All'amore della mia vita
Si tuffò e iniziò subito a nuotare con forza e velocità, ringraziando le ore spese in piscina: la sua bracciata era pulita e non sollevava che pochi schizzi, i piedi battevano veloci e potenti. La sensazione di disciplina e di potere sul proprio corpo lo inebriava, accarezzandolo in modo quasi più piacevole di come faceva l’acqua.
Si ritrovò dopo poco lontano, le orecchie libere dal vociare degli altri bagnanti e dall’orrenda musica commerciale che l’avevano tediato fino a quel momento.
Si immerse e andò subito verso il fondo, composto da un variegato insieme di sassi, adornati da alghe verdi e rosa e ricci neri e aguzzi.
L’acqua era pulita e limpida, nuotarci era come nuotare in un mare di vetro liquido, luccicante e trasparente.
Seguì un banco di pesci iridescenti, che lo condussero ancora più fuori, alla fine dei sassi: innanzi a sé aveva solo mare, blu e immenso, e intorno a lui nuotavano pesci di ogni colore e forma. Gli sembrava di essere dentro una vasca di qualche acquario, magari quello vicino, di Genova: intorno a lui la meraviglia del mare lo avvolgeva, ammaliandolo. Lì sotto, tra i pesci e il fresco dell’acqua, poteva dimenticare se stesso, il suo corpo che sentiva spesso gravoso e inutile, ed essere semplicemente chi voleva: viveva la sua anima, forse, o più semplicemente nuotava trasformandosi via via in sasso, alga, pesce o acqua. Si sentiva felice, in pace: non avrebbe mai voluto tornare a riva, tra la gente, nel mondo.
Avrebbe voluto stare lì per sempre ma, riportando la testa oltre il pelo dell’acqua, per respirare il tanto che bastava a permettergli di immergersi di nuovo, sentì il campanile suonare le otto. Era tempo di andare.
Rassegnato, nuotando il più lentamente possibile per non affrettare l’inizio del suo calvario, tornò a riva, abbandonando con dolore ciò che per lui rappresentava la libertà.