James
lanciò un’occhiata verso l’alto: “Credi che quest’albero ci veda oppure ci percepisca comunque, anche col mantello?”
Sirius
guardò per un attimo l’amico con un espressione di
terrore misto a stupore, poi deglutì rumorosamente e sembrò riacquistare il
sangue freddo:”Dubito fortemente che abbia degli occhi..ma scusa, cosa vorresti
fare?”
“avvicinarmi
e controllare che non ci sia traccia di sangue sui libri”.
“ma non credo che riuscirai ad avvicinarti più di tanto, caro
Potter” disse l’altro scettico; nonostante questo, fece qualche passo in avanti
insieme all’amico.
Delle
gocce di pioggia sulle loro teste e rumore di tuoni in lontananza preannunciavano qualcosa di più che una semplice
pioggerellina invernale.
L’albero
rimase ancora immobile, se non per qualche ramo ondeggiante mosso dal vento.
Tremando, forse al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere loro, o forse solo
per il freddo, i due avanzarono lentamente verso gli effetti personali di
Remus. Quasi niente si muoveva attorno a loro…e a Sirius sembrò
troppo strano. Quando raggiunsero la borsa del compagno, non fece come
James e non si chinò febbrilmente su di essa, ma
rimase in piedi, a guardarsi intorno e a lanciare occhiate sospettose al
Platano, che sembrava nascondere la sua anima da “Picchiatore”.
“Niente,
per fortuna” disse poco dopo James, rialzandosi “emh..Black,
non faremmo meglio ad andarcene ora?”.
“sai,
Jamie, credo che questo coso stia
dormendo” gli fece notare l’amico.
“Ma gli alberi non dormono, Sis”.
“Gli
alberi non picchiano, James, ma questo lo fa!” lo bacchettò subito Sirius “C’è
qualcosa di strano”.
“Vuoi dire
che possiamo avvicinarci di più?”.
Sirius non
rispose. Non sapeva cosa voleva dire.
“…forse se
ci arrampichiamo vedremo Remus…” propose all’improvviso James.
“Arrampicarti?
Dove?”.
“Sul
Platano..se non ci fa niente…è l’unico albero
scalabile…” ponderava James.
“E se lo svegli?”.
“Gli
alberi non dormono, Sis”.
“Gli
alberi non picch- “.
“SI SI LO SO SIRIUS!”.
Ora
pioveva a dirotto.
“E allora, se lo sai, non fare cavolate! Remus non sarà
contento se ci rimetti la pelle”.
“Remus non
sarà più niente se non ci pensiamo noi!”.
Detto
questo, James fece un passo avanti, ma Sirius lo bloccò: “James aspetta…”.
“Lasc- “.
I due
scivolarono lunghi per terra, tra la melma, con un tonfo. “Cazzo, Black, sempre
tra i piedi”.
“Dovrei
lasciarti morire, idiota?!” ribattè Sirius, alzando la testa e
massaggiandosela.
“N-no..aspetta”. James tirò su il capo, per quanto gli fosse
possibile, e controllò il Platano: non una mossa. Eppure
erano finiti proprio sopra ad una delle sue grandi e sporgenti radici. Guardò
meglio nell’oscurità, e in un primo momento non credette ai propri occhi, ma
poi dovette farlo: una “parete” del tronco era scomparsa, proprio sulla parte
laterale dell’albero.
“Oho”
commentò Sirius, guardando incuriosito il varco prima e
raggiante il suo amico dopo.
I due non
si preoccuparono più neanche del mantello, lasciando che James lo raccogliesse
e se lo avvolgesse in mano, ed entrarono senza esitazione nell’apertura.
Saltarono
dentro, eccitati e più irresponsabili che mai, scrollandosi di dosso l’acqua
come cagnolini bagnati. Entrambi accesero la propria
bacchetta con un Lumos, e avanzarono
per il buio corridoio senza sapere dove stavano andando. Eppure
James, come Sirius, sentiva che avrebbero trovato Lupin lì dentro. Troppi
indizi portavano a quell’albero: il fatto che Remus lo guardasse con un certo
interesse, che avessero trovato la sua roba lì vicino,
che nell’albero ci fosse addirittura un’apertura con un corridoio dentro, e
chissà cos’altro!
James si
fermò improvvisamente quando intravide in fondo al lungo tunnel scuro, e tese
una mano indietro per bloccare Sirius.
“Vedi la
luce?” chiese sottovoce.
“Si,
Jamie, ma è solo la luna” constatò Sirius con
sicurezza, quasi sentendo il bisogno impellente di andare avanti, di arrivare
in fondo al corridoio e in fondo a quella storia. Tutto troppo misterioso per i
suoi gusti. Dannato Lupin e dannati i suoi segreti.
Gli avrebbe fatto una bella lavata di capa non appena l’avrebbero riavuto sano e
salvo al castello.
I due
ragazzi camminavano a tratti con sicurezza a tratti con incertezza. Le poche
volte che si scontrarono, l’uno percepì che l’altro
tremava infreddolito, finché, a pochi centimetri dalla porta, James si bloccò
del tutto.
Prima
ancora che Sirius potesse aprire bocca, lui si voltò e
gli fece segno di tacere…dopodichè, con fare piuttosto preoccupato, riaprì il
mantello e lo gettò sulle loro spalle.
Tese una
mano avanti e fece spostare di un centimetro la porta, sperando che non li
tradisse e non cigolasse. Ciò non avvenne, e fu possibile loro vedere che
all’interno la luna illuminava l’ambiente quasi a giorno, mentre la pioggia
batteva forte sui vetri delle finestre sbarrate.
E poi, lì al centro della stanza, rannicchiato goffamente ai piedi di
un letto a baldacchino, un lupo piuttosto cresciuto, ma neanche troppo robusto, col volto nascosto nelle
zampe. Il suo pelo, da quello che poterono vedere i
ragazzi impietriti sotto il Mantello, era lucido e grigio, ma ricoperto da
quelli che sembravano..stracci.
“Sb-sbaglio
o p-porta i pantaloni?” domandò Sirius, gli occhi sbarrati, sentendosi molto
simile a Peter in quel momento.
“Sono i
pantaloni di Remus” sussurrò allora James, presente, e perfettamente cosciente
di cosa stava succedendo. Fu l’unica cosa che riuscì a dire, e anzi, era
sollevato che potessero persino parlarsi, con i loro sussurri coperti dalla
pioggia battente.
“C-credo
che non possiamo affrontarlo” mormorò Sirius, dopo che per un po’ erano rimasti
in attesa, incerti sul da farsi.
Probabilmente
era chiaro a entrambi quello che stavano vedendo,
chiaro come la luce lunare che si rifletteva sulle assi scomposte del
pavimento, sulle coperte scucite del letto, sulla bestia a pochi metri da loro.
Chiaro come tutto ciò che riguardava il loro amico, chiaro come tutte le cose che erano state dubbi e incertezze, chiaro come ogni mistero
che James e Sirius erano riusciti a svelare. Chiaro come il fatto che il loro
amico aveva una caratteristica particolare.
“Cosa facciamo?”
domandò James.
Il lupo
non era proprio immobile, scuoteva talvolta il capo e si passava la grandi zampe munite di unghiacce gialle tra i ciuffi di
pelo del muso, brontolando e facendo rumori piuttosto inquietanti.
James, un
po’ incantato un po’ pietrificato dalla visione, per la prima volta nella sua
vita, di un uomo lupo, che tra l’altro indossava i pantaloni di Remus e aveva
accanto a sé i rimasugli della camicia del suo compagno di
Casa, si era appoggiato alla porta e questa si era aperta ancora di più.
“James!
Devi stare fermo” Sirius riprese l’amico “Se ci fiuta siamo fritti”.
“…Andiamo, Black, è Remus!”.
“Il
vecchio Remus sa chi sei..ma il nuovo…mmm, ne dubito”.
“Silente
lo sa?” domandò James improvvisamente.
“Non lo so
amico” mormorò Sirius, prendendolo per un braccio e trascinandolo lentamente
indietro “non è il momento di pensarci”. Aveva le mani congelate e aveva notato
che il lupo aveva improvvisamente alzato il muso – tuttavia dalla posizione in
cui erano non potevano vederlo – e stava ora immobile.
“E’
proprio il caso di andare” disse ancora Sirius un attimo
dopo, e James per la prima volta quella sera non oppose alcuna
resistenza.
Man mano
che si allontanavano dalla porta, la loro velocità nel muoversi aumentava, ma
potevano anche vedere al di là della porta che l’ombra
del lupo non era più ferma.
“Al mio tre corriamo” disse ad un tratto James, la voce
tremante. Sirius guardava fisso davanti a sé, ma annuì.
“Uno…”.
James pose
un piede indietro e barcollò un po’.
“Due…”.
Sirius
deglutì e si asciugò la fronte.
“TRE!”.
Nessuno
dei due, quasi si fossero messi d’accordo, si curò più del Mantello
dell’Invisibilità.
Corsero
nel contempo il più silenziosamente possibile e più fragorosamente di quanto
avrebbero potuto fare in una situazione normale. Perché
quella non era una situazione normale. Avevano appena scoperto che il
loro migliore amico era in realtà un lupo mannaro, e non poteva esserci niente
di più anormale rispetto a quanto avrebbero mai
previsto per il loro secondo anno.
“Ci è dietro?” disse Sirius con voce strozzata, ma volle
farlo apparire come un sussurro.
“Non lo
so” rispose James, misurando a grandi passi la distanza, ormai breve, che li
separava dall’esterno.
Con un
ultimo rumoroso salto furono fuori, uno dopo l’altro,
e Sirius cadde disteso sull’erba, chissà se volontariamente o no.
“Direi che
ora...è il momento…di chiedersi…” ansimò James “se Silente…lo sa”.
“Direi
invece che è ora che voi due rientriate a scuola, se non volete prendervi una
punizione ancora maggiore di quella che vi spetta”.
I due grifondoro
alzarono gli occhi e videro Silente, magicamente asciutto, fissarli con sguardo
severo, alla sua destra la professoressa McGranitt, impettita e dolorosamente
indignata, e dietro alle loro vesti Peter, più infreddolito e terrorizzato che
mai.