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Autore: Josie5    14/12/2012    8 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )
 

14. Brividi

 


 

- Ti amo.

- Eh, lo so.

Francy ed io osservavamo, lei particolarmente commossa, io soddisfatta, il giornalino che circolava con foga quel giorno.

Parker aveva una smorfia particolarmente irritata ma, appoggiato agli armadietti, non diceva niente tranne parlare a caso con Billy.

Era infatti arrivato febbraio e finalmente quella bellissima foto senza censura di Parker era stata pubblicata.

Io l'amavo, Francy l'amava, Nick aveva ADDIRITTURA riso, Luke aveva solo sbuffato e tutta l'intera scuola l'amava. Avrei giurato di aver visto delle ragazze fotografarla e metterla come sfondo sul cellulare. Avevamo venduto tutto, anche se avevamo stampato più del solito, riuscendo così a guadagnare molto.

E per una volta non temevo conseguenze, Parker mi aveva minacciata, ma sapevo che non avrebbe fatto niente. Insomma, che altro potevo dargli? Mi accigliai, pensando al doppio senso di quel pensiero.

- Che c'è? - Mi chiese Francy, chiudendo allegra la scatoletta di “sicurezza” dove tenevamo i guadagni.

- Pensieri inquietanti - risposi, distogliendo lo sguardo appena Parker lo alzò.

Era stato un mese strano tra me e Parker.

Continuava sì a farmi pulire camera, casa, a farmi portare lo zaino quando gli pareva, mi faceva addirittura fare la spesa al posto suo e mi aveva sfruttata per fargli i compiti quando aveva delle partite e anche per ripetizioni facendomi perdere interi pomeriggi, dato il suo caso disperato.

Ma le cose erano un po' diverse. Avevamo un rapporto leggermente più civile, più o meno, da quando mi aveva aiutata a trovare un lavoro e da quando in parte, nel bagno del Mall forse, per un po', avevamo anche parlato normalmente. Anche se le offese, le litigate e l'odio continuavano a esserci, chiariamoci.

- Andiamo dalla preside? - Propose subito Francy, contenta. - Così salto un po' di ginnastica e tu storia e siamo scusate e mi becco i complimenti anch'io!

Risi, sollevando il tavolo e spostandolo contro il muro, Joe mi avrebbe sgridata per quello ma speravo di non beccarlo e cavarmela. - Vuoi proprio vedere la Generalessa?

Francy annuì. - Poi c'è Kutcher che mi tormenta per la festa di domani: vuole che lo vada ad aiutare - roteò gli occhi al cielo, divertita.

Alex Kutcher stava dimostrando una costanza davvero ammirevole nel stare dietro a Francy e adesso si poteva dire fossero davvero amici, o almeno lui la assaltava sempre e parlavano tutti i giorni e da un punto di vista esterno sembravano amici.

- Secondo me non ha ancora capito che tu aiuti Max per il ricatto e pensa che sarebbe normale per me fare lo stesso - teorizzò, ridendo.

Sbuffai prendendole la cassetta di mano e cominciando a camminare per i corridoi. - Beh sì, in effetti è abbastanza tonto da non esserci ancora arrivato.

Il tonto in questione avrebbe dato una festa il giorno dopo. La festa per la giornata dei single. L'idea di una festa nella casa della Ricetta Kutcher mi spaventava leggermente.

- Ah, ma aspetta! - Mi resi conto all'improvviso, mentre salivamo le scale verso la segreteria, di una cosa. - Oggi è San Valentino! Ecco perchè vuoi evitare di andare subito in palestra da Kutcher!

Francy arrossì. - Come se mi avesse preso qualcosa!

- E' ricco - le ricordai. - Potrebbe in effetti averti presto una collana di Tiffany o qualche sciocchezza del genere ...

Lei rise. - Meglio del cioccolato però, mia madre me l'ha fatto odiare. - La signora Reed in effetti sfornava ogni giorno cookies cosparsi di scagliette di quello, più un altro centinaio di dolci.

- Anche più caro.

Bussai alla porta della preside per poi aprire lentamente.

Lo studio del Dittatore era una stanza quadrata non molto grande, con una grande vetrata, che serviva a illuminare ed aprire lo spazio, alle spalle della comoda e grande poltrona nera. Il perimetro della stanza era seguito da alte librerie, ammucchiate e cupe.

La preside, Generalessa, Il Mostro, tutti suoi comuni soprannomi, era seduta comodamente, braccia serrate appoggiate sulla scrivania. Ogni volta che ero entrata nell'ufficio, l'avevo sempre trovata così, mai presa alla sprovvista, ed era abbastanza inquietante.

- Gray - fece ammorbidendo leggermente i lineamenti: quello era un sorriso. Sorrideva ai soldi, diciamocelo.

Francy ed io ci avvicinammo; Francy accigliata per non essere stata considerata.

- Oggi è andata molto bene! - Dissi appoggiando il contenitore davanti a lei. - Abbiamo venduto tutto!

Lei osservò la cassetta e arricciò le labbra. Non era un buon segno.

- Però mi è stato detto che Max Parker è stato fotografato e c'è una sua foto senza censura, la faccia è visibile. - Alzò gli occhi azzurri e freddi. - Gray, mi hai un po' delusa, dovresti saperlo che non si può pubblicare una foto del genere senza l'autorizzazione del diretto.

Aspettai tranquillamente che finisse. - Ho la sua autorizzazione - spiegai, sorridendo, ma non troppo apertamente.

Non cambiò molto espressione. - Davvero? - Chiese facendo capire con il tono di essere leggermente sorpresa.

Annuii divertita.

Mi osservò un altro po', senza dire niente.

- Non indagherò oltre sui traffici tra te e Parker, non ora; non credo davvero di volerlo sapere e non credo mi converrebbe - disse alla fine, finendo con un'occhiata inquisitoria. - Ma attenta, Evelyne.


 

- Solo io trovo quella donna inquietante? - Chiese Francy, appena uscimmo e rabbrividendo teatralmente.

Feci una smorfia, annuendo e guardando verso la porta. L'apparente buon rapporto tra me e l'idiota stava diventando sospetto anche per la mia cara preside. - Allontaniamoci, sente attraverso i muri - sussurrai.

L'avviso che aveva dato alla fine mi risuonava ancora nelle orecchie.

Francy sbuffò e velocemente cominciammo ad andare verso le nostre due aule; per un po' avremmo camminato insieme.

- E sai - fece mentre scendevamo le scale. - Non facevo che pensare a Parker che ci ha scopato dentro quell'ufficio. - Scoppiò a ridere come un'idiota. - Oddio, se lo sapesse! 

Non risi, accigliandomi. - Con chi, poi ... - Mi chiesi, sbuffando. Francy sorrise, guardandomi, ma non disse niente.

Ci separammo ognuna per la propria classe poco dopo, al piano terra, in uno dei corridoi vicino all'atrio.

Alla fine ci avevamo messo poco a consegnare i soldi e mancavano ancora cinque minuti alla campanella.

Osservai Francy andarsene e tra la piccola folla di ritardatari che entrava in quel momento vidi anche Parker che, appoggiato, perennemente, agli armadietti, sorrideva a Dawn.

Il suo sorriso in quel momento era da “sono bello e so che lo pensi anche tu”. Parker infatti aveva una trentina di sorrisi, forse anche di più, e ormai li avevo visti tutti. Sapevo identificarli e per quello mi faceva sempre meno soggezione. Più o meno.

La bionda spostava il peso da una gamba all'altra e, mordendosi le labbra, porgeva un piccolo pacchetto azzurro al ragazzo. Io avrei scelto il rosso, al suo posto. Comunque era ovviamente un regalo di San Valentino.

Sbuffai, pensando acida che Parker avrebbe preferito altro al posto della cioccolata.

- Hai anche tu il regalo?

Mi girai. Non avevo notato Billy poco dietro di me, aveva lo zaino su una sola spalla e probabilmente aspettava il suo amico. Mi sorrideva. Non capivo perchè fosse così amichevole, l'avevo quasi messo nel giornalino per ben due volte e il giorno alla pizzeria si era mostrato molto diffidente, ma andando avanti aveva sembrato acquistare una qualche e strana simpatia nei miei confronti.

- Regalo?

- Per Max! - Aggiunse, continuando a sorridere in quel modo. Se c'era una cosa insopportabile di Billy Hans, oltre ai continui sorrisi, erano le insinuazioni che faceva.

Mi accigliai, arricciando le labbra in una smorfia. - Figuriamoci se mi viene anche da fargli un regalo!

Lui rise divertito. - Me ne aspettavo uno, almeno per ringraziarlo della foto!

- Ha perso regolarmente una scommessa - gli ricordai e leggermente contagiata sorrisi un po', soprattutto per ringraziarlo in parte del consiglio che mi aveva dato e per cui avevo vinto.

Alzò il mento come pensandoci. - Ah, vero, per Johnson. - Mi lanciò un'occhiata curiosa, ma non avevo tempo davvero per i giochetti di Hans: se c'era una cosa che avevo capito era che quando nominava qualcuno non lo faceva mai casualmente, anzi, voleva probabilmente sapere qualcosa. Sorrise vedendo che stavo per scappare. - E questo evitare di rimanere da sola con me, Gray? Temi qualcosa?

Era inquietante il modo in cui parlava solo e sempre per allusioni. Faceva così anche con Parker? E a proposito del diavolo …

- Gray, zaino! - Parker si avvicinò tranquillamente. Con una mano sosteneva lo zaino nero e con l'altra osservava il regaletto di Dawn.

Con una smorfia lo presi. - Evito di stare con te perchè poi spunta sempre lui - risposi finalmente a Hans.

Parker alzò lo sguardo non capendo di chi avessi parlato. - Chi spunta? E comunque se è cioccolato bianco come lo scorso anno le chiedo di sposarmi! - Fece, tornando subito al suo regalo, con un tono caldo e divertito.

- Te la raccomando - sbuffai, osservandolo mentre con un entusiasmo quasi commovente cominciava a slacciare il fiocchetto. Ignorai Billy che sapevo mi stesse guardando.

- Tutta invidia perchè sei brutta e nessuno ti caga. - Parker mi ammiccò e continuò per il resto a strappare la carta.

Arricciai le labbra offesa. - Vuoi vedere?!

- Ha già dato con le scommesse - rispose per lui Billy, volendo probabilmente evitare di aiutarmi in qualcos'altro, all'ultimo. La campanella suonò.

- Cioccolato fondente ...

Povera Dawn, pensai acidamente.


 

- Sempre cioccolato! - Si lamentò di nuovo Francy.

Eravamo a casa sua, sul suo letto. La radio era accesa e dondolandoci a destra e a sinistra ascoltavamo canticchiando e mangiando i muffin di sua madre.

In teoria ero lì per aiutarla a studiare per il test di Chimica del giorno dopo, in pratica dopo cinque minuti mi aveva distratta col cibo.

- Dico che è un chiaro segno: sta cercando di farmi ricordare che Jack non mi ha fatto il regalo di San Valentino!

- Tua madre non sa di Jack - le ricordai, prendendo il muffin che non si decideva a mangiare, l'ultimo, poi.

Mi guardò cupa. - Sa tutto. Sa tutto.

Quasi mi andò un pezzo di traverso. - Sei inquietante!

- Mia madre lo è! - Sbuffò, dondolando i piedi per far asciugare lo smalto.

Sorrisi pensando che ci stava probabilmente sentendo: l'udito supersonico ce l'aveva sul serio, come la preside, poi.

- Sai - cominciai dopo un poco. Mi aveva arpionato il piede e stava cercando di mettermi lo smalto: di tutto pur di non studiare. - Billy crede che mi piaccia Parker - buttai giù così. Subito dopo aver parlato mi chiesi perchè l'avessi detto.

La mia amica alzò gli occhi a cerbiatto su di me. Lo sguardo non era dolce come la forma degli occhi. - Ma dai?!

La fulminai. - Francy, non fare l'idiota.

Lei rise, facendomi l'occhiolino. - Dai, va bene, non ti piace e lo so. Ma diciamo ...

- Cosa?!

- Diciamo che ultimamente ti ho vista ...

Mi sollevai meglio con i palmi delle mani, per mettermi dritta con la schiena. - No, aspetta, voglio proprio vedere. Cosa?!

Sorrise maliziosa. - L'altro ieri.

Diventai seria. - Cosa?! - E cominciavo a diventare seriamente monotona.

- Alla partita ...

Due giorni prima c'era stata, al pomeriggio, una piccola partita amichevole che aveva attirato mezza scuola. Partita di basket, ovviamente. Di solito non partecipavo a quella roba insulsa, il basket era insulso e io odiavo il basket e i giocatori; li avevo sempre odiati. Ma si sapeva che le cose erano leggermente cambiate in quei mesi ed ero stata obbligata da Parker, per chissà quale motivo, ad andarci. E mi ero trascinata dietro Francy, perchè anche lei doveva soffrire e poi Kutcher ne sarebbe stato felice.

Feci un verso per spingerla a continuare: mi rifiutavo di ripetere ancora “cosa?”.

Mi ricordavo di Parker che correva, con la sua divisa rossa sgargiante. Era il numero 23 ed era decisamente il migliore.

Ero nella prima fila delle gradinate, scocciata, mentre Francy tifava, più per ridere che sul serio, per Kutcher che, imbarazzato da morire, perdeva di continuo palla.

- Beh - fece Francy, sorridendo e prendendosela comoda nello spiegare.

Parker che correva, saltava e canestro. Stavano stracciando la scuola ospite e, dopo aver fatto tre punti, aveva girato lo sguardo verso le gradinate.

Mi aveva vista, per caso, e sorridendo, incrociando i suoi occhi coi miei, nonostante fosse in movimento, aveva ammiccato. Quella volta il sorriso era stato da “sono bravo e bello e tu lo sai”. Figuriamoci.

- Avevi il rivolo di bava.

Spalancai la bocca, sconvolta, riscuotendomi. - Che bugiarda!

Lei scoppiò a ridere, mollandomi il piede e dimenandosi sul letto per le risate.

- Era tutto sudato e schifoso! - Le ricordai, accigliandomi e colpendola seccata. In realtà, in parte, era pur vero che, dopo l'episodio del camerino da Victoria's Secret, il fisico di Parker non mi sembrasse tanto male. Ma solo non male. Decisamente non di più e decisamente non quanto voleva insinuare lei.

- Rivolo di bava!

- Schifoso!

- Poi quando si è fatto male! - Ricordò, continuando a rotolarsi sul letto.

Parker, subito dopo il sorriso, mentre cercava di arrivare al canestro, era stato spintonato violentemente da un giocatore dell'altra squadra, decisamente seccato. Era stato preso alla sprovvista e l'altro, più alto di lui, l'aveva fatto finire contro la ringhiera che separava il campo dalle gradinate. Con la schiena.

Mi ero fatta male io per lui.

- Ma se stavo godendo come una pazza! Se lo meritava! - Dissi sbuffando.

Parker era dovuto rimanere a bordo campo per un po'. Piegato e con gli occhi serrati, aveva cercato di riprendersi e un po' mi aveva fatto pena, in realtà.

- Ti sei alzata in piedi - insinuò.

- Non vedevo perchè uno si era messo davanti! - Mi giustificai inacidendomi. - Dovevo godermi meglio la sua espressione sofferente! - In realtà ero rimasta per un po' indecisa se andare a controllare come stava: lui l'aveva fatto quando ero caduta per colpa del ghiaccio. Ma ci avevano pensato cheerleader, allenatori e Billy e gli altri. In cosa potevo fare la differenza? - Figuriamoci se mi importa se si è fatto male!

Francy rise. - Comunque io volevo concentrarmi sulla bava. Billy probabilmente l'ha notata, geloso com'è!

Sospirai disperata. - Reed. Max Parker è la persona che odio di più a questo mondo. Mi minaccia. Mi maltratta. Mi offende. Figuriamoci se comincia a piacermi!

- Piacerti? Io ho solo parlato di bava. Per me lo trovi solo figo. Ma aspetta, piacerti? - Sorrise sorniona.

- No! Stavi insinuando quello e adesso non farmi sembrare pazza! - Cominciai a urlare isterica.

Lei rise come un'idiota. Riusciva sempre a mettermi in bocca quello che voleva lei.

- Va bene! - Si arrese, vedendo che cominciavo a sollevarmi sulle ginocchia per ucciderla di solletico. - Scherzo!

- Ecco - sibilai.

- Però ammettilo che lo trovi figo! Con quell'aria da stronzo! Gli occhi verdi muschio, i capelli al vento! Sudaticcio! - Continuò la descrizione mettendosi in piedi pronta a scappare da me. - Addominali! - Ma non ce l'avrebbe fatta.

- Solletico no! - urlò e quello lo sentì di sicuro anche la vicina di casa.


 


 

Nascosi le chiavi sotto uno dei cespugli che separavano casa mia da quella della famiglia Bush* (si chiamavano così e avevano il giardino più bello di tutto il quartiere, mi chiedevo se ci fosse un certo collegamento …). Dopo la prima volta che Parker aveva trovato le mie chiavi, e dopo una seconda e terza e quarta volta mi ero finalmente decisa a cambiare posto.

Andai verso la macchina, guardandomi circospetta intorno. Ma erano le 11 di sera e non pensavo qualcuno mi avesse vista.

- No, guarda, adesso mi dici cosa stavi facendo ... - Ordinò subito Francy, molto scettica, mentre mi sedevo alla guida. L'avrei riportata io a casa: uno dei miei piani era di farla bere per farla accoppiare felicemente con Alex. Sorrisi malvagiamente.

- Parker le trova sempre quindi questa volta sono stata più fantasiosa.

- Ma le hai praticamente messe nella casa del vicino! - Mi fece notare, ridendo. - Poi perchè dovrebbe venire qui da te mentre non ci sei?!

- Parker in casa è molesto fino a questo punto - tagliai corto.

Francy sbuffò ridendo e misi in moto.

- E la macchina l'ho presa io, così ho anche la scusa per evitare i giochi alcolici dell'idiota - spiegai mentre giravo per una strada che Francy mi aveva indicato. - Adesso?

- Stai cominciando a conoscerlo davvero - commentò ridendo. Ormai. Quanti mesi erano passati?

Francy aveva in mano il foglio con la cartina di Google maps: il tragitto da casa mia a quella di Kutcher. Viveva un po' fuori città, o almeno ci era sembrato così dalla foto. -Avanti. Esci, ma senza entrare nello stradone!

Mi riscossi, facendo come diceva.

Seguendo la mappa casalinga, cominciammo ad avviarci in una strada a due semplici corsie. Le case da non presenti cominciarono a diventare sporadiche e molto grandi.

- Oddio. - Fu la reazione di entrambe.

Parcheggiai il più vicino possibile, ma le macchina presenti erano fin troppe. - Questo è peggio di Max - fece Francy, scendendo a fatica dalla macchina.

La casa di Kutcher era grande, a tre piani, il giardino era circondato da un cancello e un'alta siepe; da sopra quella si scorgeva parte della casa. Entrammo, poco dopo, guardandoci attorno un po' sgomente.

La casa di Max e quella di Kutcher erano decisamente diverse.

La prima era grande, ben arredata, luminosa, con spazi aperti; quella di Kutcher era enorme, arredata in modo ricco, ma i mobili, forse anche per gli accessori da festa, sembravano chiudere e riempire troppo lo spazio e le luci erano fioche, quasi spente, in un atmosfera un po' scura e caotica. Eppure Alex era un allegro idiota.

La musica nella casa di Parker, poi, sembrava un divertimento in più; in casa Kutcher la musica era alta e per sentirsi bisognava quasi urlare.

Ero stata, dalla storia della scommessa, solo a due feste e tutte di Parker, e questa in confronto, solo dall'entrata si vedeva diversa; dicendo più “pesante” riuscivo a spiegarmi?

- Però - commentò Francy, avvicinandosi al mio orecchio.

Mi accigliai, camminando nell'atrio. C'erano solo due ragazzi che ridevano con bicchieri gialli in mano che sapevo contenere la ricetta alcolica della famiglia Kutcher. La musica era davvero assordante.

- Per le giacche? - Mi chiesi, girandomi verso Francy. Avevo notato che non c'erano i tavolini per appoggiare tutto come da Parker. Non c'era traccia di niente, lì nell'atrio.

Fece spallucce.

I due ragazzi ci notarono. Quello moro, più vicino a noi, indicò le scale poco avanti e mimò giacche con la bocca.

Francy sorrise, ringraziandoli e mi superò marciando verso gli scalini.

Salimmo velocemente.

- O forse dovevamo cercare e chiedere a Kutcher? - Chiesi a Francy. Al primo piano la musica si sentiva già meno.

- No, spettegoliamo noi! - Incitò, fermandosi all'inizio del lungo corridoio. C'era gente lì, ragazze e ragazzi che conoscevamo di vista, tutti fermi e raggruppati, e anche Kutcher. Sorrisi, rincuorata all'idea di non farmi beccare mentre sbirciavo in qualche stanza alla ricerca di altre giacche.

- Alex! - Salutò Francy, sbracciandosi.

Lui la vide subito e ci regalò uno dei suoi soliti sorrisoni. - Eccovi! - Spostò una ragazza di lato, che lo fulminò contrariata, e ci venne incontro.

Notai che tutti ci avevano tenuto all'aspetto quella sera. Soprattutto le due morettine nel corridoio, truccate e agghindate di tutto punto. Io non ero stata costretta da Francy a fare niente di strano quindi ero lì con le mie comode all star, jeans e maglioncino, non mi ero nemmeno truccata (il mascara non contava) e stavo comodissima e da Dio.

- Parker ti cerca! - Mi fece subito, parandosi davanti a noi.

Smorfia. - Giochi alcolici?

- Ovvio e gli manchi, anche - aggiunse, scherzando.

- Le giacche comunque? - Chiese Francy, togliendosi la sua.

Kutcher sembrò saltellare sul posto, prendendogliela. - Le metto tutte nella stessa stanza, poi chiudo a chiave! Una volta hanno rubato un cellulare e se la sono presa con me - spiegò, sbuffando e alzando gli occhi al cielo. Ci fece cenno di seguirlo e aspettò che Francy lo affiancasse.

Io li guardai da dietro, divertita, mentre salivano le scale e lui le faceva complimenti esagerati.

Arrivammo al secondo ed ultimo piano. Il corridoio era sempre lungo ma c'erano meno stanze.

La musica da sotto continuava a sentirsi e anche forte ma una, più alta e vicina, proveniva dalla camera infondo.

- Mia sorella - spiegò Kutcher con una smorfia, notando che ci avevamo fatto caso.

- Hai una sorella? - chiese Francy, divertita. Lui ci guidò verso una porta, a due di distanza dalla sua parente.

- Ne avrei anche un'altra ma è all'università. Questa è la piccola, quindici anni -. Alzò gli occhi al cielo. - E' sempre in casa da qualche anno quando i miei sono fuori. Però si scazza e le feste se le sorbisce, sennò se ne va lei - borbottò con fare capriccioso.

Francy piegò le sopracciglia scetticamente, ma sorrideva.

Kutcher aprì la camera-armadio di cui aveva parlato. Entrammo: la stanza era grandissima; una grandissima finestra, così grande da sembrare quasi il collegamento a un balcone, rifletteva la nostra immagine.

- Dove li hai comprati? - Chiesi, mezza incredula, avvicinandomi agli appendiabiti con le ruote.

Kutcher diede la giacca a Francy per fargliela appendere dove preferiva lei. - Mia madre ha una mezza catena di vestiti - spiegò tranquillo e andò verso la finestra e, con un solo gesto calcolato, tirò la tenda rossiccia quasi del tutto. - Sono pieni di quella roba e mi è bastato chiedere!

- E come ti sei giustificato? - Domandò Francy, ridendo e prendendo una delle poche grucce libere.

- Che mi servivano per le feste! - Rispose con ovvietà, girandosi e sorridendoci.

Chiuse la porta a chiave appena finimmo.

- Ce l'ho sempre io quindi potete stare tranquille! - Ammiccò.

- Non ti scoccia fare sempre su e giù? - Chiesi, mentre ritornavamo nell'atrio.

- Rassoda il culo! - Disse, ammiccano di nuovo, ma verso Francy.

Lei scoppiò a ridere e quasi le venne un colpo per le scale.

- Gray! - Si sentì a malapena sopra la musica: eravamo al piano terra ed era decisamente molto alta.

Smisi di guardare Kutcher che provava a far riprendere Francy. Avevo riconosciuto nonostante tutto la voce.

Parker si avvicinò allegro. Era entusiasta per qualcosa e si vedeva dagli occhi verdi, lucidi. O forse aveva già un po' bevuto. - Eccoti, finalmente! Devo farti ubriacare per avere nuove foto! Giochiamo a Beer Pong*, su! - Capii il tutto davvero a fatica, parlava troppo velocemente, come sempre, ma almeno forte. Mi accigliai, scendendo gli ultimi scalini per avvicinarmi mentre lui si spostava i capelli all'indietro, nel suo solito modo.

- Devo guidare, dopo, non posso - mi difesi, subito dopo aver collegato.

Fece una smorfia, avvicinandosi anche lui: la musica era sul serio troppo alta. - Ho capito solo il non posso e non mi piace molto come risposta - disse acido.

Arricciai le labbra accorciando le distanze e arrivando ad un soffio da lui. - Ho la macchina stasera! E devo accompagnare anche Francy! Non posso fare un incidente: quindi no - ripetei, guardandolo male dal basso.

Questa volta sembrò capire: assottigliò gli occhi in una striscia verde, minacciosa. - Sei particolarmente brutta stasera - commentò e anche lui si era chinato verso di me.

- Tu un cesso come sempre - risposi a tono, incrociando le braccia e fulminandolo per bene: i capelli castani che si vedevano morbidi solo a vista, la fronte corrucciata, così come le sopracciglia, gli occhi verdi, con le sfumature più scure nel contorno, il naso dritto e il piccolo neo alla sua destra, le labbra sottili e disegnate che si stava aprendo in un piccolo sorriso. Un cesso. Parker era un cesso. Continuai a ripetermelo mentalmente.

- Max! Non ti sei ancora messo il completino intimo che ti ho comprato?! - Urlò Kutcher, sporgendosi sulla mia spalla.

Parker perse il sorriso. - Kutcher, ho detto di no! - Mi girai in parte per guardare Alex in faccia: gli aveva davvero comprato un completino?!

- Ma a me piaci così tanto in quella foto ... - Si lamentò con una faccia triste.

Il castano fece un broncio insoddisfatto e, tornando a guardarmi, mi prese una guancia tra le dita, cominciando a pizzicarmi. Mi lamentai. - Gray, ti troverò altro da fare, allora! - Qualche mese fa mi sarebbe suonato a minaccia, in quel momento non ci feci nemmeno caso.

- Lasciami! - Feci, cercando di bloccargli la mano, fermandolo per il polso.

Mi lasciò e gli scappò un piccolo sorriso. Poi con il mento fece cenno a Kutcher e i due se ne andarono. Solo quello simpatico salutò.

Digrignai i denti guardando Francy. - Lo odio!


 

Bevevo coca-cola, seduta sul divano rosso di casa Kutcher. Tutto in quella casa era rosso scuro, marrone, arancione: tutti colori caldi che sfumavano nella luce fioca che la caratterizzava.

Per la musica mi fischiavano le orecchie da un po', ed era appena l'una e mezza; ne sarei uscita sorda; cercavo, comunque, di parlare con Francy anche se era un continuo urlare e sporgersi con la bocca verso l'orecchio dell'altra. Non capivo se col passare del tempo la musica fosse stata alzata o io stessi impazzendo.

- Cosa?! - Ripetei, ridendo, mentre Francy provava a dirmi qualcosa e aveva iniziato a mimare cose strane, con facce strane e indicando un ragazzo lì vicino.

Eravamo riuscite prima ad occupare lo spazio necessario sul divano, nel resto della stanza c'era una marea di gente, ma l'atmosfera era automaticamente di divertimento ed io, pur non avendo bevuto altro che coca-cola, continuavo a ridere e sorridere. Probabilmente collaborava anche il non essere più stata stuzzicata da Parker che, dopo aver finito il suo Beer Pong, e aver fatto ubriacare e disperdere le cheerleader, parlava tranquillamente, in quella stessa stanza, con i suoi amici, ma lontano da me.

A volte mi sembrava però di riuscire a sentirlo ridere sopra la musica, mentre invece facevo fatica a distinguere le parole di Francy.

Appoggiai, sul tavolino di fianco al divano, il bicchiere vuoto. - Bagno! - Feci a Francy, alzandomi. Per fortuna capì, questa volta. - Dove sarà? - Chiesi a lei e a me stessa, aiutandola con i gesti a far capire cosa dicevo.

Si mise in piedi e, prendendomi per mano, attraversò la stanza: puntava a Kutcher e ai suoi amici; anche Parker.

Feci una smorfia mentre ci accostavamo e ci notavano.

- Il bagno?! - Chiese Francy, urlando a Kutcher. - Per lei! - Aggiunse poi indicandomi.

Alex mi guardò e mentre si chinava, avvicinandosi di lato al mio viso (così avrei sentito senza farlo sgolare), Parker lo bloccò per il braccio.

Sia io che lo spasimante di Francy lo guardammo, non capendo cosa volesse.

Parker indicò con la mano in alto e mimò la parola “iPhone” con le labbra, poi si avvicinò a Kutcher e gli disse qualcosa che non sentii. Sospirai, guardando verso Francy.

Bene.

Billy si era messo a parlarci tranquillamente, amichevole come sempre, e altri due amici del gruppo si stavano unendo: Francy era più che carina e le carine ispiravano simpatia a quei poveri giocatori di basket, in quel momento senza cheerleader.

Mi sentii toccare una spalla.

Poco dopo, non sapevo ancora perchè, mi era toccato seguire Kutcher e Parker su per le scale. Francy l'avevo lasciata giù a chiacchierare.

E okay che Kutcher poteva aver avuto la gentilezza di accompagnarmi in bagno di persona, ma Parker cosa voleva?!

Arrivati al primo piano si poteva già parlare.

- C'è un bagno qua! - Cominciò Kutcher sporgendosi. C'era in effetti una piccola fila di quattro ragazze. - Scherzavo ... - Aggiunse subito dopo, con una smorfia strana e facendo per salire ancora.

- E tu cosa vuoi? - Chiesi a Parker, seguendo intanto l'amico.

Parker mi guardò divertito. - Ho lasciato l'iPhone dentro la giacca e ne ho bisogno un attimo, per far vedere una cosa. Non ti piace la mia compagnia? - Chiese all'ultimo, spostandosi i capelli con fare vanitoso e comico.

Risi in risposta, scuotendo la testa e perdendo così l'occhiata sospettosa che avevo avuto dall'inizio.

Arrivammo al piano di sopra. C'era una sola ragazza nel corridoio che aspettava, irritata, davanti alla porta che presumevo fosse il bagno.

- Oh, vabbè, ti tocca aspettare - disse, ma era ovvio, Kutcher.

Annuii, seguendoli comunque verso la stanza-armadio. Kutcher aprì tranquillamente, fischiettando la canzone che si sentiva dal primo piano.

Mentre stava per abbassare la maniglia, sentimmo dei passi piccoli e veloci.

Ci girammo tutti e tre curiosi verso una piccola ragazzina, con dei capelli corti di un rosso sconvolgente, che ci passava di fianco. Non passò inosservato il pacchetto di patatine e il bicchiere giallo.

- ANNABEL! - Urlò Alex correndo dietro alla sorella mentre cercava, anche lei correndo, di chiudersi in camera con la ricetta di famiglia e il cibo.

Parker scoppiò a ridere e io mi portai la mano davanti alla bocca, sorridendo.

- Non puoi bere alcool! - Lo sentimmo urlare, mentre con forza riusciva ad evitare appena in tempo che la sorella si chiudesse in camera. - Poi che cazzo ci facevi giù?! - Fu l'ultima cosa che si sentì, mentre spariva dentro la camera.

- Che non potremmo bere nemmeno noi ma il fratellone evita di dirlo - ricordò Parker, abbassando la maniglia ed entrando dentro la stanza; sorrideva in uno strano modo colpevole. Gli si addiceva quell'espressione.

Sbuffai, guardando verso il bagno; quella in fila entrò sostituendo due ragazze, una col trucco tutto colato: aveva appena pianto.

Il bagno sarebbe rimasto occupato almeno per un po' e nel corridoio si sentivano le urla, senza però capire le parole, di fratello e sorella. Quindi visto che dovevo comunque aspettare, pensai ed entrai dentro la stanza, tanto valeva sorbirsi Parker. Mi chiusi la porta dietro, che l'altro aveva lasciato spalancata, senza pensarci.

Parker al suono della porta che si chiudeva spostò di lato la testa, curioso, e fu quasi sorpreso di vedere che ero io. - Ma sai che così ... - Cominciò, ma ci ripensò e, sorridendo, tornò a guardare la sua giacca. Non chiesi niente perchè tanto non avrebbe mai finito la frase.

- C'è ancora fila e visto che devo comunque aspettare preferisco non sentire nessuna litigata - sentii il dovere di giustificarmi.

Lui annuì senza guardarmi e finalmente prese fuori il cellulare. Lo sbloccò distrattamente, rimanendo fermo sul posto, tranquillamente. Probabilmente si era stancato anche lui della musica e non aveva troppa voglia di tornare giù.

Quella stanza era davvero grandissima, oltre ai numerosi appendiabiti troneggiava contro il muro un grande letto matrimoniale, con lenzuola e copriletto rossi e bianchi. Mi ci avvicinai e senza nemmeno pensarci mi sedetti. L'ambiente era illuminato dalle bajour ai lati del letto, nella tipica luce soffusa che pensavo fosse ormai ovunque in quella casa. La musica era quasi di sottofondo.

Guardai di nuovo Parker: l'unica attrazione in quella stanza.

Sbloccava e ribloccava il cellulare, senza nessun apparente motivo; un sorrisetto gli increspava le labbra. Poi alzò lo sguardo e, incrociando il mio, mi si avvicinò tranquillo. - Avevo anche bisogno di un po' di silenzio - disse, con tono vago, sedendosi sul letto come me. - Le feste di Kutcher sono sì le migliori ma sono stancanti da morire - fece ridendo poi sommessamente.

- Preferisco le tue - fu la mia risposta di getto.

Parker mi guardò curioso, i ciuffi di capelli spettinati quasi infantilmente, o forse il non sovrastarmi in altezza lo rendevano meno odioso, in quel momento. - Perchè? - Rise.

Tanto valeva ormai. - L'ambiente. C'è come più luce a casa tua, alle tue feste, qua è tutto molto più buio, più alcool, più musica … Non l'adoro.

- Evelyne, la brava ragazza. Immaginavo. - Continuava a guardarmi col suo fare distratto, dritto negli occhi. Forse l'avevo già pensato che il buio donava al verde. Non sentii il bisogno di rispondere, lasciando quel silenzio naturale, che interruppe: - Nemmeno l'ambiente in questa stanza ti piace?

L'essere lì da sola, il relativo silenzio, la vicinanza; mi sentii più elettrica al rispondere: - Cambia dal resto? - Riuscii a chiedere.

- Per me sì.

Mi guardai attorno, per evitare più che altro il suo sguardo, pesante come sempre; o forse più del solito.

- E' tutto quasi buio come il resto, ma è molto più calmo - continuò, notando forse che io non avevo intenzione di aprir bocca. -Decisamente più intimo del resto, non credi?

Non riuscii a rispondere.

Ma un rumore veloce attirò l'attenzione di entrambi.

Lamentele dall'altro lato della porta e un battere: la chiave dentro la serratura. Prima che potessi accorgermene, Kutcher da fuori aveva chiuso.

Ma era idiota?!

Mi alzai di scatto, andando verso la porta e bussai tranquillamente, per far capire a quello là che eravamo ancora dentro. Ma niente.

- Kutcher! - Chiamai abbastanza forte.

Niente.

Non poteva essere già corso giù!

- Kutcher! - Urlai.

- Sì, in effetti chiuderti la porta dietro non è stata una gran idea. Avrà pensato che ce ne fossimo già andati, o qualcosa del genere - mi prese in giro Parker. Pensarci prima e dirmelo?!

Mi girai a guardarlo: io non avevo il cellulare dietro, ma lui sì e non avevo la minima intenzione di rimanere chiusa lì con il lupo - perchè era tornato ad essere il lupo, - quindi sorrisi rincuorata.

- L'iPhone - feci, allungando la mano verso di lui.

Parker si alzò in piedi, ridendo scettico. - Non so tu, ma nessuno si è tenuto il cellulare in tasca, laggiù!

Impallidii. - E cosa facciamo?!

Fece spallucce, mettendosi il cellulare in tasca. - Se ne renderanno conto prima o poi. O la tua amichetta, o Billy, o Dawn ...

- No, c'è, no -. Marciai verso di lui, puntando ai suoi jeans e alla tasca. Avrei provato comunque! E poi di sicuro aveva il numero di quella casa: dovevo assolutamente uscire.

- Ehy, maniaca! - Disse, ridendo e girandosi di schiena per evitarmi.

- Parker - cercai di aggirarlo ma niente. Stava giocando! - Parker! - Ripetei, mentre mi spuntava, a malincuore, un piccolo sorriso: mi sembrava di essere tornata alle elementari e giocare all'acchiapparello.

Lui continuava a riuscire a scostarmi e, senza pensarci, gli rifilai uno dei miei soliti pugni alla schiena, dato che non riuscivo a fermarlo.

Per la prima volta da quel gesto ottenni una reazione: Parker sobbalzò e gli sfuggì un mezzo “Ahi”.

Ritirai la mano chiusa, di scatto, e lui si girò, con la fronte piegata in due linee e la bocca in una smorfia: gli avevo fatto male.

Mi morsi le labbra, con fare colpevole. - La ringhiera ... - ricordai, ridacchiando e facendo un passo all'indietro. Era andato a finire con la schiena contro le sbarre da poco, durante la partita di basket, e probabilmente aveva ancora dei bei lividi.

Il suo sguardo, mentre si girava del tutto, diventava minaccioso, un minaccioso non preoccupante, almeno, divertito. - Evelyne, adesso ti uccido. - Non ero poi così convinta che non fosse davvero minaccioso.

Cercò di afferrarmi con uno scatto per i fianchi e, in parte, ce la fece, ma cercavo di scivolare dalla sua presa, spiaccicata a metà contro di lui.

- Dai! - Mi lamentai, ridendo senza nemmeno rendermene conto e portando le mani sul suo petto per allontanarlo.

- Senza pietà! - Rispose, tenendomi bloccata e, facendo il serio, alzò la mano libera. Puntava alla mia guancia. Sapevo cosa voleva fare.

- No! - Urlai ancora, dimenando la testa, e speravo che qualcuno fosse in bagno e ci sentisse e ci aprisse. - Aiuto!

Parker cominciò a ridere e anche nella lotta, anche se provava a stritolarmi sia i fianchi sia la guancia, vidi i suoi occhi acquosi e divertiti. Un divertimento più sincero del solito.

Mi lasciò andare dopo un poco e io, accaldata, mi allontanai in fretta. Avevo il respiro accelerato, senza aver fatto poi molto: ero davvero fuori forma fino a quel punto? E mi ero messa a “giocare” con Parker. Cercai di ripensare mentalmente alla storia della foto per darmi della stupida.

Si sedette, assumendo in fretta un broncio, sul bordo del letto. - Fammi un massaggio! - Ordinò, di punto in bianco.

Lo guardai, non credendo sul serio alla richiesta e cercando di riprendere fiato. - Sì, certo!

L'occhiata di risposta mi fece capire che non scherzava. - Ma no! - Corressi immediatamente la risposta.

Parker sorrise. Quello era uno dei primi sorrisi che gli avevo visto fare, quello da - Foto. - Come disse appunto.

Erano passati mesi, ma contro quel ricatto non potevo ancora oppormi.

Feci i pochi passi che mi separavano dal letto, pestando forte il pavimento, se c'era qualcuno al piano di sotto almeno mi avrebbe sentito e magari sarebbe corso in aiuto. Salii sul letto, lui rideva, e piegai le gambe verso il busto, spostandomi, contemporaneamente, verso il centro, dietro di lui. - Quando questa storia sarà finita, non ti rivolgerò mai più la parola - dissi fredda. Provai a pensare a quell'estate, subito dopo il diploma: la festa, i capellini in aria, il Prom; poi non avrei mai più visto Parker. Me ne sarei andata da quella città e probabilmente l'avrebbe fatto anche lui, come tutti. Mi sembrò per pochi secondi una cosa strana, mi sarei sentita un po' strana senza la sua assillante presenza.

- Ah, lo so, per questo ne approfitto - rispose, tirando in parte su le gambe, anche lui fregandosene di rischiare di sporcare la trapunta bianca.

Rilassò le spalle nel momento stesso in cui le sfiorai con le mani. Avevo avuto l'intenzione di fargli male, ma vederlo tranquillo - mentre muovevo la maglietta con la pelle sotto, con i polpastrelli, - così rilassato, mi fece solo pensare al male che in effetti doveva aver avuto e che non avevo voglia di provocargli. Doveva ancora fargliene, dopo tutto.

Ma non alle spalle.

Abbassai lentamente le mani, continuando intanto ad accennare a un massaggio. Sentii i muscoli leggermente tesi, sopra la maglietta calda come doveva essere la sua pelle, e le scapole delle spalle larghe. Scesi finchè un po' più sotto, a metà schiena, non lo sentii irrigidirsi.

Mi inumidii le labbra e, senza pensarci molto, mi aggrappai alla maglietta scura. E la sollevai scoprendo piano la pelle di Parker.

- Evy - mi chiamò, senza però dirmi niente, con quell'odioso nomignolo che aveva iniziato ad usare a volte, quando eravamo soli. Non risposi, alzando la stoffa fino a scoprire a metà il grande livido di un colorito ormai viola.

Sollevai la mano e me la ritrovai, come se non fosse stata mia, sulla “ferita”. Con un tocco leggero la sfiorai.

- Con il massaggio non posso sistemare niente - feci notare, per smorzare il silenzio che stava diventando pesante.

Ci mise un po' a rispondere. - Non è solo livido. Mi ha distrutto anche le ossa quella botta e i massaggi li accetto sempre. - Fu la risposta che mi aspettavo.

- Neanche te l'avessi offerto io. - Alzai gli occhi al cielo e allontanai i polpastrelli dalla sua pelle calda.

- E la mano fredda mi piaceva - aggiunse piano, facendo vibrare la voce. Girò un pelo la testa, verso la testata del letto.

Lasciai scivolare la maglietta al suo posto. - Il freddo fa bene ai lividi solo subito dopo il colpo - dissi, mantenendo il tono fermo e tranquillo. Avrei riportato volentieri il palmo della mano e le dita sulla sua pelle, amavo il caldo, da freddolona qual ero, e il contatto mi era piaciuto più di quanto fosse lecito.

- Se l'avessi saputo un paio di giorni fa ti avrei chiamata. - Si girò e abbozzò un sorriso divertito. Quello smorzò la tensione che avevo involontariamente accumulato. - Insensibile che, anche se è a poca distanza da me quando mi faccio male, nemmeno mi caga - mi apostrofò.

Mi venne da ridere per quel tono quasi permaloso. E, che eravamo chiusi in una stanza dove non dovevamo essere, nemmeno me lo ricordavo più. - Egocentrico - ricambiai.

Alzò gli occhi al cielo, come abituato a sentirselo dire. Poi tornò con gli occhi ai miei, sorrideva leggero, come casualmente.

Rimase per un po' fermo non parlando, il silenzio stava lentamente creando la situazione di prima. Ma lo interruppe: - Visto che a me il massaggio non serve ... - Fece, senza però finire e senza fare niente. Mi guardava e basta.

- Cosa? - Chiesi, inumidendomi di nuovo le labbra. Sondò la mia reazione, apparentemente tranquilla, anche con gli occhi.

Trovò quello che cercava, probabilmente e, sorridendo, si avvicinò al mio fianco. Lo osservai, immaginando quello che stava per fare, ma non ero ancora scappata via.

- Potrei fartene uno io - non era una domanda e nemmeno una proposta, ed era esattamente quello che gli avevo letto in faccia.

Continuavo a non scappare.

Mi ricordai di non avere via di fuga. La usai come scusa.

Non reagii e lui si portò tranquillo alle mie spalle. Mi sentii toccare il fianco, la mano di Parker sul mio maglioncino grigio. - Non ne ho bisogno - risposi di getto, al tocco, come scottata attraverso i vestiti.

Lui ridacchiò, togliendo la mano. - E' solo un massaggio - cercò di farmi notare e arrivò a sfiorarmi le spalle. Non mi opposi.

Avevo all'inizio i muscoli più tesi di un violino e lui, toccandomi la pelle che rimaneva scoperta dal colletto e arrivando fino all'inizio delle braccia, doveva notarlo.

Chissà a cosa pensava? Era un peccato che leggere i pensieri non fosse umanamente possibile. Ma era meglio così: non sapevo cosa avrebbe potuto capire dai miei.

E mi stavo sciogliendo. Era un bene che non potesse sentire la vocina dentro la mia testa.

Mi sentii da sola lasciarmi andare pian piano al suo tocco.

- Solo un massaggio - ripeté e suonò così bene detto col suo tono caldo.

Si era fermato sulle braccia. In pochi secondi aveva notato quanto mi piacesse.

Me lo dissi anch'io: solo un massaggio.

E come metallo, momentaneamente fuso, ma solo momentaneamente, non mi opposi nemmeno alla sua proposta e al suo tocco che, senza spingermi, ma guidandomi, mi diceva di sdraiarmi. Era solo un massaggio e non poteva fare altro che piacermi. Mi dissi di lasciarmi andare, per quella volta. Per quei due minuti che sarebbero stati. Mi dicevo.

- Va bene - sospirai, appoggiandomi al cuscino e aggrappandomi con le mani al tessuto che lo ricopriva. Si spostò intanto per farmi sistemare le gambe in una posizione più comoda.

Max poi mi spostò i capelli di lato, sfiorandoli dalla nuca e quella relativa vicinanza col mio collo mi fece venire i brividi.

Rise sommessamente. - Freddo, Evy? - Bene, se n'era accorto. Complimenti, Evelyne.

- Sì - risposi, schiacciando il viso contro il cuscino e facendo uscire le parole soffocate.

Fece un “uh” come a far intendere di aver capito. Poi Parker portò le mani alle mie spalle, mani grandi in confronto a quella parte. Nemmeno il mio corpo sapeva se continuare a rilassarsi o tendersi di nuovo, in ansia.

- E comunque sono molto più bravo da sdraiato - disse piano e quasi non lo sentii. Sembrava un'insinuazione tutt'altro che buona e quando fece per spostarsi, SOPRA di me, sobbalzai.

- Parker! - Lo richiamai, arrossendo e cercando di girarmi sul fianco, ma fui fermata bruscamente.

- Solo un massaggio, Evelyne! Non c'è bisogno di pensare male! - Mi sgridò con un tono ironico, ma divertito. - Quanta malizia!

- Con te bisogna sempre pensare male! - Gli feci notare, tornando però alla posizione di prima e riaggrappandomi, facendo diventare le nocche bianche, al cuscino. Cuscino: ancora di salvezza.

Continuavo a non sapere come comportarmi: avevo pensato male fin dall'inizio, eppure non ero scappata; ma forse avevo pensato male per niente, perchè sembrava davvero solo un massaggio.

- Adesso no. - E lo sentii sorridere pur non guardandolo. - Un massaggio, Evy - soffiò.

Non sapevo cosa pensare e fare e mi girò la testa. Sentii le mie unghie contro il palmo e quasi mi fecero male.

Lui rise e si spostò e appoggiò … Sul mio culo. - Parker - sillabai, minacciosa.

- Non farò commenti sul tuo culetto morbido, Gray! - Mi prese in giro, smorzando di nuovo quella tensione che creava e disfaceva di continuo, disorientandomi e basta.

- L'hai fatto!

- Non faccio niente, era solo per stare più comodo! - Sbuffò e, come per tranquillizzarmi, si spostò leggermente, rendendomi solo di nuovo agitata. Non dissi niente però, cercando di non essere più in svantaggio di quello che era sembrato fino a quel momento.

E riportò le mani sulle mie spalle e ricominciò.

Non pensavo che Parker potesse essere delicato in quel modo, che potesse sfiorare e rilassare con dei semplici tocchi. Non avevo mai pensato che avrei sperimentato direttamente qualcosa del genere, diciamo. Mi venne da pensare un attimo a chi potesse aver fatto dei massaggi, come quelli; a quelle mani chi potevano aver toccato, anche in altri modi, e se l'avevano fatto in quello stesso modo; ma solo per un attimo pensai tutto questo, perchè con quelle piccole attenzioni non riuscivo più a ragionare.

Abbandonai la presa del cuscino. Chiusi gli occhi e mi sfuggii un mugolio.

- Sai che è strano vederti così rilassata? - Chiese retorico, a bassa voce.

L'atmosfera nella stanza sembrava definitivamente essersi stabilizzata, forse come noi: la penombra creata dalle lampade basse non era più poca luce, come era sembrata all'inizio, ma solo penombra rilassante. E mi stavo sciogliendo e Parker non mi aveva mai davvero vista così. Al fatto che fosse Max a provocarmi quella reazione non ci stavo pensando, perchè poi stavo reagendo al massaggio o a Parker?

Non riuscii ad organizzare quelle domande, né niente.

Perchè le mani dalle mie spalle scivolarono piano e leggere lungo la schiena. Leggere, ma attraverso il maglioncino continuavo a sentirle: sembrava sapesse esattamente come fare e nel modo migliore.

- Continuo il massaggio - spiegò quasi divertito, prima che potessi attaccarlo come al solito. Anche se non sarei comunque riuscita a sgridarlo in quel momento.

Deglutii, riaprendo gli occhi e puntando lo sguardo sulla porta finestra, ma per colpa delle tende che aveva tirato Kutcher non vedevo il riflesso di Parker, solo parte del mio, e, non riuscendo nemmeno a girarmi, quella cecità cominciò a rendermi più nervosa.

Arrivò in fondo alla schiena. - Ti stai irrigidendo, Gray? - Chiese con la sua voce calda, perfettamente bassa, quasi roca. Mi stava prendendo in giro, però, lo immaginavo.

- No - risposi, la voce inclinata.

- Noto un po' di muscoli tesi, invece - osservò.

Lentamente, con calma ed uccidendomi.

Max portò le mani verso il bordo della maglietta, sollevandola

Poi sotto.

- Il maglioncino mi dava fastidio - spiegò piano.

Le mani, calde, si sistemarono, massaggiando, con piccoli cerchi, dalle fossette in fondo alla schiena, andando verso i lati. Continuò avvicinandosi ai fianchi.

Stava giocando a fare l'idiota, lo sapevo, e io normalmente in quel modo sarei sobbalzata o sarei scoppiata a ridere: soffrivo terribilmente di solletico ai fianchi; senza contare che normalmente non avrei mai permesso a Parker di toccarmi la pelle nuda.

Ma non dissi niente. E, oh, non risi. Non sobbalzai nemmeno.

Ero elettrica, ansiosa ed immobile e sotto la maglietta, sulle braccia, sentii la pelle d'oca.

Il calore delle sue mani, dai fianchi sembrò espandersi anche intorno. Ma erano solo delle mani calde! Cercai di ripetermelo: le mani di Parker.

Provai a darmi un contegno, inspirando ed espirando come mi avevano sempre insegnato a fare, dopo uno sforzo fisico.

Non spostandolo, cosa che sarebbe stata più normale.

Parker, non sapevo che faccia potesse avere, non sapevo che tipo di luce particolare potesse esserci in quel momento negli occhi verdi. Leggendo scherno o divertimento l'avrei subito allontanato, ma così ero cieca. Vedevo solo il cuscino, la luce vaga, la musica da discoteca al piano di sotto non la sentivo; le mani di Parker sì.

In silenzio salì con le mani lungo i fianchi, continuando a massaggiarmi nello stesso modo. Un massaggio avrebbe dovuto rilassare? Io sembravo tendermi ad ogni tocco di più. E lo notava, era impossibile che non lo notasse, ma non disse niente.

Salendo sollevava pian piano il maglioncino e sorpassò il reggiseno, scoprendomi la schiena fino alle spalle. Lì si fermò, sistemando i polpastrelli.

E io stavo morendo. Diciamocelo. Stavo morendo e forse non avevo ancora del tutto collegato di avere la schiena nuda, tranne per la linea nera del reggiseno, davanti ai suoi occhi.

Le sue mani bruciavano e bruciavo anch'io. Febbre, mi sarei dovuta provare la febbre, dovevo assolutamente avercela e anche molto alta! Sperai di non morire perchè ero davvero troppo giovane.

- Avrei una proposta - fece basso e sentendo la sua voce arrivare da vicino, capii che si era chinato verso la mia schiena.

- Cosa? - Riuscii a dire dopo un poco e non mi sembrava di essere stata io a parlare. Con Sean, l'unico ragazzo che avessi mai avuto, mi era mai uscita una voce del genere? E perchè collegavo a Sean?

Parker abbassò le mani e arrivò ai gancetti del reggiseno.

Sarei morta, istantaneamente.

- Per migliorare il massaggio - spiegò, con una strana voce roca, come lo era stata la mia.

Ero morta sul serio perchè non riuscii a rispondere. La bocca si schiuse nel tentativo di spiaccicare parola ma rimase ferma così.

Sentii tirare leggermente in su e subito dopo le spalline mi ricaddero, non più unite, sulla schiena.

- Forse non era una buona idea - riuscii a blaterare.

Morta dovevo esserlo perchè sennò in quel momento l'avrei picchiato. Eppure parlavo! O forse ancora la mia fantasia era al galoppo, e Parker voleva davvero solo farmi un massaggio.

Strinsi di nuovo la fodera.

- Direi che è molto meglio così - ribatté lui, quasi tranquillamente, facendo scivolare le spalline dalla schiena. - Ed è solo un massaggio, Evy - aggiunse, piano, come sentendo quello a cui avevo appena pensato.

Ma perchè la parola massaggio detta in quel modo sembrava così strana?

Parker tornò  tranquillamente alle mie spalle, continuando il massaggio. Solo un massaggio. Alla schiena. Sulla pelle nuda.

Le sue mani erano ormai calde come il mio corpo e l'idea di essermi surriscaldata in così poco tempo mi faceva stare male. Come mi faceva stare male la sensazione della sua pelle sulla mia.

Poi.

Trattenni il respiro.

Mai più.

Non mi sarei fatta fare un massaggio da Parker mai più.

Non mi sarei fatta toccare in generale da Parker mai più.

Dalle spalle cominciò lentamente a scendere.

Dalle spalle, lentamente, verso le ascelle, cominciò a scendere, in punta di dita, coi polpastrelli, cauto, lungo il fianco.

E in quel modo mi sfiorò in una carezza, che voleva essere casuale, ma casuale non era, il lato del seno che era rimasto scoperto, senza il reggiseno.

Normalmente l'avrei picchiato, mandato a quel paese, senza pensare a foto o niente, o ucciso, l'avrei ucciso normalmente.

Ma non ero in me. L'odore di Parker, la sua voce, le sue mani, sembravano avermi scombussolata ed annebbiata in ogni modo.

Se Parker era la mia punizione divina, Dio aveva scelto perfettamente la creatura adatta per tormentarmi. In ogni modo. Psicologicamente e ormai fisicamente.

Cuore a mille, non respiravo.

Parker che mi ricattava.

Parker che mi trattava come il suo giocattolino divertente da sfruttare e sfottere.

Max che in quel momento distruggeva ogni mia singola convinzione.

Parker me l'aveva detto e non gli avevo dato molto retta. Ma era vero.

Si fermò un po' sotto il mio reggiseno.

Ero attratta fisicamente da Parker.

Ma da quando?, mi chiesi.

- Direi che ho finito col massaggio - disse roco.

- Bene - mi uscii con una voce abbastanza isterica. E mi salirono ancora i brividi, ovunque.

Dovevo tornare all'autocontrollo a cui ero abituata. Avevo solo bisogno di un minuto, ma Parker stava parlando in quel momento.

- Adesso ... - Iniziò con un tono che non prometteva, per me, bene.

Ma non avrei mai saputo come voleva continuare: un rumore fece girare entrambi verso la porta.

E forse mi salvò.

Forse.



*Angolo autrice:


Salve a tutte!:D
Ecco qua spiegato lo spoiler: era simile a quello che vi aspettavate?
In questo capitolo, all'inizio, ci sono parecchi richiami agli ultimi capitoli, per ricordare che tutte quelle cose hanno portato Evelyne a cambiare nel modo di comportarsi: dopo tutte quelle cose Evelyne si blocca nella stanza con Parker. :)
Da qua cominciano un po' i casini nella storia. Ma si può vedere.
Chi entrerà nella stanza? Cosa penserà chi entrerà nella stanza? (io mi sono divertita a descrivere la scena all'inizio del prossimo capitolo :'3)
Ma la domanda importante in questo capitolo è una, secondo me: cosa sta combinando Parker?
Ad Evelyne parte l'embolo e non si oppone, più o meno, a niente, non ci riesce (non ci sarei riuscita nemmeno io <3 <3 ), ma Parker fin dall'inizio stava architettando qualcosa o si è fatto solo prendere sul momento o c'è altro? :D
Poi vabbè, Evelyne qua finalmente si mette l'anima in pace e si dice che non si limita a considerare Parker un ragazzo decente. In quella stanza si rende conto di essere attratta da Parker. E il trovare carino uno e l'essere attratti sono due cose ben diverse, almeno secondo me, spero che nella storia si capisca che c'è una differenza e in che modo.
Evelyne ovviamente parla del fisicamente, adesso. Nega qualsiasi altra cosa.
Parkeruccio boh, direi che non dico niente perchè vi lascio carta bianca sul provare a comprenderlo. (anche se è abbastanza schizzofrenico, lo so, lo so ...).
Kutcher, l'allegra idiota lo adoro :D
E nadaa ...
Il prossimo capitolo massimo tarderà un po' più del solito.
Venerdì dovrei uscire e poi (se non finisce il mondo) sabato sono fuori ancora tutto il giorno e domenica parto per la Spagna e credo che ci merrerò un paio di giorni prima di avere Internet ...
Fidatevi di me comunque, che in ogni caso arriva, il capitolo è sempre pronto :D
A presto.
E ringrazio tutte le persone che hanno messo la storia tra seguite, ricordate e preferite :3

Nel caso il capitolo arrivasse dopo Natale. Buone feste a tutte ! <3

Josie.


 

*Bush= cespuglio, riferimento quindi al giardino.
*Beer Pong. Si fanno rimbalzare palline da ping pong in bicchieri e quando si centra il bersaglio la squadra avversaria deve bere, o qualcosa del genere. Avete capito il concetto, comunque :D

   
 
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