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Autore: cartacciabianca    07/12/2012    8 recensioni
Mar dei Caraibi, 1778. La Welcome con a bordo i rifornimenti per l’Esercito Continentale ha un giorno di vantaggio sull’Aquila e il suo equipaggio. Connor è più determinato che mai a riportare indietro il carico di approviggionamenti rubati ai ribelli, ma la sua determinazione vacilla quando il segugio selvaggio lascia il posto al ragazzo cresciuto nella Tenuta di un uomo che non è suo padre, col quale è invece destinato a scontrarsi.
- Mi parli di dignità e di rispetto, quando probabilmente anche questa nave, - batté con violenza una mano sul legno, - ne ha più di te. -
- Per me va bene, - disse Haytham allargando le braccia. - Anche qui, subito. Che problema c'è? Non siamo mica nel bel mezzo di una Guerra Civile, e non siamo assolutamente sulla rotta di una pericolosa mina vagante per i nostri scopi. Noooo! Già, che fretta c'è? Sediamoci, parliamone! Vuoi che ti racconti di tua madre? Di quant'era bella e dolce? Di come ci siamo conosciuti? Oppure vuoi la favola che ti avevo promesso? Su, avanti! Scegli il libro dallo scaffale mentre ti sprimaccio il cuscino! -

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SPOILER AC III sequenze 9 e 10, con l'aggiunta di qualche missione secondaria :)
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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_Terza parte

Il cappello










 













Eravamo a Kingston, senza più né cibo né acqua da due settimane. Dopo un viaggio transoceanico di due fottutissimi mesi, la nostra nave dei rifornimenti era stata predata e affondata dai pirati a nord dell'Isola della Sentinella, a neanche una lega di mare dal forte, e la corrente aveva trasportato i detriti fin sulla spiaggia, sotto ai nostri occhi. Due di noi si erano buttati in mare il giorno seguente con una piccola vela per raggiungere le Isole Vergini, e lì supplicare la colonia madre di aiutarci, ma non avevano fatto più ritorno. Succhiavamo le palme, da due settimane, e mangiavamo le loro foglie pur di non sbranarci a vicenda. Una notte che ero di ronda approdò sulla spiaggia una scialuppa. Diedi subito l'allarme ed io e alcuni dei miei ci precipitammo giù dalla scogliera. Erano un gruppo di ufficiali inglesi, sfuggiti ad un assalto dei pirati al largo di George Town. Avevano vogato tutta la notte dopo aver costeggiato metà del nostro arcipelago e ci chiesero asilo politico. Quando, dopo averli condotti al forte, spiegammo loro la nostra situazione in quanto a provviste, si spaventarono a tal punto che la notte stessa due di loro si impiccarono. Il terzo lo trovammo la mattina dopo, riverso sulla spiaggia e con un buco in testa. Poveretti, se solo non avessero avuto tanta fretta di andarsene… Quel pomeriggio una fregata inglese comparve all'orizzonte e rispose alle nostre segnalazioni di soccorso. I corpi dei tre ufficiali furono caricati sulla Elisabeth e a Fort George noi vivi fummo trattati peggio di loro, dato che eravamo stati incolpati ingiustamente della loro morte. Passammo ben tre notti in cella come prigionieri di guerra e poi ci divisero. Alcuni ai mercati di schiavi, altri ai lavori forzati: fatto sta che gli inglesi non buttano niente. Per quanto mi riguarda seppi di essere stato comprato dal capitano di una mercantile indipendente che stava mettendo insieme una ciurma…
 

- Costui era Robert Faulkner, venuto a raccogliere la mia anima con la paletta. Devo tutto a quell'uomo. -

- Ancora racconti questa storia, Pinn? - commentò qualcuno.

- Sei sempre il solito guastafeste, Anson! - ribatté un altro. - Io l'ascolterei mille volte. È anche la storia di metà di noi, qui dentro. -

- Già, e l'altra metà, Davidson? Che fine ha fatto te lo ricordi, sì? -

Il nostromo Delroy Davidson, uomo tutto d'un pezzo, si alzò all'improvviso dalla cassa di corde e balzò a tanto così dal compagno, stringendo i pugni. - Cristo Santo, sono passati quasi otto anni, Bernard. Se hai ancora dei rimorsi, vai a sbattere la tua ingratitudine in faccia a qualcun altro. Al capitano, magari, ma scommetto che non hai le pall… -

- Zitto, Delroy. C'è la principessa, - lo ammonì un quarto uomo.

Il corridoio ripiombò nel silenzio quando Haytham lo attraversò, quasi di corsa, senza incrociare gli occhi dei marinai e puntando dritto al boccaporto per il ponte. Ma non dovette neppure salire metà scala prima di scontrarsi con suo figlio che la scendeva con altrettanta fretta.

- Devo controllare un vecchio acciacco nelle paratie di poppa, - disse il nativo. - Fammi passare. -

- Da quando in qua il Capitano fa su e giù per la nave? Perché non lo chiedi a qualcuno di quegli scansafatiche di controllare le paratie? Sempre che tu non vada predicando l'uguaglianza, il libero arbitrio e la totale anarchia anche tra queste mura. -

- Scusami tanto se non sono come te, - disse Connor unendovi un sorriso esagerato.

- Al timone? -

- Faulkner. -

- Ed è decisamente un sollievo. L'idea che un appena ventenne portasse trenta tonnellate di legno sull'acqua con me dentro cominciava a… -

Connor lo superò, scostandolo bruscamente per continuare la discesa.

- Perdonami, - obbiettò Haytham, inseguendolo. - Forse me lo sono immaginato, ma… mi hai appena dato una spallata? -

- Sì, - rispose Connor senza voltarsi. - E te lo sei meritato. -

- Ohohoho! Ma sentilo! Tu non istighi la mia collera. Tu la implori! E ti avverto: non l'avrò anche fatto per vent'anni, ma posso diventare benissimo il genitore cattivo che mi stai chiedendo di essere. -

- Certo, perché comandare a bacchetta e pretendere di poterlo fare su di me anche adesso ti farebbe sentire davvero importante! -

- E immagino che comportarti in questa maniera a te faccia sentire più grande! Alla tua età avevo il doppio delle tue responsabilità e le gestivo con la metà della fatica e molto più dignitosamente. -

Avendo attraversato il corridoio della sottocoperta gridando come dei matti, sotto lo sguardo ammutolito dei membri della ciurma che si scambiavano occhiate eloquenti, qualcuno aveva già aperto le scommesse.

- Ah! - se la rise Connor istericamente, facendo irruzione nella cantina di poppa in cui trafficavano due marinai che appena li videro scattarono come trappole, e intanto lui continuava, come un fiume in piena, a correre verso la foce: - Tutto quello che ti ho chiesto era di mostrare un po' di rispetto per mia madre, che si è fidata di te a tal punto da… - ma si interruppe, scuotendo la testa per scacciare un pensiero. - E adesso mi parli di dignità e di rispetto, quando probabilmente anche questa nave, - batté con violenza una mano sul legno, - ne ha più di te. -

- Per me va bene, - disse Haytham allargando le braccia. - Anche qui, subito. Che problema c'è? Non siamo mica nel bel mezzo di una Guerra Civile, e non siamo assolutamente sulla rotta di una pericolosa mina vagante per i nostri scopi. Noooo! Già, che fretta c'è? Sediamoci, parliamone! Vuoi che ti racconti di tua madre? Di quant'era bella e dolce? Di come ci siamo conosciuti? Credo che tu lo sappia già. Oppure vuoi la favola che ti avevo promesso? Su, avanti! Scegli il libro dallo scaffale mentre ti sprimaccio il cuscino! -

Suo padre aveva perso le staffe.

Ma al bicchiere mancava ancora una goccia.

- Impugni le armi, porti una nave e ogni tanto ti esce anche una bella parola, ma sei rimasto un bambino, figlio, e il tuo atteggiamento con me ne è la prova inconfutabile. -

Eccola.

Di colpo Connor si tolse il capello e lo lanciò da una parte. Poi slacciò le cinghie, una ad una, e si sfilò la giacca, che raggiunse il cappello insieme alle armi e al resto dell'equipaggiamento. Infine, scrocchiandosi le nocche al centro della stanza, aspettò che suo padre accettasse l'invito, perché adesso quella sensazione aveva tanta voglia di buttarla fuori dalla sua nave a calci nel sedere.

Haytham lo fissò, a lungo e con la bocca aperta come se l'ennesima replica gli fosse morta in gola, sembrando non capire, ma una folla di spettatori autoinvitati si stava già lentamente e inesorabilmente radunando, disponendosi in religioso silenzio attorno a loro.

- Mi stai… sfidando? - domandò il Templare in appena un sussurro.

Connor sogghignò. - Keegan, - chiamò.

- Sì, capitano! - rispose un membro della ciurma facendosi avanti.

- Qual era quella cosa che odiano gli inglesi? -

- Le dita dell'arciere, capitano! -

Il nativo sollevò la mano destra, con il dorso nella direzione di suo padre e le due dita alzate.

Da qualche parte volò un fischio.

Haytham rise. - E quello come lo conosci? -

- Esperienza personale. -

- Sai cosa significa? -

- Perché non vieni a dirmelo più da vicino? -

Fioccarono le prime risate di visibilio e qualche altro fischio.

Le dita dell'arciere erano un gesto provocatorio di borgata ma molto diffuso in patria e adesso anche nelle colonie. Traeva spunto dalle antiche guerre medievali tra francesi e inglesi, quando i primi, spaventati dalla bravura degli arcieri anglosassoni, usavano tagliare quelle due dita ai prigionieri affinché non potessero più usarle per scoccare.

L'attesa di poter ufficializzare l'incontro si era protratta abbastanza, e la tensione era al massimo quando Haytham, lentamente, si tolse il cappello.

- Vuoi proprio che ti dia una lezione… -

- Chiamala come ti pare, ma io non ce la facevo più, - disse Connor scaldandosi le spalle.

- IL CAPITANO FA A BOOOOOOOOTTE! - gridò Barclay con ancora i tamponi nel naso ma in preda all'euforia.

E la ciurma al completo rispose: - YEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEH! -
 

- Per tutte le sirene! -

Quando Faulkner sentì arrivare quell'ovazione sovraumana non poté trattenere un sobbalzo e per un attimo il timone gli scivolò dalle mani. Lo riacciuffò senza conseguenze, ma il suo vecchio cuore aveva perso almeno un paio d'anni.

- Little Danny! - chiamò, poiché si era accorto solo ora e forse troppo tardi di essere rimasto con soli tre uomini sul ponte. - Ehi, Danny! Little Danny! -

- Eccomi, signore! - rispose il ragazzo affacciandosi dalla coffa.

- Fa' scivolare le tue chiappe da bambino giù per l'albero maestro e va' a vedere che diavolo sta succedendo sottocoperta! -

- Ma io non ho sentito niente, signore! -

- Fa' come ti dico, ragazzo! -
 

Non lo deviò in tempo e il pugno di suo padre gli arrivò in faccia, facendolo piegare da un lato, e subito dopo Haytham lo raddrizzò con un calcio allo stomaco e poi lo colpì di nuovo alla testa nell'attimo di un respiro, sbilanciandolo all'indietro. Connor cadde su un gruppo di casse e il marinaio Davidson gli si inginocchiò accanto.

- Tutto bene, capitano? - chiese asciugandogli il sudore sulle tempie con una pezzetta tirata fuori dal taschino del panciotto.

- Oh, sta benone, - intervenne Haytham attendendo che il suo sfidante si rimettesse in piedi, - lo stile del vostro capitano è rozzo e prevedibile a tal punto da riuscire a respingerlo senza fargli troppo male. Ma qualcosa mi dice che non ne ha avuto abbastanza. -

Connor gli scoccò un'occhiata di braci tamponandosi il labbro spaccato con due dita. Alla vista del sangue strinse i denti, si alzò serrando i pugni e scansò Delroy Devidson per raggiungere suo padre in due falcate e mezza di gambe. Haytham sollevò la guardia attorno al volto, preparandosi a deviare il colpo, ma non poté nulla quando suo figlio gli si scagliò addosso con la potenza di un toro, circondandogli la vita con le braccia. Dietro di loro la folla si aprì con un'ovazione per lasciarli passare e insieme i due sfidanti affondarono in un gruppo di casse vuote che implosero in centinaia di pezzi.

- Questa l'ho sentita, - digrignò Haytham, scansandosi qualche frammetto di legno dalle spalle dopo che Connor l'ebbe liberato. - Ma non sapevo che avessi cambiato le regole, - commentò con una nota amara e rimettendosi in posizione.

- Regole, padre? - chiese il nativo allargando le braccia. - Non ricordo di averle mai stabilite! -

Chiassose risate rimbombarono nella sottocoperta e ben oltre.

- Se avevi in mente una rissa da locanda bastava dirlo. -

- Volevo che fosse una sorpresa! -

Connor tentò di sfondare la sua guardia, ma Haytham fu doppiamente rapido nello schivare e poi nel rispondere puntando al fianco scoperto dell'altro, che si era banalmente esposto a quel colpo da manuale.

- Almeno tieni a mente, figlio, che io ho intenzione di giocare anche con le regole. -

Haytham partì all'attacco subito dopo, ma questa volta il ragazzo lo placcò in tempo, prendendo il controllo del suo braccio e colpendolo alla mascella con il pugno libero all'andata e il gomito dello stesso braccio al ritorno. Haytham barcollò e questo gli presentò l'occasione d'oro per intraprendere una sequenza inarrestabile, che terminava con una ginocchiata alta… ma suo padre sembrò risvegliarsi all'improvviso dal torpore dei sensi e riuscì ad imprigionargli la gamba nella propria, per poi mandarlo disteso sulle assi del pavimento con un semplice sgambetto.

Un'ovazione di stupore attraversò la stiva.

Connor si rialzò una frazione di secondo più tardi e come vide arrivare le nocche di suo padre si scansò, per poi afferrargli il braccio nuovamente senza deviarne la traiettoria, usarlo come una leva e finalmente, dopo aver costretto il Templare a piegarsi, assestargli all'altezza dello sterno quella ginocchiata che gli era stata negata.

La ciurma esultò.

Infine accompagnò il corpo di Haytham a terra con una capriola e solo allora il capitano lo liberò, rimettendosi in piedi per ammirare la sua opera, riprendere fiato e forze.

- Ben fatto, comandante! - strillò il cannoniere Rowan Beckett.

- Spettacolare, signor Kenway! Davvero degno del vostro rango, - si congratulò il fedele nostromo.

- Signor Davidson, a chi vi state riferendo? Anche l'altro sfidante è un signor Kenway, - bofonchiò Connor, diffondendo tra la ciurma una risata contagiosa.

- Suonategliele ancora, capitano! - chiese Barclay, sgolandosi e con la solita bottiglia in mano.

Connor riscaldò un altro po' le giunture.

Haytham nel frattempo si era sfilato anche il panciotto, che lo aveva rallentato a sufficienza, rimanendo solo in camicia di cotone, pantaloni e stivali. - Hai sentito? Dobbiamo tenere vivo l'interesse, - sghignazzò arrotolandosi le maniche sopra i gomiti.

- Penso che da quando sei su questa nave, padre, quello non si sia mai abbassato. -

- Non dirmelo! - fece con finto stupore. - Forse perché metà della tua ciurma non viene pagata abbastanza per spaccarsi la schiena dall'alba al tramonto senza neppure uno spettacolino serale! -

- Non azzardarti a dare a quest'uomini dei mercenari! - ruggì Connor. - Ciascuno di loro ha scelto dignitosamente di seguire un grande uomo che ha scelto a sua volta di seguire me! Sei tu quello che preferisce circondarsi di pecore come Hickey o Church, a quanto pare, assuefatti dal puzzo del denaro e di ciò che può offrire, facilmente tentati dal voltarti le spalle per il miglior offerente! Perciò non hai motivo di essere sorpreso del trad… -

Haytham dimezzò la distanza tra loro in un battito di ciglia e lo colpì dritto in faccia con un gancio destro poderoso. Connor barcollò vertiginosamente, e mentre qualcuno alle sue spalle lo afferrava sotto le ascelle per accompagnarlo a terra, Haytham avanzò fino ad inglobarlo nella propria ombra, sovrastandolo con tutta la sua figura.

- Non ti ho offerto questa tregua per sentirti incriminare i miei uomini, - cominciò il Templare sedendo sui talloni. - Thomas era una testa calda, parlava spesso a sproposito e non era certo un filosofo, ma credeva nella gloria che gli avevo promesso e ne assaporava un pezzetto ogni qual volta portasse a termine un incarico. -

Connor si trascinò indietro su un gomito sfuggendo al suo sguardo, ma Haytham gli prese il mento tra le dita e lo costrinse a guardarlo negli occhi.

- Adesso sei tu, figliolo, a non avere rispetto per i morti. -

- Me l'ha detto lui. -

Haytham lo lasciò.

- Chi? -

Sentendosi l'occhio sinistro gonfio come un pallone, Connor si alzò in piedi.

- Hickey. Me l'ha detto lui che di tutti i grandiosi progetti dei Templari non gli è mai importato niente. Sono state le sue ultime parole: donne e buon bere. Quell'uomo era un contenitore, padre, un oggetto, la prova che ai Templari piace ingaggiare guerrieri bendati che spargono sangue senza distinzione, senza morale, e solo perché sono facili da controllare. -

La ciurma tratteneva il fiato e il silenzio si era fatto pesante quando un volto sbarbato si affacciò nella sala.

- Ehi, c'è little Danny! - esultò Barclay.

- Capitano, - si presentò il ragazzino, avanzando verso di lui. - Mastro Faulkner mi ha mandato a domandare cosa sta succ… -

La nave si inclinò bruscamente e metà dei presenti ruzzolò a terra, ma solo perché la metà di quella metà si era aggrappata alla prima cosa che gli era capitata a tiro, compresi braccia e teste vicine, generando un esilarante domino umano.

Haytham rotolò su un fianco e Connor gli scivolò addosso, finendo per spiaccicarlo a sua volta come una sardina contro delle vecchie casse.
 

Una raffica di vento li aveva investiti all'improvviso e lo scafo si era inclinato vertiginosamente. Robert dovette appellarsi a tutta la sua forza per tenere l'Aquila sulla rotta ed evitare gli scogli, che alla pallida luce dell'alba diventavano un tutt'uno coi riflessi e la spuma delle onde. Si stavano addentrando in quella risaia di pietra e sabbia che era l'Antinferno in mare per chiunque dovesse spostarsi da un capo all'altro delle Isole Vergini. Lì la colonia danese era ben attrezzata e più abile che mai, con i suoi vascelletti ad un albero e mezzo, ma se l'Aquila fosse finita contro quegli scogli, ai compatrioti di Pinn Lundberg non sarebbe certo dispiaciuto vedersi arrivare le loro provviste portate dalla marea.

- Oh, dannazione! - imprecò Faulkner. - Danny, chiama gli altri uomini! - gridò, ma non era certo che il ragazzino l'avesse sentito.

- Fox, Harold! Siamo solo noi tre, signorine! Ammainate quelle vele del diavolo e reggetevi forte! -

- Ma io sono un cannoniere, signore! - obbiettò uno dei due.

- Preferisci venire qui a tenere il timone e affrontare la collera del capitano quando saprà chi è stato a schiantare la sua nave contro quelle bocche di lupo, Harold? Fox, portati sù questo pisciasotto, per mille diavoli! -
 

- Nostromo! - urlò Connor, sovrastando il boato del vento e il sinistro gracidio del fasciame per farsi sentire, mentre Haytham scioglieva i loro corpi come un nodo inglese.

- Sì, capitano! - rispose Delroy Davidson emergendo da una calca di corpi.

- Conducete gli uomini sul ponte e riportateci in piedi, dannazione! -

- Sissignore! - esultò il marinaio, e dopo aver ritrovato il suo cappello, svuotò i polmoni nel fischietto di ottone che portava appeso al collo. - Avete sentito il capitano, razza di ubriaconi?! Lo spettacolo è finito! Al lavoro! -

La ciurma si riversò sul ponte come un'inondazione. Il piccolo Danny, alla testa della mandria, per non rimanerne travolto si arrampicò sul sartiame e tornò sulla sua coffa. Faulkner non poté che tirare un sospiro di sollievo, e in pochi minuti le sue manovre maestre e il fischietto di Davidson riportarono l'Aquila a vele spiegate e sulla giusta rotta.
 

Haytham appoggiò la schiena ad una colonna portante e scivolò a terra con un ginocchio piegato, deponendo sulla coscia stesa il gomito indolenzito che suo figlio gli aveva quasi storto e che ancora mandava qualche fitta, mentre lasciava cadere la testa un po' all'indietro, rilassava il collo e si permetteva di chiudere gli occhi.

Connor, dall'altra parte della stanza, si rannicchiò le ginocchia al petto seduto su un cono di cordame.

Sopra le loro teste, l'unica lanterna accesa in quell'ala della sottocoperta dondolava ancora dopo la brusca virata di Faulkner per raddrizzare la nave, e così illuminava ora il volto del padre, ora quello del figlio.

- Perché non vai di sopra ad assumerti le tue responsabilità e a mantenere le tue promesse? - lo canzonò Haytham nel silenzio della poppa, improvvisamente troppo larga senza più tutti quei marinai a scaldarla con le alzate di mano, i fischi e il tiro alle scommesse. - Abbiamo una nave da raggiungere. Un traditore da punire. Una Guerra… da vincere… - mormorò, poiché anche la voce di un bambino sarebbe stata fuori luogo in quella strana quiete.

Ma l'altro non rispose.

Haytham sospirò e riaprì gli occhi, incontrando quelli di suo figlio che lo aveva fissato fino ad allora attraverso la stanza.

- Sai, quand'ero piccolo venivo picchiato spesso… - cominciò il Templare. - Mio padre era molto severo e nelle famiglie nobili è tutt'ora uso comune imporre il proprio ego sui figli. -

- E la chiamate civiltà. -

- Oh, avanti, Connor! Due schiaffi raddrizzano le ossa, fanno sempre bene. Te li avrà dati anche tua madre, immagino. -

- No. -

- Ecco dove ha sbagliato, allora. Ad ogni modo… Al dolore quelli come noi si abituano in fretta e quando la pelle diventa d'acciaio, è fatta: ti senti invincibile, puoi ribellarti a chiunque… - disse guardandosi le mani.

- Mio nonno era un Assassino? -

Haytham sostenne il suo sguardo.

- Sì. -

E anche tu lo sei stato. Pensò Connor guardando per la seconda volta in un giorno l'insegna spezzata sul suo bracciale. Ma poi cos'è cambiato, padre? E perché?

- I tuoi pugni mi avranno pure fatto barcollare un po', ma li ho sentiti come pizzichi, te lo garantisco, - decantò Haytham.

- Pizzichi che ti hanno gonfiato un po' la faccia e fatto qualche livido, - lo schernì Connor alludendo subito dopo al gomito indolenzito dell'altro.

- Neanche il tuo occhio ha un bel colorito, se è per questo. Sai cosa sono i panda? -

Connor si strinse nelle spalle e scosse la testa.

L'inglese aggrottò le sopracciglia e la sua fronte si riempì di tante nuove rughe.

- Bel modo di presentarci a Church, ora che ci penso. -

Ratonhnhaké:ton accennò ad un sorriso.

- Ma non gli daremo il tempo di criticare le nostre facce… - mormorò Haytham stringendo i pugni e guardando a terra. Prima di averne una due volte peggiore.

- Hai intenzione di ucciderlo? -

Il Templare tornò a guardarlo come sorpreso da quella domanda. - Tu faresti lo stesso se i segreti del tuo Ordine fossero a rischio come lo sono adesso quelli del mio. Ma no, non lo ucciderò… non subito, almeno. Vivrà il tempo necessario per rimpiangere il suo tradimento. Ma tu, invece? Se dovesse scappare come è successo con quell'ufficiale, cosa… -

- Lo terrei lontano da te, questo è sicuro. -

Haytham scacciò l'argomento con un gesto della mano.

- Ma se Church non è più un Templare… - cominciò Connor guardandosi i palmi aperti. - Non lo so, - disse chiudendoli ben stretti da far sbiancare le nocche. - Voglio solo quei rifornimenti. -

- E li avrai, te lo prometto, - proferì Haytham con una nota velata nella voce più calda. - Chi ti ha addestrato? - gli chiese ad un tratto, tirandosi un po' su con la schiena contro la colonna.

Connor rise.

- Al tuo posto, padre, preferirei non saperlo, - gli suggerì mentre sfilacciava distrattamente un vecchio pezzo di corda.

- Perché poi dovresti uccidermi? - disse Haytham lasciandosi sfuggire un sorriso nella penombra.

"…dovrai ucciderli tutti."

Di nuovo Ratonhnhaké:ton non rispose, chiudendosi in un silenzio rigido come l'inverno, che gli aveva ghiacciato il volto ma, soprattutto, gli occhi.

"Anche tuo padre."

I loro sguardi s'incrociarono.

- L'hai sentito anche tu? - domandò il ragazzo.

Haytham aggrottò le sopracciglia. - Cosa? -

L'urlo di little Danny arrivò fin lì dalla coffa.

- Naaaaave in vistaaaaaaa! -

Connor gettò a terra il pezzo di corda e un attimo dopo lui ed Haytham attraversavano la sottocoperta quasi di corsa, rivestendosi con tanto di cappello e riallacciandosi le armi.
 

Il sole della tarda mattinata irradiava la baia caraibica le cui acque splendevano come una lastra di zaffiro. Un gruppo di gabbiani faceva placidamente il bagno sul pelo dell'acqua quando lo scafo dell'Aquila li costrinse ad abbandonare quella zona di corrente calda. A bordo la ciurma era operosa come un formicaio in estate.

Attraverso la lente del cannocchiale poteva vederlo chiaramente: nascosta dietro le moltitudini di banchine di scogli e strisce di terra, c'era la poppa di un vascello britannico.

- È la Welcome? - chiese Haytham.

Connor allontanò di colpo il cannocchiale dal viso e lo ripiegò con uno scatto secco. Si voltò e tornò verso il timone a grandi passi.

- Le insegne sono inglesi, ma è troppo lontana. -

- E cosa stai aspettando, che si aprano le acque? Fa' correre questa tinozza. Adesso! - sbraitò suo padre.

Mordendosi il labbro pur di non replicare, Connor salì alla postazione di comando due gradini alla volta. Faulkner si fece da parte per lasciargli il timone ed Haytham si sistemò come un gufo sulla sua spalla destra.

- Vi consiglio di tenervi ben saldo, signor Kenway, - lo ammonì Robert con il solito tono allegro. - L'Aquila non è una nave per il mare aperto e ha faticato molto per portarci fin qua; ma adesso, con tutto il vento che spira tra queste isolette, la vedrete volare. -

Haytham scoppiò in una fragorosa risata. - Mastro Faulkner, tra i marinai della Corona era diffuso un detto: conosci il capitano, e conoscerai le massime potenzialità della sua nave! Ed io diffido seriamente delle massime potenzialità di mio figlio, ora. -

- A tutte vele! - gridò Connor.

Robert Faulkner ripeté il comando e con una campanella Delroy Davidson celebrò la messa delle vele, che si gonfiarono con uno schiocco facendo spiccare il volo al rapace di mare.

Haytham dovette aggrapparsi alla balaustra con le unghie pur di non cadere all'indietro, ma il cappello non tardò a scivolargli via dalla testa. Fu il cannoniere Dorian Barclay ad afferrarlo al volo e a riportarglielo prima che finisse in acqua.

- Allora, capitano: come hai intenzione di portarci fin laggiù tutti interi? - domandò Haytham dopo aver ringraziato il cannoniere, spolverato il cappello ed esserselo rimesso in testa.

Una raffica di vento da domare impedì a Connor di rispondere e Robert Faulkner lo fece per lui:

- La via più rapida è uno stretto canale naturale proprio dall'altra parte di quell'isola, signor Kenway. -

- Ma così allungheremo la rotta e perderemo di vista la Welcome! -

- Temo che non abbiamo scelta, signore. -

- Connor, dimmi che c'è un'altra via. -

Ratonhnhaké:ton strinse i denti e le mani sul timone.

- No, padre, non c'è. Voglio le mezze vele! -

- A mezze vele, uomini! - ripeté il suo primo ufficiale.













 

























Angolo dell'Autrice
 

Quest'avventura termina ufficialmente qui.

Vi lascio senza grandi giri di parole, (Haytham e Connor ne hanno fatti abbastanza) ma con niente popo' di meno che la colonna sonora ufficiale della scena di combattimento tra padre e figlio.

http://www.youtube.com/watch?v=_dsA5jiukog&list=PL7kkLzWvoe9cJ-0dvPSS4FQyTBzDelp5i&index=21

E invece, per chi volesse struggersi per bene con le atmosfere del ponte, ecco il brano che mi ha fatto amare AC III fin dai primi respiri con Haytham <3

http://www.youtube.com/watch?v=f05GRPzSCtk



Ora, brevemente, volevo chiarire alcuni punti.

I due generi scelti per questa storia sono: comico e introspettivo.

Bene. Sul comico avrei qualcosa da ridire per il semplice fatto che quando ho pensato a questa fan fiction volevo sforare nell'introspettivo solo all'ultimo atto, e non prima, quando invece avrebbero dovuto fioccare le risate. Qualche episodio esilarante c'è stato, quello dell'anello di Kidd, la scazzottata e poi i vari pizzichi che si sono dati padre e figlio nel corso della narrazione.

Ma parlare di analisi interiore con Connor, mi rendo conto, è come chiedere ad un trapezista di sostituire l'uomo cannone giusto per una serata, perché si sente poco bene e il circo non può mancare quell'esibizione.

Un rischio. 
Lo abbiamo visto tutti: è impulsivo, suscettibile, prepotente e anche così poco modesto da sembrare arrogante, in alcuni momenti. Israel Putnam aveva capito tutto, di lui.

"Voi siete matto come la lepre marzolina, amico." (cit. I. Putnam - Bunkerhill's Battle memory. )

La Ubisoft ci aveva avvertito su questo nuovo protagonista fuori dagli schemi, che si sarebbe allontanato in grande misura dal riflessivo Altair medievale e il sentimentale Ezio rinascimentale. Nella sua ingenuità, (e qui riporto le conclusioni tratte da un'approfondita analisi comportamentale fatta con micho) Connor è decisamente moderno, rispetto ai suoi avi, per modo di agire, certo, ma anche di pensare. Saltare alle conclusioni e entrare subito in azione per lui è un modo di limitare le conseguenze, già innescate, delle proprie come delle azioni di un altro. Durante il gioco ho vissuto il suo ruolo nella Rivoluzione un po' come un tampone, che è sempre lì a limitare le perdite coprendo una ritirata oppure proteggendo una nave alleata. Ma gli eventi sembrano scorrergli inesorabilmente addosso, nonostante i suoi sforzi per arginare la piena. Anche la sua storia personale è ricca di questi eventi concatenati e inarrestabili, e Connor fa la parte della vittima intrappolata nel vortice, chiedendosi come e perché solo quando è già troppo tardi.

C'è stato un momento, durante la stesura di questa storia ma anche prima, in cui mi piaceva domandarmi cosa sarebbe successo se Connor lo avesse risparmiato e cosa, invece, se Haytham avesse prevalso, e questo perché io insieme a tutti i membri della setta degli Assassini non riusciamo a rispondere ad una semplice domanda: "E dopo che i Templari saranno sconfitti?"

Trovare una risposta a questa domanda sarebbe come riuscire a vedere dopo la morte, perché gli obbiettivi, nel cammino di una vita e anche oltre, ti si prospettano man mano che gli sei prossimo. È impossibile guardare così lontano e una volta qualcuno ha detto: "Quando realizzi un sogno, trovatene subito un altro. "(?RapunzeL?)
    Ebbene, Assassini, non struggetevi: completato un obiettivo, ne troverete un altro.

Ciononostante ho voluto esplorare l'interiorità di un personaggio che è esattamente come appare, ma l'ho fatto attraverso un acceso dialogo con suo padre. Il dibattito sulla persona di Hickey, il malcostume nella tradizione inglese (per la scoperta del gestaccio delle dita dell'arciere ringrazio sempre micho <3) e l'indagine sul passato di Haytham… mi hanno solo offerto l'occasione di ricostruire con le parole i sentimenti di Connor.

Adesso basta.

Doveva essere una cosa breve! :)

Un ringraziamento particolare a renault, resuscitata anche lei dalla tomba per correre a recensire e a segnalare per le scelte questa storia. Le ho chiesto di sposarmi, come ringraziamento, e sto ancora aspettando la sua risposta <3

A micho, mia beta-reader ufficiale per questa flash-fic, con cui brindo alle lunghe avventure e notti insonni per La Neve e la Sabbia, la nostra fan fiction a 4 su Yusuf Tazim (un altro po' di pubblicità clandestina non ha mai ucciso nessuno! ) e ovviamente vi invito anche a dare un'occhiata alle sue opere spettacolari, che vi faranno tornare su questa storia pensando che io scriva da cane. <3

Ad Aleca92 per l'apprezzamento e le recensioni costanti che mi hanno scaldata il cuore ricordandomi cos'era a darmi felicità in questo sito <3

A JediKnightMarina55, per i complimenti sul mio buon gusto. (finalmente conosco il significato di "mary sue"!!! )

E ovviamente al mio carissimo amico Manu, alias Dark Dream, che ho trascinato in quest'avventura quasi di peso ma che riesce sempre a riempirmi di gioia con una recensione o un complimento ai miei disegni, soprattutto quando dice di averli beccati su tumbrl!!!!

Spero di poter leggere presto i vostri commenti. :)
  

Alla prossima,

cartacciabianca


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