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Autore: Amy Tennant    16/12/2012    6 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando la dottoressa Catherine Lane entrò nella stanza vide che lui era già lì e si irrigidì.
Non avrebbe voluto ma non era qualcosa sulla quale potesse avere controllo.
Lo vedeva e succedeva. Le sue mani iniziavano a tremare, a sudare, lo stomaco sembrava premerle sul cuore e la sua voce si alzava troppo di tono, tanto che più di una volta l’aveva visto fissarla con sguardo interrogativo e sorpreso, come davvero non si rendesse conto dell’evidenza della cosa ma cercasse una surreale spiegazione ad un fenomeno così fisico come l’attrazione.
Lei, una donna adulta, neanche una ragazza alle prime esperienze, turbata da lui come da nessun altro prima. Si sentiva male solo a pensarci. Tuttavia era accaduto perché lui non era come gli altri ma eccezionale. Lo si sentiva chiaramente avendolo accanto.
Ogni volta che lo guardava, assorto con il capo chino, le mani in tasca, perso nei suoi veloci pensieri su chissà quale mondo, lei restava ad accarezzare il profilo di quell’alta figura, sottile ma forte, che tanto sembrava giovane a volte, nonostante la profondità di uno sguardo vecchio di secoli.
Quando l’aveva visto la prima volta, era stata colpita proprio da quegli occhi scuri, grandi. Spalancati su quel che lo circondava con curiosità e un certo timore. Ma in lui era anche tipica un'ironica sfrontatezza che alleggeriva le questioni più gravi. L’aveva imparata a conoscere, come i suoi strani modi.
Strano uomo, John Smith.
Il suo viso lo conosceva da tempo ma quando Rose Tyler l’aveva portato da loro, credeva di avere davanti LUI prima che gli fosse detto chi era L’UOMO.
-          Non ho capito, lui sarebbe una sorta di copia? – aveva chiesto lei, professionalmente.
-          Che cosa?  - era rimasta stupita dal tono indignato e dai suoi occhi così brillanti spalancati su di lei in un’espressione profondamente offesa.
-          Lei non è…?
-          Io non sono un clone più di quanto non lo sia lei! – poi uno sguardo strano – lei è un clone?
-          Ma…!
-          Io sono il Dottore! – aveva detto sicuro persino spavaldo poi qualcosa l’aveva fatto irrigidire – ma… - aveva esitato – sono… in parte umano – l’aveva detto quasi con incredulità e questo l’aveva turbata, intenerita d’istinto.
Era stato allora che aveva notato Rose Tyler prenderlo dolcemente per mano. Lui l’aveva guardata con ansia alla quale la ragazza aveva risposto con un sorriso che era parso di incoraggiamento. Negli occhi della giovane aveva riconosciuto un dubbio, un dolore, l’indecisione. Lei per prima lo guardava con perplessità e un velo di qualcosa di indecifrabile, qualcosa che doveva esserci tra loro – Rose e il Dottore – ma forse non tra Rose il giovane che le era vicino.
Era però nei grandi occhi scuri di lui. Allora come in qualunque altro momento dopo.
-          Tu sei inavvicinabile per un’altra donna, purtroppo – pensò Catherine guardando John Smith, l’uomo cui avevano dovuto creare un’identità dal nulla, perché nessuno chiedesse troppo di lui. Prese respiro e sperò in un tono di voce più normale – Ciao! – non c’era speranza, allora. Le parve anche più stridula di quanto temesse. Se la schiarì. Lui continuava a guardare la griglia di fronte a sé – hey!
-          Ah, scusa. Ciao… – le rispose a mezza voce, quasi tra sé. Catherine sentì una fitta di fastidio ma doveva controllarsi e soprattutto, stargli lontana.
-          Pensavo di non trovare nessuno, visto l’orario.
-          Avevi lasciato qualcosa in sospeso? – aveva sorriso continuando a guardare lo schermo. Lei deglutì a fatica. Non sopportava quando sorrideva, era anche peggio – sei… molto silenziosa – mormorò John – sei preoccupata?
-          No… io ho solo…
-          Se ti riferisci all’analisi dei materiali che avevi iniziato ieri, l’ho portata a termine poco fa.
-          Non può essere! Devo ancora fare dei calcoli che…
-          Variabili conosciute, una cosa di poco conto, ci ho pensato io – aveva aggiunto distrattamente.
Lo guardò ammirata e inquietata. John Smith, sebbene avesse un corpo apparentemente umano, tale non sembrava a nessuno, soprattutto quando risolveva tutto con una facilità impressionante, se paragonata ai loro tempi. A volte sembrava si annoiasse molto. O forse la sua mente vagava altrove, dove non poteva raggiungerlo neanche Rose Tyler.
-          Cosa sta attraendo la tua attenzione? – lui l’aveva guardata. Catherine cercò di mantenere un contegno ma si irrigidì ancora.
-          Che cos’hai? – le chiese lui accorgendosi della cosa.
-          Nulla. Mi manca… un buon caffè.
-          Mi sembri abbastanza nervosa, stamattina.
-          Lo sono ogni volta che mi fai sentire stupida, John Smith – lui aveva accigliato la fronte perplesso – tu riesci a venire a capo delle cose con talmente tanta facilità…
-          Non sentirti stupida tu sei una delle donne più intelligenti che io abbia mai conosciuto – disse con tono rassicurante. Catherine gli sorrise – io ho solo vissuto più di te e visto molte cose o meglio… io sono così perché lo è LUI – percepì il velo di una certa strana amarezza nella sua bella voce ma anche qualcosa di diverso. Catherine si limitò ad annuire distogliendo lo sguardo dal suo viso ma gli si avvicinò e accanto a lui dovette trattenersi da non toccarlo, fargli anche una carezza di conforto.
Notò stranamente il suo respiro sembrava quello di qualcuno che avesse molto freddo. La temperatura del laboratorio era confortevole ma l’attenzione di John sembrava concentrata su altro.
-          Allora, Dottore, mi dici cosa ti ha portato qui a quest’ora?
-          Sono alle prese con un mistero spazio temporale – la sua espressione accigliata e pensierosa contrastava comicamente con il suo mezzo sorriso.
-          Sei vicino alla soluzione o ti diverte il problema?
-          Ho compreso parte del problema e sono alla verifica di un sospetto! – disse trionfante con un altro sorriso – però… ho trovato un problema nel problema.
-          Intricato.
-          Intrigante – precisò lui.
-          E sarebbe? – avevano davanti gli schermi del computer e una serie di dati che scorrevano velocemente. Catherine li riconobbe – aspetta, tu stai calcolando…
-          Lo sviluppo della sua crescita, della crescita del Tardis, sì!
-          Ah…!
-          Lo sviluppo di qualcosa che proviene da un altro mondo, che non potrebbe trarre energia da questo perché è sbagliata ed allo stesso tempo, per qualche strano paradosso… si sviluppa per come dovrebbe e molto più velocemente del previsto.
-          I dati dicono che il ritmo di crescita è raddoppiato negli ultimi tre giorni.
-          Molto più che raddoppiato, mia cara Catherine… - mormorò John pensieroso. Comprese dai suoi occhi che sapeva o per lo meno sospettava quale fosse il motivo.
-          Sai da cosa potrebbe dipendere, suppongo.
-          Può darsi – fece un mezzo sorriso profondando le mani nelle tasche. Del soprabito. Fu allora che lei notò che aveva ancora indosso il cappotto. Lo guardò perplessa.
-          John, stai bene?
-          Io sto sempre bene.
-          Hai addosso il cappotto e qui ci saranno almeno ventuno gradi.
-          Ho freddo – rispose lui con tono allegro, quasi esaltato – ho un freddo terribile e… penso che la mia temperatura corporea si stia abbassando, forse mezzo grado all’ora – Catherine impallidì.
-          Ma è assurdo…!
-          Suppongo si tratti di qualcosa che abbia a che fare con quel che mi è successo – disse piano quasi fra sé e poi rise.
-          Mi spieghi? Io non riesco a capire…
-          Mi sono rigenerato – disse semplicemente. Lei lo guardò sconvolta e John le sorrise – o meglio… LUI l’ha fatto – precisò con occhi lucidissimi – il che vuol dire due cose: io non sono più io e Lui non è più me.
-          John!!
-          Aspetta, aspetta, aspetta! – lui la guardò divertito con gli occhi spalancati dall’eccitazione – Undicesima rigenerazione, sconosciuta… - le prese una mano e la mise sul suo petto – io sono com’ero alla mia decima vita - lei capì e tolse la mano dal suo corpo come fosse stato incandescente e non sempre più freddo, come diceva.  A stento represse l’emozione e si irrigidì. Lui non si era accorto di nulla, come al solito.
-          Credo di aver capito – mormorò con un filo di voce.
-          In realtà non è molto difficile. Lui è cambiato e non so come. Non lo so! Però… è successo qualcosa anche a me. La temperatura del mio corpo si sta assestando su valori simili a quelli che avevo prima anche se… diversamente da prima non mi sembra così confortevole. E quando io sono cambiato il Tardis lo ha sentito. Il Tardis è telepatico ed è unito a me.
-          Ma tu sei umano!
-          Lo è il mio corpo, in parte. Ma non la mia mente. Il Tardis mi percepisce al di là di quel che sono fisicamente. Il Tardis guarda nelle anime – Catherine lo guardò esasperata.
-          Io non capisco, non capisco che cosa tu voglia dire!
-          Catherine, io non ho più due cuori e… ed effettivamente è un peccato, danno dei vantaggi – disse con tono serio ma gli occhi gli brillavano divertiti – eppure, nonostante la grave perdita e questo corpo differente ... io non sono umano. Per il Tardis io sono un signore del Tempo. In condizioni biologicamente eccentriche ma… è pur sempre quel che sono! Probabilmente in senso fisico appartengo troppo ad un universo opposto a questo, opposto per molti aspetti e… il Tardis forse dovrà portarmi via da qui il più presto possibile, solo che non so come, non capisco…  – Catherine ebbe un fremito istintivo. Non si trattenne e mise una mano su un suo braccio stringendolo. Vedendo che la sua espressione era cambiata, John mise una mano sulla sua, improvvisamente preoccupato – che cosa c’è?
-          Dovrai andare via da questo universo?
-          Sto cercando di capirlo.
-          I mondi sono chiusi, lo hai detto tu più di una volta!
-          Sembra che i muri dei mondi siano più elastici di quel che pensavano anche i signori del tempo – mormorò John – non si abbattono ma si piegano e forse… esiste qualche ponte temporaneo tra una fessura e l’altra, forse… si aprono a certe condizioni oppure tramite qualcosa che conosca entrambe le parti e faccia aderire gli universi come fa una mano destra ha con una sinistra.
-          Tu mi confondi e parli di un insieme di dubbi, ipotesi! – protestò Catherine.
-          Eppure il Tardis sta crescendo in fretta! Prima pensavo ci volessero almeno dieci anni! A questo ritmo invece avrà completato il suo sviluppo primario tra pochi  mesi.
-          Quanti?
-          Questo ancora non lo so – disse più piano.
-          Rose che cosa dice di questo? – Catherine vide i grandi occhi di John addolcirsi al nome ma allo stesso tempo velarsi di un’ombra.
-          Lei non lo sa - lui la lasciò e si allontanò un po’.
-          Rose qui ha la sua famiglia, il suo mondo…!
-          Rose non è di questo mondo.
-          Ma tutto quello che aveva altrove è sparito! Nell’altro mondo lei è morta!
-          LO SO – il suo tono era sofferto e infastidito insieme – ma… tutto questo, tutto quello che può voler dire è straordinario ed è…
-          Non mentire, non a me, no! – Catherine lo fissò risoluta come mai e lui di fronte a lei la ricambiava inquieto – tu sei felice di questo, vero? – aspettò una risposta ma taceva. Le labbra serrate in un freddo silenzio che però non era nei suoi occhi. Vi era in lui un’eccitazione forte, innegabile. Questo la feriva in un senso che non avrebbe dovuto e che la faceva sentire debole. Lui non comprendeva quanto la facesse soffrire ma Rose era l’unica cosa che lo raggiungesse nella profondità più nascosta di quell’animo a tratti indecifrabile. Sarebbe stata la sua lama, se per toccarlo dentro doveva fargli del male – tu hai dimenticato Rose Tyler, Dottore.
-          Non potrei mai!
-          Davvero? – Catherine sorrise ma fu quasi una smorfia di dolore – sono certa che così affascinato da tutto questo e da ciò che potrebbe dire, tu l’abbia considerata poco, quasi una variabile da calcolare all’ultimo minuto – vide che i suoi lineamenti ora erano tesi, come per il dolore. Aveva centrato il suo punto debole, si vedeva dall’espressione del suo viso. Catherine riprese più risoluta – è inutile negarlo, è così evidente! Se tu potessi andare via, se tu potessi riprendere ad apparire e sparire nelle vite degli altri a tuo piacimento… lo faresti, lo faresti di nuovo! – John distolse lo sguardo da lei, uno sguardo ferito profondamente  – senti spesso di non essere adatto a questa vita, vero? – silenzio, per un lungo istante che però non fu di tregua.
Lui continuava a tacere e Catherine sapeva che gli stava facendo sempre più male, lo capiva da come subiva le sue parole. Era in lui una paziente dolcezza, come quella di certi vecchi; lui in fondo lo era, vecchissimo e gentile, anche se nessuno lo ricordava perché sembrava giovane; e tanta delicatezza in un uomo così giovane era bellissima, affascinante. Lei ora la detestava.
E lo odiava, in quel momento.
Lo odiava perché ne era innamorata, non solo attratta. E la cosa le era stata tragicamente evidente quando aveva sentito che sarebbe potuto andare via. Le era mancato un battito nel petto, caduto come nel vuoto. Avrebbe voluto stringerlo, avrebbe voluto dirgli altre parole.
Avrebbe voluto toccarlo.
Il dolore che lui non comprendeva e ignorava, in lei somigliava alla disperazione. Piangeva dentro ma non voleva. Lei non poteva. Avrebbe voluto fargli il cuore a pezzi come sentiva il suo.
-          La vita di un essere umano è noiosa, ripetitiva; riduttiva, non è vero? – gli occhi di lei brillavano d’ira amara e la sua voce era tagliente  – tu…! Sei sicuro di non essere più umano di come credi? Io ti vedo molto umano, ora, in questo momento. Sei un egoista, un umanissimo egoista, John Smith! – finalmente lui la guardò e l’espressione dei suoi occhi la colpì dentro come un pugno. Ma continuava a tacere ed era insopportabile. Catherine reagì con altra cattiveria – tu non sei in grado di mantenere la promessa che le hai fatto!  – John sgranò gli occhi - non le hai promesso di restare? Non le hai promesso la vita?
-          L’ho fatto – mormorò.
-          Rose sa che vuoi andare via?
-          Probabilmente sarà necessario che io…
-          Allora sa che probabilmente la lascerai? – lui emise un respiro che le parve sofferto. Le rivolse allora uno sguardo lunghissimo e nonostante i suoi occhi scuri le parve tanto trasparente che lei tremò perché vi aveva misteriosamente percepito un abisso di solitudine passata e presente insieme ma sul fondo anche una luce brillare ferma, risoluta, una luce abbagliante.
-          Io non la lascerò mai – disse con voce ferma e Catherine sentì d’istinto quanto forte potesse essere John Smith, più di quanto non avrebbe mai saputo – ho lasciato Rose già una volta e non potrei farlo di nuovo. Avrei preferito morire del tutto, per sempre, dopo che è successo. Ed ora preferirei morire, che separarmi da lei – una lacrima bagnò il viso di Catherine che lo guardava smarrita. Il tono della voce di John era calmo ma molto dolce e triste, come il sorriso che le aveva rivolto nonostante le sue taglienti parole.
Ciò la fece stare anche peggio.
Lui era una creatura gentile. E mai come allora le fu chiaro perché Rose Tyler non fosse riuscita ad andare avanti con la sua vita e invece tentato l’impossibile per tornare da lui.
-          John… tu… - lui scosse il capo.
-          Io le dirò tutto, le dirò ogni cosa ma quando sarà chiaro esattamente quel che sta succedendo. Oggi sono qui per capirlo o per iniziare a farlo. E… se tu volessi darmi il tuo aiuto… - Catherine abbassò lo sguardo – ho bisogno del tuo aiuto, davvero – aggiunse – vuoi…? - Lei annuì piano.
-          Tra un po’ però ti accompagno in sala medica, vorrei che si capisse che cosa succede al tuo corpo.
-          Si raffredda – rise lui. Lei lo guardò severamente.
-          Un umano soffre, a quella temperatura.
-          Non io. Io sto sempre bene – ripeté per l’ennesima volta.
-          Tra mezz’ora ti trascinerò lì di peso, John.
Lui sorrise e le fece posto accanto a sé davanti alla griglia dei valori calcolati progressivamente dai computer, cifre sempre più lunghe, più inquietanti nel significato.
Catherine non si sbagliava, per un attimo aveva pensato a partire, scappare lontano, vedere mondi nuovi, avventurarsi in qualche mistero… ma mai, senza Rose. Mai più.
Quella donna gli faceva una pena infinita perché aveva capito cosa sentiva. Avrebbe voluto abbracciarla ma non le sarebbe stato di alcun conforto.
Con uno sguardo la invitò ad avvicinarsi di più ma quando gli fu accanto non la toccò.
Non le fece un gesto d’affetto che invece gli sarebbe venuto spontaneo perché la vedeva trattenere il pianto a stento.
Aveva notato da tempo come lei si agitasse davvero troppo, ogni volta che erano insieme. Era quello che succedeva a Rose quando lui le era vicino ed era stato lo stesso per lui con lei, praticamente da sempre. Se anche toccarlo casualmente per Catherine era difficile non era il caso di farla soffrire.
Soffriva a causa sua. Come tanti altri prima di lei e per vari motivi.
Il dolore che questo gli causava durava da secoli e John Smith era già carico di rimorsi e rimpianti come pochi altri in tutti gli universi.
Non invidiava la sua Undicesima vita, iniziata altrove; altri dolori da affrontare, altre separazioni e le lacrime che si lasciava alle spalle. Non era più in grado di sopportarlo, senza cambiare.
Ormai aveva solo un cuore e già così pieno di dolore da pesare a volte troppo, per un uomo solo. 
  
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