro di cui parla Emily, come al solito, non esiste.
Inception, invece, è un film bellissimo a parer mio di C. Nolan che vi consiglio di vedere.
Per chi volesse vedere il SET abiti di Emily, può farlo QUI
Infine, r
ingrazio tutte coloro che hanno recensito la scorsa volta e chi continua ad aggiungere la storia tra le varie categorie: grazie millissime, mi riempite il cuore di gioia, amore e pace. <3
Grazie, ovviamente, a
Ellina e al suo tocco rosa.
Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del gruppo
facebook e del mio canale youtube.
Grazie ancora e che la panna sia con voi.
Alla prossima.

   
 
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