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Autore: Pearlice    30/11/2012    6 recensioni
Dopo la morte di Barbabianca ed Ace, malinconica confessione di un amore troppo a lungo nascosto. (MarcoxIzo)
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Izou, Marco, Portuguese D. Ace
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Regrets of love
 

Marco espirò lentamente il fumo di sigaretta, allontanandola dalle labbra quel tanto che poteva permettersi prima di risentire la brama di nicotina impossessarsi impietosamente di lui. Stava fumando decisamente troppo in quel periodo, troppo davvero, ma più se lo ripeteva più la voglia di smettere veniva meno, dopotutto erano stati giorni stressanti, si giustificava. Anzi, forse stressanti era solo un pallido eufemismo per descrivere quanto fosse appena successo.

Ace ed il babbo erano… erano.. beh ancora non riusciva nemmeno a lasciare che quella parola crudelissima e spietata si affacciasse nella sua mente, ma il concetto era ben chiaro considerato che si trovava di fronte alle due tombe: quella immensa e maestosa di Edward Newgate e quella più piccola di Portoguese D. Ace, sulla quale svettava l’amato cappello arancione.

Shanks si era occupato della sepoltura e doveva dire che aveva fatto proprio un ottimo lavoro, certo, come se a quei due poveretti potesse cambiare qualcosa esser seppelliti in una fossa comune o in pompa magna com’erano.

Marco non credeva, era risaputo, ma allora, perché si trovasse praticamente ogni giorno davanti a quelle due lapidi a pregare ed addirittura parlare con i due trapassati, come convinto che questi potessero sentirlo, proprio non si spiegava. Sapeva solo che c’era una sorta di forza misteriosa che gli impediva di allontanarsi da quel luogo. Nonostante la nave fosse ormeggiata poco distante e tutti, ma proprio tutti, i figli di Barbabianca andassero quotidianamente ad omaggiare i resti del padre e del comandante della seconda flotta, Marco era l’unico che si tratteneva sempre di più, fino a passar lì giornate intere. I suoi compagni non lo forzavano a smettere quello che era diventato una sorta di rituale dal quale traeva un leggero sollievo alla sua sofferenza. Non si sarebbero mai permessi di togliergli anche quel misero piacere.

Il ragazzo spense il mozzicone sul terreno dove sedeva a gambe incrociate e percepì qualcuno avvicinarsi, non ebbe bisogno di voltarsi per capire chi fosse: ormai aveva imparato a riconoscere quel passo delicato tra mille altri, aveva fatto l’orecchio al suono di quei piedi che, quatti quatti, quando tutta la Moby era immersa nel sonno più profondo, si intrufolavano clandestinamente nella sua cabina da almeno un anno a quella parte. Abbozzò un mezzo sorriso quando un braccio gli cinse le spalle ed il ragazzo si sedette accanto a lui.

-Non hai fame Marco-kun?- gli chiese la voce gentile e premurosa di quello. Il biondo fece un cenno di diniego col capo e l’altro si fece sfuggire un sospiro.
-Papà non sarebbe felice di vederti così- asserì, serio, mentre Marco faceva spallucce. Sapeva che Izou era l’unica persona, a parte il vecchio Barbabianca, ad essere in grado di comprendere l’umore che celava dietro la sua maschera d’indifferenza.
Marco era fatto così, era solitario, calmo, anche troppo, e soprattutto apatico: sembrava che nessuna emozione lo scalfisse, ma se l’altro era diventato così premuroso nei suoi confronti era proprio perché evidentemente aveva capito quanto il biondo era invece stato scalfito dagli ultimi avvenimenti.

-Avrei voluto dirgli di noi…- lo stupì Marco, concedendosi il lusso di scambiare qualche parola con qualcuno che non fosse sé stesso, o i suoi morti e di rompere quel silenzio in cui tanto si trovava a suo agio rivelando uno dei tanti rimpianti che più lo tormentavano in quei giorni –non mi perdonerò mai per avergli tenuto nascosto tutto questo- continuò, lasciando che una mano di Izou si intrufolasse ad intrecciare le sue dita.
-Pensi forse che non ci avrebbe accettati ed amati ugualmente come dei figli?- chiese quello guardandolo con un sopracciglio sollevato, dando alla domanda una chiara sfumatura di retorica: Barbabianca aveva un gran cuore, non era certo uno che si fermava davanti a simili piccolezze, se due suoi pirati si amavano, sarebbe stato felice per loro e avrebbe gioito nel vederli così uniti, come una vera famiglia doveva essere –In ogni caso...- continuò il moro con un repentino cambio d'intonazione che Marco sapeva non promettere nulla di buono –Non è mai tardi per certe cose...-

L’altro gli lanciò un’occhiata di sbieco, interrogativo: per tutti i kami quale brillante idea avrebbe partorito il cervello contorto di Izou quella volta? Non sarebbe stata la prima volta che coivolgeva il ragazzo in una delle sue stravaganti trovate.
-Diciamoglielo ora!- fece quello, serio, piantando gli occhi a mandorla in quelli azzurri di Marco.
-C.. cosa?- chiese quello, a disagio: sperava con tutto sé stesso di aver capito male: sì era vero, aveva parlato con i corpi ormai freddi di Ace e Barbabianca in quei giorni, ma soltanto quando era certo di esser totalmente solo! Dal sorriso intenerito che Izou gli regalò capì di esser arrossito fino alla punta dei capelli: maledizione, soltanto quella specie di geisha malriuscita riusciva ad imbarazzarlo in quel modo e sapeva benissimo che l’altro godeva nel farlo e nel vederlo così vulnerabile di fronte a lui, spoglio dell’impassibilità che lo contraddistingueva in ogni momento.

Visto che Marco non diede alcun segno di voler assecondare l’idea del capitano della sedicesima flotta, quello iniziò a parlare al posto suo:
-Papà, Ace... io e Marco dobbiamo dirvi una cosa- fece, composto come suo solito e serio come invece raramente riusciva ad essere, senza alcuna sfumatura d'ironia nella voce, mentre Marco tentava di zittirlo, quasi davanti a loro ci fossero delle persone ancora in vita e perfettamente in grado di udire quelle parole.
-È stato all’incirca un anno fa...- proseguì quello, imperterrito e senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, concentrando invece tutta l’attenzione sulla foto dei due trapassati, che gli sorridevano dalla cornice ovale posta sulle lapidi –Ricordate quando il nostro medico si ammalò e dopo quella feroce battaglia contro Doma le infermiere furono tutte impegnate con i feriti più gravi? Noi ci arrangiammo come potevamo ed io feci il possibile per aiutare Marco che aveva riportato una ferita alla spalla, colpito da una pallottola di Agalmatolite... Beh, galeotto fu il proiettile e chi lo sparò- scherzò il ragazzo, per poi interrompersi senza smettere di fissare quei volti ridenti dietro quel vetro trasparente e nuovissimo, con occhi lucidi, forse sopraffatto da emozioni incontrollabili.
Marco non si lasciò sfuggire questo piccolo dettaglio e si lasciò commuovere suo malgrado: Izou era tanto letale in battaglia, con spade e pistole alla mano, quanto fragile e dolce appariva ai suoi occhi e chissà, forse era per tale motivo che non riusciva mai ad opporsi a lui e questo finisse sempre per averla vinta.
Il biondo, non senza omettere un sonoro sbuffo tanto per sottolineare quanto lo imbarazzasse la cosa, decise finalmente di stare al gioco, continuando il discorso a posto dell’altro comandante:
-I...Izou estrasse la pallottola e mi fasciò la ferita...- iniziò, incontrando gli occhi prima sorpresi, ma poi felici del compagno –E... beh in realtà erano giorni ormai che non facevo che pensare a lui... Avevo anche tentato di reprimere i miei sentimenti, convinto che saremmo stati una vergogna per te se ben due dei tuoi comandanti si fossero rivelati... beh... come noi... quindi lo evitavo da un po’... ma non riuscii a negargli il permesso di curarmi quella ferita e mentre guardavo le sue mani destreggiarsi abilmente tra bende varie sulla mia spalla io...-
Il biondo si interruppe, deglutendo: era la prima volta che raccontava di quel momento così privato a qualcuno e nel dirlo a parole gli sembrava quasi di rovinare quanto di magico e splendido era accaduto in quei pochi attimi. Già, perché come potevano delle semplici parole descrivere appieno le sue sensazioni in quel momento? Se ci ripensava quasi se le rivedeva davanti le mani di Izou, candide, affusolate tanto che si poteva quasi scambiarle per quelle di una donna, se non fosse stato per le tante cicatrici di guerra che riportavano. Avevano maneggiato delicatamente quella ferita ed il loro possessore aveva trattenuto pure il respiro per evitare di procuragli altro dolore. Poteva ricordare distintamente l’espressione che il suo viso dai tratti orientali aveva assunto in quel momento, con quegli occhi neri, affilati nella concentrazione di curarlo al meglio, puntati sulla sua spalla, forse ignari del suo sguardo che li scrutava con tanta intensità, o forse no. Poteva rivederle quelle labbra truccate, socchiuse, mentre gli disinfettava la ferita con un batuffolo di cotone. Ecco, solo a ricordarlo perdeva nuovamente la testa, proprio come aveva fatto quel giorno.
-... In quel momento, papà... ho baciato Izou... – confessò a mezza bocca, riprendendo il filo del discorso e distogliendo gli occhi da quelli che ricambiavano il suo sguardo, dalla piccola foto in bianco e nero che si stagliava sullo sfondo di marmo bianco, quasi non riuscisse a reggerlo, quasi temesse di leggervi, impossibile dato che si trattava solo di una fotografia, l’ombra di un giudizio negativo.

-Lo ricordo come fosse ora- si sostituì a lui la voce dell’altro, persa in un sussurro -È stato velocissimo... non mi sono reso conto di nulla, fino a quando non ho sentito gli attrezzi che tenevo in mano cadere a terra. Non per niente Marco è il comandante della prima flotta... l’hai scelto bene papà-
Il biondo avvampò cercando di nascondere il suo imbarazzo, come faceva con l'intera gamma dei sentimenti umani. Era tutto così vivido nel riviverlo così, con le parole, insieme a lui. Ricordava bene l’istinto cieco che l’aveva guidato in quel momento, cosa più unica che rara per un tipo riflessivo come lui, ma nel vederlo così vicino non aveva resistito: l’aveva attirato a sé con impeto, aveva abbattuto le difese della sua bocca e aveva infilato le mani in quei capelli così lunghi e setosi, che nemmeno una donna poteva vantare.
L’altro non aveva opposto resistenza, nemmeno all’inizio. Beh forse aveva sgranato gli occhi al principio, bloccato dalla sorpresa, ma poi si era lasciato andare. Probabilmente i sentimenti che tanto bene Marco aveva celato fino a quel momento erano stati nascosti con altrettanta maestria anche da Izou.
Non era stato quel che si definisce propriamente un bacio casto, dopo qualche minuto infatti si era trovato a sciogliere il kimono di Izou, con le sue mani bramose che percorrevano senza pudore ogni centimetro di quel corpo.

-E poi mi ha chiesto scusa- continuò il moro, interrompendo il flusso di ricordi –Ace, se l’avessi saputo probabilmente l’avresti preso in giro a vita, ma che razza di uomo è uno che prima ti bacia e poi ti chiede scusa?- rise quello, lanciandogli, in modo nemmeno troppo velato, una frecciatina.
-Beh mi sembrava opportuno... - tentò di difendersi il biondo, cercando di non entrare troppo in dettaglio: ok dirlo al papà e ad Ace, ma la conversazione stava rivelando particolari un po’ troppo intimi per i suoi gusti. Ricordava perfettamente la sensazione di vergogna provata una volta che, tornato per qualche secondo al mondo reale, si era concesso di separare le labbra da quelle del compagno e di allontanare da lui le sue mani, forse troppo ruvide e callose per potersi permettere di sfiorare quella pelle candida e liscia. Aveva provato la sgradevole sensazione di aver violato il corpo del'altro in maniera irreparabile, dopotutto ai suoi occhi Izou era indifeso quasi quanto una donna e gli era venuto naturale chiedere scusa per essersi spinto a tanto senza prima essersi accertato di avere il suo consenso.
Lui però non aveva dato segno di voler accettare quelle scuse, perché l'aveva spiazzato con un sorriso accattivante, sdraiandolo sul letto e toccandolo con una malizia di cui non l'aveva mai creduto capace anche se, dopo quell'occasione, avrebbe avuto modo di ricredersi più di una volta.
Si amarono per molte notti in seguito a quell’episodio, a parte certo, quelle in cui uno dei due si allontanava dalla nave per conto di Barbabianca, ma quando si ricongiungevano si ritrovavano ancor più appassionati di prima.
Avevano sussurrato, chiamato ed urlato i rispettivi nomi alle tenebre della Moby, non senza una vena di timore al pensiero di poter essere scoperti, ma fino a quel giorno solo i timidi raggi di luna che illuminavano la cabina nelle notti di cielo sereno, avevano avuto il privilegio di poter fare da spettatori al loro amore.
Quasi tutte le mattine Marco si era svegliato tra le lenzuola sfatte di quel letto troppo piccolo per poter ospitare due persone, con il corpo ancora addormentato di Izou ad abbracciarlo e si era lasciato cullare dal respiro lento e profondo del comandante ancora addormentato. In quei silenziosi momenti aveva accarezzato con sguardo rapito quel corpo pallido e scolpito, attendendo pazientemente che anche quello si svegliasse, mentre la luce del sole filtrava dall’oblò e riluceva su quei lunghi capelli neri sparsi un po’ ovunque.

-Papà... sai...– lo riportò nuovamente alla realtà l’altro, lanciandogli un sorrisetto che preannunciava l’importanza di ciò che avrebbe detto di lì a poco -...non ho mai raccontato a Marco di quel giorno, in cui tu mi dicesti “Marco è diverso, non sembra anche a te? Eh... il mio ragazzo. Credo proprio che sia innamorato, tu ne sai qualcosa Izou?”- continuò il moro, sorridendo beffardo al ceruleo sguardo sbigottito che ricevette a quelle parole –Ridacchiavi sotto a quegli assurdi baffi, in fondo ne sapevi sempre una più del diavolo. Potevamo darla a bere a tutti, ma non a te, che ci conoscevi meglio di chiunque altro- concluse Izou tornando a rivolgergli gli occhi ed incontrando l'espressione stupita che sapeva di avere e che forse gli conferiva quell’aria poco sveglia da cui tutti si lasciavano trarre in inganno in un primo tempo.
Ci mise poco però a riprendersi perché dopo qualche secondo finalmente capì ciò che quella fonte inesauribile di sorprese che era il suo ragazzo aveva voluto dirgli, quindi sorrise e prese con le mani il volto dell'altro, lasciando che le loro labbra si unissero in un bacio, quasi a voler suggellare quell’amore, per troppo tempo tenuto nascosto e finalmente svelato al vecchio Edward Newgate che bonario sorrideva dalla piccola cornice, affiancato da uno sbarazzino Ace.

  
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