Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Beapot    13/12/2012    5 recensioni
"Le persone parlano, parlano sempre. Parlano credendo di sapere quello che dicono in ogni occasione, eppure la maggior parte delle volte lo fanno a sproposito.
[...]
Le persone avevano cominciato a parlare il giorno del funerale."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angelina Johnson, George Weasley | Coppie: Angelina/George
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Five years later'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A Krixi (o Kri la folle, che dir si voglia),
che ancora risente del trauma infantile dovuto all'assenza di Santa Lucia
e che ha aspettato questa storia pazientemente!
<3


Words break the silence

 

Le persone parlano, parlano sempre. Parlano credendo di sapere quello che dicono in ogni occasione, eppure la maggior parte delle volte lo fanno a sproposito. Dicono le cose sbagliate nel momento sbagliato per la ragione sbagliata, e non se ne accorgono. Le persone sono convinte di avere ragione, di conoscere gli altri meglio di quanto non conoscano loro stesse, e allora parlano e basta, con l'esperienza che viene da ogni parte o da nessuna parte, ma nessuno se ne preoccupa. Perché a volte parlare, e credere, e sperare in quello che si dice o si ascolta, è l'unica cosa che resta da fare.

 

Le persone avevano cominciato a parlare il giorno del funerale; erano amici e parenti che si stringevano nello stesso dolore e dicevano: “passerà, prima o poi passerà”, e alcuni ci credevano davvero. Erano sussurri tra le lacrime, quelli, erano bisbigli trattenuti tra i denti stretti o rassicurazioni contenute in un abbraccio, e tutti avevano bisogno di credere che fossero reali, tutti avevano bisogno di sperarci. Per loro stessi e per lui - soprattutto per lui, che era rimasto solo per la prima volta.
George sentiva quelle parole, le avvertiva nella mano di Lee che gli stringeva la spalla o nel braccio di Charlie che lo sosteneva, le percepiva negli sguardi che incrociava, appena prima che quelli fuggissero il suo. Quelle parole gli rimbombavano nella testa ogni giorno, in ogni momento, ma lui non era mai riuscito a crederci.
Nessuno di loro avrebbe mai potuto capire quel senso di vuoto che lo opprimeva, nessuno avrebbe sentito la mancanza della sua voce quanto lui, o della sua risata, o anche solo della sua presenza che bastava da sola a completarlo; nessuno, forse, lo avrebbe pianto per sempre, e quella consapevolezza non era autocommiserazione, non era voglia di piangersi addosso e di fare pena a chiunque lo incontrasse, no. Quella consapevolezza era forse la realtà più difficile da accettare, più difficile quasi della sua assenza, più difficile di una vita vissuta a metà, e George lo sapeva. Probabilmente era l'unica cosa che sapeva.
Potevano dirgli che lo avrebbe superato, potevano strappargli un sorriso e un ricordo felice, ma non potevano convincerlo che sarebbe tornato tutto a posto, perché niente sarebbe più stato come doveva essere - il negozio, gli scherzi, la famiglia, i progetti. La vita. - e nessuno a parte lui era in grado di capirlo; ecco perché aveva semplicemente iniziato ad alzare le spalle e cominciato ad annuire a quelle parole fingendo di esserne persuaso, fingendo di sperare anche lui come gli altri. Era più facile gestire da solo un dolore come quello, era più facile non dover incontrare di continuo sguardi apprensivi e sorrisi dispiaciuti.
Era più facile fingere di continuare a vivere, piuttosto che farlo davvero.

 

Fingeva anche quella sera, sugli spalti dello stadio di Quidditch, mentre applaudiva le parate di Oliver insieme agli altri. Erano passati due anni, chi aveva dovuto rialzarsi l'aveva fatto e adesso andava avanti, chi aveva voluto aiutare quelli che continuavano a soffrire ci aveva ormai rinunciato, ma quella sera erano comunque tutti insieme a festeggiare un amico, a spingere per portarlo in qualche pub e farlo ubriacare come uno sportivo non dovrebbe mai fare, e a fare casino come al solito. Come prima, come quando ancora si poteva dire tutto senza pesare le parole, come quando ogni cosa veniva perdonata e si parlava guardandosi negli occhi. Come prima, quando davvero non mancava nessuno.
Erano tentativi inutili di dare una parvenza di stabilità a quello che stabile non era già da un po', perché allo stadio ci erano andati tutti solo quando avevano saputo che i biglietti erano gratis, perché si sorridevano e si abbracciavano come se fosse passato un solo giorno quando in realtà nessuno si era preoccupato degli altri mentre era occupato a piangere per la madre o il padre, per i fratelli o gli zii, ma ancora una volta la finzione era l'unica cosa da fare e allora tutti vi si erano aggrappati.
“Non starai esagerando?” la voce gli era arrivata ovattata, coperta dalla confusione, ma non avrebbe potuto non riconoscerla. Angelina lo aveva guardato inarcando un sopracciglio e aveva indicato il bicchiere vuoto - l'ennesimo - che lui stringeva in mano.
“Sicuramente meno di quanto non stiano facendo loro.” aveva sbuffato George, accennando agli altri che continuavano a brindare al nulla lontano dal bancone al cui lui era andato a sedersi. Nessuno sembrava essersi accorto della sua assenza, ma in fondo era quello in cui aveva sempre sperato da quel giorno: nessuno che lo guardasse con compassione, nessuno che abbassasse la voce quando parlava con lui, come se fosse un malato in punto di morte a cui le parole vanno sussurrate per renderle più dolci. In fondo George era in punto di morte da quando rimasto solo - o almeno pretendeva di esserlo per giustificare i suoi silenzi - quindi nel suo caso non avrebbe fatto alcuna differenza, se non quella di fargli ammettere quanto si stesse lasciando andare.
E si sa, si tende sempre a rimandare l'ammissione a se stessi quando questa spaventa così tanto.
“Ma loro si stanno divertendo.” aveva obiettato Angelina. “Tu ti stai di nuovo piangendo addosso.”
George non si sarebbe mai aspettato di sentirla pronunciare una frase del genere, così si era voltato ad osservarla stupito, senza nemmeno perdere tempo a cercare di guardarla male.
Angelina era sempre stata una persona piuttosto diretta, una di quelle che non si faceva problemi ad arrivare direttamente al punto della questione senza girarci troppo intorno, ma aveva sempre avuto molto tatto nel farlo. Era la prima volta che sembrava non importarle di aver ferito qualcuno.
“Non guardarmi così, sai che è la verità.” aveva detto, stringendosi nelle spalle e portando alle labbra il bicchiere che il barista le aveva appena servito.
George aveva continuato a guardarla per qualche istante, studiandola in silenzio. Quanto tempo era che non la vedeva? Erano passate settimane, forse mesi, dall'ultima volta che lei era passata a trovarlo a casa a sentirlo sfogarsi. Dopo il funerale lo aveva fatto spesso per un po'. Non c'era stato un vero e proprio accordo tra loro, semplicemente un giorno Angelina aveva suonato il campanello e si era seduta sul divano del piccolo salotto, in silenzio, e aveva atteso che lui dicesse qualcosa. Avevano parlato spesso di Fred, di Hogwarts, come a ricordare la vita di qualcun altro, poi era finito tutto all'improvviso. Le visite di lei si erano fatte più rare senza un vero motivo, e George aveva smesso di aspettarla.
“Io non mi piango addosso.” aveva ribattuto a denti stretti, ma in realtà non credeva nemmeno lui alle sue parole. La cosa peggiore, infatti, era che si rendeva conto del baratro in cui era sprofondato e non faceva niente per uscirne. Magari a volte ci provava anche a continuare a vivere, come quando aveva accettato di uscire di nuovo con tutti i suoi vecchi amici, ma era frustrante sbattere sempre la tesa contro il fatto che lui non sarebbe mai riuscito a ripartire. Era finito di nuovo all'angolo del bancone, lontano dalle risate degli altri, a cercare la solitudine e il silenzio che comunque non avrebbe mai trovato, e a prendersela con la gioia che non riusciva a provare e col dolore che lo riempiva.
“Forse puoi ingannare loro.” Angelina aveva indicato gli altri con un cenno del capo e poi era tornata a posare il suo sguardo su di lui. “Ma io non ci casco, George, io lo so che non stai bene.”
“Non stare bene non è sinonimo di piangersi addosso.” lui aveva abbassato lo sguardo e aveva continuato a cercare di mantenere il punto; sapeva quello che intendeva Angelina, e l'obiezione che lui aveva mosso senza convinzione restava fine a se stessa. Erano due cose diverse, certo, ma quante volte avevano coinciso dentro di lui? Non riuscire a stare bene lo aveva portato a smettere di cercare di reagire, e quello sì che era piangersi addosso, perché l'unico risultato che otteneva da quell'atteggiamento era di chiudersi in se stesso a pensare a quanto la sua vita fosse vuota. Nel suo caso, quindi, non stare bene e piangersi addosso erano esattamente la stessa cosa, e lo sapevano entrambi.
“Come vuoi.” era stata la risposta di Angelina; due parole pronunciate con una studiata noncuranza che era riuscita a scuotere George.
“Ma cosa vuoi, eh? Sei piombata qui all'improvviso dopo essere sparita e pretendi di psicanalizzarmi? Non mi serve il tuo aiuto, non mi serve l'aiuto di nessuno! Mettetevi tutti l'anima in pace e lasciatemi stare.” era scattato, alzando la voce e sbattendo il bicchiere vuoto contro il bancone, rischiando di romperlo. Il vociare del locale era riuscito a coprire le sue parole, e nessuno tranne Angelina sembrava essersi accorto di niente. Negli occhi di lei era passato un piccolo lampo di trionfo, probabilmente dovuto alla soddisfazione di aver finalmente spinto George a reagire in qualche modo all'apatia in cui era scivolato.
“Curioso, sono le stesse parole che hai usato l'ultima volta, sai? Le stesse che mi hai urlato contro quando mi hai cacciato dal tuo appartamento.”
A quelle parole George era impallidito, come se avesse appena ricevuto una rivelazione improvvisa. La voce di Angelina era stata calma e lei aveva quasi sorriso, ma quello che aveva detto lo aveva riportato indietro di qualche mese, a quando le visite di lei si erano interrotte, mettendolo di fronte al vero motivo di tale interruzione, motivo che lui aveva rimosso e accantonato da una parte, finendo per dimenticarsene.

Angelina non era sparita all'improvviso come l'aveva accusata di aver fatto qualche istante prima, ma era stato lui stesso a urlarle di andarsene, ad alzare la voce contro di lei come mai aveva fatto, e a ricoprirla di parole tremende che sicuramente dovevano averla ferita più di qualsiasi altra cosa. L'aveva accusata di non capire, l'aveva accusata di non piangere abbastanza per Fred solo perché cercava di convincerlo a ricordarsi di lui con un sorriso, le aveva dato dell'egoista e dell'insensibile, e le aveva detto di non tornare più. Poi si era sentito in colpa, si sarebbe voluto rimangiare tutto ma era già troppo tardi, così si era chiuso in casa e si era attaccato alla bottiglia, lasciando che la barba crescesse e che i piatti si accumulassero nel lavello, finché non aveva perso del tutto la concezione delle cose ed era ripartito a condurre una vita quasi normale un po' alla volta, accantonando l'episodio e convincendosi del fatto che lei lo avesse abbandonato. Aveva avuto di nuovo bisogno di qualcuno su cui scaricare la colpa di tutto, e Angelina era stata la scelta più facile, quella più ovvia, perché lei conosceva Fred e lo aveva condiviso con lui, lei lo aveva anche amato per un po', come si amano i ragazzi che non hanno paura di niente, e quando George non aveva più potuto incolpare se stesso aveva deciso di incolpare lei.

“Io... mi dispiace, scusami.” aveva detto, mortificato. Gli sembrava impossibile che fosse accaduta una cosa del genere, che proprio lui si fosse comportato in quel modo con lei, che era sempre stata la sua migliore amica e gli era stata vicino in più di un'occasione.
Angelina aveva scosso la testa, posandogli una mano sul braccio e cercando i suoi occhi.
“Non importa, lo so.” gli aveva sorriso, rassicurandolo. “Ma non nascondermi da me, non farlo più.” aveva aggiunto, con un tono di voce che sembrava quasi una supplica. George aveva annuito abbassando lo sguardo, un po' perché non era in grado di sostenere il suo e un po' per nascondere gli occhi lucidi di senso di colpa e dolore. Le aveva stretto la mano, però, e l'aveva sentita rilassarsi. Non doveva essere stato facile per lei tornare e dirgli quelle cose, presentarsi da lui e cercare di sostenerlo nonostante il modo in cui l'aveva trattata, perché se c'era una cosa di Angelina che non sarebbe mai cambiata era il suo orgoglio. Non si sarebbe mai esposta in quel modo se non ne avesse avuto davvero bisogno, e proprio da quello George aveva capito che non era l'unico a non stare bene, e che lei piangeva le sue stesse lacrime quando nessuno guardava.

Le persone parlano, parlano sempre. Parlano, e qualche volta sanno anche quello che dicono. Capita che dicano le cose giuste al momento giusto, cose che se dette un attimo prima o un attimo dopo non avrebbero lo stesso effetto, e capita che queste cose a volte siano anche utili a qualcuno. Le persone parlano perché ne hanno bisogno, perché si rispecchiano nelle altre e vorrebbero seguire i consigli che elargiscono, e allora iniziano a dar fiato alla bocca e per qualche istante stanno meglio veramente, per qualche istante con le parole riescono a capirsi e a restare insieme.


 



NdA: finalmente, dopo non so quanto tempo, anche il secondo spinoff della mia long No More Sorrow vede la luce. Lì ho presentato brevemente la George/Angelina, poi ho voluto approfondirla qui. È la prima volta che scrivo su di loro ma mi sono affezionata a questa coppia, perciò spero che sia risultata abbastanza credibile come storia :)
A presto,
Bea

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Beapot