Fumetti/Cartoni americani > Phineas e Ferb
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Autore: bulmasanzo    01/12/2012    6 recensioni
Tutti noi sappiamo che i nostri due protagonisti sono fratellastri e che quindi non hanno gli stessi genitori. Questa storia non pretende di scoprire la verità, vuole semplicemente indagare su quei due personaggi fantasma che probabilmente nessuno nella serie vedrà mai.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Candace Flynn, Ferb Fletcher , Lawrence Fletcher, Nuovo personaggio, Phineas Flynn
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante l'agitazione, alla fine erano crollati tutti e quattro.

Phineas aveva reclinato la testa su un lato, poggiandola sulla spalla di Ferb, il quale invece si teneva tutto sprofondato all'indietro, mentre Candace si era raggomitolata sul sedile, tirando su le gambe. Linda invece era seduta composta e dritta, se non avesse avuto gli occhi chiusi e il respiro regolare, si sarebbe potuto pensare che fosse sveglia.

Sembravano così in pace. Non avrebbe voluto svegliarli, ma ormai la voce metallica della hostess aveva annunciato che erano arrivati.

Sembrava che Linda avesse un po' di nausea. Non era stata proprio entusiasta di partire insieme a loro. Certo, andare ad assistere alle nozze della prima moglie di suo marito non doveva sembrarle il massimo, come vacanza. Ma non avrebbe mai potuto lasciarli andare da soli.

Comunque, non s'era lamentata. E Lawrence non smetteva di apprezzarla per questo.

Quando riaprì gli occhi, l'impressione che gli trasmise era quella di essersi appena risvegliato da un incubo. Eppure, nel sonno gli era parso se non tranquillo, almeno un po' più calmo...

Invece Ferb era saltato su nel momento in cui gliene era stata data la possibilità, andando subito a recuperare la portantina di Perry.

S'era dimenticato di quale fosse la meta, ma ora che l'avevano raggiunta, era impaziente di farla finita. Non riusciva più a tenere a bada le forti emozioni che provava. Anche se faceva di tutto per non mostrarlo, aveva lo stomaco in subbuglio.

Tutto ciò che ricordava della sua madre biologica erano i suoi lunghi capelli mossi, il suo naturale profumo di rosa selvatica e, per qualche strano motivo, le sue mani, con quelle lunghe dita nervose e le unghie acuminate, laccate perennemente di rosso.

Aveva un'impressione molto vivida di quelle mani fredde e scheletriche che si stringevano intorno alle sue esili membra di neonato.

Molto probabilmente non si trattava di un reale ricordo, ma era un'immagine che era ritornata spesso, nei suoi sogni più inquieti e più inquietanti.

Non riuscì a riconoscerla quando la vide aspettarli all'aeroporto, ma seppe che era lei nel momento in cui Lawrence gli artigliò una spalla, in un involontariamente doloroso gesto di protezione.

Angelica. Era il suo nome, ma non rispecchiava per niente il suo aspetto volgare.

La montagna di boccoli verdi era raccolta disordinatamente in una crocchia sulla sommità della testa, sormontata da un cappellino dorato dal gusto decisamente kitsch da cui spuntavano alcune piume di struzzo. Era avvolta in un elegantissimo soprabito bianco immacolato, probabilmente un preludio dell'abito da sposa, e aveva al collo una vaporosa pelliccia di volpe grigia. I suoi occhi erano piccoli e insignificanti, assolutamente inespressivi, sembravano quelli disegnati male di una bambola scadente. Ed era truccatissima, sembrava che la sua faccia fosse più un impasto di cerone che vera pelle. Anche se da lontano poteva apparire come una bella donna, a osservarla da vicino ci si accorgeva della presenza di un migliaio di piccole rughe che le increspavano gli occhi e le labbra. Doveva già avere una certa età.

Gli venne in mente che -era assurdo!- non sapeva nemmeno quanti anni avesse. Ne dimostrava una quarantina, ma doveva essere più giovane.

Il suo sguardo era gelido, eppure aveva un nonsoché che sarebbe potuto sembrare dolce.

Nonostante il primo impatto che aveva avuto fosse stato di repulsione, Ferb le si avvicinò con il cuore in gola e la fissò senza aprire bocca.

Lei gli restituì lo sguardo ma poi, come se si sentisse disgustata dalla sua vista, rialzò decisa la testa. Non sembrava interessata a lui, sembrava che non fosse riuscita a riconoscerlo come suo figlio.

Non ne capì la ragione, ma provò una sensazione di freddo nei suoi confronti, era come se l'avessero costretta a incontrarlo.

Phineas avrebbe voluto correre da lui, ma Linda lo trattenne presso di sé tenendolo per un polso, voleva che rispettasse quel momento, quantunque fosse patente l'imbarazzo di entrambi.

Poi il silenzio fu rotto quando, da dietro la schiena della donna, fece capolino la testolina ricciuta di una bellissima creatura dalle guanciotte rosse e dagli enormi occhi vispi, che rivolse a Ferb un grande sorriso accompagnato da un allegrissimo “Ciao”.

Ma lui si limitò a fissarla, confuso.

Si girò verso Lawrence e lo vide fissare a sua volta la bambina mentre deglutiva a vuoto. Una specie di tristezza attraversava il suo sguardo. Sembrava quasi sull'orlo delle lacrime.

Ferb tornò a guardarla senza capire. Poteva avere al massimo otto anni...

Poi, un lampo di consapevolezza lo colpì e lo lasciò pietrificato sul posto.

“Mia madre me lo aveva detto che ci somigliavamo.” esclamò la bambina, che parlava un inglese scolastico piuttosto buono, appesantito però da un ingombrante accento. Lo stava guardando con un'aria estasiata. “Però non pensavo che eri così bello.”

Ferb guardò la minuscola manina che gli stava cortesemente tendendo. Alzò lentamente gli occhi verso la donna e notò lo stesso, insormontabile distacco di poco prima.

“Sono Bianca.” si presentò la bambina “Tua sorella.”

Qualcuno dietro di lui urlò, probabilmente era stato Phineas. Sfuggito alla presa della madre, gli era corso accanto e l'aveva investito mettendosi a urlare nelle sue orecchie.

“Una sorella?” gridava “Per quale motivo al mondo non mi era mai stato detto che tu hai una sorella?! Com'è possibile che non lo abbia mai saputo?”

La sua voce gli arrivava come se fosse lontanissimo, ma capiva alla perfezione ciò che diceva.

Era esattamente la stessa cosa che si stava domandando lui.

“Phineas, tesoro, non intrometterti.” intervenne Linda andando a riacciuffare suo figlio e tirandoselo gentilmente indietro.

“Ma...” iniziò lui.

“Non lo sapeva nemmeno lui.” disse Lawrence.

Invece tu sì, vero? Pensò Ferb girandosi a guardare suo padre serrando le palpebre.

Vederlo evitare il suo sguardo lo irritò non poco.

Un senso di umiliazione misto a nausea alterò le sue percezioni. Si sentì improvvisamente ingannato e deluso.

Avrebbe potuto mettersi a urlare. E perché no? Avrebbe avuto tutte le ragioni per arrabbiarsi. Avrebbe voluto mettersi a piangere per la frustrazione, per la rabbia. Avrebbe potuto mettersi a inveire contro quella sconosciuta che gli era stata presentata come sua madre, ma che non s'era mai comportata come tale, che aveva tenuto con sé quella bambina innocente mentre non era mai riuscita ad accettare lui. Avrebbe potuto odiare suo padre, che aveva sempre giustificato il suo abbandono nascondendolo dietro una sua presunta incapacità nel prendersi cura di un figlio.

E adesso, era palese che non fosse quello il motivo per cui non l'aveva voluto, per cui l'aveva lasciato andare senza combattere.

Come aveva osato portarlo lì senza dirglielo, senza prepararlo? Come aveva potuto mentirgli?

Ferb aveva decisamente voglia di voltare le spalle a quell'inaccettabile realtà e di tornarsene a casa.

Ma tutto ciò non sarebbe stato da lui.

Prese la manina morbida della bambina e le fece un leggero inchino “Molto piacere di conoscerti.” disse, baciandogliela, ma senza che le sue labbra toccassero la pelle, come gli era stato insegnato.

Lei ridacchiò deliziata “Sei proprio un gentiluomo.” disse. Nella sua voce dolce e variopinta si poteva leggere un profondo senso di gratitudine. Le sue guance si imporporarono ancora di più. Era veramente graziosa. Non somigliava affatto a sua madre, se non nei colori.

La donna li guardò appena. Lawrence le si rivolse con un imbarazzato “Ti trovo bene.” cui rispose con un impercettibile segno della testa.

Non ci fu nessun significativo scambio di sguardi, dalla faccia che mise su sembrava perfino annoiata.

Non aveva la più pallida idea di cos'altro dirle, almeno in quel momento. Erano stati lontani per così tanto che sapeva che non sarebbero più riusciti a ritrovare quella complicità che un tempo li aveva uniti, neanche se ci avessero provato seriamente. Così si interessò a Bianca.

Nei suoi occhietti c'era un timore riverenziale, ma gli sorrise amabilmente.

“Ti ho sempre immaginato così.” disse in tono giocoso “Sei bellissimo!”

“Grazie, sei tanto dolce.” disse Lawrence, stupito da quel complimento.

“Potreste andare a riposarvi adesso, sarete stanchi.” disse Angelica molto sinteticamente. Era la prima volta che apriva bocca, la sua voce era bassa e piuttosto comune, senza nessuna personalità, e il suo tono era affatto privo di emozione.

E altrettanto privo di emozione fu il tono di Lawrence quando le rispose che aveva ragione, che si era fatta una certa ora e che Bianca e Ferb avrebbero avuto modo di conoscersi meglio l'indomani.

Poi il brav'uomo trascinò via la sua famiglia.

Non aveva mentito, era davvero tardi e dovevano raggiungere il modesto albergo in cui avrebbero alloggiato.

La cena che servirono loro era insapore.

Phineas e Candace mangiavano in silenzio, ma si lanciavano sguardi di intesa in continuazione. Ferb non mangiava per niente. Gli s'era chiuso lo stomaco. Linda lo dovette supplicare, senza risultato. Andò a letto senza avere minimamente toccato il suo piatto. In effetti, ciò che c'era sopra non era nemmeno molto invitante.

“Sei ancora sveglio?” bisbigliò Phineas più tardi, nel buio della stanza che condividevano.

Gli rispose un mugolio discreto, confermandogli che lo era.

Ebbe uno scatto con cui si portò fuori dalle coperte e accese la luce.

Gli occhi spalancati di suo fratello sembravano luccicare per il riverbero.

“Non riesco a dormire!” esplose “Una sorella! Tu hai una sorella! Sono veramente sbalordito e senza parole!”

Il che ha del miracoloso, commentò sarcasticamente Ferb nella sua mente, senza abbandonare la posizione supina che aveva assunto.

“E papà non ce l'ha detto! Perché non ce l'ha detto?” continuò Phineas ribaltandosi sul letto, inquieto.

Non ce l'ha detto? A noi?

“Doveva dircelo! Penso sia una cosa stupenda!” esclamò.

Oh, certo, stupendo. Un'altra parente che non vedrò mai.

“Se solo l'avessi saputo prima...” Phineas si interruppe all'improvviso. I suoi occhi si spalancarono, segno evidente dell'eccitamento. Ferb aveva visto quell'espressione un centinaio di volte. Ma stavolta non riuscì a farsi coinvolgere. Sapeva benissimo quale fosse il vero motivo dell'entusiasmo di suo fratello. E lui stesso, un secondo dopo, gliene diede la prova.

“Meno male che non ho lasciato a casa i nostri attrezzi. Anche se penso che qui li vendano, da qualche parte...” sembrava molto ispirato. Come lo era sempre.

“Ti rendi conto che è completamente a digiuno di noi due? Dobbiamo assolutamente farle vedere qualcosa, non pensi che sarebbe carino? Dobbiamo fare qualcosa per lei!”

Ferb si accigliò, ma era sicuro che Phineas non si fosse nemmeno accorto che si stava irritando.

La vedeva solo come un'altra bambina senz'anima da sbalordire con le sue meravigliose invenzioni.

Un'altra Isabella.

“So cosa faremo domani, Ferb.” fece lui, ignaro di ciò che stava pensando “Costruiremo un gigantesco, enorme tappeto elastico...”

“Per favore, no!” lo aveva interrotto di colpo, in un modo che a lui stesso parve rude.

Phineas strabuzzò gli occhi, colpito.

“No? Come sarebbe a dire, no?”

“Sarebbe a dire no.” ripeté Ferb, con il tono di chi non ammette repliche.

Non ce la faceva più. Perché non riusciva a capire?

Era stata una giornata così piena di emozioni che stare lì a sentire i suoi farneticamenti era davvero troppo. Lo avevano portato sull'orlo dell'arrabbiatura.

Ma non si sarebbe arrabbiato. Perché lui doveva essere flemmatico.

Si voltò dall'altra parte per non vedere la sua faccia delusa. Non sarebbe riuscito a sostenerla.

Da parte sua, il bambino davvero non comprendeva perché avesse bocciato così risolutamente la sua idea senza nemmeno starla a sentire. Non era mai successo prima.

Eppure non pensava di aver detto niente di sbagliato.

Era rimasto immobile, sconcertato, incredulo.

“Ah... OK.” disse semplicemente, e si rimise mestamente sotto le coperte “Però penso lo stesso che dovresti fare qualcosa per lei.” si azzardò a dire mentre spegneva di nuovo la luce.

Ferb tornò alla posizione di prima. La delusione di Phineas, che aveva cercato di evitare di vedere, era trasparita ugualmente dalle sue parole. Anche se riteneva che fosse stato decisamente inopportuno, riconobbe la spiacevole sensazione che gli stava turbinando nello stomaco come un vero senso di colpa.

Dopo un po', Phineas ruppe di nuovo il silenzio.

“Ferb... lei non ha colpa.” disse. Il suo tono era supplichevole.

Forse, in quei cinque minuti in cui era riuscito a tenere chiusa la bocca, aveva riflettuto.

Gli rispose con un sospiro profondo ed esasperato.

Sembrò se lo fosse fatto bastare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Spazio autrice:

Ok, e questo era il terzo. Credetemi, ragazzi, se vi dico che io non odio Phineas, è solo che sono dell'opinione che alcune volte la sua voglia di costruire sia troppo esagerata. Anche se siamo nel contesto di un cartone che presenta normale l'esistenza di molte cose assurde, come una testa di bambino fluttuante... Vi ringrazio per aver letto, in particolare grazie a f9v5 e Whiteney Black per avere messo la storia nei preferiti. Ditemi che ne pensate del capitolo, se vi va.

  
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