Fumetti/Cartoni americani > Phineas e Ferb
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Autore: bulmasanzo    25/11/2012    8 recensioni
Tutti noi sappiamo che i nostri due protagonisti sono fratellastri e che quindi non hanno gli stessi genitori. Questa storia non pretende di scoprire la verità, vuole semplicemente indagare su quei due personaggi fantasma che probabilmente nessuno nella serie vedrà mai.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Candace Flynn, Ferb Fletcher , Lawrence Fletcher, Nuovo personaggio, Phineas Flynn
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era entrato nella sua stanza camminando all'indietro perché stava reggendo un grosso scatolone pieno di cianfrusaglie, per lo più vecchie cianografie di progetti già realizzati e attrezzi che erano rimasti inutilizzati dalla fine dell'estate precedente.

“Mi aiuti a scegliere quelli che devo buttare via?” chiese sospirando.

Non gli piaceva separarsi dagli oggetti che possedeva, ma se era arrivato al punto di farsi rimproverare da sua madre per non aver messo in ordine, capiva che era proprio il momento di farlo. E poi, non avrebbe certo voluto ritrovarsi con un quintale di roba inutile.

Ferb non aveva risposto. Non era certo una novità.

Però non si era nemmeno mosso, non lo aveva ascoltato, non aveva agito. Era rimasto fermo al suo posto, come se ciò che stava facendo non lo riguardasse.

Si voltò, sorpreso dalla sua inattività.

Lo vide di profilo, seduto sul suo letto, con la schiena contro il cuscino e con un libro aperto in grembo, ma non stava leggendo. Non guardava nemmeno le pagine, i suoi occhi erano vitrei e lo sguardo si perdeva nel nulla.

Lasciò lo scatolone sul pavimento dove si trovava e borbottò un “lo facciamo più tardi” mentre andava a vedere cos'aveva suo fratello.

Dato che aveva già detto qualcosa, non credeva che non lo avesse completamente sentito. Poi il mistero si risolse da sé, quando si accorse che aveva le cuffie dell'iPod infilate nelle orecchie.

Poteva sembrare una scena casuale, ma per lui fu un campanello d'allarme.

Se si era isolato dal mondo, voleva dire che c'era qualcosa che non andava, qualcosa che lo turbava.

Non era facile accorgersene, visto che lui non manifestava mai i propri sentimenti e se ne rimaneva sempre in silenzio. Però, a dispetto della sua fama di taciturno, era troppo distante, molto più del solito.

Aveva sentito dire da chissà chi che, se si vuole che qualcuno sia assolutamente sincero con noi, bisogna prenderlo di sorpresa, chiedergli ciò che si vuole sapere quando meno se lo aspetta.

Per qualche stupida ragione aveva voluto dar conto a questa assurda teoria.

Così gli comparve a un centimetro dal naso, all'improvviso, prendendolo del tutto alla sprovvista, gli afferrò una mano e gli piantò lo sguardo dritto nelle palle degli occhi. Aveva già la bocca aperta, pronta, ma tutto quello che gli uscì fu un “Ehi” strozzato, perché a quel contatto lo aveva visto trasalire e guardarlo stravolto.

Ma era stato solo per un attimo.

Si era strappato via le cuffiette con un gesto rabbioso. La sua espressione l'aveva spaventato, ma era tornata immediatamente dopo a essere del tutto assente, era quasi come se non fosse neanche lì. E vide che c'era del rosso nei suoi occhi.

“Che cos'hai?” balbettò preoccupato “C'è qualcosa che non va?”

Fu come se la sua voce, dalla quale era trasparita un'inspiegabile angoscia, lo scuotesse.

Sfuggì alla sua presa e si lasciò cadere all'indietro sul letto, sospirando.

Gli tolse il libro che era rimasto in bilico sulle sue gambe, lo chiuse accuratamente e lo appoggiò sul pavimento.

Poi si andò ad accoccolare accanto a lui e ripeté la domanda più dolcemente.

Lui esitò ancora e poi fu preso da una specie di brivido. “Si sposa.” riuscì a dire.

Si era sentito gelare a quelle due piccole parole. “Chi?” chiese sbiancando.

Ferb smise di fissare il soffitto e chiuse gli occhi. “Mia madre.” disse.

Phineas ci impiegò qualche secondo per comprendere che non si stava riferendo a Linda. Era sempre stato abituato a considerarla come la mamma di entrambi. Era consapevole che, da qualche parte nel mondo, esisteva anche quell'altra donna, ragion per cui aveva utilizzato il singolare. Ma dato che non gliene aveva mai parlato, lui non aveva mai fatto domande.

“E quindi...” incominciò.

“Vuole che vada da lei. Per la cerimonia.”

“E tu non vuoi andarci?” chiese, dopo aver deglutito.

Ferb riaprì gli occhi e poi batté le palpebre una, due, tre volte. Ma non rispose.

“Ho capito.” disse Phineas, interpretando i suoi segnali “Non la conosci.”

Ferb fece segno di diniego. Sembrava combattuto.

“Però... non potrebbe essere un'occasione apposta per conoscerla?” disse, con cautela.

Ferb sembrò assorto per qualche secondo.

“Se mio padre fosse ancora in vita e mi chiedesse di incontrarlo, io credo che vorrei andare a conoscerlo...” continuò, anche se sapeva benissimo che ciò che aveva ipotizzato, oltre a essere impossibile, era anche improbabile. Non era esattamente la stessa cosa.

Nel nominare suo padre, il suo sguardo era andato inavvertitamente verso la libreria. Il libro in cui aveva nascosto la sua foto era ancora nel posto in cui lo aveva lasciato.

Lo sentì che si rotolava nel letto, che si girava verso di lui. E notò che in mezzo alla fronte gli si era disegnata una microscopica ruga di apprensione.

“Verresti insieme a me?” gli chiese con la sua voce dolce e profonda.

Non esitò nemmeno per un attimo. “Ma certo, fratello. Tutto, se ti rende felice.”

Per rispondergli non ci furono bisogno di altre parole, bastò un suo piccolo sorriso.

 

 

--- --- ---

Aveva riconosciuto immediatamente quella calligrafia indisciplinata e infantile, ma aveva sperato vivamente di essersi sbagliato.

Era rimasto per diversi minuti imbambolato a fissare il nome sulla busta senza potersi decidere ad aprirla. Non voleva aprirla.

Era stato tentato di gettarla via e di fare finta che non fosse mai arrivata.

Sarebbe bastato questo. Eliminarla, cancellarla, dimenticarla, proteggendo così suo figlio dalla verità, preservandolo da un'ennesima delusione che avrebbe potuto distruggerlo.

Sarebbe stato così semplice.

Ma anche così sbagliato.

La lettera emanava un profumo molto familiare, si stupì di ricordarselo ancora. Non pensava a quel profumo da anni, non credeva che gli si sarebbe potuto imprimere nella memoria a tal punto.

Pensava che il contenuto della busta non potesse arrivare a sconvolgerlo più del semplice fatto di sapere chi gliel'aveva spedita.

Ma si sbagliava.

Appena finito di leggere, era rimasto senza parole.

Il desiderio di stracciarla aumentò, trasformandosi quasi in un bisogno fisico.

E, insieme a esso, arrivò un'incommensurabile rabbia.

Non la stracciò, ma la strinse con forza tra le mani, sgualcendola tutta.

Decise che non gliel'avrebbe mostrata, non voleva rischiare di sconvolgerlo, si sarebbe occupato lui stesso di dirgli quello che c'era da dire.

Parlargliene fu una delle prove più difficili che avesse mai dovuto affrontare.

La sua reazione lo stupì, ma, a pensarci bene, non così tanto.

Non appena seppe un minimo di ciò che lo aspettava, quel ragazzino sempre calmo e tranquillo era rimasto agghiacciato. Sembrava che, da un momento all'altro, sarebbe scoppiato in lacrime.

Ma non successe, non succedeva mai. O, se succedeva, lui non lo aveva mai visto.

A parte quell'unica volta...

Voleva abbracciarlo e rassicurarlo, ma lui fuggì, si chiuse in camera.

Quando, dopo averlo pregato a lungo, riuscì a fargli riaprire la porta, scoprì che non aveva ancora potuto togliersi di dosso quell'aria terrificata, atterrita.

Ne conosceva benissimo il motivo, ma s'era sempre rifiutato di accettarlo.

Aveva tentato di nuovo di scappare, ma stavolta lui glielo impedì trattenendolo quasi brutalmente tra le sue braccia.

Smise di fare resistenza solo quando gli disse che non era per niente costretto ad affrontarla e che, se voleva, poteva dimenticarsi di ciò che gli aveva detto.

Ma si fece promettere che ci avrebbe pensato.

Il giorno dopo, gli si ripresentò con gli occhi rossi. Non aveva dormito, era rimasto sveglio tutta la notte a riflettere. Ma aveva la voce ferma quando dichiarò che non voleva scappare, che aveva intenzione di andare.

“Così ne approfitteremo per farci anche una bella vacanza natalizia tutti insieme!” aveva cercato di sdrammatizzare, senza riuscire però a strappare a suo figlio nemmeno un mezzo sorriso.

Il volo fu lungo e spossante, così come il cambio di fuso orario.

Gli aveva consigliato di addormentarsi per arrivare più riposato, ma sapeva di avergli chiesto qualcosa di impossibile, l'agitazione e il nervosismo erano troppi.

Ed era anche comprensibile. In fondo, stava per rivedere dopo tanto tempo la donna che lo aveva messo al mondo e rifiutato subito dopo.

L'aveva buttato via come un giocattolo con cui s'era stufata di giocare. Gli aveva fatto del male.

Non del male fisico, questo no, non glielo avrebbe mai permesso, ma sicuramente non era riuscito a impedirle di fargli del male psicologico. Sospettava che fosse proprio quella la causa per cui non parlava molto.

Non aveva ancora compiuto due anni quando, dopo un ennesimo litigio, se ne era andata di casa. E, disgraziatamente, tutto ciò era avvenuto davanti a lui.

Non sarebbe dovuto succedere davanti a lui. Avrebbe dovuto assicurarsi che non li vedesse.

Non riusciva a togliersi dalla mente il suo sguardo. Un bambino di quell'età non avrebbe mai dovuto avere quello sguardo. Era così piccolo, ma già così intelligente!

Dopo tanto tempo, non aveva ancora smesso di rimproverarsi per quella sua mancanza. Non avrebbe mai smesso.

Era sicurissimo che avesse capito esattamente quello che era successo, così come era sicuro che niente al mondo avrebbe mai potuto farglielo dimenticare.

Ma lui ci aveva provato. Doveva provarci. Per il suo bene. Non avrebbe potuto definirsi un buon padre se non ci avesse provato.

Si erano trasferiti in America immediatamente dopo, senza darle nemmeno il tempo di farle cambiare idea. Una vera e propria fuga.

Avevano entrambi sofferto molto per il suo abbandono.

Pretendevano di meritarsi un po' di felicità.

Linda era entrata nella sua vita e aveva ricoperto con estrema naturalezza il ruolo che sarebbe dovuto spettarle, e che invece era stato lasciato scoperto.

Non smetteva mai di ringraziare il Cielo per avergliela fatta incontrare.

Nonostante ciò, Ferb aveva cercato molte volte di contattare quell'altra donna.

Lui non glielo aveva impedito. Era pur sempre sua madre!

Ma i suoi tentativi disperati di ottenere un incontro con lei erano sempre stati ignorati.

Fino a quel momento.

Adesso ne conosceva la ragione.

Ferb si doveva anche essere domandato perché lo ricontattasse solo dopo così tanto tempo, erano già passati quasi otto anni.

Phineas e perfino Candace si dimostrarono più affettuosi del solito con lui, durante il volo. Cercavano di tranquillizzarlo in tutti i modi. Probabilmente non lo avevano mai visto così agitato e la cosa doveva spaventarli.

Il solo effetto che ottenevano, però, era di renderlo, se possibile, ancora più silenzioso, anche se i suoi occhi spaventati lo tradivano.

Ma non sospettavano minimamente che avrebbe potuto esserlo ancora di più.

Aveva volontariamente omesso la parte peggiore perché, avendo preso atto del modo in cui aveva reagito, temeva che, una volta saputo tutto, potesse crollare definitivamente. Non sapeva che in piccolissima parte ciò a cui stava andando incontro.

Per tutto il tempo si pentì di non averglielo detto, ma ormai era troppo tardi e di certo non glielo avrebbe rivelato mentre erano sull'aereo, a chissà quanti piedi di altitudine.

Pensava -o, meglio, sperava- che sarebbe stato più facile per lui se avesse assimilato lo choc a piccole dosi.

Non poteva comunque fare a meno di sentirsi terribilmente in ansia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice: Ok, questo era il secondo capitolo. Ho cercato a lungo un modo migliore per esprimermi, ma questo è tutto ciò che sono riuscita a fare. Se volete, fatemi sapere che ne pensate. Volevo ringraziare quelli che hanno commentato il primo capitolo e volevo invitare l'utente Raven Cullen, che ha inserito la storia tra le seguite, a recensire, sempre che voglia farlo. Sappiate che accetto anche le critiche.

  
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