Il
tema centrale di questa narrazione è la
seguente frase:
"UN
GIORNO TI SVEGLI E
NON SEI PIÙ LA STESSA,
MA LA PROIEZIONE DI CIÒ CHE AVRESTI VOLUTO ESSERE"
Ho voluto delineare i contorni di una
storia
semplice ma che allo stesso tempo
sfiora due tematiche delicate,
ovvero:
L'adozione di bambini anche a
single e a coppie di fatto - e relazione saffica.
DESIDERIO
Sepolto
Felicità
travolgente e dolore soffocante, questa era la vita.
Siamo divenuti schiavi di una società egoista e nemmeno ci preoccupiamo
più delle persone che ci stanno intorno. Soffocati dallo
scalpitante
ticchettio delle ore, viviamo rinnegando noi stessi, incapaci di
ascoltarci
l’uno con l’altro.
In quest’epoca malinconica dov’è la speranza?
Tante volte avrei desiderato essere diversa, ma le ferite del passato
sanguinavano ancora e il mio coraggio vacillava. Non ero più una
bambina e
ormai non potevo più cullarmi in sentimentalismi da adolescente, seppur
all’epoca mi riscaldassero il cuore. I cambiamenti radicali dopotutto,
mi
intimorivano.
Anche quella sera, come tutte le altre, mi coricai a letto a notte
inoltrata,
dopo essermi sincerata che la ciotola per l’acqua del gatto fosse
piena. Non
c’era nulla di diverso, anche quella notte le stelle brillavano
luminose
rincorrendo la Luna sfuggente. Eppure, avevo la fervida
convinzione che
l’indomani sarebbe stato completamente diverso. Più che un
presentimento
sembrava quasi una recondita speranza, a ben vedere.
Il trillo implacabile della sveglia mi fece sussultare per lo spavento
e con un
diavolo per capello allungai la mano disattivandolo, imprecando poi
contro
chissà quale divinità celeste. Era una mattina come le altre.
«Ciao Lilli» asserii poi, quando la mia gatta mi solleticò
il volto
con in suo mantello.
Con la solita costanza, ripetei le stesse azioni di ogni mattina,
sorseggiando
infine una tazza di caffelatte appena intiepidito accompagnato da
cereali
integrali.
Nulla di diverso, rimarcai. Quando però, dopo svariati minuti,
incrociai
il mio volto riflesso sullo specchio del corridoio, notai un
cambiamento che
definire singolare era poco.
Ero assolutamente divina!
Certo, l’ironia e l’egocentrismo smisurato erano il mio pane
quotidiano, ma
quella mattina ero davvero un bel bocconcino! Dal trucco, ai capelli e
persino
i vestiti avevo uno stile stravagante, colorato, eccentrico oserei
dire.
Mi piacevo.
Non mi ero mai piaciuta tanto in vita mia!
E bastò quella ritrovata fiducia in me stessa per farmi rinvenire
l’allegria e
il sorriso perduto.
Varcai la soglia di casa e mi recai alla boutique. Sospinta
da chissà quale forza iniziai ad intrattenere i clienti affiancandomi
ai loro
discorsi e per la prima volta notai un forte interesse nell’ascoltare
le mie
parole. E ora che mi soffermai a riflettere, persino la mia voce, il
modo in
cui allineavo le parole e la profondità dei miei discorsi erano diversi
dal
solito. Era come se d’improvviso fossi diventata più matura e
aggraziata. Ogni
mio movimento era parte integrante di quel mio nuovo modo di interagire
con gli
altri.
Ero sempre stata in grado di farlo?
Forse c’era qualcosa di bizzarro, me ne resi conto quando
mia madre
si presentò a pomeriggio inoltrato portando con se un bambino che ad
occhio
avrà avuto sette o otto anni al massimo.
«Siamo arrivati in perfetto orario!» enfatizzò esibendo uno dei suoi
più
lucenti sorrisi. «Sai, tuo figlio si è divertito più di quanto mi
aspettassi!» A
quelle parole rimasi basita.
«Mamma, si può sapere di cosa stai parlando? Non ho figli, dovresti
saperlo.»
Lei mi guardò inarcando le sopracciglia in un’espressione contrariata
che
esprimeva rammarico. Sospirò e si avvicinò sussurrandomi.
«Ti proibisco di dire ancora frasi del genere in presenza di quel
povero
bambino!» Mi sgridò «Lo sai quante ne ha passate, non dovresti riaprire
vecchie
ferite.»
«Non era certo mia intenzione, ma non capisco ancora chi sia quel
bambino» ammisi
senza fronzoli, non facendomi sentire dal piccolo.
«Hai battuto la testa da qualche parte più forte del solito? Ti ricordo
che
Erik è tuo figlio.»
«Non vorrei smentirti, ma a quale età pensi l’abbia partorito?»
«L’hai adottato dopo due anni di dure sofferenze.» proferì accendendosi
una
sigaretta. «Non ricordi neppure questo? Se la cosa è così grave devo
portarti
all’ospedale.» rincarò la dose.
Tentai invano di raccapezzarmi in quell’assurda storia che alle mie
orecchie
risuonava del tutto nuova, oltretutto da quando in Italia i
single
potevano adottare bambini?
«Preparo io la cena, tu intanto gioca un po’ con lui.» asserì mia madre
incamminandosi verso casa, lasciandomi sola con quello che doveva
essere a
tutti gli effetti mio figlio. Lo osservai cercando di poter intavolare
un
discorso, ma le parole inspiegabilmente non mi uscivano. Ero nervosa
dovevo
ammetterlo, ma d’un tratto avvertii la sua piccola mano stringere
saldamente la
mia. Persi un battito. Avvertii un calore così intenso che pensai di
scottarmi.
Era gentile.
«Mamma, andiamo a sdraiarci sull’erba, vicino alla grande Quercia!» E
in quel
suo sorriso percepii quell’impazienza mista ad eccitazione tipica dei
bambini e
non riuscii a non accontentarlo. Essere stata chiamata ‘mamma’
da quel
grazioso bambino dai capelli mori e dagli occhi nocciola mi fece
sciogliere il
cuore. Era una sensazione così singolare e così calda che mi sentii
tremare per
l’incredulità.
Rimasi insieme a lui sotto quell’albero giocando a pallone a lungo,
certa di
non essermi mai divertita così da tanto tempo.
Era come rituffarsi nel passato ed andare ad agguantare quella
gioventù
che si credeva perduta. E in quegli attimi, mentre l’imbrunire avanzava
e il
vento ci scompigliava i capelli, compresi che nel momento in cui la mia
forza
era mutata in dolcezza e la dolcezza in forza, non vi era più nulla di
cui
essere spaventata.
Quella vita irta d’ostacoli e di fallimenti non era più così
terrificante come
avevo creduto.
«Erik…» richiamai la sua attenzione «quando
sarai grande ci saranno momenti in cui potresti sentirti solo ed
incompreso. E
probabilmente non riuscirai a fidarti ciecamente delle persone. »
avvertii il
suo sguardo lievemente perplesso «Ma per quanto faccia paura, il solo
fatto di
provare a credere in qualcuno è una gran cosa. Se ti capitasse di
sentirti
solo, prova a parlarne con gli altri. Non tenerti tutto dentro come ho
fatto
io.» Forse quel discorso era troppo complesso per la sua età, ma
sembrava aver
afferrato le mie parole.
«Uhm! Allora se un giorno mi sentissi triste non devo fare altro che
parlarne
con i miei amici!» Esclamò sorridendo mentre i suoi occhi cambiavano
leggermente colorazione, esposti alla luce del giorno.
Qualche minuto più tardi ci incamminammo verso casa per poter saziare
il nostro
appetito.
«Figliola, è appena rincasata Ilenia. E’ nell’atrio in ingresso.»
«Ilenia?» ripetei sorpresa. A
sentire quel nome tremai e mi alzai di scatto dalla sedia. L’unica
Ilenia che
conoscevo non la vedevo dai tempi delle scuole superiori, non poteva
essere
lei, figuriamoci!
L’entusiasmo però era così grande che corsi verso l’ingresso nella
speranza di
poter rivederla.
«Buonasera tesoro, sono a casa» asserì con naturalezza, ignara di aver
alterato
i battiti del mio cuore. Erano passati così tanti anni, ma di certo non
avrei
scordato quei lineamenti armoniosi così facilmente. Sorrisi, tremai ed
infine
piansi.
«Ilenia… Sei davvero tu?»
«E’ naturale! Aspettavi forse qualcun’altro?» Domandò con quella sua
leggera
risata. «E poi cosa sarebbero queste lacrime?» Quasi sicuramente la mia
mente
aveva occultato parte degli avvenimenti precedenti, poiché sembrava che
non
fosse la prima volta che ci incontrassimo.
Poggiò la borsa sul tavolo e mi venne incontro. Era così vicina che
riuscii a
sentire il suo profumo invadermi le narici. L’abbracciai. La strinsi
forte. Lei
ricambiò scostandosi poi, per guardarmi negli occhi.
«Non mi saluti nemmeno come si deve?» Domandò beffarda, prima di
poggiare le
sue labbra sulle mie in un contatto leggero ma ugualmente d’impatto.
Non
capendo e credendo mi prendesse in giro, l’allontanai senza però
sciogliere
quell’abbraccio.
«Che stai facendo? Non puoi baciarmi! Noi due siamo… »L’imbarazzo toccò
i
massimi storici e le mie gote si tinsero di rosso. «Siamo entrambe
donne!» strepitai
alla fine.
«Questo lo so bene! Ma non vi è ragione alcuna perché io non possa
baciare la
mia donna. Siamo fidanzate, no?» Molto probabilmente c’era una piccola
risata
anche in quelle sue parole pronunciate così intensamente e con una voce
inaspettatamente afona che riuscì a sconvolgermi molto più di quella
confessione.
Lentamente, con una voglia crescente, sfiorai la mia guancia con la sua
– Avevo
la certezza che quella non fosse la prima volta in cui i nostri volti,
le
nostre mani e le nostre labbra s’intrecciassero, e rapita da quelle
sensazioni
d’intenso piacere, la baciai.
«Dovresti baciarmi con questa passione più spesso.» constatò una volta
che i
nostri volti si separarono. «Dai, ora andiamo che il nostro Erik
ci aspetta.» aggiunse pizzicandomi leggermente la guancia.
Non riuscivo neppure a concepire l’idea di avere un figlio tutto mio da
accudire, e piuttosto grandicello per lo più, che ora scoprivo pure
d’intrattenere una relazione amorosa con quella che era stata la
mia più
grande amica e compagna di giochi sin dall’asilo!.
Mi sentivo terribilmente confusa, ma al contempo ero davvero felice.
Per anni avevo creduto solo a salvare le apparenze fingendomi forte e
incrollabile, ma avevo compreso di essere forte solo quando avevo
lasciato che
le lacrime rigassero il mio volto.
Se non siamo noi stessi, la nostra esistenza non ha alcun senso.
Desiderare qualcuno che ci protegga e proteggerlo a nostra volta è del
tutto
normale, alla fine.
Non ho mai desiderato nulla d’impossibile, bramavo solo l’essenza della
serenità.
Ora ho imparato a definire la felicità con il mio metro di giudizio.
Poter
percepire il calore scaturito dall’amore e dall’affetto delle persone a
me
care, era quello che desideravo più ardentemente. Una vita tranquilla
che mi
regalasse la voglia d’assaporare un’altra giornata con il sorriso sul
volto,
questo era ciò che volevo.
La vita che ho sempre sognato non era così difficile da realizzare,
eppure perché ho abbandonato per anni quel sogno in un angolo
remoto
del cuore, fingendo che non m’importasse?