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Autore: Josie5    07/12/2012    11 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

 

 

14.Di male in meglio


 

Da Dio.

Avevo dormito davvero da Dio.

Feci uno strano e basso lamento di soddisfazione, sentendomi svegliare con lentezza e naturalmente.

Mi sembrava fossero passati secoli da quando mi era successo l'ultima volta, di provare un risveglio così piacevole, dopo ore di sonno ininterrotte.

Spostai la testa ancora più di lato contro il cuscino, strofinandoci in parte la fronte pigramente.

Notai tutto pian piano: che la mia mano era piegata e schiacciata contro qualcosa che non si limitava ad essere al livello dei cuscini; che il “cuscino” contro cui ero appoggiata sembrava fin troppo caldo per essere davvero un oggetto; che il “cuscino” aveva sbuffato, ridendo; che i miei capelli venivano leggermente tirati, ripetutamente.

Trattenni il respiro, aprendo gli occhi lentamente e allontanandomi da quella che doveva essere il mio guanciale. - No - biascicai lentamente, vedendo la camicia bianca di Parker.

Parker mugolò qualcosa, spostandosi col corpo, passando da essere appoggiato sul braccio a una posizione più comoda, a pancia in su. Feci la stessa cosa, in silenzio. Poi ritirò il braccio che, avevo notato solo in quel momento, si trovava sotto il mio collo. Come cazzo ci era finito quello?!

E in quel momento notai anche che i miei capelli avevano smesso di essere tirati.

- Dovranno amputarmelo - commentò Parker, portandosi il braccio sano verso la faccia, sul naso, vicino agli occhi. Li chiuse. Aveva una voce roca da addormentato, bassa e vibrante: notai tutti quei particolari.

- Parker - mi lamentai, richiamandolo, ma l'intorpidimento delle ore di sonno non mi rendeva molto cattiva; non avevo ancora reagito come avrei dovuto. - Perchè sei rimasto a dormire qua? - Chiesi, arrendendomi e sospirando. La luce entrava bene dalla finestra, illuminandoci chiaramente.

- Ho bisogno di un bagno - fece senza rispondermi.

Gli diedi un pugno alla cieca sul petto. - Mi rispondi?

Lui si lamentò. - Stai zitta, cazzo. - Lo sentii muoversi sul posto.

Sbuffai, aprendo gli occhi e guardandolo. Si stava spettinando stancamente i capelli, bocca socchiusa e uno strano sguardo concentrato. Aveva piegato le gambe sollevando le coperte con le ginocchia.

- Perchè ti sei infilato sotto le mie coperte?! - Chiesi accigliandomi e cominciando davvero a svegliarmi: gli diedi un colpo, mettendomi di scatto seduta anch'io.

Lui alzò gli occhi al cielo e poi li spostò su di me. Il verde era acquoso e lo sguardo più penetrante del solito. - Evelyne - mi chiamò. - Mi fai un favore?

Sollevai le sopracciglia, scettica per il fatto che mi stesse facendo una richiesta.

- Anzi fallo. - Si corresse, tornando alla normalità. - Chiudi gli occhi e dormi.

- Eh?

Sospirò rassegnato, spostando le coperte e alzandosi. - Lenta e pesante, porco cane. - Si alzò e senza guardarmi quasi corse fuori dalla stanza.

Lo osservai mentre usciva e non seppi se ridere o imbarazzarmi appena capii. Mi inumidii le labbra, spostando le coperte per distrarmi. Quel particolare non sarebbe mai stato raccontato a Francy; sentivo già la sua risposta: “Max Parker in camera tua con l'alzabandiera!!”, avrebbe riso per almeno un mese ricordandomelo.

Avrebbe già riso già per un mese pensando a noi due che dormivamo insieme, nello stesso letto.

Quasi abbracciati, per di più.

- Voglio morire - blaterai sprofondando di nuovo nel cuscino.

Proprio mentre mi riabbandonavo sul letto, vidi l'iPhone di Parker scivolare tra le coperte. Ci dormiva anche, con quel robo.

Lo guardai e, dopo una piccola esitazione, lo afferrai sorridendo. Lui spettegolava sempre tra le mie cose? Bene, era arrivato il momento della vendetta!

Lo sbloccai e notai che gli erano arrivati tre messaggi. Erano tutti di Billy, e in ordine dicevano: “Con la tizia è andata:D”; “Perchè non sei a casa? Tua madre ti ha beccato, dovunque tu sia andato, e no! Non è colpa mia! ahahahah”; “... Dio, max, non sei sul serio andato da evelyne, vero?!?!?”.

Quindi Parker aveva accennato qualcosa al suo amico la sera prima?

Mentre cercavo di indovinare il codice, per sbloccare e leggere il resto dei messaggi, magari qualcosa di incriminante lo trovavo o potevo semplicemente cancellare la foto, l'occhio mi cadde sull'orario.

Le 11:42 di Sabato mattina. Guardai le cifre all'inizio con indifferenza, poi con un certo presentimento e alla fine mi bloccai, rendendomi conto di una certa cosa.

Merda, pensai.

Mi alzai di colpo, lanciando in aria il cellulare di Parker. Quasi scivolai sul parquet, correndo verso l'armadio, presi una maglietta e dei jeans e mi precipitai in bagno. - PARKER! ESCI! - Urlai, arrivando alla porta che aveva ovviamente chiuso a chiave, come se fosse stato a casa sua!

- Cazzo vuoi? - Chiese scocciato.

Si sentì lo sciacquone del bagno.

- Dovevo essere al lavoro alle 8:30! - La sera prima mi ero infatti dimenticata, avendolo in casa e assecondandolo, di portare il cellulare in camera. La sveglia era sempre puntata, automaticamente, ma non avevo potuto sentirla. Ed ero fottuta.

La porta si aprì e Parker mi guardò preoccupato. Lo scansai e spinsi fuori.

In cinque minuti mi ero lavata e, vestita, mi infilavo inciampando le scarpe, mentre scendevo le scale.

- Evelyne! - Mi chiamò quello là da camera mia, avendomi sentita uscire dal bagno.

Ma non avevo nemmeno tempo per preoccuparmi di Parker e, senza prendere niente tranne la giacca, uscii di corsa non dicendogli niente.


 

- In ritardo di quattro ore - ripeté Houdson.

Eravamo in cucina.

Ero arrivata come una furia ed ero stata accolta dal padrone del bar che, serissimo, mi aveva indicato la porta dietro il bancone.

- Sono davvero desolata, signor Houdson! Non succederà assolutamente mai più qualcosa del genere! Non era mai successo! - Cercai di ricordargli per venirmi in aiuto.

Mi osservò e aveva la solita aria severa, contornata da quello che sembrava un evidente mal umore. - Beh, non avevi anche accennato all'idea di cercare un altro lavoro?

Impallidii, sentendo che la situazione non si stava mettendo bene. - Si, signor Houdson, però no … Solo se trovavo qualcos'altro prima e ...

- Sei licenziata.

Bene.

Era una giornata di merda, definitivamente.

Uscii dal bar, grattandomi la nuca disperatamente. Odiavo l'America e i suoi licenziamenti immediati e odiavo Parker. Se si fosse presentato di nuovo a casa mia l'avrei ucciso.

Morto, FORSE, avrebbe smesso di rovinarmi la vita.

O forse era il karma che mi puniva e continuava a farlo. La perenne presenza di Parker forse non bastava più come punizione divina.

Che poi se esisteva un Dio doveva decisamente odiarmi, continuavo a ripetermi.

Arrivata a casa presi le chiavi che, uscendo, prima, avevo violentemente infilato in tasca e aprii.

- Parker! - Chiamai subito, lanciando le chiavi al loro posto, nel mobiletto di fianco alla porta.

Tanto sapevo che quella rovina era ancora lì.

Ma non ottenni risposta.

Stressata salii le scale e arrivai in camera, ma niente anche lì.

Mi guardai alle spalle, verso il corridoio, ma tutte le porte erano aperte e nessuno sembrava essersi nascosto - come avrebbe potuto benissimo fare l'idiota.

Se n'era quindi andato, alla fine.

Incredula e, in almeno una cosa, felice, andai in cucina e finalmente toccai il cellulare.

La sveglia suonò di nuovo mentre mi avvicinavo e mi chiesi, rumorosa com'era, come avessi fatto a non sentirla anche da camera mia.

Poi mi ricordai quanto avevo dormito profondamente, insieme a Parker.

Sospirai ancora più stressata.

Avrei avuto seriamente dei problemi quel mese e, in tutta la mia stupidaggine, avevo anche speso parte dei soldi di Natale, della nonna, per la festa. La festa che mi aveva rovinato … Capii in quel momento quanto non ci sarei mai dovuta andare.

Sul cellulare trovai dei messaggi di Francy che mi chiedeva di Ben, ma non ne ero in vena.

Andai verso il frigorifero e presi una pizza surgelata: era l'unica cosa già pronta che avevo ed ero troppo triste per cucinare.

Ma in quel momento sobbalzai, sentendo la porta di casa che si apriva.

Zia Lizzy?!, mi chiesi, voltandomi di scatto.

E mentre la porta si richiudeva, rumorosamente, Parker entrò in cucina, facendo roteare le chiavi intorno all'indice.

Aveva trovato le chiavi di scorta di mia zia. Spalancai la bocca sconvolta.

- Sotto il vaso della pianta morta? Un classico ... - disse, scuotendo la testa.

Era evidentemente andato a casa a cambiarsi: aveva la felpa pesante della squadra di basket, con la grande lettera stampata che indicava fosse uno dei migliori giocatori della squadra. Gasato.

Feci una smorfia, troppo irritata anche solo per sgridarlo.

Lo sentii camminare, avvicinandosi. - Houdson ti ha licenziata? - Chiese, sembrò quasi con tatto.

- Sì - risposi secca.

Si avvicinò al bancone, dove stavo con violenza aprendo la plastica per tirare fuori una pizza. - Evy, mi dispiace ... - Borbottò. Ancora quel soprannome!

Quando lo guardai, pronta ad urlargli contro, mi bloccai senza volerlo: in qualche modo ci credetti. Gli occhi o l'espressione parlavano, sembrava, sinceramente.

Sospirai, sentendo scemare in parte la rabbia. - Non cambia il fatto che durante le vacanze non ho guadagnato niente e non guadagnerò nemmeno a gennaio, non finchè non trovo un lavoro. - Aprii il forno. - E non è tanta facile, sai? - Chiesi frustrata e scoccandogli un'occhiataccia. - Soprattutto se non si è raccomandati - insinuai.

- Mio padre e Houdson sono amici. - Appunto. - Se mi accompagni andiamo da lui e lo convinco a riassumerti - propose, guardandomi fisso negli occhi. - Dico che è colpa mia. - Stava cercando di farsi perdonare con uno sguardo dolce, quello stronzo. E a cose del genere non ero nemmeno abituata.

Trattenni infatti un mezzo sorriso, ma lui sembrò notarlo perchè sollevò i lati della bocca: un sorriso bello, uno vero.

E nemmeno a quello ero abituata.

Cercai quindi di convincermi che anche quello era semplicemente calcolato.

- Sennò, se vuoi, andiamo al Mall e col mio fascino ti aiuto a farti assumere da qualcuno. Quanto ti pagava Houdson? - Cercava di sporgersi per cogliere meglio il mio sguardo, che sfuggiva dopo il suo sorriso. E il riferimento al suo fascino era un tentativo di farmi ridere, come al solito, scettica.

Accesi il forno cominciando a farlo scaldare.

- Trenta ogni giorno. Arrivavo a duecentoquaranta al mese.

Parker schioccò la lingua. - Se vabbè! E riuscivi a farci qualcosa con così poco?! - Mi chiese incredulo.

Colsi finalmente il suo sguardo e gliene lanciai uno di fuoco. -Senti, riccone ...

Lui sembrò riscuotersi e, come ricordando di doversi far perdonare, sorrise di nuovo come prima. - Allora facciamo così! Mangi e poi ti faccio assumere da qualcuno! - Mi toccò un braccio parlando.

Annuii anche se un po' restia.

Ovviamente mi scroccò mezza pizza, poi.


 

Sbuffai scendendo dalla macchina di Parker, su cui ero salita solo col chiaro proposito di far sprecare benzina a lui. Non che potesse importargliene poi molto ...

Avevo scritto a Francy durante il viaggio che avevo passato nel totale silenzio. Le avevo spiegato brevemente e lei continuava a chiedermi, sconvolta, perchè Parker fosse rimasto a dormire. E me lo chiedevo anch'io.

Io mi ricordavo vagamente di aver guardato, ascoltato e un po' riso per i video. Probabilmente poi mi ero addormentata. Ero stanca morta e la musichetta era diventata sempre più bassa e Parker e la sua voce calda e bassa avevano contribuito a mandarmi nel paese dei sogni.

Ma lui avrebbe potuto benissimo andarsene. Soprattutto visto che era così comodo ad entrare in casa mia tranquillamente, senza bisogno che gli dicessi qualcosa.

Parker mi guardò, mentre chiudeva la macchina e lo affiancavo. - Ce l'avrai a morte con me per tanto tempo? - Mi chiese, sorridendo e infilando le mani nelle tasche della felpa.

- Ce l'ho sempre a morte con te. E nemmeno questa volta potrei evitarlo: è colpa tua - gli ricordai acidamente. Ma stavo per avere una piccola vendetta, almeno.

Che i rapporti tra me e Parker si basassero su torto, vendetta, torto e vendetta era molto inquietante.

Sbuffò roteando gli occhi al cielo. - Tu ti sei addormentata sulla mia spalla e se provavo a spostarmi ti lamentavi, quindi sono rimasto lì un po' e mi sono addormentato anch'io alla fine, per sbaglio - spiegò lanciandomi un'occhiata accusatoria.

Mi accigliai. - Ah, sarebbe colpa mia se ti eri intrufolato in casa e non volevi andartene?!

Alzò le mani in segno di resa e aumentò il passo verso l'entrata del Mall. Lo inseguii e continuammo a bisticciare, entrando nel supermercato della città, investiti dalla calda aria dei climatizzatori.

La struttura era a tre piani, collegati da scale mobili che partivano in modo imponente dal piano terra, davanti all'entrata e davanti a una grande fontana, circondata da panchine, dipinta di un azzurro che spiccava in modo particolare sulle pareti arancioni e gialle. La fontana in particolare richiamava un ambiente molto simile a un parco. Parco che tra l'altro mancava alla città, se non venivano considerate quelle due chiazze d'erba vicino al centro.

Tornando al Mall, io cercavo di entrarci il meno possibile, soprattutto perchè lì dentro uno poteva perderci un'intera giornata per poi uscire frastornato, chiedendosi cosa avesse appena fatto durante tutte quelle ore, e di solito avevo di meglio da fare; il risultato era però che non ero molto pratica di quell'edificio, al contrario, probabilmente, di Max Parker.

- Andiamo a vedere? - Mi chiese quindi, sorridendo leggero e tornando ai suoi soliti ghigni divertiti.

Annuii guardandomi attorno, pensierosa e dubitando seriamente sul fatto che avremmo trovato qualcosa.

- Forse era meglio se andavamo in centro invece che qua - dissi. - Per il weekend assumono più che altro nei ristoranti e nei bar ... - Anche se in centro non avrei mai potuto attuare la mia vendetta, per cui avevo il materiale nella borsa.

Lui mi fece un cenno con la mano, come a darmi semplicemente torto, ed entrò in un negozio.

Era un normale negozio di vestiti e Parker andò spedito verso la cassiera. Dovetti rincorrerlo.

- Scusi, salve! - Disse il Disastro, attirando lo sguardo della giovane donna, impegnata a limarsi le unghie. Quella alzò lo sguardo e quando vide Parker sbatté gli occhi sorpresa.

Io mi misi di fianco a lui e lo fulminai. - Faccio io, non ho bisogno della mamma!

Parker ricambiò l'occhiataccia. - Invece sì!

- C-cosa vi serve? - Chiese la bionda, mollando la limetta.

- Mia sorella - cominciò, indicandomi. Perchè certo, eravamo due gocce d'acqua. - Sta cercando un lavoro, al weekend, sabato e domenica, e volevamo sapere se qua avete un posto, qualsiasi cosa! - E sorrise subito dopo, facendo arrossire la bionda.

Che la gente confermasse di continuo la sua teoria di abbagliare col suo fascino mi deprimeva.

- Oh ... Ah! - Fece la commessa riscuotendosi, dopo la serie di versi. - Purtroppo non abbiamo niente ... - Disse dispiaciuta, guardando me e poi Parker. Sembrava perplessa e probabilmente stava cercando una qualche, ma inesistente, somiglianza.

Sospirai, perchè tanto lo sapevo. - Grazie comunque.

Parker fece una smorfia e senza degnare di altra attenzione la commessa si allontanò dalla cassa.

- Ho sprecato uno dei miei bellissimi sorrisi per niente! - Si lamentò, scuotendo la testa, uscendo.

- Povero, cucciolo! - Commentai ironica.

- Cucciolo? - Lui sorrise divertito e poi andò nel negozio di fianco.

- Fai parlare me! - Gli urlai correndogli di nuovo dietro.

- No, sorellina! Dpaventi la gente! E se stai indietro e non ti fai vedere, pensano che stia cercando io lavoro e mi dicono che hanno posto! - Mi spiegò convinto, a bassa voce, bloccandomi. Ma ci credeva?! - La gente bella vince sempre! - Continuò.

- Parker ...


 

Avevamo finito tutto il piano terra e tutto il primo piano.

Parker cominciava ad avere forti crisi esistenziali, perchè il suo “fascino” non funzionava ed io evitavo di spiegargli che trovare un lavoro non era poi così semplice.

- Adesso? Saliamo all'ultimo? - Mi chiese. Aveva una smorfia strana da un po' di tempo e sembrava essersi imbronciato: cominciava a rompersi, ma i sensi di colpa per quello che era successo quella mattina sembravano vincere. Strano.

Annuii, cercando di trattenere un sorriso e mettendo piede sulle scale mobili.

Anche in quel modo mi stavo vendicando, ma per la vendetta ufficiale serviva un negozio dell'ultimo piano.

Non avevo infatti dimenticato la storia della scommessa. Parker mi doveva una foto imbarazzante e, per ovvie ragioni, ero particolarmente ispirata, in un delizioso modo molto sadico.

Parker non ci fece caso, ma quando arrivammo al piano di sopra vide ovviamente quello che guardavo io.

Rise sonoramente. - Gray, negozio di intimo! Ti ci vedo a lavorare lì - disse sfottendo.

Il primo negozio che si vedeva, appena scesi dalle scale mobili, era infatti il piccolo Victoria's Secret.

Ignorai il fatto che stesse cercando di offendermi per rispondere quello che avevo già pensato in macchina: - No, però, sai, dovrei prendere un nuovo reggiseno ... - Dissi, distrattamente, in un modo disinvolto che non pensavo sarei mai riuscita ad usare.

In Parker si accese il campanellino che avevo immaginato. Vidi, fingendo di non guardarlo, il suo sguardo che passava da divertito a fintamente disinteressato. Per la prima volta nella mia vita mi ritrovai a sfruttare le mie tette e mi ordinai mentalmente che fosse l'ultima per il resto della mia esistenza. - Ah sì? - Chiese con tono piatto. - Se vuoi ti aiuto a scegliere! - Propose, cercando di non ridere e aspettandosi che lo offendessi subito dopo.

- Ma sì, dai! - Risposi sorridendo. E no, non ero impazzita e no, non volevo assolutamente provare reggiseni davanti a Parker.

Parker che sembrò mezzo sconvolgersi a quella risposta e io, ridendo, entrai nel negozio.

C'era un po' di gente a tenere occupate le due commesse, parecchio indaffarate visto che c'erano cinque clienti in cerca d'attenzione, ed era perfetto.

- Gray, cominci a starmi particolarmente simpatica, sai? - Fece Parker appena mi raggiunse, sorridendo. A cosa stesse pensando non lo volevo sapere. Trattenni lo sguardo scettico. Poi, volendo sfruttare i camerini finchè erano vuoti mi avvicinai ai completini velocemente.

Cercai qualcosa di rosso tentando di non ridere.

Trovai dei reggiseni rossi, con pizzo, molto sexy. Guardai Parker che mi fissava con le sopracciglia sollevate e un sorriso allegro trattenuto.

Abbassai lo sguardo sul suo petto.

Una quinta, forse. Cercai una quinta.

- Sai adesso, cosa faremo, Parker? - Chiesi divertita, avvicinandomi anche a un vestitino da notte, rosso, leggero, che si intonava perfettamente col reggiseno.

- Cosa? - Chiese con una voce sinceramente interessata.

Risi, non credendo sul serio che mi stesse dando corda, e andai verso i camerini. Le commesse non ci notarono nemmeno.

Lui mi seguii, ancora non capiva ed era un idiota.

Andai verso l'ultimo, abbastanza nascosto dalla cassa. Raggiuntolo, mi fermai e, sorridendo, lo presi per un braccio e accennai a spingerlo dentro. Per la prima volta, in tutte quello che avevo provato io a spostarlo, ci riuscii. Si mordicchiò le labbra entrando, forse trattenendo una risata o pensando.

Fu bellissimo così passargli il reggiseno e il vestito da notte. - Ti ricordi di una certa foto imbarazzante?

Il suo sorriso sparì. - Dio mio, che stronza! - Mi urlò scandalizzato e facendo per uscire.

Risi mettendomi in mezzo. - No, Parker! Una scommessa è una scommessa!

- Non puoi chiedermi sul serio di conciarmi così! - Abbassò però la voce, assecondando la mia necessità di non farci cacciare.

Scossi la borsa che mi ero portata dietro, facendo sentire un leggero suono. - Ho i trucchi! Non sarai così poco presentabile, tranquillo!

Parker respirò profondamente, fulminandomi.

Io, vittoriosa, chiusi meglio la tendina del camerino. Nel caso si fossero avvicinate delle commesse sarei entrata. Agganciai il completino dentro, al gancio di fianco allo specchio.

Lui, guardandolo malissimo, si tolse la felpa con un gesto secco, facendola scivolare sulle spalle e lasciandola cadere per terra.

Mi resi conto che si sarebbe di seguito dovuto togliere la maglietta, cosa di cui, per qualche motivo, non avevo tenuto conto, e lo vidi farlo tranquillamente: portò le mani ai bordi della maglietta e la pelle scoprirsi in un attimo.

Non volli guardarlo e mi sporsi all'indietro, osservando distrattamente il corridoio dei camerini.

- Si, vabbè, ma non riesco a chiuderlo - si lamentò dopo alcuni secondi.

Dovetti girarmi per forza e, abbassando lo sguardo solo fino al petto, stetti già male. Il reggiseno per la sua circonferenza era troppo piccolo.

- Mettiti solo le spalline, tanto devi indossare l'altra cosa e non si vedrà che non si chiude - feci cercando di ridacchiare tranquillamente, ma sentendomi sempre più a disagio. Io, che avevo la vittoria e la possibilità di umiliarlo.

L'occhio mi cadeva più in basso, ma evitai con forza di farlo focalizzandomi solo sul suo viso.

Fece una smorfia, eseguendo ciò che gli avevo detto. Risi, cercando di ottenere di nuovo il controllo, trafficando dentro la borsa e prendendo le due pagine di giornale che avrei accartocciato e infilato nelle coppe del reggiseno.

- Sei malata - mi offese, tagliente.

Io scoppiai a ridere e, cercando di ignorare le sensazioni di prima, entrai dentro il camerino e cominciai a infilargli la carta. - Non saresti sexy sennò! - Gli sfiorai per sbaglio la pelle lievemente abbronzata, sentendolo bollente come al solito.

Sbuffò, prendendo con una mano il robo rosso e infilandoselo. Io, sempre ridendo, lo aiutai a chiuderselo leggermente, con un piccolo fiocco.

Lo osservai, purtroppo per la mia salute mentale, per intero

Rimasi impassibile, ma intanto mi chiedevo perchè un giocatore di basket avesse quel fisico. Quanto si allenavano? Deglutii.

Anche con la roba che gli avevo dato da indossare rimaneva da stupro.

Oddio.

Evelyne.

L'avevo sul serio pensato?!

- Va bene? - Mi chiese scocciato e per fortuna non avendo notato niente. Cosa avrebbe commentato se avesse saputo cosa mi era appena passato per la testa?!

- Non ancora ... - Dovevo decisamente abbruttirlo, sennò le ragazze a scuola si sarebbero concentrate solo sul fisico. Mi chinai sulla borsa e presi fuori i trucchi.

Mi guardò scandalizzato. - Ma non stavi scherzando?!

- Ovviamente no - feci ammiccando.

Lui mi osservò stranito e, facendogli cenno di chinarsi un po', stappai il rossetto. - Pur di farti questa foto sto contaminando il mio rossetto - gli feci notare.

Mi fulminò portandosi al mio livello, parecchi centimetri più in basso. Gli fermai il mento con una mano, sentendo un accenno a barba sotto le mascelle, e sbuffò a quel contatto. Aveva delle labbra un po' sottili, ma piene, e si sentivano, come in effetti erano, morbide, mentre gliele coloravo di un bel rosso brillante, concentrandomi un attimo ad osservare la linea della parte superiore della bocca. Era definita e netta, bella.

Alzai lo sguardo verso i suoi occhi, appena ebbi finito, e il verde era intenso come sempre. I suoi occhi erano qualcosa di assurdamente destabilizzante. Mi sondarono, indecifrabili e forse mi perdetti un attimo. Ma ero sempre lì, anche nel riflesso della sua pupilla.

Cercai di distrarmi e, smettendo di guardarlo, presi dell'ombretto viola e, mordendomi le labbra per non ridere troppo, ne presi un po' con l'indice. - Parker, chiudi gli occhi! 

Infastidito eseguì.

Dopo ombretto, matita e molto, molto blush sulle guance Parker sembrava una dolce puttanella. Risi, cercando di non farlo troppo forte. Mi ero chiusa da un po' lì dietro con lui e in effetti le commesse potrebbero essere state vicine.

Parker si guardò allo specchio e ammiccò. - Mi scoperei!

Scossi la testa e gli porsi la mano. - IPhone! - Di certo faceva le foto meglio del mio telefono.

Si accigliò. - Devo addirittura darti il cellulare per la foto del crimine?! - Chiese socchiudendo gli occhi, sbuffando.

- Sì! - Mi sporsi per prenderglielo dalle tasche.

- Ti arrangi! Non era compreso nella scommessa - sbottò e si tirò all'indietro, finendo contro lo specchio e facendolo tremare pericolosamente.

Gli feci cenno di stare zitto, irritata, e provai a prenderglielo di nuovo.

- Il mio iPhone è l'unica cosa che amo, via! - Con una mano cominciò a spingermi lontano, per la fronte.

Mi arresi e mentre tiravo fuori il mio di cellulare e Parker sorrideva vittorioso - con il rossetto rosso era anche abbastanza comico - mi resi conto che rovinando la faccia, in parte, perchè continuava a sembrare un bel ragazzo sotto il trucco, avevo messo più in risalto il petto glabro, la leggera linea che delineava i muscoli allenati e il ventre, al cui centro, avvicinandosi ai jeans, si notava una leggera e chiara peluria. Mi persi un attimo a guardarlo.

Alla fine rimisi il cellulare al suo posto.

- Che altro c'è? - Chiese iniziando a scocciarsi - e continuando, fortunatamente, a non notare le mie occhiate, - stava facendo la stessa cosa da troppo tempo, povero, dovevo capirlo! - E come farò a togliermi 'sta roba dalla faccia?!

Lo ignorai, chinandomi verso la borsa e prendendo fuori una matita per gli occhi. Speravo bastasse. - Posso disegnarti della roba nera sulla pancia? Stile peli scuri e robe del genere? - Chiesi, convincendomi più, mentre lo dicevo, che fosse l'idea giusta.

Parker mi guardò come se fossi stata pazza. - No - rispose, dopo un attimo di silenzio, con la smorfia che aveva sempre quando gli chiedevo qualcosa.

Mentre lottavamo, io brandendo la matita come se fosse stata un coltello verso la sua pancia e lui cercando di bloccarmi e finendo continuamente contro lo specchio, la tendina si aprì di colpo.

Il suono secco con cui lo fece fu orribile.

Parker si drizzò all'improvviso, mentre io mi girai lentamente, in parte chinata e forse in modo equivoco.

Una donna, con dei capelli molto, molto ricci, corti e una pelle scura e bella ci guardava, con gli occhi neri e grandi, in modo perplesso.

Non l'avevo vista tra le commesse all'entrata e mi chiesi chi fosse.

- Cosa state facendo? - Chiese guardando me, la mia matita e poi squadrando Parker.

Guardando quest'ultimo non sapevo che cosa potesse star pensando. Truccato come una drag queen, maglietta e felpa buttate per terra, un reggiseno imbottito con dei giornali e il vellutato vestitino sexy da notte che gli ricadeva leggero sui fianchi. Addominali e V in bella mostra. Non avevo sul serio idea di quello che potesse pensare.

- Stavo aiutando il mio amico a trovare qualcosa anche per lui - risposi in fretta.

La donna tornò su di me con lo sguardo. - Ah - fece e poi tornò su Parker. - Hai scelto il colore giusto per lui - commentò, incrociando le braccia e appoggiandosi all'entrata del camerino.

Guardai Parker che mi lanciava sguardi preoccupati e in parte minacciosi. Tossicchiò e si chiuse un po' di più il vestitino, in uno strano modo pudico che mi fece quasi ridere.

- E' una delle commesse? - Chiesi, ridacchiando e vedendo che non se ne andava.

Lei scosse la testa. - Sono la dirigente. Sono uscita adesso dal magazzino - fece accennando a dietro di lei. - E ho sentito molto chiasso qua dietro e ho voluto un attimo controllare.

Volli sotterrarmi dalla vergogna. Mi sfiorai il collo a disagio.

- Ah! - Colse subito Parker la palla al volo. - La mia amica vorrebbe lavorare qua e per fare pratica mi stava aiutando! - Disse cercando anche, in modo osceno, di rendere la voce più acuta. Se pensava così di sembrare gay era messo abbastanza male.

Ma decisamente cercare un lavoro dopo essere stati beccati in quel modo non era un'idea da persona normale. - Non credo che ... - Cominciai.

- Al weekend in effetti avrei bisogno - fece quella là, guardando pensierosa Parker. - E mi piace davvero la roba che hai scelto per lui!

- Sono sexy col rosso e qualcuno l'ha capito, finalmente! - Commentò Parker, giocherellando col vestitino e rendendo la voce sempre più oscena.

Mi vergognai di aver solo detto che eravamo amici ...


 

- Ringraziami - ordinò Parker, spostandosi dei ciuffi all'indietro, nel suo solito modo.

Eravamo nel bagno delle donne del Mall.

Non sapevo come, ma ci eravamo arrivati senza nemmeno tanta fretta e Parker non aveva beccato nessuno di sua conoscenza.

Se fossi stata un uomo con rossetto, ombretto viola e guance rosse come ciliegie, mi avrebbe come minimo filmato la televisione locale.

Lui no.

Ma il karma un giorno avrebbe punito anche lui, vero?

Feci una smorfia, continuando a provare a togliergli l'ombretto. Odiavo al tatto la sensazione della carta igienica leggermente bagnata, ma per provare a struccare non avevo di meglio.

- Gray!

Sbuffai. - Grazie - ringhiai. - Grazie anche se mi hai fatto licenziare stamattina, certo.

Però la sua buffonata da gay, mal riuscita perchè la voce acuta era un'esagerazione stereotipata, e quella dirigente fin troppo strana che aveva apprezzato, ma sul serio, la mia scelta per l'abbigliamento, l'avevano spinta ad assumermi per il weekend, con uno stipendio migliore di quello da Houdson.

Nel camerino, quando la dirigente ci aveva lasciato, avevo anche convinto Parker a farsi fare peli e foto.

Parker di lato con il vestitino svolazzante e un dito verso la bocca.

Aveva probabilmente esagerato apposta perchè così, pubblicata, la foto non sarebbe stata presa sul serio ed era quindi poco umiliante. Relativamente, pensai ridendo.

E la soddisfazione di metterla senza censura mi bastava.

Sorrise e aprì l'occhio che non stavo tormentando. - Ah, Gray - mi chiamò ancora.

Finii di pulire e poi lo guardai spingendolo a continuare.

Eravamo chiusi dentro uno dei bagni. Lui appoggiato contro la porta e leggermente chinato al mio livello, io in punta di piedi. A volte stanca mi sostenevo, appoggiandomi al suo braccio. Di pulirgli la pancia mi ero rifiutata e avrebbe fatto da solo.

- Di questo mi ricorderò.

Torto, vendetta, torto, vendetta, torto e ci sarebbe stata un'altra vendetta?

Risi. - Lo so.

Forse sì.

Ma mi importava solo che quella giornata da orribile, subito dopo essermi accorta dell'orario, fosse passata a decisamente ottima, seppur in un bagno a pulire Parker.


 


 

*Angolo autrice:

Salve a tutte! :)
Evelyne si era dimenticata, a parte di cacciare Parker, di mettere la sveglia. In due l'avevano capito :D
Il capitolo è leggero e mostra la giornata di Eve con Max, da appena sveglia, da arrabbiata per tutte le conseguenze che ci sono state, per quella sua visita, e mentre la aiuta. Non è niente di che e anche nel complesso non è che mi convinca poi tanto ma è un capitolo un po' di transito e boh . . . Di meglio non riuscivo a fare, questa volta, ma spero che vi piaccia. :)

Il prossimo capitolo in compenso, già scritto, a me piace :D
Passeremo a Febbraio, San Valentino e il giorno dopo San Valentino. Il secondo giorno Kutcher ha organizzato una festa e beh, vi lascio uno spoiler:


 

Mi inumidii le labbra e senza pensarci molto mi aggrappai alla maglietta scura. E la sollevai scoprendo piano la pelle di Parker.”


Quanto mi sento sadica.
Cosa sta accadendo? Idee, supposizioni :D? AHAHAHAH


Alla prossima! <3


Josie.

   
 
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